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Autore: Puffardella    02/02/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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LUCIO
«Dove sono finiti quei bastardi?» si chiese Lucio a bassa voce, scrutando con ansia il fitto dei boschi ai lati del sentiero.
Le truppe erano state allungate in una stretta colonna a causa del sentiero stretto sul quale gli uomini erano costretti a marciare. In testa camminava l’aquilifero, con addosso la pelliccia di lupo, e al suo fianco procedeva, tenendo lo stesso passo, il vessillifero, con l’emblema della Ventesima legione: l’aquila.
Lucio e tutta la cavalleria avevano preso posto in testa alla colonna. Dietro la cavalleria seguivano i frombolieri e gli arcieri e, dopo di loro, veniva il resto dell’esercito. Il bagaglio era stato collocato in fondo alla fila, subito prima dei due manipoli composti dalle reclute.
Decine di insigne, portate da altrettanti vessilliferi e dislocate all’inizio di ciascuna coorte, manipolo e centuria di appartenenza, svolazzavano nell’aria come farfalle variopinte in un campo sconfinato.
I soldati avevano sperato fino all’ultimo di non essere costretti a intraprendere quella strada insidiosa, ma i barbari non si erano comportati come il generale Tito si era aspettato, e non li avevano attaccati. Dopo dieci giorni di inutile attesa accampati nei pressi del fiume Tay, il generale si era deciso a mandare una legione in avanscoperta, la Ventesima per l’appunto, per monitorare la zona e sgombrarla dai Caledoni prima di unire nuovamente l’esercito e sferrare un attacco decisivo ai Germani.
Lucio, che aveva già attraversato quel sentiero tortuoso, era stato tutt’altro che felice dinanzi a quella prospettiva. Non condivideva affatto la strana tattica offensiva decisa dal comandante. La riteneva anzi decisamente ambigua.
Erano quasi giunti in prossimità dei villaggi caledoni nella piana del Kent, eppure fino a quel momento, stranamente, non avevano incontrato nessuno, nemmeno un viandante. Questo non aiutava di certo il morale degli uomini. Perfino Rufus, di solito impassibile di fronte a qualsiasi avversità, sembrava particolarmente teso. Camminava con la testa incastrata al collo, concentrato, come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro.
Lucio gli si affiancò.
«Che ne pensi di tutta questa calma?» gli chiese.
«Mi dà ai nervi. Non capisco perché non ci attaccano. Eppure sono nascosti nei boschi, lo so. Posso sentire il loro fetore» disse.
Lucio annuì. Era quello che pensava anche lui. Gli uomini mandati in ricognizione fecero il loro rientro in quel momento e il legato Flavio diede ordine alla colonna di fermarsi, ordine che fu ripetuto come un’onda dagli ufficiali prima e da tutti i centurioni poi. Lucio si affrettò a raggiungere il legato e gli altri ufficiali per essere ragguagliato.
I cavalieri asserirono che tutti i villaggi intorno sembravano completamente abbandonati. Sui campi giacevano alla rinfusa le zappe dei contadini, come se avessero lasciato il lavoro all’improvviso per darsi alla fuga.
Il legato diede disposizione di rimettersi subito in marcia. Desiderava accamparsi nella valle, ormai a poche miglia di distanza, così da essere in grado di mandare altri uomini ad effettuare controlli più accurati. Ora più che mai aveva fretta di togliere la colonna dallo stretto sentiero che tagliava in due la foresta di querce e betulle. I Caledoni erano di sicuro assiepati in quei boschi, e anche se il loro re aveva asserito che non intendeva ingaggiare battaglia, non c’era da fare troppo affidamento sulla parola di un barbaro, che era per natura volubile e quindi inaffidabile.
Lucio provò un insolito sollievo all’idea che i Caledoni avessero abbandonato le capanne. I volti dei bambini del villaggio continuavano a tormentarlo. Era pronto a combattere e a uccidere guerrieri feroci, ma non era altrettanto sicuro di poter infierire su donne e bambini inermi.
Il giorno che aveva lasciato il villaggio aveva detto a Rufus che quella gente avrebbe avuto ciò che meritava. Eppure, dentro di sé, una voce insidiosa era andata via via crescendo e ora tentava subdolamente di infilargli in testa che, in fondo, quella gente non meritava affatto di essere sterminata. I Caledoni non erano ostili, chiedevano solo di poter continuare a vivere sulla propria terra indisturbati.
«Com’era la donna caledone con cui ti sei intrattenuto la notte in cui abbiamo lasciato il villaggio barbaro?» chiese a Rufus affiancandolo di nuovo, nella speranza di potergli confidare i suoi timori.
Rufus sollevò su di lui uno sguardo indagatore. «In che senso?»
«Passionale? Fredda? Cosa ti è rimasto, di lei?»
Il primipilo sogghignò e sputò per terra. «A me niente, a lei non lo so. Spero non un bastardo.»
Lucio serrò le labbra, contrariato da quella risposta. «E se così fosse? Se così fosse e tu te la trovassi di fronte durante una battaglia, avresti il coraggio di ucciderla? Di uccidere il tuo bastardo?»
Rufus indugiò a lungo prima di rispondere freddamente: «Ragazzo, io eseguo solo degli ordini. Ho imparato da tempo a non pormi questioni di nessun tipo. Sono un soldato di Roma, solo a Lei devo la mia devozione. Ho un unico compito: salvare la mia pelle e quella dei miei uomini, se posso, per rendere Roma ancora più gloriosa di quanto non sia già. Il resto non conta. E se vuoi un consiglio, Lucio, certi discorsi tienili per te.»
Lucio si risentì delle sue parole. Eppure, al villaggio, quando gli aveva ordinato di partire, gli era sembrato di cogliere una luce di biasimo nei suoi occhi. E comunque rinunciò ad approfondire il discorso. Rizzò la schiena sul cavallo e lo fece voltare, con l’intento di ripercorrere la colonna in tutta la sua lunghezza. Se non altro per allontanarsi dal centurione per il quale in quel momento, come spesso accadeva quando le loro opinioni cozzavano, nutriva solo fastidio.

EILISH
Eilish era stata messa in guardia dal sospirare degli alberi, dal modo in cui il vento si era insinuato fra le fronde, facendole oscillare con un brusio appena sussurrato. Allora aveva sollevato il viso e chiuso gli occhi, si era riempita di quella voce e aveva lasciato che il messaggio che portava prendesse forma nella sua mente.
Nessun altro membro della tribù ne sarebbe stato capace perché nessuno di loro conosceva la foresta come la conosceva lei, che ne aveva fatto fin da bambina il suo principale luogo di dimora. Inoltre, aveva avuto in Morhag un’eccellente maestra. La Veggente le aveva insegnato a percepire gli umori della selva, a carpire significati ancestrali dallo stormire delle foglie, dal mormorio del vento, dal vociare di un ruscello, dalla direzione in cui si dirigevano gli animali.
Eilish si era alzata prima dell’alba e si era recata in perlustrazione, con l’arco di corno sulla spalla e il pugnale alla cintura. Aveva deciso di addentrarsi nei boschi senza Alba per non correre rischi: il manto bianco della sua cavalla avrebbe potuto tradirla, spiccando sullo sfondo scuro della selva. Una volta giunta nel cuore della foresta aveva dato ascolto alla voce della natura e si era diretta in prossimità del sentiero. A quel punto, il rumore metallico delle armature dei soldati romani l’aveva indirizzata nel punto esatto in cui stavano marciando.
E ora era lì, assiepata fra i cespugli, che osservava con odio sfilare l’esercito invasore. Non riusciva a vedere né la testa né la coda della colonna, e questo l’atterriva. Come poteva essere sconfitto un esercito di cui non si intravedeva la fine?
Eilish ringraziò in cuor suo gli dei che avevano concesso alla sua gente il tempo di nascondersi nelle grotte scavate nella roccia delle scogliere che si affacciavano sul Mare del Nord, difficilmente identificabili da chi non ne conosceva l’ubicazione esatta. Solo il grosso degli animali era stato lasciato indietro, per non correre il rischio di segnalare al nemico la loro posizione a causa dei loro versi.
Morhag, invece, si era rifiutata di abbandonare la sua capanna. Per Eilish era stato difficile lasciarla lì, ma poi aveva dovuto rassegnarsi: costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà era impossibile, e in questo doveva ammettere che erano simili.
Mentre ringraziava quindi gli dei per essere stati clementi con la sua gente, vide il Romano, quello che aveva creduto essere un dio-sacerdote. Risaliva a ritroso il lato della fila a lei visibile. Aveva il volto in parte nascosto dall’elmo, ma Eilish non ebbe alcun dubbio che si trattasse di lui. Riconobbe il suo stallone, nero come il colore dei suoi capelli, ma anche la sua figura alta e slanciata e il portamento altezzoso.
Si sentì colorare le guance dalla rabbia e l’odio devastarle il cuore, salirle in testa, pulsarle violento nelle vene. Afferrò l’arco, incoccò una freccia e la puntò verso di lui. Rimase a lungo in quella posizione, un ginocchio sul terreno umido e la corda dell’arco tesa, pronta a far schizzare la freccia e a colpire il bersaglio.
Indugiò a lungo. Si morse le labbra, titubante: il cuore le suggeriva di lasciare andare il dardo, la mente le comandava di non farlo. Se avesse lasciato vincere i suoi sentimenti, infatti, avrebbe fatto scattare l’allarme, mettendo a rischio la sua gente. Emise un rantolo ferino e abbassò l’arco.
Un istante dopo, il Romano sparì dalla sua visuale e lei sospirò rassegnata.
Cercò di quantificare il tempo che occorreva ai nemici per raggiungere i primi villaggi. Meno di mezza giornata di cammino, considerò amareggiata.
Il padre le aveva detto che, con ogni probabilità, i Romani avrebbero dato fuoco alle capanne, ai campi e a tutto ciò che respirava, per costringerli a uscire allo scoperto quando le loro riserve di cibo fossero terminate e a sottomettersi volontariamente per non morire di fame. Quel pensiero la gettò nello sconforto. Che sarebbe accaduto alla sua gente? I Germani erano la loro unica salvezza.
A quella riflessione seguì un interrogativo. Chrigel avrebbe guidato presto i suoi uomini contro gli invasori: cosa ne sarebbe stato di lui? E poi: lo avrebbe mai più rivisto?
Scrollò la testa per liberarsi dall’inquietudine che l’assaliva ogni volta che pensava al principe e si costrinse ad allontanarlo dai suoi pensieri. Del resto, starsi a torturare non avrebbe cambiato le cose. Non c’era niente che potesse fare per lui, solo pregare gli Dei e gli Spiriti della Foresta. Inoltre, aveva ben altre responsabilità da assolvere in quel momento: proteggere il suo popolo. Lei era Eilish, principessa della tribù dei Caledoni, e primogenita o meno, maschio o meno, sposa di Chrigel o meno, spettava a lei sostenere il padre in quel compito difficile.
Con quel pensiero in testa si affrettò a tornare indietro, per informare la sua gente dell’arrivo degli invasori.

Ciò che aveva temuto si concretizzò il giorno dopo.
All’alba fu svegliata dal padre che le sussurrò piano di seguirla. L’urgenza nella sua voce la destò immediatamente. Entrarono nella foresta di soppiatto, conducendo i cavalli al passo per fare meno rumore possibile. Presto furono assaliti dall’odore di legna bruciata che non lasciava spazio all’immaginazione, né tantomeno alla speranza. E quando arrivarono al limite del bosco, là dove l’altura iniziava la sua lenta discesa fino alla valle, lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi le chiuse lo stomaco e le tolse il respiro.
Tutto il suo mondo era stato dato alle fiamme, e lei non potevano farci niente. Poteva solo stare a guardare.

Le capanne bruciavano senza sosta, una dopo l’altra. Avevano cominciato a bruciare al mattino eppure, nonostante il sole avesse già iniziato la sua lenta discesa, le fiamme non ne avevano ancora abbastanza di legno.
Anche gli animali bruciavano insieme alle capanne. E i granai. Perfino i campi non erano stati risparmiati dalla furia del fuoco, e le piantine di grano, che avevano appena iniziato a prendere il colore del sole, bruciavano insieme a tutto il resto.
Il lezzo nauseabondo, che saliva al cielo in una coltre densa di fumo nero, ammorbava l’aria, le riempiva i polmoni, le si attaccava alle vesti, ai capelli, alla pelle. Eilish era convinta che non sarebbe mai più riuscita a toglierselo di dosso.
Da ore assisteva impotente a quello spettacolo straziante, al fianco del padre. Ogni tanto deglutiva per cercare di liberarsi del nodo che le si era ammucchiato in gola e che le procurava un male indescrivibile. Non aveva nessuna intenzione di darla vinta alle lacrime, anche se sentiva un’impellente bisogno di farlo.
Voleva mostrarsi forte. Doveva farlo, se voleva essere di sostegno al padre. Ma quando si voltò verso di lui, sentì tutti i muscoli del corpo rilassarsi e cedere all’angoscia. Alasdair, infatti, singhiozzava sommessamente, senza ritegno.
Eilish spalancò involontariamente la bocca. Avrebbe voluto dire qualcosa ma la gola non ne voleva sapere di emettere alcun suono.
Perché gli dei li stavano mettendo alla prova in quel modo? Perché li costringevano a subire senza ribellarsi, ad essere testimoni passivi di simili atroci ingiustizie?
Kentigern, essendosi accorto a sua volta della disperazione del suo re, era indietreggiato di qualche passo, per consentirgli di affrontare il dolore con dignità. Eilish si atterrì al pensiero del resto degli uomini che li attendevano a poca distanza. Si augurò che non vedessero il padre in quelle condizioni. Sarebbe stato dannoso sia per lui che per loro, che traevano la forza e il coraggio di andare avanti dalla forza e dal coraggio del loro capo. Che sarebbe accaduto se si fossero accorti del suo cedimento?
Una rabbia cieca si impossessò di lei. Chrigel aveva ragione: i loro stupidi e capricciosi dei li avrebbero portati alla distruzione.
Impulsivamente, con un gesto fulmineo, estrasse dal fodero del padre la grossa spada a due mani e si voltò senza dargli il tempo di reagire. Corse alla cavalla, vi salì sopra e la spronò al galoppo. Sentì Alasdair imprecare e chiamarla, ma non si fermò.
Il vento che le sferzava il viso era impregnato dell’odore disgustoso del legno che ardeva insieme alle carni degli animali; il fumo le bruciava nei polmoni, nella gola e negli occhi.
Per la prima volta, galoppare in sella ad Alba non le dava alcun piacere.
Arrivata alla capanna, iniziò a chiamare la Veggente a gran voce.
Le avrebbe chiesto di gettare nuovamente quella stupida spada nello stagno. L’avrebbe obbligata a farlo, se si fosse rifiutata. E avrebbe obbligato gli dei a dare un altro responso. E se gli dei si fossero mostrati insensibili alle sue suppliche, avrebbe incitato gli uomini a disubbidire loro, a mettere mano alle armi e a raggiungere i loro cugini germanici.
Avrebbero dovuto farlo prima, prima che i Romani dessero fuoco al loro mondo.
Chiamò nuovamente la Veggente, gridando il suo nome con quanto fiato aveva nei polmoni. Fece irruzione nella capanna tenendo la pesante spada con tutte e due le mani, e quando vide Morhag accasciata al suolo in una posa assurda, si immobilizzò ed emise un lungo, straziante grido, mentre il dolore le attraversava l’anima come un ferro rovente. La spada le sfuggì dalle mani e cadde a terra con un tonfo metallico. Eilish si accasciò lentamente in ginocchio, mentre tutto il corpo veniva scosso dai singhiozzi.
Suo padre e Kentigern sopraggiunsero in quel momento. Alasdair si inginocchiò accanto a lei e l’abbracciò, Kentigern andò a soccorrere la Veggente. Le strappò con fatica la coppa dalle dita anchilosate dall’artrosi, che la rigidità della morte aveva reso ancora più grottesche, e analizzò quello che era rimasto del contenuto nella coppa. Dopodiché sollevò lo sguardo sul re e fece cenno di no con la testa, per confermargli che non c’era più niente da fare.
In quel momento, Eilish fu colta da un pensiero atroce: Morhag era morta a causa sua, nel tentativo di scrutare oltre, di sapere di più. Era morta a causa delle sciocche domande che continuava a farle. Prese a piangere ancora più forte.
E ora, come avrebbero fatto senza di lei? Gli dei continuavano a punirli, ma per quale motivo? Lei non riusciva a darsi una risposta. Sapeva solo che ora, senza Morhag, il senso di abbandono che provava ormai da giorni era totale.
Non c’era più nessun salvatore da attendere, nessuna speranza a cui aggrapparsi, perché gli dei avevano voltato loro le spalle.
Definitivamente.
   
 
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