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Autore: Milly_Sunshine    05/02/2023    0 recensioni
La A+ Series è una sorta di evoluzione distopica della Formula 1, in cui i risultati possono essere condizionati dall'alto per esigenze di spettacolo e in cui i piloti sono stati privati totalmente della loro personalità, al punto da dovere tenere segreto il proprio nome e a non potere mai mostrare il proprio volto, riconoscibili soltanto dal colore della vettura che guidano e dal loro numero di gara, oltre che dagli occhi nei rari momenti in cui vengono immortalati con la visiera del casco aperta. Noto sportivamente come Argento Quattro, Yannick è sempre stato l'eterno secondo ed è ben disposto a piegarsi al volere della dirigenza, se questo può portarlo alla vittoria dell'ambito titolo mondiale contro gli avversari Viola Cinque e Rosso Ventisette. Il suo incontro con Alysse, che con la dirigenza della A+ Series sembra avere un conto in sospeso, gli apre gli occhi, ma le nuove consapevolezze si scontrano duramente con le regole della serie: Argento Quattro e i suoi stessi avversari rischiano di ritrovarsi con le loro stesse vite appese a un filo. // Remake di una mia fan fiction sulla Formula 1 pubblicata anni fa su Wattpad.
Genere: Azione, Mistero, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Concerti, spettacoli, passerelle per vip americani con un’idea piuttosto creativa di cosa fosse l’eleganza e una ancora più creativa di cosa fosse il motorsport: era così che iniziava il Gran Premio di Las Vegas, evento di apertura da tempo autoproclamato come il migliore di tutta la stagione. Argento Quattro era piuttosto scettico, non comprendeva la ragione di circondarsi di personalità dei reality show statunitensi che venivano invitati ad assistere all’evento, senza la benché minima idea di cosa fosse la A+ Series, e non nella maniera in cui non ne avevano idea gli statunitensi appassionati di Indycar o di NASCAR. Quel tipo di ospiti non sapeva nemmeno di cosa fossero Indycar e NASCAR e vedeva la A+ Series come un mero palcoscenico sul quale esibirsi.
Non era neanche tanto il caso di chi si esibiva veramente, come il rapper chiamato a cantare nel concerto di apertura, sulla cui identità c’erano comunque molti dubbi e che difficilmente era statunitense, dall’accento con cui parlava, quanto piuttosto di gente che, non sapendo fare niente, non poteva nemmeno essere convocata per fare spettacolo. Uomini e donne da reality show, conosciuti soltanto a un pubblico di teledipendenti a stelle e strisce, facevano grid-walk prima delle gare, urlando dei “mi lasci in pace, altrimenti chiamo le guardie del corpo, io sono una persona importante, mentre lei chi è?” ad affermati giornalisti del settore che chiedevano loro quale fosse la loro squadra preferita della A+ Series oppure se tifassero per un pilota nello specifico.
Argento Quattro disprezzava con tutte le proprie forze quel teatrino ed era molto felice che non venisse replicato in ogni dove. Fortunatamente almeno nei luoghi che avevano cultura dell’automobilismo quel fenomeno era molto più contenuto. Si contava ovviamente la presenza di qualche influencer, ma difficilmente l’influencer diventava il fulcro dell’evento stesso. Disprezzava quel teatrino, ma non vi si sarebbe mai opposto pubblicamente: quello che contava, per Argento Quattro, non era la piacevolezza dell’evento per il tifoso che avesse un’idea almeno vaga di cosa fossero le corse automobilistiche, quanto la possibilità di conquistare un titolo mondiale. Non gli importava nemmeno di offrire agli appassionati una guida spettacolare o manovre destinate a entrare negli annali, tutto ciò che contava era il risultato finale.
Il colore argento, con il 4 come numero di gara, aveva già vinto un titolo, diversi anni prima, e in quanto successore del precedente pilota, Argento Quattro era di fatto considerato un ex campione del mondo, ma quel ruolo gli era sempre stato stretto, così come le assurde regole della A+ Series secondo le quali, una volta che un pilota usciva di scena, chi veniva dopo di lui ne dovesse prendere l’identità. Nessuno veniva informato pubblicamente di questo avvicendamento, spettava ad appassionati, giornalisti o addetti ai lavori accorgersi dello scambio e tentare di comprenderne le ragioni: c’era chi si ritirava spontaneamente dalle competizioni, come sembrava fosse avvenuto nel caso del precedente Argento Quattro dopo la vittoria del titolo mondiale, chi veniva radiato per qualche ragione, come si vociferava che fosse accaduto a Rosso Ventisette, con il nuovo che veniva tacciato di essere un pilota diverso a quello che aveva guidato la monoposto rossa nelle passate stagioni, chi semplicemente veniva assegnato a un altro volante per qualsivoglia ragione.
Era accaduto anche questo, al vecchio compagno di squadra di Argento Quattro. Non ne conosceva l’identità, né di quello precedente né di quello nuovo, ma era ben felice che il vecchio Tre fosse stato levato di mezzo. Era forse il pilota più competitivo presente sull’intera griglia, avrebbe collezionato mondiali a raffica se non fosse stato spostato al volante di una vettura meno performante. Era molto probabile che fosse divenuto Arancione Otto, anche se statura, occhi e contorno occhi erano tutto ciò che rendevano riconoscibile un pilota, abbinati in minima parte al modo di muoversi e di parlare. Non veniva mostrato molto dei piloti, quando non erano al volante, ma vederli camminare in tuta e casco non era così inconsueto. Anche l’accento veniva neutralizzato da un apposito congegno, quando parlavano, ma era impossibile rendere i piloti del tutto anonimi, nonostante quell’aggeggio funzionasse anche come traduttore simultaneo, allo scopo di impedire di far trapelare fino a che punto un pilota fosse fluente nella lingua nel quale si esprimeva. Alcuni dei colleghi di Argento Quattro, incuranti dei rischi ai quali finivano per esporsi, spesso si lasciavano andare a esternazioni che non sarebbe stato difficile attribuire proprio a loro, anche da parte di chi non avesse saputo chi fosse a esprimere tali concetti. C’era chi si lamentava sempre delle manovre di altri piloti, comportamento del tutto innocuo, e chi faceva lo stesso tentando di screditare i piani alti del campionato.
Argento Quattro comprendeva il bisogno di ribellione, ma riteneva con convinzione che un certo tipo di atteggiamento fosse piuttosto infantile. Erano tutti adulti, non erano più scolaretti convinti che tutto dovesse essere contestato. Dopotutto gli adolescenti erano costretti a frequentare la scuola, dalla famiglia oppure dalle leggi dello Stato di residenza, ci stava in pieno che si sentissero stretti nelle imposizioni alle quali dovevano sottostare. Non funzionava così per i piloti della A+ Series e ogni tipo di ribellione era del tutto inutile: nessuno di loro era stato costretto a diventare pilota, ma anzi, la maggior parte di loro erano arrivati in alto grazie a sacrifici economici più o meno ingenti di famiglie già molto abbienti, in più ciascuno di loro avrebbe potuto scegliere tranquillamente di gareggiare in un’altra categoria. I piloti di Indycar, endurance, turismo, stock car e chissà quante altre categorie erano liberi di mostrare il proprio volto sotto la luce del sole e di presentarsi con il proprio nome. Potevano essere normalissimi esseri umani, portare partner, figli, genitori, fratelli, sorelle e amici con loro sui circuiti, potevano pubblicare sui social network i propri pensieri - a condizione, ovviamente, che esprimessero concetti accettabili ed entro i limiti della legalità, così come accadeva per qualsiasi altro libero cittadino - oppure le fotografie dei loro animali domestici. In più le vittorie e i titoli che ottenevano erano associati al loro nome e destinati a rimanere indelebili nella storia del motorsport per tutti i decenni a venire, così come era stato un tempo in Formula 1, la categoria automobilistica che aveva preceduto la A+ Series.
Detestare le dinamiche del campionato era assolutamente accettabile, ma Argento Quattro riteneva che ciascuno dovesse avere la decenza di tenere per sé i propri pensieri, invece di condividerli con il resto del mondo. Chiunque di loro avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento e dimostrare il proprio talento, mettendoci la propria identità, in qualsiasi altra categoria. I contestatori avrebbero fatto meglio a lasciare la A+ Series una volta per tutte e cercare di costruirsi una nuova carriera in Indycar o in endurance, senza aspettare di essere vicini alla soglia dei quarant’anni oppure di essere cacciati. D’altronde erano quelle le strade che tentavano una volta tagliati fuori, tanto valeva farlo prima, se le regole della A+ Series erano troppo strette per i loro gusti.
Chi restava, pensava Argento Quattro, avrebbe fatto meglio a tollerare personalità imbarazzanti che si aggiravano per i circuiti, così come un format creativo almeno tanto quanto gli indumenti fashion - altresì definibili come estremamente tamarri - delle star dei reality. Il programma del weekend poteva cambiare in corso d’opera ed era diverso da un gran premio all’altro. Solo uno degli eventi era ancorato a rituali precisi, destinati a non cambiare mai, ovvero il Gran Premio di Montecarlo che si svolgeva in genere nell’ultimo fine settimana di maggio. Ciò non avveniva per preservarne la storia, quanto piuttosto per aumentarne la percezione di anacronismo e spingere i tifosi a chiederne a gran voce la cancellazione. Si vociferava ormai da anni che fosse destinato all’eliminazione dal calendario, per essere sostituito da un gran premio a Miami. Il pubblico americano, quel tipo di pubblico attirato grazie a campagne social orientate all’adolescente medio, fosse esso adolescente per effettiva età o solo per età mentale, ne era entusiasta, convinto che Montecarlo danneggiasse l’etica dello sport in quanto vetrina per celebrità milionarie europee anziché per celebrità milionarie americane. Si parlava addirittura di un porto finto disegnato sul circuito cittadino di Miami, che non si trovava vicino all’acqua, nel quale piazzare yacht veri, a imitare lo scenario del Gran Premio di Montecarlo. Inutile dire che quel tipo di tifoseria, in prevalenza americana, sul quale si investiva tanto era molto affascinato da questa prospettiva. Si vociferava addirittura che a Miami si potesse gareggiare, in via sperimentale, all’avvio della successiva stagione, il che avrebbe significato rimpiazzare Las Vegas per un anno.
Ad Argento Quattro quell’ipotesi era indifferente, tendenzialmente i circuiti cittadini americani erano indecenti, tradizione ereditata dalla Formula 1 degli anni ’80, e rinunciare a un’edizione del Gran Premio di Las Vegas per avere al suo posto quello di Miami non gli avrebbe cambiato la vita. In più mancava ancora un anno e aveva ben altro di cui occuparsi. L’evento inaugurale della stagione 2021/22 non era andato male, anche se si sarebbe aspettato di più. Era inevitabile che i suoi pensieri andassero avanti e indietro verso la gara sprint nella quale si era imposto raccogliendo una certa quantità di punti, per poi non riuscire a rimontare nella seguente, con griglia di partenza invertita rispetto al risultato della prima. Nell’evento finale, quello che somigliava a un vero e proprio gran premio come quelli di un tempo e che assegnava la parte più grossa del punteggio, aveva ottenuto solo un quarto posto. Viola Cinque aveva dominato la gara e Rosso Ventisette e Rosso Ventotto erano saliti sui gradini più bassi del podio.
In sintesi, ciò che era iniziato bene si era trasformato in una delusione, nella fattispecie una di quelle delusioni che avrebbe dovuto cercare di togliersi dalla testa, perché Argento Quattro non era solo Argento Quattro. Quando si toglieva tuta e casco tornava a chiamarsi Yannick. Aveva ventinove anni, anche se ormai era vicinissimo ai trenta, gli piacevano le moto potenti, i film d’azione, la musica rock e le donne come Alysse. Si conoscevano di vista da diversi anni, ma solo alla fine del mondiale precedente avevano preso a frequentarsi. Non si erano incontrati nel corso dell’estate, ma erano rimasti in contatto. Yannick non sapeva esattamente che professione svolgesse Alysse, ma aveva dedotto che dovesse essere una social media manager o un’addetta stampa di qualche squadra della A+ Series.
Le aveva confidato di essere un pilota della categoria, ma ovviamente non aveva fatto cenno alla propria identità. Se fosse stata divulgata, sarebbe stato immediatamente radiato. Non poteva permettersi che ciò accadesse, non prima di avere placato la propria sete di vittorie conquistando il titolo, almeno, quindi non doveva mai abbassare la guardia. Alysse era una donna piacente di trentadue anni, con lunghi capelli biondi e l’aria piuttosto atletica, in apparenza leale e sensibile, con la quale era stato a letto un paio di volte e che gli aveva rivelato di essere stata sposata in passato, ma dietro a quell’immagine avrebbe potuto nascondersi una spia sul libro paga dei suoi avversari. Yannick sapeva di essere uno dei piloti più forti, tra i top-team, e non si sarebbe stupito se i suoi rivali avessero ricorso a qualsiasi mezzo pur di sbarazzarsi di lui. D’altronde, se avesse conosciuto l’identità di qualcuno di loro, non avrebbe esitato a usarla per ottenere i propri scopi: la A+ Series era un mondo maledettamente competitivo e c’erano due sole possibilità, essere pronti a tutto oppure mantenersi sempre molto entro i limiti della correttezza. C’erano tanti piloti dall’animo nobile che optavano per la seconda, ma ciò diminuiva di gran lunga le loro probabilità di vittoria. Yannick aveva capito già da tempo che quella strada non si abbinava bene ai suoi obiettivi. Non era dotato dello stesso talento che avevano le punte di diamante del campionato, se voleva batterli doveva colpirli dove meno se lo aspettavano.
Le sue riflessioni vennero interrotte proprio dall’arrivo di Alysse. Portava un abito rosso lungo fino al ginocchio che le stava d’incanto e si guardava intorno come a cercarlo. Yannick attirò la sua attenzione con un cenno e sperò che si accorgesse di lui e lo raggiungesse al tavolo. In altre circostanze avrebbe evitato di gran lunga di sedersi in un bar di Las Vegas, nel quale perfino un semplice caffè poteva costare quanto la cena di uno chef stellato, ma la prospettiva di incontrare Alysse dopo tanto tempo era più importante di tutto il resto.
La presunta social media manager venne verso di lui e gli si sedette di fronte osservando: «Non sono sicura che potrò permettermi il conto di questo locale.»
Yannick ridacchiò.
«Ci stavo pensando anch’io.»
Alysse gli strizzò un occhio.
«Non dire assurdità, lo so che voi piloti siete tutti pieni di soldi.»
«Allora avrei dovuto inventarmi che ero un inviato sottopagato di qualche televisione random» borbottò Yannick. «Sarebbe stato tutto molto più semplice.»
«Già, non ti avrei chiesto come sia andato il gran premio.»
«La devo prendere come una domanda?»
«Una domanda a cui temo non darai risposta» ammise Alysse, «Ma pur sempre domanda.»
«Hai ragione, non posso risponderti» confermò Yannick, «Comunque avrebbe potuto andare meglio.»
«So per certo che non hai vinto tu» ribatté Alysse. «Non puoi essere Viola Cinque.»
Yannick non sapeva se fosse opportuno alzare la guardia, di fronte a una simile osservazione, ma c’era solo un modo per scoprirlo.
«Come lo sai?» le chiese. «Per caso vai in giro a fare domande su di me?»
Alysse scosse la testa.
«No, figurati. Non faccio domande inutili, nessuno mi darebbe una risposta. Immagino, peraltro, che nessuno sappia chi sei davvero.»
«Immagini bene. Allora da che cosa hai dedotto che non sono Viola Cinque?»
«I tuoi occhi sono azzurri, ma non di quell’azzurro così brillante.»
Era tutto molto più semplice di quanto Yannick avesse immaginato.
«Non pensavo facessi caso al colore degli occhi dei piloti. Mi sembra un comportamento molto da fangirl. Non so se hai presente, quelle che sui social si comportano come se i piloti fossero componenti di una boyband.»
«Non faccio molto caso al colore degli occhi dei piloti o delle persone in generale» replicò Alysse, «Ma è l’unica cosa che ci è concesso vedere di voi. Ecco, è questa la ragione per cui ho fatto caso alle diverse sfumature di azzurro.»
A proposito di sfumature di azzurro, Yannick notò un uomo e una donna che si sedevano proprio in quel momento al tavolo accanto al loro. Quel tizio si chiamava Axel Frosch ed era una sorta di attivista ambientale che spesso veniva invitato agli eventi per discutere di biocarburanti. Le sue iridi avevano una tonalità molto simile a quella di Viola Cinque. Era molto probabile che Frosch non vi avesse mai fatto caso, ma la donna che gli stava accanto sembrava perdersi a guardarli, quegli occhi così appariscenti. Aveva lunghissimi capelli neri e lineamenti che potevano essere quelli di una latinoamericana. A Yannick sembrava di averla vista lavorare per la televisione brasiliana e, se non ricordava male, si chiamava Tina Menezes o qualcosa del genere. Notò che Alysse le rivolgeva un fugace segno di saluto, ricambiato prontamente dall’altra donna.
«La conosci?» le chiese.
Alysse annuì.
«Sì, ci ho avuto a che fare.»
Non aggiunse altro, lasciando intorno a sé un’aura di mistero. Yannick non poté fare a meno di pensare che, se da un lato i piloti mantenevano il riserbo assoluto sulla loro identità, dall’altro le persone che avevano intorno non erano molto ben disposte a raccontare qualcosa di sé. Si domandò per un attimo se fosse una diretta conseguenza dell’anonimato dei piloti, poi una cameriera venne a prendere le ordinazioni e allora non pensò più a niente, se non alla sua serata con Alysse.

   
 
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