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Autore: Nadine_Rose    05/02/2023    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Capitolo 60

 

E fu violenza

 

“Noi ci perdiamo, a volte, ed affanniamo per i vicoli ciechi del cervello, sbriciolati in miriadi di esseri senza vita durevole e completa; noi ci perdiamo, a volte, nel peccato della disconoscenza di noi stessi.”

Alda Merini, Santi e poeti

 


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Un lampo balenò negli occhi di Else, mentre lo sguardo di Hermann riluceva della medesima ira.

Benché ne avesse risentito dell’urto, fu per riprendersi dallo sbigottimento e non per dar sollievo a quel lieve dolore ch’ella si massaggiò il polso, facendo tintinnare rumorosamente, intenzionalmente i suoi bei bracciali in oro.

“Io, invece, non ne ho voglia”, ribatté Hermann serio, più di quanto la situazione necessitasse.

Un sorrisetto malizioso le si dipinse sulle labbra e, con un dito sotto il mento, prese a squadrarlo dalla vita in giù, prima di spezzare l’interminabile istante d’imbarazzo, alzando il sopracciglio dell’ironia.

“Beh”, disse e poggiò le mani sui fianchi, manifestando un atteggiamento sprezzante e un ostentato senso di superiorità, “non si direbbe.”

Denotando un’instabilità spiazzante, irritante, Else avvicinò di nuovo la mano ingioiellata e smaltata al viso e, col gesto di coprirsi la bocca, fece finta di soffocare una risata sguaiata, derisoria che urtò la sua suscettibilità.

“Cos’hai da ridere?” Sulle labbra, Hermann sentì vibrare il risentimento, eppure tali parole fuoriuscirono in tono lapidario e negli occhi rifulse il disprezzo. Verso di lei, verso di sé per le scelte affettive del suo passato. Quello, prima di Sarah.

“Allora erano tutte vere quelle storielle che, ai nostri tempi, si raccontavano tra ragazzi.” Al tono interrogativo di tali parole spezzate dai singhiozzi del riso, egli rispose guardandola fissamente con occhi sgranati di rabbia per l’incapacità di comprendere di cosa stesse parlando e per l’umiliazione già da troppo tempo percepita.

“Va bene, va bene, te le riassumo in termini più eleganti: «conosci intimamente un’ebrea e sarai destinato a perdere la tua virilità».” Scimmiottando un atteggiamento maschile, Else lo aveva spinto al limite della tolleranza e fomentato la reazione che non tardò ad arrivare e della quale, molto probabilmente, sin dall’inizio, s’era posta l’obiettivo.

Eppure frutto di un’intuizione che s’avvicinava alla verità era la sua insinuazione. Per l’ossessione d’amore e in buona parte anche in conseguenza della disumanizzazione subita nel lager sovietico, Hermann aveva sperimentato un calo della libido e la cosa non sembrava turbarlo minimamente. 

La carezza di donna, della donna un tempo amata e dinanzi alla quale non avrebbe potuto restare del tutto indifferente aveva riacceso la scintilla. Le sue parole, crudele reminiscenza di quel mondo che pareva non volesse mai lasciarlo andar via tra impedimenti e l’inganno del pensiero di superiorità che tornava inconsciamente ad attrarlo, avevano divampato il fuoco.

Ridestato dalla rabbia, di essa si nutrì l’ego, quella parte di sé che in passato lo conduceva a ricercare l’amore in modo contrario all’amore, con atteggiamento malsano e ferente, per mera soddisfazione delle pulsioni.

L’afferrò per le braccia, bloccandola contro il lavabo ed ella rispose dardeggiandolo con uno sguardo di sfida che all’istante svanì, ammansito dal desiderio.

La fece voltare, piegandola. Al gesto repentino, l’esili braccia candide, nude batterono sul marmo onice, sicché i bracciali ne graffiarono la pelle ed Else si guardò allo specchio digrignare i denti in una smorfia di fastidio, ma non lo percepì come violenza e si sottomise al bisogno di pacificare l’inquietudine del suo vuoto interiore.

Fu violenza. Generata da impulsi di dominio e di possesso, volta al raggiungimento della soddisfazione libidica, di essa si era avvalso la prima volta con Sarah. Sopraffatto dall’istinto di prevaricazione, di controllo lo guidava adesso una volontà punitiva verso Else, alla quale s’affiancava spasmodico l’intento di mettere alla prova la sua mascolinità.

E fu violenza anche verso se stesso. Struggendosi nel sottofondo degli ansiti, dello strofinio dei corpi, del tintinnio dei bracciali, delle note lontane dell’ennesimo valzer, disconosceva l’uomo ch’era riuscito a diventare.

Per aver tirato fuori la parte peggiore di sé, avrebbe poi incolpato quel mondo in cui s’incarnava il veleno dell’ideologia ed Else col suo atteggiamento voluttuoso, sensuale, provocatorio.

Finì, lasciandola inappagata, sporca e lei che fino a un attimo prima aveva espresso il proprio consenso attraverso una fin troppo accentuata mimica del piacere si sentì improvvisamente vuota, violata.

Lacrime di rabbia le inumidirono gli occhi e, benché si volse di scatto, attese una sua mossa, prima di colpirlo con la durezza della parola, mentre l’orlo a sirena dell’abito ricadeva a fatica sulle gambe.

“Ecco un’altra notizia che alla gente piacerà”, esordì Hermann cattivo, tracotante, aggiustandosi la fusciacca sui fianchi con aria dura e strafottente e anche nell’aspetto parve ad entrambi essere ritornato l’uomo di un tempo. “Mi ha dato più lei in pochi mesi che tu in tanti anni.”

Il solo nominarla iniziò a scavargli dentro, smussandogli le rinnovate asperità e prese coscienza Hermann dell’errore appena commesso.

Un’ombra di cedimento apparì nel suo sguardo, ripercuotendoglisi sul portamento e furon segnali di vulnerabilità per Else la quale gli ringhiò contro: “Sei un vigliacco. Tu non hai mai amato nessuno. Nessuno! Solo te stesso. Perché non sei venuto allo scoperto prima con lei, eh? Perché sei solo un vigliacco e avevi paura di essere condannato da un tribunale nazista.”

Le parole, come acqua di un fiume in piena, lo travolsero, scavandogli una voragine nell’interpretazione dei ricordi.

“Un vigliacco che torna da eroe”, incalzò Else, dando enfasi alle parole con la gestualità, “esonerato dai giudizi della nostra gente, perché creduto impazzito a causa della prigionia sovietica.”

E i ricordi di quando anche il giorno era notte innanzi agli occhi tumefatti bruciarono le cicatrici sulla pelle e tentò di fuggirvi, ma non si chiuse la porta alle spalle, non la ostacolò nell’inseguirlo col rancore che sapeva di meritare.

“Vattene, vattene pure!” Spettinata, stropicciata, Else si fermò a urlare sulla rampa di scale e la sua voce fu eco nel silenzio di un grammofono spento, nel trambusto interiore dei fantasmi del passato di Hermann. “Ma non pensare di tornare da eroe anche da lei che ti sputerà in faccia!”

Non si prefigurò la scena, poiché sapeva che Sarah non l’avrebbe mai fatto, ma fu il ricordo di tale violenza subita a Sachsenhausen a frenarlo, sconvolto, a metà della scala. Un attimo di lucidità lo sorprese nel delirio e si accorse che gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ne colse lo stupore e l’indignazione.

 

“Questo secolo oramai alla fine,

saturo di parassiti senza dignità

mi spinge solo ad essere migliore

con più volontà,

emanciparmi dall’incubo delle passioni,

cercare l’Uno al di sopra del bene e del male,

essere un’immagine divina

di questa realtà.”

 

Franco Battiato, E ti vengo a cercare

   
 
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