Capitolo
60
E
fu violenza
“Noi
ci perdiamo, a volte, ed affanniamo per i vicoli ciechi del cervello,
sbriciolati in miriadi di esseri senza vita durevole e completa; noi ci
perdiamo, a volte, nel peccato della disconoscenza di noi stessi.”
Alda
Merini, Santi e poeti
Un
lampo balenò negli occhi di Else, mentre lo sguardo di Hermann riluceva della
medesima ira.
Benché
ne avesse risentito dell’urto, fu per riprendersi dallo sbigottimento e non per
dar sollievo a quel lieve dolore ch’ella si massaggiò il polso, facendo
tintinnare rumorosamente, intenzionalmente i suoi bei bracciali in oro.
“Io,
invece, non ne ho voglia”, ribatté Hermann serio, più di quanto la situazione
necessitasse.
Un
sorrisetto malizioso le si dipinse sulle labbra e, con un dito sotto il mento,
prese a squadrarlo dalla vita in giù, prima di spezzare l’interminabile istante
d’imbarazzo, alzando il sopracciglio dell’ironia.
“Beh”,
disse e poggiò le mani sui fianchi, manifestando un atteggiamento sprezzante e
un ostentato senso di superiorità, “non si direbbe.”
Denotando
un’instabilità spiazzante, irritante, Else avvicinò di nuovo la mano
ingioiellata e smaltata al viso e, col gesto di coprirsi la bocca, fece finta
di soffocare una risata sguaiata, derisoria che urtò la sua suscettibilità.
“Cos’hai
da ridere?” Sulle labbra, Hermann sentì vibrare il risentimento, eppure tali
parole fuoriuscirono in tono lapidario e negli occhi rifulse il disprezzo. Verso
di lei, verso di sé per le scelte affettive del suo passato. Quello, prima di
Sarah.
“Allora
erano tutte vere quelle storielle che, ai nostri tempi, si raccontavano tra
ragazzi.” Al tono interrogativo di tali parole spezzate dai singhiozzi del
riso, egli rispose guardandola fissamente con occhi sgranati di rabbia per
l’incapacità di comprendere di cosa stesse parlando e per l’umiliazione già da
troppo tempo percepita.
“Va
bene, va bene, te le riassumo in termini più eleganti: «conosci intimamente
un’ebrea e sarai destinato a perdere la tua virilità».” Scimmiottando un
atteggiamento maschile, Else lo aveva spinto al limite della tolleranza e
fomentato la reazione che non tardò ad arrivare e della quale, molto
probabilmente, sin dall’inizio, s’era posta l’obiettivo.
Eppure
frutto di un’intuizione che s’avvicinava alla verità era la sua insinuazione.
Per l’ossessione d’amore e in buona parte anche in conseguenza della
disumanizzazione subita nel lager sovietico, Hermann aveva sperimentato un calo
della libido e la cosa non sembrava turbarlo minimamente.
La
carezza di donna, della donna un tempo amata e dinanzi alla quale non avrebbe
potuto restare del tutto indifferente aveva riacceso la scintilla. Le sue
parole, crudele reminiscenza di quel mondo che pareva non volesse mai lasciarlo
andar via tra impedimenti e l’inganno del pensiero di superiorità che tornava
inconsciamente ad attrarlo, avevano divampato il fuoco.
Ridestato
dalla rabbia, di essa si nutrì l’ego, quella parte di sé che in passato lo
conduceva a ricercare l’amore in modo contrario all’amore, con atteggiamento malsano
e ferente, per mera soddisfazione delle pulsioni.
L’afferrò
per le braccia, bloccandola contro il lavabo ed ella rispose dardeggiandolo con
uno sguardo di sfida che all’istante svanì, ammansito dal desiderio.
La
fece voltare, piegandola. Al gesto repentino, l’esili braccia candide, nude
batterono sul marmo onice, sicché i bracciali ne graffiarono la pelle ed Else
si guardò allo specchio digrignare i denti in una smorfia di fastidio, ma non
lo percepì come violenza e si sottomise al bisogno di pacificare l’inquietudine
del suo vuoto interiore.
Fu
violenza. Generata da impulsi di dominio e di possesso, volta al raggiungimento
della soddisfazione libidica, di essa si era avvalso la prima volta con Sarah.
Sopraffatto dall’istinto di prevaricazione, di controllo lo guidava adesso una
volontà punitiva verso Else, alla quale s’affiancava spasmodico l’intento di
mettere alla prova la sua mascolinità.
E
fu violenza anche verso se stesso. Struggendosi nel
sottofondo degli ansiti, dello strofinio dei corpi, del tintinnio dei bracciali,
delle note lontane dell’ennesimo valzer, disconosceva l’uomo ch’era riuscito a
diventare.
Per
aver tirato fuori la parte peggiore di sé, avrebbe poi incolpato quel mondo in
cui s’incarnava il veleno dell’ideologia ed Else col suo atteggiamento
voluttuoso, sensuale, provocatorio.
Finì,
lasciandola inappagata, sporca e lei che fino a un attimo prima aveva espresso
il proprio consenso attraverso una fin troppo accentuata mimica del piacere si
sentì improvvisamente vuota, violata.
Lacrime
di rabbia le inumidirono gli occhi e, benché si volse di scatto, attese una sua
mossa, prima di colpirlo con la durezza della parola, mentre l’orlo a sirena
dell’abito ricadeva a fatica sulle gambe.
“Ecco
un’altra notizia che alla gente piacerà”, esordì Hermann cattivo, tracotante,
aggiustandosi la fusciacca sui fianchi con aria dura e strafottente e anche
nell’aspetto parve ad entrambi essere ritornato l’uomo di un tempo. “Mi ha dato
più lei in pochi mesi che tu in tanti anni.”
Il
solo nominarla iniziò a scavargli dentro, smussandogli le rinnovate asperità e
prese coscienza Hermann dell’errore appena commesso.
Un’ombra
di cedimento apparì nel suo sguardo, ripercuotendoglisi sul portamento e furon
segnali di vulnerabilità per Else la quale gli ringhiò contro: “Sei un
vigliacco. Tu non hai mai amato nessuno. Nessuno! Solo te stesso. Perché non
sei venuto allo scoperto prima con lei, eh? Perché sei solo un vigliacco e
avevi paura di essere condannato da un tribunale nazista.”
Le
parole, come acqua di un fiume in piena, lo travolsero, scavandogli una
voragine nell’interpretazione dei ricordi.
“Un
vigliacco che torna da eroe”, incalzò Else, dando enfasi alle parole con la gestualità,
“esonerato dai giudizi della nostra gente, perché creduto impazzito a causa
della prigionia sovietica.”
E
i ricordi di quando anche il giorno era notte innanzi agli occhi tumefatti
bruciarono le cicatrici sulla pelle e tentò di fuggirvi, ma non si chiuse la
porta alle spalle, non la ostacolò nell’inseguirlo col rancore che sapeva di
meritare.
“Vattene,
vattene pure!” Spettinata, stropicciata, Else si fermò a urlare sulla rampa di
scale e la sua voce fu eco nel silenzio di un grammofono spento, nel trambusto
interiore dei fantasmi del passato di Hermann. “Ma non pensare di tornare da
eroe anche da lei che ti sputerà in faccia!”
Non
si prefigurò la scena, poiché sapeva che Sarah non l’avrebbe mai fatto, ma fu
il ricordo di tale violenza subita a Sachsenhausen a frenarlo, sconvolto, a
metà della scala. Un attimo di lucidità lo sorprese nel delirio e si accorse
che gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ne colse lo stupore e
l’indignazione.
“Questo
secolo oramai alla fine,
saturo
di parassiti senza dignità
mi
spinge solo ad essere migliore
con
più volontà,
emanciparmi
dall’incubo delle passioni,
cercare
l’Uno al di sopra del bene e del male,
essere
un’immagine divina
di
questa realtà.”
Franco
Battiato, E ti vengo a cercare