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Autore: Arya Tata Montrose    14/02/2023    1 recensioni
Hanabi non capiva. Negli ultimi giorni— no, negli ultimi tempi—, Kiba aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Non in modo direttamente palese, era qualcosa di più sottile. Molto più sottile. Il tono di voce. Il fatto che s’irrigidisse non appena percepiva la sua presenza. Persino il suo modo di battibeccare s’era fatto più cauto, come se pensasse effettivamente a quello che diceva.
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[Kiba/Hanabi][Atto secondo]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akamaru, Hanabi Hyuuga, Kiba Inuzuka | Coppie: Kiba/Hanabi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Atto secondo

Il fattaccio

 


Hanabi scartò di lato, evitando il pugno di Kiba in una mossa fluida. Poi fece un passo, come per indietreggiare, creando una semi apertura che sapeva lui avrebbe cercato di sfruttare. Veloce come un lampo intercettò il nuovo attacco, mettendone a segno uno lei al suo plesso solare: indice e medio rimasero puntati al vuoto, mentre Kiba veniva sbalzato via dalla forza del poco chakra che aveva emesso per comprimere l’aria nei pochi millimetri che le avevano separate dal corpo del suo avversario. 

Kiba si era così trovato con il culo per terra, a massaggiarsi il punto d’impatto. 

«Caspita, ragazzina. Che mossa sleale!»

Hanabi gli rivolse uno sguardo di ghiaccio. «Non era sleale. Sei tu che sei distratto.»

«Che diavolo vuoi dire?»

«Sei distratto. Era una mossa basilare!» Gli offrì la mano per aiutarlo a rialzarsi. «Mi spieghi che cazzo ti prende?»

La faccia del Cane era così attonita che le sarebbe venuto da ridere se non fosse stata incazzata. 

«Come “che cazzo mi prende”? Mi hai solo preso in contropiede, brava!»

Il tono non era certo di un complimento, e nei suoi occhi brillava la scottatura di essere stato smascherato. Ma non del tutto. 

«”Preso in contropiede”» gli fece il verso, incrociando le braccia al petto. «Certo che facevano schifo i corsi per i genin, ai tuoi tempi, perché quella era una mossa base! Come se non avessimo mai combattuto!» O come se non mi avessi mai presa sul serio. 

C’era anche da dire che nemmeno lei era al massimo della forma e non propriamente sul pezzo – soprattutto da quando lui aveva detto di avere caldo e si era tolto la maglietta –, ma almeno aveva la decenza di mascherarlo con un minimo di impegno. O così sperava. Sentì le guance farsi più calde e poté immaginare quanto ora stesse arrossendo, e sperò che lui interpretasse il rossore per rabbia. 

«Quanto sei noiosa, per gli dèi! “Come se non avessimo mai combattuto”, ma sentila! Vogliamo parlare della tua schivata di prima? Sembrava non mi avessi mai visto fare una finta!» Kiba si alzò da solo, battendosi le mani sui pantaloni per scrollare via la terra. Poi riprese la maglia. «Per oggi chiudiamola qui. Devo addestrare i cuccioli più tardi, e non voglio urlargli addosso perché tu sei una ragazzina viziata»

«Che cazzo dovrebbe centrare, scusa?» Hanabi sollevò un sopracciglio, contorcendo la bocca  in una smorfia.

«Che non voglio prendermela con i cuccioli perché sono incazzato con te, ecco che vuol dire. Tch. Andiamo, Akamaru» Le diede le spalle e cominciò ad avviarsi lontano dal campo, seguito a ruota da Akamaru. Per salutarla sollevò solo la mano e Hanabi era troppo occupata a rimuginare improperi per far caso che non aver ricevuto il suo solito cenno spavaldo, con quel sorriso da schiaffi, le dava fastidio.

 

Stupido Cane. Chiuse la porta dietro di sé con tutta la calma di cui era capace, prima di buttarsi sul letto senza alcuna grazia. Stupido Cane e il suo atteggiamento di merda.

Hanabi non capiva. Negli ultimi giorni— no, negli ultimi tempi—, Kiba aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Non in modo direttamente palese, era qualcosa di più sottile. Molto più sottile. Il tono di voce. Il fatto che s’irrigidisse non appena percepiva la sua presenza. Persino il suo modo di battibeccare s’era fatto più cauto, come se pensasse effettivamente a quello che diceva. E col passare del tempo Hanabi aveva iniziato a notare quelle piccole cose sempre di più. E, di nuovo, le dava fastidio. Non solo perché non ne capiva il motivo, ma perché mattone dopo mattone aveva iniziato a costruirsi nella sua mente il pensiero che, in fondo, il problema potesse essere lei.

Poteva davvero essere così? Hanabi si buttò il cuscino in faccia e sospirò pesantemente. In effetti, Kiba sembrava più… distante. E c’erano troppe istanze perché potesse negarlo. Ma perché? Cosa aveva fatto per spingerlo via? Non potevano essere i loro battibecchi, perché erano anni che li portavano avanti, e lui non era mai sembrato infastidito dalla cosa. Di contro, nello stesso periodo i loro litigi erano cambiati. Sembravano molto più pregni di… no, non rabbia, frustrazione. Stava cercando in ogni modo di nasconderglielo, quello almeno era chiaro.

Forse ha di meglio da fare, pensò con stizza.

Non riusciva a stare ferma, le prudevano le mani. Si alzò, iniziando a muoversi frenetica in cerchio per la stanza. Come poteva avere di meglio da fare quel… tonto.

Fu allora che, come una secchiata d’acqua gelida, calò su di lei il fatto che no, non era un tonto qualsiasi. Lui era un jonin, che si occupava dei cani e dei membri più giovani del clan, aveva missioni per conto suo e addestrava i cuccioli. Aveva ventidue anni, per l’amor dei Senju! E lei non era niente altro che una ragazzina viziata di diciassette che lo prendeva in giro dalla mattina alla sera. Certo che Kiba aveva di meglio da fare,  magari ne era persino stufo e stava solo cercando un modo carino per mandarla a quel paese senza offendere Hinata.

Si fermò, e sentì le ginocchia tremare. Avrebbe perso tutto quello che avevano. Quel tutto che era iniziato perché lei si era presa una stupida, banalissima cotta per l’amico di sua sorella più grande quando aveva undici anni che non era mai davvero passata. Avrebbe perso la sua occasione per nutrirla, quella cotta diventata così grande, duratura e… dolce da farle dubitare che si trattasse ancora di una cotta. Hanabi quando era con lui, con Kiba, si sentiva vista, e felice. E ora avrebbe potuto non sentirsi più così.

Ora, seduta sul letto, Hanabi sentiva che un bel castello di carte le crollava inesorabilmente addosso. Molto, molto sotto la superficie, lei era convinta che un giorno gliel’avrebbe detto, che lui le piaceva – si costrinse a non dare corpo all’altra parola che la sua mente le aveva suggerito – e che Kiba le avrebbe detto di ricambiarla. Allora avrebbe baciato lui, su quel suo sorriso da schiaffi che tanto la allettava, e non Konohamaru che se la faceva sotto alla sola idea.

Il sorriso che Hanabi aveva  sulle labbra però era amaro. Era stata molto stupida a costruire quel cartello, con le carte che sembravano leggere, fatte di nuvole, credendo che quando le sarebbe crollato addosso quelle nuvole non le avrebbero fatto male. Invece, si sentiva come schiacciata da una frana e con la tempesta che le batteva sulla testa.

Aveva davvero creduto che sarebbe potuto esserci qualcosa, anche se l’aveva negato con ogni fibra del suo essere. Eppure eccola lì, stesa sul suo letto a singhiozzare come una cretina perché è ovvio, come potrebbe piacergli una ragazzina che non è bella o carina o gentile nemmeno la metà di sua sorella? Erano solo stupide, stupidissime fantasie a cui aveva affidato le sue speranze, e che adesso gliele rigettavano indietro come quella paura da cui era tanto fuggita.

Il Cagnaccio— Kiba l’avrebbe abbandonata e lei sarebbe stata di nuovo sola. E sarebbe stata tutta colpa sua.

 

Il mattino dopo il sole era alto e splendente, in netto contrasto con l’umore nero di Hanabi. Quando incontrò sua sorella, più tardi quel giorno e in quelli successivi, fece quasi fatica a reggere il suo sguardo per paura che le potesse leggere dentro – una cosa che Hinata era brava a fare –, e lei non voleva. Non si sentiva pronta ad affrontare quell’argomento con nessuno, oltre che sé stessa, e parlarne lo avrebbe reso più reale di quanto non avrebbe voluto. Forse, se non ne avesse parlato con nessuno, sarebbe stato più facile dimenticare. Tuttavia, ogni giorno che passava con il cielo che si faceva sempre più cupo, Hanabi faceva l’esatto opposto di dimenticare, e di sicuro non aveva aiutato quel paio di battibecchi sulle solite inezie che aveva avuto con il Cane.

Quando giunse al campo di addestramento, Hanabi ebbe un leggero brivido. Una folata di vento freddo preannunciava una pioggia fuori stagione, e si trovò a fare un paragone con il cielo di un blu brillante di due settimane prima. Il Cane era già lì ad attenderla, e Hanabi fu contenta di poter iniziare subito il combattimento, così da potersi scaldare un poco. Un dettaglio la sorprese.

«Dov’è Akamaru?» chiese, attirando l’attenzione del ragazzo.

«Ciao anche a te, Ragazzina. Akamaru è in giro, non credo avesse voglia di sentirci litigare, oggi. Ma grazie di avermi chiesto come sto»

«Antipatico.»

«Unico e solo. Cominciamo?» Il tono era un po’ sbrigativo, come se avesse ansia di iniziare a combattere. Hanabi non poteva dargli torto, ma la cosa alimentò quel fastidio alla base dello stomaco che dal loro ultimo allenamento a quella parte si era fatto sempre meno facile ignorare.

Hanabi non gli rispose e si mise direttamente in posizione di guardia secondo la disciplina del Palmo Gentile. Kiba sorrise e si mise in posizione.

Si fissarono solo per pochi istanti, prima che lui scattasse contro di lei. Hanabi scartò di lato e provò a colpirlo ora che era sbilanciato, ma lui si abbassò e scartò a sua volta, per poi scattare nuovamente indietro. Lei colse l’occasione per caricarlo e, con una finta diretta al suo viso, puntò l’altra mano al fianco. Kiba fu abbastanza veloce da schivare di nuovo e oltrepassarla, allontanandosi e riprendendo la posizione di guardia.

Ebbero un’altra veloce schermaglia, con Hanabi che ruotava in continuazione e cercava il più possibile di non perdere la posizione, mentre lui metteva a segno qualche colpo qui e là, incassandone altrettanti.

Sembravano combattere normalmente, molto più di prima almeno, e Hanabi si rilassò. Forse era passato, forse non l’avrebbe abbandonata? Trattenne la voglia di sorridere e si sbilanciò per preparare un montante, ma l’attacco di Kiba si rivelò una finta e lei perse l’equilibrio, evitando per un soffio di finire faccia a terra. Un’istante dopo, Kiba le fu addosso e Hanabi lo spinse via prima che potesse immobilizzarla.

«Che era quello?»

«Una finta, ragazzina. Come quella dell’altra volta, ricordi?» Non sembrava divertito, anzi. «Forse quella distratta ‘sta volta sei tu.»

Sembrava spazientito, e quel tono misto di supponenza e scherzo le dava fastidio. Come osava dire a lei che non era attenta, quando era da più di un mese che lui c’era stato con un neurone a dire tanto? Certo, in quel momento poteva anche aver ragione, ma la cosa non le importava più di tanto.

«Oh, per favore! Vuoi dirmi che i tre passi falsi di prima fossero calcolati?»

«Non mi sono costati il lavaggio dei pantaloni, quindi per quello che vale sì!»

«Ma sentilo! “Il lavaggio dei pantaloni”, poi sarei io la ragazzina!»

«Ho avuto molte cose per la testa. Non sono alla guida di un clan importante, ma ho da fare anche io, sai?»

«Lo so, e tu sai benissimo che non è quello che intendevo!»

«E allora dimmi cosa intendevi, sentiamo!»

Ottenne in risposta solo un sommesso rombo dal cielo, e Hanabi che aveva abbassato lo sguardo. Inaudito. Kiba sbuffò, e si pizzicò il ponte del naso. «Qual è il tuo problema, Ragazzina

«Il mio problema? Qual è il tuo, se grande e grosso come sei non riesci nemmeno a battermi!»

Kiba la fissò e fece un passo verso di lei. «Hanabi, che cazzo c’entra?»

«C’entra che sono settimane, se non mesi che sei strano! Che stai facendo, aspettando il momento giusto per dirmi che ne hai piene le palle di me? Stai aspettando che mia sorella sia troppo occupata con i bambini per preoccuparsi? O non trovi il coraggio?»

Hanabi pregò che il cielo nero avesse iniziato a riversare su di loro tutto il suo fiato, ma sapeva benissimo che non era per la pioggia se le sue guance si stavano bagnando. Kiba sembrava… scioccato? Forse non si aspettava che lei lo capisse e che gli buttasse in faccia la realtà. Adorava quella faccia da pesce lesso, e il pensiero fece scorrere nuove lacrime sul suo viso.

«Hanabi…» Mosse un altro passo verso di lei, ma Hanabi si ritrasse.

«Avanti, dillo! Dì che non mi vuoi più vedere, che sei stufo di trascinarti in giro una ragazzina come me! Che mi tieni buona solo per fare un favore a mia sorella, che-»

Non proseguì, perché lo scontro della sua schiena contro l’albero le tagliò il fiato. Kiba l’aveva placcata e sbattuta contro il tronco dove la sovrastava ancora. Avrebbe potuto sgusciare via facilmente, e il suo errore fu solo quello di alzare lo sguardo per incontrare quello di lui. Kiba era sconvolto. Nei suoi occhi leggeva una furia cieca, e il suo respiro era affannato, come se cercasse di riprendersi da qualcosa.

«Lasciami andare! Niente ti obbliga a stare qui con me se non v-»

«Il problema è che ti amo, Hanabi!»

Un tuono diede ad Hanabi qualche istante in più per registrare quanto aveva sentito – senza successo. «Cosa?» vide le lacrime solcare anche il viso di lui, mentre i suoi occhi sgranavano e si rendeva conto di cosa avesse detto.

Poi Kiba sembrò afflosciarsi, e la già scarsa forza con cui la teneva si fece appena sufficiente a non fargli cascare le braccia. «Ho detto che ti amo.»

Registrò a malapena la sconfitta nella sua voce, gli occhi bassi e il fatto che stesse quasi sicuramente per aggiungere un “ma”: Hanabi si lanciò addosso a lui, facendo aderire le sue labbra a quelle del ragazzo e infilandogli finalmente le mani tra i capelli. Si aspettava ancora che lui la tirasse via, che le dicesse che aveva capito male, o che la pioggia imminente mettesse fine a quel sogno, facendola svegliare bagnata fradicia e con una gran botta in testa. Ma al momento non le importava, e le importò ancora meno quando sentì lui riprendersi dalla sorpresa, rispondere al suo bacio e stringerla a sua volta.

Non fu meno avida di stringerlo a sé, grande il doppio di quanto fosse lei e con le guance appena ruvide della barba che ricominciava a crescere. I capelli che stava facendo crescere – che benedizione! – le solleticavano il naso, e con la mano gli percorreva la schiena da sotto la maglietta – e la cosa le piaceva parecchio.

Kiba fece altrettanto, passando i palmi da sotto l’orlo della blusa per stringerle i fianchi. Si staccò da lei solo quando sentì le sue mani farsi un po’ troppo audaci verso la cintura. Apprezzava l’intraprendenza di Hanabi, e lungi da lui rifiutarla ora che aveva scoperto che lo ricambiava – quello non era mica un bacio da “no, tu nemmeno mi piaci” –, ma non gli piaceva l'idea di esporre entrambi. Le afferrò il polso, leggero e delicato come forse non era mai stato, e vedere il genuino imbarazzo e quel filo di paura nei suoi grandi occhi bianchi gli fece nascere un sorriso sulle labbra. «Hanabi, Hanabi, no. Non così, Ragazzina»

Hanabi arrossì, e lui le asciugò le lacrime dalle guance con un dito. Poi le diede un secondo bacio, in cui si fermò semplicemente ad apprezzare la forma delle labbra di Hanabi contro le sue – qualcosa che fino a quel momento aveva solo potuto immaginare. Hanabi non si ritrasse nemmeno questa volta, anzi, indugiò ancora nel contatto. Kiba si sentì esplodere, e un’altra coppia di lacrime gli scese per le guance.

Hanabi si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non lo guardava, e Kiba la trovò adorabile. Poi sollevò di nuovo lo sguardo, con quella sua luce maliziosa: «Faccio così schifo da farti piangere?» Era semiseria, e Kiba la strinse di nuovo.

«Guardami, Ragazzina. Sono lacrime di gioia: non me lo sarei mai aspettato.»

Ci fu una breve pausa, mentre cercava di guardarlo negli occhi. 

«Nemmeno io. Da… da quanto tempo?»

Kiba rise, e Hanabi si chiese se non avesse sbagliato qualcosa. «Troppo. Ma me ne sono accorto al matrimonio. Tu e quel maledetto cupcake»

Le ci vollero un paio di secondi per collegare. «Eri strano per questo, brutto idiota!» Gli diede uno schiaffetto sul braccio. «E io qui a pensare che non mi volessi più vedere!»

«E io non te lo volevo dire perché pensavo che poi tu non mi avresti più voluto vedere! Beh, né tu, né, Hinata, né nessun altro. Per gli dèi, sono troppo vecchio per te!»

«Cretino!»

«Ehi, sono preoccupazioni legittime!» si difese. «Ma sono preoccupazioni per un altro momento, direi.»

Hanabi assentì e gli asciugò a sua volta le lacrime dal viso, che passavano perfettamente attraverso i tatuaggi delle zanne Inuzuka. «Magari però ad Akamaru dovremmo dirlo, che dici?»

«Oh, sì» rise, «non mi perdonerebbe mai se non fosse il primo a saperlo. Sai quanto era stufo di sentirci litigare?» Omise che il povero cane dovesse essere stufo anche delle sue – a questo punto anche inutili – infinite paranoie. Quella sarebbe stata una storia per un’altra volta.

«Ma davvero? Mi chiedo per quale motivo» scherzò lei di rimando. «Mi sa che si merita un biscotto, per aver sopportato tutto questo tempo.»

Si rassettarono e si diedero un bacio prima di uscire dalla riservatezza del campo di addestramento. Non c’era bisogno di dirlo, ma per il momento Akamaru sarebbe stato l’unico a sapere. E sarebbe stato un cane molto felice.

«Più di uno»

Si allontanarono insieme verso la nicchia vicino a casa Inuzuka dove Akamaru si andava a nascondere sempre, sin da quando erano cuccioli entrambi, lui e il padrone. Solo un occhio abbastanza attento si sarebbe accorto che camminavano un po’ più vicini di quanto facessero normalmente, e che fossero molto, ma molto più rilassati.

Shikamaru era sia attento che al corrente dei fatti, e ci mise ben poco a fare due più due. Si accese una sigaretta, lasciando portare via il fumo dal vento che si stava alzando prima dell’imminente temporale. Era contento per il suo amico – e che la scocciatura fosse andata a buon fine.

 


Note dell'autrice
Buon San Valentino a tutti!
Eccomi qui, con il secondo capitolo di questa piccola serie! Purtroppo la settimana prossima ho un esame e sono stata super iper assorbita, quindi niente betaggio (per ora, poi correggerò gli errori) più che altro perchè ci tenevo a postarla proprio oggi!
Ah, per una bellissima fanart su di loro, creata anche per la storia guardate sull'account Insta @withoutnanaluna, che ha fatto un lavoro splendido e ha creato anche la copertina per questa serie!
E nulla, ci si vede la prossima settimana con la prima parte del terzo atto!
Stay tuned,
Tata

   
 
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