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Autore: Retsuko    14/02/2023    1 recensioni
Ad Akira non piace San Valentino.
Racconto di crescita e di confronto.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Ayako, Hiroaki Koshino, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Due settimane fa: «oh perché non scriviamo qualcosina per il compleanno di Akiruccio?!? Magari una one-shot semplice, semplice…»
Oggi: 5 capitoli già praticamente scritti che cercherò di pubblicare a cadenza settimanale, salvo imprevisti.
Buona lettura 


 

Kaiko Hishimoto in Sendo è seduta sul divano del salotto, le gambe allungate sul tavolino, un bicchiere di birra in mano e una ciotola di popcorn a fianco. Suo marito è all’estero per lavoro e la figlia Akane è stata invitato a casa di un’amichetta per un pigiama party. Sono rimaste solo lei e la sua ferma determinazione a godersi quella fortunata congiuntura di eventi. Sta per premere il tasto “play” sul telecomando del videoregistratore quando squilla il telefono. Kaiko impreca, se proprio l’universo è deciso a rovinarle la serata almeno si sarebbe presa la libertà di dire parolacce. E’ tentata di ignorare la chiamata, ma la prontezza del suo senso di responsabilità l’ha già costretta ad alzarsi. Rassegnata, si dirige al telefono posto sul mobile nel corridoio, e solleva la cornetta.  

«Pronto?»

«Ciao mamma, sono io»

La donna alza gli occhi al soffitto. Benedetto bambino, ha sempre avuto un pessimo tempismo, sin dalla sua nascita, il giorno di San Valentino di 17 anni prima. Dopo il matrimonio Kaiko non aveva voluto rinunciare al lavoro, anzi si era iscritta ad un master post-laurea perché intenzionata ad ampliare le sue competenze. Era rimasta incinta durante il secondo anno di corso e le contrazioni erano cominciate nel bel mezzo della cerimonia di consegna dei diplomi, ad una settimina dal termine previsto. 

«Chi parla?» chiede, facendo finta di non capire.

«Mamma, sono Akira»

«Guardi deve aver sbagliato numero, io non ho nessun figlio di nome Akira» dice, educatamente.

«Invece ce l’hai» 

«Mmmh… ripensandoci, ora mi pare di ricordare qualcosa… lei è per caso quello spilungone che gioca a pallacanestro, vive in un’altra città e non chiama la sua famiglia da quindici giorni?» 

«Scusami, fra gli allenamenti e lo studio sono stato impegnato. E’ proprio necessario fare questa sceneggiata ogni volta che mi dimentico di chiamare?»

Il tono brontolante del figlio la innervosisce.

«Sì, Akira Sendo, la dobbiamo fare perché tu dimentichi sempre di chiamare. Se non fosse per quel sant’uomo del professor Taoka che ci telefona tutte le settimane…»

«No, aspetta, voi sentite il mister e parlate di me?!?» fa lui, alzando la voce per lo stupore. 

«Certo. E lo farei comunque, anche se tu avessi la decenza di alzare la cornetta un po’ più spesso. Credevi davvero che non mi confrontassi con i tuoi insegnanti? Buon dio tesoro, ti facevo più intelligente» 

Kaiko fa un sospiro e passa il ricevitore dall’orecchio destro a quello sinistro.

«Come stai, Aki-chan?» chiede infine, e Akira risponde nell’unico modo contemplabile dall’adolescente medio. 

«Bene» dice alla svelta «lì come va?»

«Oh la maggior parte delle novità riguardano la vita sociale di tua sorella, ma se ti anticipassi qualcosa mi porterebbe rancore per sempre; vuole raccontarti tutto di persona. È emozionantissima per il tuo rientro. A proposito, a che ora arriverai?»

«Dovrei riuscire a prendere il treno subito dopo pranzo e arrivare a Ueno sabato pomeriggio alle quattro» 

«Ok, prendi pure un taxi dalla stazione, ci pensiamo noi a pagarlo. Solo una cosa, per favore, evita di dare ad Akane le scatole di cioccolatini che ti regaleranno le ragazze; l’anno scorso ne ha nascosta una scorta dentro un cassetto, sotto i vestiti. Ti lascio immaginare come è andata a finire. Oltretutto riciclare il cioccolato di San Valentino è un gesto piuttosto scortese» 

«Cosa avrei dovuto farci, mà? Erano tipo una ventina di scatole! La maggior parte di quelle ragazze nemmeno le conoscevo»

Nella sua voce vibra una nota di chiaro imbarazzo e Kaiko trattiene a fatica una risatina. Riesce  benissimo ad immaginare l’espressione corrucciata del figlio, all’altro capo del telefono. È la stessa del padre, al quale Akira somiglia spudoratamente. Belli, genuini, di indole pacata e un po’ maldestra, con quei sorrisi capaci di far girar la testa. Anche Harumi si sentiva terribilmente a disagio di fronte alle attenzione delle ragazze, ed era pure un po’ scemo; Kaiko gli aveva lanciato segnali per mesi, ma lui niente. Alla fine aveva dovuto farsi avanti lei. Il suo sguardo scivola sulle foto incorniciate appese al muro, una di esse ritrae lei ed Harumi sulla spiaggia di Shichirigahama e Kaiko inciampa nel ricordo di quel pomeriggio al mare con gli amici. Odora di salsedine e dolcetti allo zenzero. L’eco della sua adolescenza incontra il vociare rumoroso di quella di Akira. Entrambe chiedono ascolto, quindi Kaiko se ne sta zitta, e attende con discrezione. 

«In ogni caso quest’anno dovrei scamparmela, il 14 è proprio domenica prossima» dice Akira, con la noncuranza e la fretta di chi ha una gran voglia di svicolare. Ingenuo, proprio come suo padre.  

«Aki-chan, nessuno rinuncerà a San Valentino solo perché cade di domenica»

 

Appena varcato il cancello del Ryonan, quel grigio sabato mattina di febbraio, Akira scopre che sua madre ci ha visto giusto. Le scatole di cioccolatini sono ovunque, sbucano dagli zaini, le ragazze se le passano di mano in mano per mostrarle alle amiche, chiacchierando emozionate.
«Cazzo, mia madre aveva ragione. Perché le madri hanno sempre ragione?» 

«Forse durante la gravidanza le donne sviluppano una sorta di dote della preveggenza» replica Koshino, guardandosi intorno con aria disinteressata.

«Quindi noi maschi siamo fregati…»

«In linea di massima sì, però questa specifica situazione avrebbe potuto prevederla chiunque con un minimo di cervello»

Akira ignora il poco velato insulto alla sua intelligenza, vuole soltanto attraversare indenne il cortile della scuola. Accelera il passo e si dirige a testa bassa verso l’ingresso.

«Sendo!» chiama una voce femminile alle sue spalle.

«Guarda che ce l’ha con te»

«Ho un cognome abbastanza diffuso, può darsi si riferisca a qualcun altro» 

Koshino lo trattiene afferrandolo per un polso, proprio ad un passo dall’entrata. 

«Non fare il maleducato» lo redarguisce «tanto ti troverà comunque» aggiunge, facendo spallucce. 

Nel frattempo la ragazza li ha raggiunti. 

«Sendo, scusami» 

Sendo lascia andare un sospiro carico di rassegnazione, poi si volta. Si trova di fronte una ragazza bassetina, con i capelli striati di viola che le arrivano oltre le spalle. I lineamenti del viso sono piuttosto strani, la fronte ampia, il naso un po’ troppo piccolo e le labbra sottili, eppure, nonostante l’irregolarità dei tratti, l’effetto complessivo è decisamente piacevole. È carina e sa di esserlo.

«Buongiorno» dice Akira in un modo formale del tutto fuori luogo rispetto alla circostanza. Dietro di lui Koshino ridacchia sfacciatamente, e Akira cerca di sferrargli un calcio negli stinchi alla cieca, ma finisce a colpire soltanto l’aria, come un ciuco innervosito. Imbarazzato, fa l’unica cosa che gli riesce di fare con naturalezza; Sendo sorride. Dietro ai suoi sorrisi c’è un mondo di significati, lei è abbastanza sicura di sé stessa da interpretare quel sorriso come un incoraggiamento.

«Questa è per te» dice porgendogli una scatola a forma di cuore «mi chiamo Yamashita Namiko, trovi il mio nome sul biglietto. Sto in 2ª L, ti aspetto» 

Gli fa l’occhiolino e trotterella via senza nemmeno aspettare una risposta. 

«E una…» dice Koshino con un ghigno «anzi, due» si corregge notando la ragazza che sta venendo loro incontro a passo marziale. 

«Potresti almeno fingere che la situazione di non ti divertita così tanto?» 

 

Durante l’intervallo Akira vorrebbe nascondersi sotto il suo banco, purtroppo un bisogno urgente di fare pipì lo costringe ad uscire dall’aula e nel corridoio viene circondato. Ogni consegna è accompagnata da rossori, risatine nervose o sguardi languidi. La sua innata gentilezza viene scambiata per disinvoltura, ma in realtà Akira è sereno quanto un orso polare ai Caraibi. Gli piacerebbe riuscire a provare appagamento per tanto successo, così come farebbe un qualsiasi diciassettenne sano di mente, invece lui si sente soltanto un coglione pieno di timori e ansie. 
Trascorre la successiva ora di matematica a rimuginare, guardando fuori dalla finestra con la testa appoggiata ad una mano. Se pensa a sé stesso Akira vede ancora il tredicenne ciondolante, allampanato e svampito che i professori mettono in ultimo fila perché con la sua altezza finisce sempre col coprire la visuale a qualcuno. Per quel tizio lì, uno che nel tempo libero legge o va a pescare con suo nonno, le compagne di scuola nutrono un simpatico affetto, non vogliono uscirci insieme. È perfettamente consapevole di essere cambiato, eppure ancora fatica a costruirsi un’identità compatibile all’immagine dell’ “affascinante e talentoso Akira Sendo del liceo Ryonan”, così come lo ha definito Yayoi Aida nell’articolo dedicato a lui dopo le finali prefettorie. Ad un certo punto Koshino, seduto nel posto affianco a lui, attira la sua attenzione lanciandogli una pallottola di carta. Gli scocca un’occhiata eloquente, come a dire “svegliati, idiota!”. Akira alza un angolo della bocca e scuote la testa. Hiroaki è così, si prende cura di lui a suon di borbottii, prese in giro e sguardi torvi. Da più di un anno ha l’abitudine di chiedere a sua madre di preparare un doppio bento, lamentandosi di avere un amico scroccone incapace di cavarsela da solo. Quando Akira sente particolarmente la mancanza della sua famiglia, arrivano sempre dei misteriosi inviti a cena da parte della signora Koshino e, ogni volta, in camera di Hiroaki c’è già un futon pronto sul pavimento. 
Sendo stende la palla di carta, scribacchia frettolosamente grazie, amico e passa il bigliettino al compagno. Koshino glielo rende poco dopo.
Non sono tuo amico, ti tollero a malapena. E soltanto perché sei bravino a giocare a basket
Questa volta Sendo impiega un pochino di più a scrivere il messaggio. 
Anch’io ti amo, Hiro. Sopratutto la mattina, quando passi allo studentato e bussi alla porta della mia stanza come se volessi sfondarla. È bello sapere che durante la notte ti manco così tanto :) 
La risposta che ci guadagna è un bel dito medio. 

 

Al secondo intervallo si fa vivo Fukuda, seguito a ruota da Hikoichi.
«Buongiorno, Senpai» dice, gentilmente la matricola. L’altro nemmeno saluto, si accomoda a gambe larghe su una sedia, con lo schienale girato al contrario, e scorre con un dito le scatole impilate sul banco di Sendo. 

«Diciotto» proclama, una volte contate «quattro in meno dell’anno scorso. Stai perdendo colpi»

Sendo espira in maniera volutamente plateale.

«Probabilmente la mia immotivata fama di latin lover si sta sgretolando, sai com’è, la verità viene sempre a galla prima o poi»

«Quale verità?» domanda incuriosito Hikoichi. Cala un silenzio perplesso. Koshino, appoggiato alla finestra con le braccia incrociate al petto, guarda Aida come se fosse l’individuo più stupido mai comparso sulla faccia della Terra. Sendo stiracchia un sorriso, in fondo non aver ancora fatto sesso a diciassette anni non è poi una cosa così vergognosa da ammettere.

«Che sono vergine, Hikoichi»

«Tu sei vergine, capitano?!?» strilla esterrefatto Aida. Koshino si schiaffa una mano sulla faccia, Sendo trasalisce, sbatte un ginocchio contro la gamba del banco, e un paio di scatole cadono sul pavimento. Fortunatamente, oltre a loro, in classe ci sono soltanto gli intellettuali, un gruppetto composto da tipi troppo superiori per interessarsi a certe facezie. L’unico rimasto impassibile è Fukuda.

«Vuoi che lo picchi, capitano?»

«No, Fukuda, tanto ormai la notizia l’hanno sentita persino gli abitanti di Sapporo» dice Sendo, cogliendo nella propria voce una vena di autocommiserazione forse un pò eccessiva. 

«Perdonami, senpai» pigola Hikoichi, facendosi piccolo piccolo «non mi sono proprio reso conto di aver parlato a voce così alta»

Sendo annuisce distrattamente, la parola “notizia” gli ha fatto venire in mente qualcosa di più importante delle scuse o del suo vittimismo. 

«È tutto ok, Hikoichi, stai tranquillo. Ma se lo spifferi a tua sorella giuro che ti faccio sbattere fuori della squadra» mormora a denti stretti. La matricola deglutisce rumorosamente.

«No, no, ovviamente me lo terrò per me» 

«A me sembra una splendida idea, invece» dice Fukuda «una donna più esperta è proprio ciò di cui avrebbe bisogno un imbranato come te. Sicuramente lei apprezzerebbe»

«Questo argomento sta prendendo una brutta piega, possiamo cambiarlo?» supplica Aida, storcendo il naso.

«Ben ti sta» interviene allora Koshino «comunque, Fukuda, potresti pure evitare di atteggiarti tanto. Siamo tutti sulla stessa barca»

«Tranne Ikegami. Lui si è portato a letto un sacco di ragazze»

«Ikegami non fa testo. A nemmeno diciott’anni è un uomo fatto e finito, sembra un trentenne…»

«Scusate, è permesso?»

Le loro teste si girano di scatto. Sulla porta c’è una ragazza alta, snella e sorridente. Sendo la riconosce, è una matricola piuttosto popolare del club di atletica, porta sempre i capelli legati in una coda di cavallo e degli improbabili scalda muscoli color arcobaleno, in più ha un nome difficile da dimenticare; Soseki Natsumi (*). Annuiscono praticamente all’unisono, Fukuda si alza, sposta la sedia e, quando lei li raggiunge, allarga un braccio verso Sendo.

«Ecco qui il nostro campione. Tutto tuo» fa con l’enfasi di un presentatore televisivo.

Soseki sembra interdetta, i suoi occhi si spostano ripetutamente su ognuno di loro, sinché si fermano su Koshino.

«In verità sono qui per te. Vorrei darti questa» dice allegramente, prima di mollare in mano al numero 6 una scatola rotonda e arancione, decorata affinché ricordi un pallone da basket. 

Lui rimane letteralmente paralizzato.

«Sì, lo so, sembra un melone, purtroppo le linee nere mi sono venute storte, però ci tenevo a farti qualcosa di personalizzato. Ah! Ti avviso, ho fatto da me anche i cioccolatini. Sono usciti altrettanto bruttini, però sono davvero  buoni…ne ho assaggiati un paio…va bene, forse più di un paio…» 

E’ schietta e decisa senza apparire arrogante, e Akira si ritrova sinceramente ammirato da una tale spigliatezza. Nel frattempo la faccia di Koshino copre l’intero pantone del rosso, passando dal “rosato lieve” alla tinta “capelli di Sakuragi”. 

«Senti, pensavo, finite le lezioni potremmo tornare insieme alla stazione. Ho visto che prendi il treno da Kamakurakōkōmae. Voglio dire non che ti segua o robe del genere, semplicemente anch’io lo prendo lì.  Allora, ti andrebbe?» chiede la ragazza, senza nessun indugio.

D’improvviso Koshino si ricorda di avere un corpo e, molto lentamente, annuisce.

«Figo! Allora ci vediamo al cancello. Grazie di aver accettato il mio regalo»

«Grazie a te» sussurra lui. A quel punto anche Soseki sembra cedere all’imbarazzo, scuote la testa e arrossisce un pochino. La campanella suona nel momento più opportuno. Lei si congeda entusiasta così com’è arrivata, mentre Fukuda e Aida rimangono lì, in attesa degli sviluppi.

«Cosa… cosa cazzo è appena successo?» domanda trasognato Koshino, fissando inebetito la porta.

«Niente di che» risponde Akira sorridendo «solo la mia personalissima occasione di prenderti per il culo a vita»

 


 

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(*)Natsume Soseki è considerato il primo vero romanziere giapponese. Il suo romanzo più famoso “Kokoro” (pubblicato in italiano come “Il cuore delle cose”) gli studenti giapponesi se lo smazzano sempre alle superiori. Anche se è improprio paragonarli, concettualmente è un poco come i nostri “Promessi Sposi” e l’idea che volevo dare è che sta ragazza si chiami Alessandra Manzoni. Detto ciò, consiglio a tutt* di leggere Soseki 

La stazione Kamakurakōkōmae, letteralmente “davanti al liceo di Kamakura“, è una fermata della molto caratteristica linea Enoden che collega Fujisawa a Kamakura. Questa fermata è la base dell’ambientazione del liceo Ryonan. Nel manga c’è proprio la frase “fermata davanti al liceo Ryonan”, nell’anime la si vede nella sigla. 

  
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