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Autore: Puffardella    15/02/2023    0 recensioni
Roma, una delle città più belle del mondo. Roma Caput Mundi, città artistica e storica, che si affaccia sul mare e dove splende quasi sempre il sole. Ma Roma non è solo questo. Roma è anche la città delle borgate, nelle quali povertà e delinquenza hanno sempre camminato a braccetto. È in questo contesto che si muove il protagonista di questa storia: Fabio. Costretto fin da adolescente a prendersi cura di se stesso e di sua madre, Fabio non vede altre soluzioni che quella di delinquere. Diventerà ospite abitudinario delle carceri romane, ma è proprio qui che la sua vita avrà un’incredibile svolta grazie all’incontro con una persona eccezionale, che si dedicherà a lui come il padre che non ha mai avuto...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marina dormiva rannicchiata contro il mio corpo, la testa sul mio petto e una gamba che avvinghiava le mie. Fuori le cicale avevano ripreso a frinire, e nel cielo corvino della notte erano nuovamente comparse le stelle. L’aria che entrava dalla finestra aperta profumava di terra bagnata e di mare. E, come accadeva di solito la notte, quando tutto il resto taceva, i miei pensieri presero a rumoreggiare dentro di me.
Continuavo a spostare lo sguardo dal rettangolo di cielo incorniciato dalla finestra a Marina. La mia coscienza non mi dava tregua, mi accusava con ferocia. Ora, dopo quello che era accaduto, dirle la verità sarebbe stato impossibile. L’avrei persa definitivamente. E tuttavia, quale altra alternativa avevo?
Se non avessi provato niente, per lei, avrei potuto andarmene il giorno dopo senza dirle nulla, sparire da Genzio e dalla sua vita senza rimorsi né ripensamenti. Però io l’amavo. L’amore che provavo per lei, questo mi avrebbe dato la forza di dirle la verità, anche se questo poteva significare perderla.
Con questa determinazione scivolai nel sonno senza rendermene conto, stremato. Fui svegliato da rumori di stoviglie che provenivano dalla cucina, e dalla voce di Marina che canticchiava a bassa voce un motivo allegro. La luce del giorno entrava con prepotenza nella camera. Gli occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla luce e a riuscire a restare aperti senza essere feriti.
La fragranza del caffè mi giunse invitante alle narici. Mi concessi un attimo di tregua gustando quel momento così intimo, consapevole che la donna che amavo trafficava nella mia cucina. Poi i rumori cessarono, e Marina smise di cantare. Increspai le sopracciglia, mentre una strana inquietudine si faceva largo nel mio cuore. E all’improvviso mi ricordai del libro, quello di Pinocchio che la sera prima avevo lasciato sul tavolo della cucina, quello che era appartenuto a lei...
Saltai giù dal letto e corsi in cucina, e quando mi affacciai mi sentii morire. Marina era in piedi, il libro aperto tra le mani, le lacrime agli occhi. Quando mi vide trasalì.
«Chi sei?» mi chiese in tono d’accusa. Ma non aspettò risposta. Si precipitò furiosa verso l’ingresso.
«Lo so, avrei dovuto dirtelo. Perdonami, ti prego…» balbettai seguendola. Lei si voltò di scatto e mi urlò contro, con foga: «Ti manda lui, non è così?» Di nuovo non aspettò risposta. Fece per aprire la porta, ma io la richiusi con un gesto secco, assalito dalla disperazione.
«No, aspetta, non te ne andare, lascia che ti spieghi, ti prego…» avevo iniziato a supplicarla, ma le parole mi morirono nella gola quando mi accorsi che indietreggiava spaventata. Spalancai la bocca, spiacevolmente sorpreso.
«Lasciami andare, o mi metto a urlare» disse, e questo mi procurò dolore. E indignazione.
«Urlare? Perché dovesti urlare? Di cosa hai paura? Che ti possa fare del male? Hai sempre avuto questa paura o è nata ora, all’improvviso, a causa del pregiudizio che adesso nutri nei miei confronti?»
«Tu… tu sei stato in carcere…»
«E questo fa necessariamente di me una persona pericolosa?»
«Il fatto che tu me lo abbia nascosto, questo fa di te una persona poco affidabile…»
«Se te lo avessi detto, tu non mi avresti mai conosciuto per come sono realmente. Non me ne avresti dato la possibilità. Mi avresti trattato con diffidenza e disprezzo, esattamente come stai facendo adesso!» l’accusai con risentimento.
Marina rifletté un istante su quelle parole.
«Perché sei venuto qui? Cosa vuoi da me?» mi chiese con la voce strozzata.
«Perché speravo di convincerti a perdonare tuo padre… A dargli un’altra opportunità…»
«Tu lo sai perché si trova dove si trova? Tu lo sai cosa ha fatto?»
«No, e non mi interessa saperlo. E vuoi sapere perché? Perché qualsiasi cosa ha fatto, qualsiasi sia il grado di colpevolezza che ha nei confronti della società, ha già pagato a sufficienza il suo debito. Anzi, non finirà mai di pagarlo, perché i sensi di colpa che lo dilaniano ogni singolo giorno, di sicuro continueranno a farlo per tutta la vita. Non mi interessa sapere chi era prima perché io ho visto la persona che è adesso, Marina! E quello che ho avuto il privilegio di conoscere è un uomo buono, onesto, leale, che merita rispetto e affetto…»
«Come accidenti fai a dirlo?» gridò lei con acredine.
«Perché ho passato gli ultimi sette anni della mia vita insieme a lui, ventiquattro ore al giorno. E perché lui ha fatto di me un uomo migliore. Se non avessi incontrato tuo padre ora probabilmente starei in giro in cerca di nuovi guai. Ecco perché ero venuto. Volevo parlarti di lui, convincerti a dargli un’altra opportunità, e restituirgli così il favore che mi ha fatto concedendomi la sua stima e il suo affetto… Ma poi ti ho conosciuta, ho conosciuto gli abitanti di questo stupendo paese, ed è stato meraviglioso. Allora mi sono lasciato distrarre, ho egoisticamente pensato solo a me stesso. E mi sento un verme per questo, perché anziché rendere un favore all’unica persona che abbia mai dimostrato affetto nei  miei confronti, l’ho dimenticata, ignorata… abbandonata.» Piangevo senza ritegno, ormai. Per il rimorso, per i sensi di colpa, per il dolore che ne scaturiva.
«Non avrei mai pensato che mi sarei potuto innamorare di te. Non volevo che accadesse. Io volevo solo restituire un favore… Mi dispiace per averti ferita, Marina, credimi. Mi dispiace…» bisbigliai sollevando una mano sul suo viso. Ma lei scosse la testa, mi guardò con una luce di biasimo negli occhi e mi disse: «Avresti potuto essere una cosa importante. Non saprai mai quanto» Aprì di nuovo l’uscio, e stavolta non feci nulla per fermarla. Richiusi lentamente la porta, ci appoggiai sopra la testa e finii di versare tutte le lacrime che avevo.

Peppino non fece nulla per mascherare la delusione quando gli consegnai le chiavi dell’appartamento quella stessa mattina.
«Ma hai ancora una settimana di tempo, prima di lasciare la casa...» obiettò. Mi strinsi nelle spalle. «Lo so, ma degli imprevisti mi obbligano a tornare a casa prima del previsto» spiegai debolmente.
Il violento temporale che si era abbattuto la notte prima sulle coste marchigiane aveva liberato l’aria dall’umidità, l’aveva resa frizzante. In altre circostanze avrei ricavato piacere dal suo tocco fresco. Ma non quella mattina.
Dopo che Marina se ne era andata, decisi che la vacanza era finita e che era ora di tornare alla realtà, di affrontare la mia nuova vita, di darmi da fare come individuo libero e utile alla società. Raccolsi le mie cose e mi avviai. Quando mi trovai davanti alla porta di Marina non resistetti all’impulso e tentai un’ultima volta di parlarle. Non per me stesso, ma per Geppetto. Bussai alla sua porta più e più volte, inutilmente. Sapevo che era lì dietro, ed ero altrettanto consapevole che non mi avrebbe aperto. Non si fidava di me, e non potevo certo biasimarla per questo.
Presi il libro e il quadernino, quello su cui avevo iniziato a scrivere febbrilmente pochi giorni dopo il mio arrivo a Genzio, e li infilai entrambi nella cassetta della posta. Se avesse trovato la forza e la voglia di leggerlo, avrebbe potuto capire tante cose. In quel quaderno avevo messo a nudo la mia anima, senza ipocrisie e falsità.
«Almeno hai finito di scrivere il libro?» volle sapere Peppino, strappandomi dalle mie elucubrazioni .
«È uno di quei romanzi senza il finale, sai…»
Peppino si decise a prendere le chiavi e mi strinse con calore la mano.
«Tanto ci rivediamo presto» disse infine sorridendo fiducioso, costringendo le pieghe della pelle raggrinzita del suo viso ad ammucchiarsi una sull’altra.
Avrei tanto voluto crederlo possibile, ma non potevo.
Ciò nonostante gli restituii il sorriso e gli risposi: «Chi può dirlo?»
   
 
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