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Autore: Johnee    17/02/2023    0 recensioni
Una storia parallela alla trama principale di Inquisition che concerne: due nevrotici, i traumi™, gufi appollaiati su trespoli impossibili e la ricerca della reciprocità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Hawke, Inquisitore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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C'era una quiete surreale, dentro e fuori della tenda dell'Inquisitrice.
Normalmente, la quiete era una prerogativa del momento che precede l'albeggiare, ma la situazione presente diede al silenzio una pesantezza agghiacciante.
Nessuno dormiva, tutti aspettavano, e insieme a loro c'era la certezza che la notte successiva molte mani avrebbero smesso di stringersi.
Nella penombra, Lavellan dettagliò con lo sguardo il viso di Cullen, teso e guardingo. Nonostante una notte intera spesa a rassicurarsi fisicamente ed emotivamente, la gravità della situazione era riuscita ad avere la meglio su di loro, privandoli della capacità di dormire.
Ce l’avevano messa tutta (e forse un po’ di più) per spegnere il cervello, ma fin dalle prime battute era stata un'impresa impossibile.
Il problema era che quel silenzio che li accompagnava mangiava ogni suono, trasformandolo in un ronzio che impediva ai timpani di percepire il rumore dei respiri, o il suono soffice delle dita che accarezzano la carne. Inibiva persino le sensazioni, lasciandoli a fare i conti con un perenne senso d'angoscia.
Lavellan si concentrò sulle palpebre dischiuse di Cullen, mentre le sue dita mappavano il suo corpo con delicatezza. Non si trattava di carezze vere e proprie, ma di un modo per registrare ogni centimetro, così da poter consultare l'informazione in un secondo momento. O in un terzo, o un quarto, o un decimo, dato che Cullen era un pensatore retroattivo.
Il fatto che il suo sguardo si muovesse rapidamente, schermato dalle ciglia, era sintomo che quella registrazione fosse un modo per tenerla vicina anche quando vicina non sarebbe stata.
-Forse dovrei farlo anch'io.- mormorò lei, attirando l'attenzione su di sé. -Anche se ho buona memoria.-
Cullen la fissò con aria incerta, poi si rese conto che gli aveva letto nel pensiero, oltre ad avergli spiegato un gesto che lui compiva in automatico ogni volta che passavano la notte insieme. Era ovvio che fosse una cosa talmente istintiva che non se n'era mai reso conto. Ritrasse la mano, dimenticandosi in che modo potesse usarla. -Ti mette in difficoltà?- le domandò, nella lingua degli spossati.
Lavellan gli rispose con un sorriso che mise in risalto ore di sonno arretrato, senza che però mettesse in dubbio la sincerità dei suoi intenti. Quell'espressione, totalmente devota alla sua persona, diede a Cullen brividi per una vita intera.
-Sono completamente, perdutamente e stupidamente perso per te.- disse, senza riuscire a smettere di sorprendersi per quel viso che riusciva a donare luce anche nell'ora più buia.
Era la sua alba e lei poteva sentirlo a pelle.
-Hai sempre avuto un senso dell'orientamento discutibile.- scherzò Lavellan, recuperando la sua mano a mezz'aria per portarsela alle labbra e donarle un bacio leggero.
Cullen osservò quel gesto, anzi, lo analizzò per memorizzarlo. Quando fu soddisfatto di quella nuova informazione, attirò Lavellan a sé per abbracciarla. -Andrà tutto bene, amore mio.-
Lei, che sperava di sentirselo dire, percepì l'universo che la circondava in maniera meno pesante. -E se non andasse per niente bene?- domandò, alla ricerca di una rassicurazione sincera, senza frasi fatte a supportarla.
Cullen non la deluse. -In quel caso, sapremo che ognuno di noi ha fatto più del possibile per far funzionare le cose. Tu per prima.-
A Lavellan bastò.

 

27 - Vittoria

 

Disposto tra i trabucchi, il Monsignore sembrava il cugino piccolo che ogni adolescente è costretto a portarsi dietro alle feste sotto le pressanti insistenze dei genitori.
Era un'arma nata per essere facilmente trasportabile, alta due metri e mezzo e lunga il doppio, con una corazza di acciaio che rivestiva le componenti in legno massiccio. La forma era analoga a quella di una ballista, così come il principio di lancio. Se però il proiettile di una ballista era sottile e oblungo, per permettere all'utilizzatore di perforare le superfici, o agganciarle, quelli del Monsignore erano stati studiati per contenere reagenti in grado di esplodere all'impatto.
La portata, infatti, era stato il primo di tanti problemi che avevano incontrato i suoi progettisti originali, che avevano scartato l'idea dopo aver capito che era impossibile venirne a capo.
Per far si che funzionasse, serviva che la macchina lavorasse nella breve distanza, ma nella breve distanza le esplosioni la coinvolgevano, rendendola un'arma efficace un'unica volta. In sostanza, per portarla a ridosso dell'obiettivo, molti dei suoi trasportatori sarebbero morti e le risorse impiegate nell'esecuzione del processo sarebbero andate sprecate.
Il fatto che la grandezza e il suo peso fossero inferiori a quelli di una manganella, o di un trabucco, garantivano alla macchina un'instabilità consistente durante il lancio, riducendo la traiettoria a parabola e aumentando il rinculo. Per una ballista questo non era un problema, dato che i dardi erano leggeri e costruiti per evitare l'attrito del vento, ma lo stesso principio non poteva essere applicato su una macchina d'assedio che doveva trasportare proiettili con una superficie maggiore.
La forza di spinta, garantita da una fascia tesa, non era mai costante, proprio perché il Monsignore era stato progettato per essere trasportato facilmente. Se la fascia aumentava di grandezza, per garantire lanci rapidi e controllati, la macchina saliva di peso e ciò la rendeva intrasportabile.
Tre Occhi, Dagna e Lavellan avevano trascorso settimane intere ad analizzare e risolvere ogni singolo problema, per poi vedersi il mondo crollare sulle spalle ogni volta che Cullen ne individuava uno nuovo, causato dalle soluzioni che trovavano.
Più che una macchina d’assedio, si trattava di un enigma logico, per quello era stata coinvolta anche Leliana, che era abituata a pensare con lungimiranza costantemente. In qualche modo, la sua testa le presentava i problemi ancora prima che apparissero al gruppo, permettendogli di metterli da conto e cambiare rotta in tempo.
Era stata lei a suggerire di picchettare il Monsignore a terra con dei bracci di metallo ripiegabili, anziché fermarlo con delle corde, o rinforzare le resistenze preesistenti, in modo da garantire una stabilità maggiore nei lanci, ma anche una ripetitività costante. Ciò liberò Dagna da un peso, dato che aveva proposto un'idea simile, ma con una risoluzione diversa, perché comprendeva un'impalcatura da montarci attorno, rinunciando purtroppo alla portabilità.
Lavellan ebbe la seconda illuminazione, determinante per la risoluzione dell'enigma, ovvero modificare la forma dei proiettili per ottimizzare il lancio. Andava ridotta al minimo la superficie di attrito, ma dovevano essere comunque in grado di trasportare sostanze volatili, quindi una sorta d'imbottitura era necessaria. I proiettili rotondi non fendevano il vento efficacemente, quelli ovali rischiavano di innescare reazioni prima del tempo perché non avevano una stabilità costante, mentre quelli a forma di punta di freccia avevano bisogno di un serbatoio troppo pesante che non contrastava la resistenza dell'aria.
Ogni forma pesava sulla struttura, ma soprattutto sulla fascia che garantiva la spinta necessaria ai lanci. Più grande diventava, più era difficile portarla in tensione e, per una macchina costruita su presupposti di velocità e manovrabilità, quello era un problema grave. Lavellan doveva replicare un'aerodinamicità simile a quella delle frecce, senza usare le frecce.
La salvò la sua curiosità, perché si ricordava di aver origliato una discussione tra Krem e il capitano Rylen, a proposito dei martelli da guerra. L'esercito del Tevinter ne usava una variante con la testa a ogiva, che permetteva una manovrabilità considerevole al loro utilizzatore, ma anche una precisione maggiore rispetto a molte armi da mischia.
Allora, fece forgiare a Dagna un serbatoio a ogiva e da lì, non smise di lavorarci, risolvendo finalmente la questione della resistenza e della gittata.
Una volta scoperto che il proiettile aveva effettivamente una superficie funzionale, Cullen e Leliana riuscirono a progettare una fascia elastica abbastanza resistente da garantire un impiego di forza costante nel lancio e, dopo di esso, un modo in cui rimetterla facilmente in posizione.
In qualche modo, lavorare insieme al progetto fece bene anche al loro rapporto, permettendo a entrambi di affrontare più serenamente i momenti in cui arrivavano a scontrarsi in sede di consiglio.
Finalmente, dopo mesi di fatica, il Monsignore, da enigma logico, era diventato una macchina da guerra legittima, senza niente da invidiare ai suoi cugini più grandi.

Purtroppo, il suo battesimo lo ebbe durante l'assedio Adamant. E fu un battesimo del fuoco.
Dall’alto di una collinetta rocciosa, Lavellan seguì con lo sguardo il primo proiettile, stringendo le palpebre quando si scontrò con le mura della fortezza, innescando un'esplosione spettacolare. Un crisantemo di fumo giallo si aprì attorno a un cratere considerevole, mentre i proiettili di trabucco impattavano tutt'attorno, bussando sulla fortezza con una forza dirompente.
I soldati disposti alla ricarica delle macchine d’assedio elogiarono le opinioni del Monsignore con un breve coro di grida di esultanza, poi ritornarono a fare quello che stavano facendo.
Lavellan, dal canto suo, non riuscì a provare la soddisfazione sperata e decise semplicemente di smettere di assistere, con il rammarico in viso.
Procedette attraverso una confusione assordante, fatta di ordini, clangore di armi, passi veloci e discorsi motivazionali, finché non raggiunse Alistair, che guardava la battaglia infuriare nel campo antistante la fortezza con la delusione dipinta in faccia.
-Sei pronto?- gli chiese lei, sfoderando l'arco.
Mentre il Monsignore creava fiori di topazio sul calcestruzzo, il suo interlocutore si voltò nella sua direzione. -Sto andando ad ammazzare i miei confratelli, Inquisitrice. È ovvio che non sono pronto.- rispose.
Lei scorse uno sguardo accigliato su di lui, al che Alistair sguainò la spada. -Ma non ero pronto nemmeno quando ci è stato detto che io ed Elanor eravamo gli unici Custodi rimasti nel Ferelden.- si affrettò a dire lui. -In quel caso, ho lasciato tutto nelle sue mani, per timore di sbagliare.- fece una pausa, assumendo un'espressione determinata. -Adesso invece, non ho la minima intenzione di nascondermi.- sorrise appena. -In guerra, vittoria.- recitò, per poi buttarsi a capofitto nello scontro.

"Non fare cazzate" ormai era diventata una frase di rito, per Cullen.
La ripeteva a chiunque fosse diventato importante per lui nell'ultimo anno.
Era un ottimo modo per fare fronte alla situazione psicologicamente, ma soprattutto gli serviva come ultima dimostrazione d'affetto per chi stava andando ad affrontare una battaglia senza speranze.
L'ultima persona a cui l'aveva detto era stato Hawke, che si era fermato giusto il tempo per voltare verso di lui un sorriso sornione, poi si era dileguato con aria divertita, agitando una mano in segno di saluto.
Cullen sperò che non lo deludesse, ma allo stesso tempo sapeva che era impossibile impedirgli di mettere un freno al suo caos. Sarebbe stato come chiedere alla pioggia di smettere di cadere.
Il tavolo tattico sul quale aveva dispiegato la strategia era accerchiato da un dedalo acustico di ordini ed esplosioni, ma niente e nessuno era in grado di disturbarlo.
Era vitale che restasse calmo, come un faro che guida le navi a riva nella tempesta perfetta e, per tutta la durata dello scontro, non smise di brillare.
In un attimo di tregua dalla dispersione degli ordini, osservò con aria arcigna la fortezza di Adamant, un tempo inespugnabile, venire assaltata dai soldati dell'Inquisizione. I Custodi erano in minoranza, ma se la stavano giocando pietra per pietra, rendendo la vita difficile agli assedianti che stavano cadendo in gran numero.
-Hawke ha liberato i bastioni.- gli riferì Rylen, che osservava lo scontro assieme a lui, in un punto distante e rialzato. -L'Inquisitrice gli ha dato man forte.-
Cullen annuì con decisione. -Da' l'ordine di mantenere la posizione. Dobbiamo darle il tempo di parlare con Clarel. Se i Custodi continuano a evocare demoni, la accerchieranno.-
Rylen riferì l'ordine a un messaggero, poi ritornò al fianco del suo superiore in comando.
Entrambi avevano un'espressione impaziente dipinta in viso. Rylen non riusciva a stare fermo, Cullen accarezzava nervosamente il pomolo della spada con il pollice, graffiandone il manico con insistenza.
Un greve ruggito, con una nota stridula sulla fine, anticipò l'arrivo del drago di Corypheus. Non attese che i suoi nemici si riprendessero dalla sorpresa e attaccò a sorvolare le mura di Adamant con una velocità impressionante, avventandosi sugli assedianti e sbriciolando frammenti della fortezza come se si trattasse di spume di meringa.
-Portate avanti le balliste!- gridò Rylen, a un cenno di Cullen, che aveva previsto quell’evenienza.
Era una strategia ottimale, in quel caso, perché quelle armi d'assedio erano più veloci e precise dei trabucchi, inutili contro un bersaglio mobile.
Cullen seguì con lo sguardo i movimenti del drago, che riusciva ad anticipare ogni lancio con grande agilità. In qualche modo, quell'evento gli ricordò l'esperienza con il Maestrale Maggiore e quell'idea lo mise a suo agio, perché erano riusciti a sconfiggerlo, nonostante ci avessero messo più di un'ora.
-Tiratelo giù!-
Il drago schivò un proiettile a mezz'aria, dimostrando una flessibilità unica, poi ne afferrò un altro per le zampe, spezzandolo e facendolo ricadere sulle mura di Adamant, in una gradine di legno.
L'unica macchina che realmente riusciva a contrastarlo era il Monsignore, le cui esplosioni destabilizzavano la rotta aerea del drago, spingendolo a modificare la traiettoria di volo continuamente. Purtroppo, non era abbastanza per metterlo in difficoltà.
-Non funziona.- commentò Rylen. -Dobbiamo trovare un modo per distrarlo.-
-Quando a un drago interessa qualcosa, è impossibile distogliere la sua attenzione da esso.- spiegò Cullen, asciutto. -Avete già piazzato le macchine nei bastioni?-
Rylen scosse la testa. -Siamo stati rallentati, Comandante.- rispose. -Hawke li sta trattenendo, ma a breve dovrà riunirsi con l'Inquisitrice.-
Cullen trattenne il fiato, poi esalò un sospiro secco. -Rinunciamo al piano e concentriamoci a scortarli.- ordinò. -Continueremo a bersagliare il drago da fuori. Fa' spostare il Monsignore.-
Rylen annuì. -Sissignore.-
L’ordine non fece in tempo a passare che il drago scomparve tra i bastioni della fortezza, rendendolo inutile.
Cullen imprecò a mezza voce. -Come non detto.-
Tutto d'un tratto, il campo di battaglia venne irriso di luce verde. Fu un lampo abbagliante che durò il tempo di un battito di ciglia, ma chiunque fu costretto a chiudere gli occhi per il fastidio.
Lungo tutta la durata dell’evento, il tempo e lo spazio parvero immobilizzarsi, come se la battaglia fosse stata impressa su una tela a olio di proporzioni epiche.
-Rapporto!- gridò Cullen, passandosi una mano sulle palpebre.
-Siamo riusciti a fare breccia. Il drago è in fuga e i Custodi liberi dal giogo di Corypheus si sono uniti a noi nel combattimento.- gli riferì Rylen, dopo esattamente un minuto d'attesa. La sua espressione virava dal sorpreso all'attonito. -L'Inquisitrice però è scomparsa.-
Cullen arricciò il naso su un'espressione madida d'incertezza. -"Scomparsa" non è abbastanza, Ser Rylen!- sbottò.
-Lo so, Comandante, ma lassù è il caos. Burrows non è ancora tornato e non arrivano notizie certe.-
Cullen non esitò un istante. Si mosse a passo deciso verso il suo cavallo, sguainando la spada. -Manda degli esploratori a seguire il dannato drago, io andrò a vedere cosa diavolo sta succedendo.-
Rylen gli rivolse un breve cenno. -Non fare cazzate, Ser Cullen.- gridò, mentre lui si faceva passare il suo scudo e si schiacciava l'elmo sul capo.
-Non ti assicuro nulla.- rispose Cullen, spronando il cavallo verso i cancelli della fortezza.
Al suo passaggio, al galoppo, molti soldati si voltarono a incitarlo, ma lui era sordo a qualsiasi richiamo. Era troppo impegnato ad aggirare proiettili di ghiaccio, a schivare meteore di fuoco e a virare bruscamente per evitare che colate d’olio bollente lo investissero.
Arrivò nel cortile in cui poco tempo prima aveva scortato Lavellan e smontò di sella giusto in tempo per prevenire la morte di un suo ufficiale, aggredito da un demone della Disperazione. Sollevò lo scudo, contrastando la pressione di un getto ghiacciato per raggiungere il nemico, quindi lo colpì con un affondo deciso.
L’ufficiale riuscì a mettersi in sicurezza mentre Cullen passava all’avversario successivo. Non c’era una grande opposizione, ma quei pochi demoni che erano rimasti erano nemici decisamente ostici e il terreno sabbioso rallentava i movimenti. In quel momento però Cullen si sentì vivo come non succedeva da mesi. Il suo corpo si liberava della tensione mano a mano che procedeva attraverso il cortile e che la sua spada si abbeverava di icore di demone.
-Fate passare il Comandante!- gridò un soldato e, a quell’avviso, in molti si affrettarono a creare un varco per permettere a Cullen di salire sui bastioni.
Ma a lui non serviva aiuto.
Si fece strada dapprima dalle retrovie, poi avanzò in testa, guidando un manipolo di uomini sulle passerelle orientali della fortezza. A loro si unì un gruppo di Custodi guerrieri che lo guidarono attraverso le sale di Adamant per permettergli di raggiungere il cortile centrale, luogo dove c'era la più grande concentrazione di demoni.
-Dov'è la comandante Clarel?- domandò a un Custode anziano.
-Morta.- affermò quello con macabra semplicità, poi schermò l’assalto di un'Ombra Maggiore che era appena piovuta da un piano superiore.
Cullen ricambiò il favore, deviando una mina di energia spirituale. -L'Inquisitrice? Hawke? Ser Alistair?- chiese, poi menò un fendente, dissolvendo così il Wraith che aveva fatto l'errore di aggredirli.
-Se non sono morti nel crollo, sono stati risucchiati dallo Squarcio.- intervenne una Custode che ricopriva una posizione difensiva, poco più avanti. -L'avete vista anche voi la luce verde.-
Un dardo di faretra colpì un Demone della Superbia che si stava facendo troppo vicino al gruppo. Cullen voltò lo sguardo su di esso, poi verso la fonte del proiettile.
-Qui, Ricciolino! Ti copriamo noi!- gli gridò Varric, da una passerella parallela. Al suo fianco, Vivienne dava battaglia a tre Maghi dei Custodi con una maestria inimitabile.
Cullen non se lo fece ripetere due volte.
Caricò un demone e lo colpì con lo scudo, sbilanciandolo abbastanza per superarlo e unirsi al gruppo. Sorpassò Dorian, che gli batté una mano sulla schiena al passaggio, poi raggiunse Varric, che fece un saltello sul posto prima di aprirgli la strada verso il cortile centrale, in cui Sera e il Toro stavano seminando il caos, assieme a un manipolo di soldati dell'Inquisizione e ai Custodi redenti.
-Sono lì dentro!- gli disse Varric, indicando un grande squarcio che pulsava di luce verde. -Se non fosse che vomita fuori demoni ogni tre secondi, saremmo già entrati.-
-Non ci pensate nemmeno!- lo rimproverò Cullen, proteggendolo al contempo da un proiettile di energia del Velo lanciatogli da un Wraith appena fuoriuscito dallo squarcio. -L'ultima volta che qualcuno è entrato fisicamente nell'Oblio, sono nati i Flagelli.-
Varric si riparò momentaneamente dietro al suo scudo, per poi affacciarsi ed eliminare un Custode incantatore con un colpo preciso al cuore. -Hawke è lì dentro!- esclamò, per giustificare le sue intenzioni.
-Chissà che abominio ne uscirà adesso, allora.- borbottò Cullen, portandosi alle spalle del Toro per evitare che venisse accerchiato. -Mantenete la posizione!- gridò, per poi indicare a un soldato dell'Inquisizione di mettersi a protezione degli accessi. -Nessuno deve entrare o uscire da questo cortile, per nessun motivo!-
-Ci voleva un genio a suggerirlo.- commentò Sera, schivando quindi con una capriola dell'ultimo secondo un abbraccio poco amichevole di un'Ombra Maggiore. Cullen non l’ascoltò. Per una volta era al centro dell’azione e non avrebbe lasciato che nessuno gli togliesse quella misera soddisfazione.

L'arrivo di Dorian e di Vivienne, nonché dei superstiti della battaglia ai bastioni, aiutò il gruppo a rintracciare la minaccia nel perimetro del cortile. Era uno scontro sfiancante che li impegnò per un tempo interminabile.
-Dobbiamo entrare!- ribadì Varric, dopo aver abbattuto l'ennesima Ombra. -Resteranno intrappolati!-
-Devi fidarti di lei.- gli rispose Cullen, con fermezza. -Li riporterà indietro. È tornata una volta, lo farà di nuovo.-
Varric guardò lui, poi lo squarcio, infine imprecò, muovendosi a passo di corsa verso di esso. Fortunatamente, Sera riuscì a placcarlo in tempo.
-Lasciami, maledizione!- berciò Varric, spingendola via da sé con tutte le forze che aveva.
-Neanche morta! Per una volta, quello lì ha ragione. Se entri, poi come ne esci?-
-Non me ne vado senza...-
Lo squarcio prese a vibrare, come se qualcosa dall'altra parte stesse spingendo per uscire. Ci fu un secondo lampo di luce verde, poi Solas venne proiettato all'esterno, seguito a ruota da Cassandra.
Quest'ultima fece un giro su se stessa, brandendo la spada con aria confusa, poi fissò lo sguardo sullo squarcio. -Andiamo, Lav!- gridò.
L'apertura sputò Alistair, che caracollò prima di cadere in ginocchio, facendo schiantare lo scudo a terra. Cullen si affrettò a raggiungerlo, aiutandolo a mettersi al riparo. Si assicurò che stesse bene, poi si mise a sua protezione.
Fu allora il turno di Blackwall, che non ci mise molto ad affiancarsi a Cassandra, per incitare il resto del gruppo a uscire.
-Sono rimasti indietro per darci il tempo di attraversare.- spiegò Solas, con aria esausta. Sera imprecò, poi si mise anche lei a fare il tifo, saltellando sul posto con aria nervosa.
Passarono due minuti esatti, poi dallo squarcio emerse Lavellan, scivolando per qualche metro, finché non riuscì a puntare i talloni. Prima di voltarsi, lanciò uno sguardo intriso di terrore a Cullen, che tarpò immediatamente il sollievo che gli aveva dato vederla per fare posto alla preoccupazione.
-Maledizione!- gridò Lavellan, incoccando una freccia all'arco. Attese il più possibile, poi scoccò, colpendo un tentacolo che provava a fuoriuscire dallo squarcio. -Fen’harel ma ghilana!- berciò, con più forza, continuando a impedire ogni tentativo di sfondamento. Sera e Varric si unirono a lei, finché non fu chiaro che ogni tentativo di impedire al demone di oltrepassare lo squarcio fosse inutile.
Lavellan lasciò cadere l'arco, imponendo la sinistra di fronte a sé. Il rumore di chiusura fu intenso e grattato, come se un corpo imponente venisse trascinato su una grata metallica.
-Cos'era quello?- gemette Dorian, che aveva appena abbattuto l'ultimo demone del cortile. Il suo sguardo era spalancato dalla sorpresa.
-Un demone della Paura.- rispose Cassandra, riparandosi il viso dalla luce intensa con l'avambraccio.
Lavellan singhiozzò un gemito di dolore, mentre il suo braccio intero veniva avvolto dalla luce verde. I tentacoli fuoriuscirono dallo squarcio come lingue di magma, allungandosi sui presenti per abbrancarli.
-Toro!- chiamò Cullen, scattando verso di essi per tagliarli. Blackwall rispose all'appello al suo posto, respingendo i tentacoli più piccoli e permettendo a Cassandra e al Toro di correre in supporto di Cullen.
Lavellan strinse i denti, reprimendo un grido di dolore, mentre l'Ancora faticava a richiudere lo squarcio. Sera si portò al suo fianco immediatamente, sorreggendola per evitare che cedesse. -L'hai fatto mille volte, dai!- la incitò.
Lavellan la spinse via bruscamente, poi piantò bene i piedi a terra, reggendosi il polso per mantenere fermezza. Prese un respiro profondo per contrastare il dolore, poi attese che ogni tentacolo venisse reciso, prima di strappare il filo che legava l'Ancora all'Oblio, con una forza tale da farle fare un giro su se stessa.
Ci fu un attimo di totale immobilità, mentre la ferita guariva con un rumore lieve e stropicciato, poi il tempo tornò a scorrere.
-Stai bene?- domandò Sera a Lavellan, recuperando il suo arco da terra per porgerglielo.
Lavellan, che era sconvolta dalla fatica, sollevò uno sguardo incerto su di lei, poi annuì. -Sto una crema.- rispose, con un filo di voce.
Cullen la raggiunse, per posarle una mano sulla spalla. -È finita.- affermò. -Abbiamo vinto.-
Lavellan si limitò a rivolgergli la stessa occhiata che gli aveva rivolto subito dopo aver incrociato il suo viso, una volta che era uscita dallo squarcio. C'era una paura atavica nei suoi occhi, qualcosa che lui non le aveva mai visto addosso e, assieme alla paura, c'era un gran senso di desolazione.
-Dov'è Hawke?- domandò Varric.
Allora, Cullen capì.

 

*

 

Lavellan era sdraiata sul pavimento di un magazzino immerso nella penombra, fissando il soffitto ricoperto di ragnatele con tanto d'occhi.
Al di fuori di esso, i soldati dell'Inquisizione affrontavano un'altra giornata alla Rocca del Grifone, come se niente fosse successo.
C'era un vociare continuo, a tratti allegro e tinto di sollievo perché in tanti ancora celebravano la vittoria di Adamant e altrettanti lodavano l'Inquisitrice per aver trattato i Custodi con clemenza. Una minoranza molto vocale, invece, la accusava di essere stata poco lungimirante, perché i Custodi sarebbero inevitabilmente sfuggiti al controllo dell'Inquisizione, ritornando a essere l'ordine recluso e pieno di segreti che era sempre stato.
Nessuno aveva realizzato, però, che Lavellan era uscita dallo scontro totalmente distrutta.
Fisicamente era un colabrodo, dato che si era rotta un polso e tutte le dita della mano durante la chiusura dello squarcio. Gli arti le facevano male, la sua armatura era totalmente da buttare e il passaggio dall'Oblio al mondo reale (e viceversa) le avevano scombinato completamente la percezione dello spazio e della profondità.
Di testa, se possibile, stava decisamente peggio, tanto da non sapere da dove incominciare a processare l'ammasso urlante di sentimenti che la vessavano, impedendo al suo fisico di guarire.
Il pensiero predominante era dato dalla certezza che fosse sopravvissuta di nuovo a un viaggio nell'Oblio e, per la seconda volta, era avvenuto a spese di qualcuno.
Il suo sguardo ancora tremava, mentre cercava di metabolizzare tutto ciò che aveva vissuto, cercando allo stesso tempo di incastrarlo nel modo migliore nel senso di perdita.
Non si voltò nemmeno, quando la porta dello sgabuzzino venne aperta, così come non mosse un muscolo quando Cullen prese posto al suo fianco, altrettanto esausto.
Le loro mani si cercarono automaticamente e si allacciarono, alla ricerca del conforto reciproco.
Dopo un tempo interminabile a fissare il vuoto, i loro sguardi si sfiorarono appena.
-Solas non ha trovato niente nei sogni.- mormorò lei, rauca.
Cullen non si scompose. -Continueremo a provare.- rispose, semplicemente. Aspettò giusto un istante, prima di decidersi a guardarla.
Ci mise molto tempo a decidere se aprire di nuovo bocca o restare in silenzio, perché era ovvio che anche la sua testa stesse facendo una fatica immonda a elaborare ciò che era successo. Alla fine, optò per la seconda, limitandosi a rinnovare la stretta sulla mano della donna che amava, lieto di poterlo fare, ma anche amareggiato per non riuscire a fare di più.
Lavellan spostò faticosamente il viso nella sua direzione, alla ricerca di indizi, poi ritornò a prestare attenzione al nulla dipinto sul soffitto. -Sarebbe stata una gran bella caccia.- mormorò.
Cullen le accarezzò il viso con uno sguardo appannato dal dolore. -Niente a che vedere con quella che ci aspetta.- suggerì.
-Sempre che ci arriviamo interi.-
-Ci arriveremo, e poi tireremo fuori Hawke dall'Oblio per rinfacciargli che abbiamo salvato il mondo senza di lui.-
-Credi che sia ancora...-
-Non lo credo soltanto. Lo so.-
Lavellan annuì piano, poi chiuse gli occhi. -Ma serannas.- disse, in un sussurro.

Per Alistair era stato facile andarsene, sfruttando la situazione caotica che si era sprigionata di conseguenza all'assedio.
Nonostante chiunque la trattasse come un'altra grande vittoria dell'Inquisizione, non lo era stata. Per lui, prima di tutti.
Eppure, il suo ordine era stato graziato, molti dei suoi confratelli erano sopravvissuti e lui ne era uscito vivo. Quell'ultimo punto lo faceva imbestialire, perché lui era vivo a scapito di qualcun'altro. Qualcuno che non si meritava di essere lasciato indietro.
E allora se n'era andato, senza troppe cerimonie, perché continuare a fare buon viso a cattivo gioco non gli si addiceva.
Con il cappuccio calato su un viso grondante di delusione, percorreva a cavallo la nuova strada di legno che l'Inquisizione aveva costruito a ridosso delle paludi di zolfo. Altri Custodi erano partiti prima di lui e altri sarebbero partiti dopo di lui, quindi i soldati dell'Inquisizione non fecero troppo caso alla sua presenza. Qualora l'avessero fatto, c'era una buona possibilità che fosse per guardarlo male o lanciargli un insulto a denti stretti, perché a discapito dell'alleanza appena forgiata dall'Inquisitrice, molti dei loro compagni erano caduti ad Adamant per colpa di qualcuno che portava i suoi stessi colori.
Le assi di legno vibravano sotto al peso del suo passaggio, mentre il calore emesso dal sole del primo pomeriggio faceva tremare l'aria che lo circondava. Quando il legno diventò sabbia, non ci fu centimetro cubico d'atmosfera che non fosse distorto dall'azione del sole.
Dubitò dei fantasmi che il suo sguardo gli mostrava, concentrandosi sulla grande porta di fattura tevinteriana che dall'Accesso conduceva dapprima a una gola bassa e stretta, poi a territori meno ostili sul piano termico. Una volta varcata quella, i suoi pensieri sarebbero stati solo affare suo e avrebbe potuto gestirli senza farsi influenzare dalla caoticità della Rocca.
Dopo aver oltrepassato la soglia, si accinse a liberare un sospiro di sollievo. Il quale durò poco, perché a cento metri da lui, a cavallo, c'era l'ultima persona con cui aveva voglia di interagire.
-E quatto quatto se ne va, come un gatto che ha appena rubato un pesce dalla dispensa.- pronunciò Cullen, una volta che Alistair fu a tiro d'orecchio.
-Ho una missione importante da compiere, se non te lo fossi scordato.- rispose Alistair, sforzandosi di sorridere. Quella che apparve sul suo volto, al posto di un sorriso ironico, fu una smorfia di fastidio.
Cullen non gli impedì il passaggio, piuttosto manovrò le redini in modo che cavalcassero affiancati. -Non me lo sono scordato, no, e dovresti evitare di insultare la mia intelligenza.- fece.
Indugiarono in un silenzio nervoso per un buon tratto di strada, proseguendo senza guardarsi. Così raggiunsero un punto della gola in cui cavalcare in coppia era difficile, allora Cullen spronò il cavallo per occupare l'avanguardia.
Alistair scorse lo sguardo sul suo mantello, aggrottando la fronte. -Sei fuggito anche tu, insomma.- ipotizzò, notando le condizioni in cui versava. Per una persona ordinata come il suo interlocutore, essere sopravvissuto a un assedio non era una scusa valida per presentarsi macchiato e scarmigliato.
-Io non fuggo.- dichiarò Cullen, voltando appena il capo. -Ser Rylen si sta occupando dei miei doveri in mia assenza.-
-E l'Inquisitrice?-
Cullen esitò sulla risposta, che si concluse in un nulla di fatto.
Alistair strinse le labbra, spostando la testa altrove. -Stai fuggendo da lei, allora.-
-Non sto fuggendo.- ribadì Cullen, con una contrazione nervosa del tono di voce. -Sono fuggito da casa, da Kinloch, da Kirkwall... ora basta!-
Alistair deglutì. -Ti sta bene, insomma.-
Cullen aspettò di arrivare in un punto dove fosse possibile fare manovra, prima di fermarsi e condurre il cavallo in modo che potessero guardarsi negli occhi. E nessun sentimento mancava all'appello nel suo viso, quando fu il momento di confrontarsi vis à vis.
-Non mi sta bene, ma non sarebbe andata meglio se fosse rimasta lei indietro, o se tu fossi rimasto indietro.- puntualizzò. -In ogni caso, entrambi avremmo subito una perdita. Che perdita non è, tra l'altro, perché finché non gli posso sentire il battito sul collo, per me è vivo. Anzi, di sicuro sta meglio di me e di te messi insieme, solo che in un altro piano dimensionale.-
-A proposito di dimensioni, hai visto quant'era grosso quel demone?- sbottò Alistair, scendendo direttamente da cavallo. -Nessuno sopravvive da una battaglia del genere.-
Cullen seguì il suo esempio e si portò a fronteggiarlo. -Hawke non è "nessuno". Hawke è...- tentennò. -Hawke è Hawke, per la miseria! Se c'è qualcuno che può sopravvivere a una battaglia simile è lui. E puoi stare sicuro che non solo è sopravvissuto, ma l'ha pure vinta e ora se ne sta vantando con qualche spirito. Dobbiamo solo trovare una porta e tenerla socchiusa abbastanza a lungo per permettergli di uscire.-
Alistair lo fissò a lungo, prima di aprire bocca. -Lo credi davvero, o ce la stai mettendo tutta per crederci?-
Cullen si passò una mano sulla barba faticosamente, per via dell'attrito. -Diamine, entrambe.- ammise, mentre spostava uno sguardo corrucciato altrove.
Alistair si avvicinò di un passo. -Tu cosa avresti fatto al suo posto?- domandò, nonostante sapesse già la risposta.
Cullen infatti non lo sorprese. -Quello che avete fatto voi due, ma al contrario vostro non le avrei dato possibilità di scelta.- affermò, con decisione.
Ed era quello che faceva infuriare Alistair: aveva delegato il suo destino a qualcun'altro. Di nuovo. E ancora una volta il filo più corto era capitato a un'altra persona.
-Non ti sto accusando.- precisò Cullen, a mezza voce. -Anzi, sono contento che tu sia qui e adesso.-
-Ma non è giusto.- concluse Alistair, per lui.
Cullen scorse uno sguardo triste su di lui. -No, non è giusto.- confermò.
Una folata di vento sabbioso li schiaffeggiò, costringendoli a proseguire. Portarono i cavalli a mano fino a un'insenatura della gola grande abbastanza da fornire un riparo e lì si fermarono, perché una chiusura era necessaria.
-Ne ho fatti tanti di atti di fede, per persone meno meritevoli di lei.- disse Cullen, osservando con aria pensosa la fitta nube di granelli di sabbia che il vento trasportava nell'aria in vortici.
-Ti fidi anche se l'ha fatto per convenienza?- domandò Alistair, raggiungendo l'obiettivo del suo sguardo. -Eppure, mi sembrava di averle detto che la mia voce non è così importante tra i Custodi.- diede una risata secca. -Vedi? Nemmeno a lei interessano i miei consigli.-
-Evidentemente, era un consiglio stupido.-
-Lo stai facendo anche tu, qui e ora.-
-Se pensi che l'abbia fatto per convenienza, ti sbagli.-
-E per cosa l'avrebbe fatto?-
Si pentì subito di averlo domandato. Era ovvio, d'altronde: si trattava di pura e semplice coerenza.
Difatti, Cullen lo guardò con aria dubbiosa, perché la domanda era realmente stupida.
Alistair si sfilò il cappuccio, passandosi una mano tra i capelli per prendere tempo. -Non dovrei lamentarmi così tanto per essere ancora vivo. Ma siamo esseri umani, alla fine c'è sempre qualcosa per cui lamentarsi. Più stupido è quel qualcosa, meglio è.-
-Sfondi una porta aperta.-
Alistair provò di nuovo a sorridere, e stavolta ci riuscì. -Appena lo trovi, digli che mi deve dodici sovrane.-
Cullen ricambiò. -Non li rivedrai mai più quei soldi, mettiti il cuore in pace.- affermò. -Ti piacciono proprio le cause perse.-
-Sono un Custode.- replicò Alistair, indicandosi. -Io sono il re delle cause perse.-
-Alla fine hai trovato una corona che ti stia bene in testa.-
Si scambiarono un'occhiata che descriveva il brodo di sensazioni che provavano nella maniera più coerente. C'era il sollievo di essere insieme in uno dei momenti più tristi delle loro vite, c'era la desolazione per le conseguenze di una vittoria che tanto vittoria non sembrava e, alla fine, c'era un grandissimo amaro in bocca per aver visto un grande ordine in ginocchio per colpa di un misero burattino... il tutto sorretto da una compostezza imposta dal carattere di entrambi, sempre disposti a rialzarsi nonostante lasciassero pezzi di sé nelle macerie.
-A proposito di testa, come va là dentro?- domandò Cullen, passando distrattamente una carezza sul muso del suo cavallo.
Solo allora Alistair si rese conto che c'era silenzio. Un silenzio che non sentiva da mesi. -Sto bene.- disse, con una lieve nota di sorpresa nel tono di voce.
Cullen distese i lineamenti del viso. -Nessuna sirena?-
-Nessuna sirena. Non più.- confermò Alistair, sentendo una porzione del fardello che portava dissolversi nel suo organismo. Andava bene, stava realmente bene. -Non l'ho ringraziata. Non per questo.- si lamentò, sottovoce. -Devo smetterla di delegare tutto agli altri.-
Cullen esibì un mezzo sorriso. -Forse hai bisogno anche tu di un segretario.-
-O di una testa nuova. Una che funzioni. O una che mi faccia crescere un po' di barba in più, magari.-
-Sai, ci sono uomini che farebbero carte false per non doversi radere ogni giorno.- Cullen si indicò. -Io sono "uomini".-
-Ecco una cosa su cui io e Hawke non siamo mai andati d'accordo.-
-Sulla barba?-
-Oh, no, su quella eravamo d'accordo.- rispose Alistair, afferrando le redini del suo cavallo.
-Mi riferivo a... beh...- descrisse Cullen con un gesto nervoso.
Cullen diventò la personificazione di un'espressione indignata. -Giuro che se smetti di rispondere alle mie lettere vengo là e te le faccio scrivere a forza!- sbottò.
Alistair inarcò un sopracciglio. -Ma se sei lì di persona non ha senso che ti scriva.-
-Vuoi davvero che venga a trovarti di persona sapendo che ti sgriderò a vita perché non ti degni di darmi tue notizie?- domandò Cullen, con aria scettica.
-Certo! Dobbiamo finire il nostro duello.- rispose Alistair, appoggiandogli una mano sulla spalla. -Tu pensa a tirare fuori Hawke da lì, io cercherò un arbitro che non sia di parte.-
Cullen si strofinò il naso con il dorso della mano, tirò su e poi annuì con decisione. -Già, una parità in un duello è come uno stufato senza la carne.-
-Una merda.-
-Anche meno, ma il sentimento è quello.-
Alistair sorrise, poi lo chiuse in un abbraccio. Non era un abbraccio di circostanza, era un abbraccio naturale, quasi fraterno. Di quelli che quando ti stacchi ti viene da rifilare una sberla amichevole sul viso di chi ti trovi davanti, o una scrollata di capelli per sdrammatizzare. Per loro fu una pacca sul braccio e un cenno d'assenso.
Cullen elencò una serie di raccomandazioni, dalle più pratiche ("Prendi il sentiero che porta a nord, così tagli un bel po' di strada") alle più premurose ("Se hai bisogno di rifornimenti mandami un corvo, te li faccio trovare alla stazione di scambio più vicina"). Alistair ribatté con una serie di rassicurazioni, come un bravo bambino che si allontana di casa per andare a catechismo ("Sì, mamma. D'accordo, mamma. Certo, ho messo la maglietta di lana").
Lasciarsi con l'obiettivo di restare in contatto non rese l'allontanamento più facile, ma rese quella transizione meno pesante, dando respiro a una situazione che cercavano in ogni modo di affrontare con il giusto approccio.
-Dalle un abbraccio da parte mia.-
-Quando sarà in vena, provvederò.-
-Ci conto.-
Salirono a cavallo e indugiarono in un sorriso d'intesa, prima di voltarsi e ritornare ognuno alle proprie vite, senza degnarsi di un addio che sarebbe stato inopportuno.
Era tutto in quell'abbraccio, e nella promessa che la prossima volta che si sarebbero rivisti non sarebbero stati da soli.


-Nota-

Giuro che se in Daddy non me lo tirano fuori di lì je vado sotto casa col forcone e le spese della terapista.
<3

   
 
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