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Autore: CedroContento    20/02/2023    2 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“L’incisione sta ancora lì. Se ci danno il permesso un giorno potrei portarti a vederla, assieme a Gimli magari. ‘Qui giace il settimo regno del popolo di Durin. Possa il Cuore della Montagna unire tutti i nani in difesa di questa casa’. Mi sono sentito scoppiare d’orgoglio così tanto a vedere cosa eravamo stati in grado di fare, noi nani, ai nostri tempi d’oro”. 
 
Gloin 
 

 
Il sole illuminava con i suoi ultimi raggi la fredda roccia della Montagna Solitaria, nel punto esatto in cui avrebbe dovuto esserci l’entrata segreta. La porta doveva essere alta un metro e mezzo, e - alla maniera dei nani - costruita in modo da fondersi alla perfezione con la pietra e sembrare parte stessa della Montagna. Se di suddetta porta ci fosse stata traccia. 
 
“Dev’essere qui,” ripeté per la milionesima volta Thorin, muovendosi avanti e indietro davanti al muro spoglio, la chiave stretta in mano. 
 
Gli altri nani avevano smesso ormai da un pezzo di tastare, picchiettare, auscultare o prendere a calci la parete. In cuor loro si erano già arresi all’evidenza: lì non c’era un bel niente. 
 
Forse avevano sbagliato qualcosa, forse non erano nel posto giusto, forse avevano mancato il momento e ora il tempo che avevano a disposizione era scaduto. Fatto stava che avevano fatto tutta quella strada, avevano sperato, rischiato di morire più di una volta in modo atroce, tutto per niente. Tutto solo per ritrovarsi davanti ad un vicolo cieco. 
 
Seduto in disparte, Bilbo guardava pensieroso la luce dorata del tramonto farsi strada tra i cumuli di nuvole candidi; uno spettacolo meraviglioso. Rimuginava sul fatto che se Gandalf fosse stato lì avrebbe certamente saputo cosa fare; forse avrebbe risolto tutto con un pochino di magia. Ma nessuno lo aveva ascoltato quando aveva ribadito che secondo lui avrebbero fatto bene ad aspettarlo. “Il raggio risolutivo del Dì di Durin risplenderà sul buco della serratura,” recitava intanto tra sé e sé. 
 
Aveva sempre adorato gli indovinelli, ma di quello proprio non riusciva a venire a capo. Non esisteva indovinello al quale non fosse riuscito a dare risposta, non c’era. Nessun dannato rompicapo che fosse rimasto un mistero per lui. Di certo non intendeva cominciare ora a perdere quel primato.
 
“Cosa ci è sfuggito?” domandò Thorin, ormai al culmine della disperazione. “Cosa ci è sfuggito, Balin?” chiese, quasi implorando, pur sapendo che il vecchio nano, una volta tanto, non aveva una risposta da dargli. E, nonostante lui fosse stato in cima a tutti a non volergli dare retta riguardo lo stregone, a Bilbo face male vederlo così; avrebbe voluto essergli di qualche aiuto o conforto. 
 
Balin si voltò verso il sole che inesorabilmente stava sparendo oltre la linea dell’orizzonte. “Ci siamo persi la luce,” sospirò tristemente. “Non c’è più niente da fare, avevamo una sola possibilità. È finita”.
 
Sta’ in piedi vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo, e l’ultima luce del sole che tramonta nel Giorno di Durin spenderà sul buco della serratura. Tutto lì. Quello era tutto ciò che aveva potuto leggere Elrond, sotto la luce della luna crescente della vigilia di mezza estate, traducendo le rune sulla mappa. 
 
Bilbo aveva la fastidiosa sensazione di essere vicinissimo alla soluzione. L’aveva proprio lì, alla sua portata, eppure gli mancava ancora qualcosa per afferrarla del tutto. Ma cos’era?
 
Continuando ad arrovellarsi il cervello, guardò il cielo, dove il sole era ormai quasi del tutto sparito ad ovest e la luna già cominciava a fare capolino. L’ultima luna d’autunno. 
 
Fu in quel momento che lo udì, un leggero toc toc provenire dalle sue spalle. 
 
Abbassò la testa di scatto e sobbalzò quando si accorse di essere completamente solo. Intento com’era a cercare di risolvere l’enigma, nemmeno si era accorto che i nani avevano cominciato a ridiscendere il sentiero dal quale erano arrivati. Avevano lasciato lì perfino la mappa, accartocciata a terra a riempirsi di polvere. 
 
La raccolse e fece del suo meglio per appiattirla, voltandosi al contempo nella direzione da cui proveniva il rumore. 
 
Si trattava solo di un uccellino tutto nero e il petto giallo picchiettato di macchioline scure. Teneva in mezzo al becco una noce e ne batteva il guscio sulla roccia, probabilmente nel tentativo di aprirla. Nient’altro che un uccellino, un piccolo tordo. 
 
“Ma certo!” gridò lo hobbit, mettendosi dritto in piedi, proprio in quel punto. Accanto alla roccia grigia. 
 
“Venite!” esclamò, euforico. “Ma dove diamine è finito Thorin?! Ci serve la chiave!” urlò, senza osare muoversi. “THORIN!” 
 
Nell’istante stesso in cui la testa di Thorin - che aveva un gran fiatone - ricomparì da dietro l’angolo e un ultimo raggio di sole rosso sbucava come un dito da uno squarcio nelle nubi, Bilbo udì un leggero scricchiolio alle sue spalle. Dapprima pensò che il tordo fosse riuscito nel suo intento di aprire la noce, ma con la coda dell’occhio vide invece una scheggia di roccia staccarsi dalla parete e cadere. Un foro apparve a circa un metro dal suolo. Il sole era ormai definitivamente scomparso, ma la luce della luna risplendeva su quello che aveva tutta l’aria di essere il buco della serratura che cercavano, appena visibile tra le rocce.
 
Thorin gli si avvicinò senza quasi osare respirare. Cautamente, infilò la chiave e la fece scattare, dopodiché appoggiò i palmi sulla pietra e fece una leggera pressione e lunghe fessure diritte apparvero a poco a poco, e si allargarono. A quel punto, Thorin si fermò per cercare con gli occhi Bilbo, e aspettò. 
 
Lo hobbit abbozzò un sorriso incerto, cercando di assumere un’aria incoraggiante. Annuì, e solo allora, con un’ultima spinta, Thorin spalancò la porta, che ruotò su cardini invisibili e si aprì silenziosa verso l’interno. Un cieco abisso che portava dentro e giù. 
 
Ce l’avevano fatta.
 
 
Bilbo venne investito da un forte ondata di aria stantia e polvere. L’interno della Montagna non era freddo e buio come si era aspettato. L’aria era calda e viziata, e una tenue luce arrivava dal fondo della galleria d’ingresso. 
 
“Eccola qui,” bisbigliò qualcuno alle sue spalle, e per poco a lo hobbit non prese un colpo ritrovandosi tutti e otto i nani alle spalle. Non li aveva affatto sentiti tornare. 
 
“Centosettantuno anni (1) . Ti ricordi, Balin, saloni pieni di luce dorata,” sussurrò Thorin, che invece doveva aver percepito la loro presenza. Non aveva ancora mosso un passo. 
 
“Me lo ricordo bene,” rispose il vecchio nano, tirando su col naso.
 
Poi, finalmente, il legittimo erede al trono di Erebor fu pronto a varcare la soglia. 
 
Gli occhi di Bilbo impiegarono diversi minuti ad abituarsi alla penombra, ma quando finalmente riuscì a scorgere qualcosa, capì subito che quelle caverne non assomigliavano a nessuna in cui avesse mai messo piede. Quello non era un rozzo covo di troll delle montagne, e perfino le sale del palazzo di Bosco Atro impallidivano al confronto. Pareti, soffitti e pavimenti erano dritti come righelli, lisci e levigati alla perfezione, ad accezione di raffigurazioni e rune che Bilbo non riusciva a decifrare, che correvano lungo tutta la galleria che stavano percorrendo.
 
L’emozione dei nani attorno a lui era palpabile, mentre, per la prima volta dopo più di cent’anni, lo scalpiccio dei loro passi infrangeva il silenzio solenne, totale, opprimente. Erebor era un luogo antico e sacro, e Bilbo quasi non si azzardò a respirare, per il timore di risvegliare i fantasmi che lo dimoravano. 
 
Per un attimo in lui riaffiorò la sensazione di essere fuori posto tra i nani. Dopotutto, loro avevano pieno diritto di stare lì, appartenevano a quel luogo. Lui non proprio, era sbagliato, e dentro gli crebbe il timore che qualche spettro potesse accorgersene e venisse a tirarlo per i piedi. Scassinatore, per la prima volta, gli sembrò decisamente appropriato come termine per definirsi. 
 
A circa metà del corridoio che stavano percorrendo, Bilbo scorse un grande arco in fondo ad esso. Più si avvicinavano e più riusciva a distinguere i minuziosi intarsi che lo  decoravano per tutta la lunghezza e l’incisione sopra la volta, che però non riuscì a tradurre. Ciò che lo colpì sopra ogni cosa però fu il disegno di un trono, sul quale torreggiava quello che sembrava uno strano diamante, che in qualche modo i nani erano riusciti a far brillare di una luce argentea che si irradiava sulla pietra scura tutt’attorno. 
 
“E quello cos’è?” chiese, indicandola. 
 
“Quella è l’Arkengemma, il gioiello che dà diritto al Re di regnare,” rispose Balin. “Tranquillo, la riconoscerai quando la vedrai”.
 
“Quando la vedrò?” ripeté Bilbo, aggrottando le sopracciglia. 
 
“Quella è il motivo per cui sei qui,” gli fece presente Balin. 
 
“Giusto…” annuì lo hobbit, fingendo nel gesto una convinzione che non aveva. 
 
Ma forse poteva valere la pena cercare di ingannare sé stesso, altrimenti proprio non sapeva dove avrebbe mai potuto andare a pescare il coraggio per proseguire da sé ancora più in giù, nel ventre della Montagna. Perché di lì in poi sarebbe stato solo, completamente solo. E quasi a rendere la cosa ancora più chiara, tutti i nani si fermano una volta che ebbero raggiunto l’arco. Gli occhi di tutti si puntarono su di lui, pieni di aspettativa. Quelli chiari di Thorin pesarono più di quelli di tutti gli altri messi assieme. 
 
Toccava a lui. 
 
 
Il piano avrebbe dovuto essere semplice: raggiungere la Montagna Solitaria, far recuperare ad un mastro Scassinatore esperto l’Arkengemma che lo avrebbe legittimato a diventare Re e radunare i Setti Eserciti dei Nani per scacciare il drago Smaug e riprendersi Erebor; il regno che era suo per diritto di nascita. 
 
Ma ora Thorin proprio non riusciva a spiegarsi perché si sentisse così confuso e titubante. Perché dentro di lui qualcosa urlasse di fermare tutto, per quanto cercasse di metterlo a tacere. 
 
In fin dei conti avevano progettato accuratamente come procedere fin dall’inizio. Ci avevano pensato bene e a lungo, lui e Gandalf. Non aveva che da riporre le sue speranze ne lo hobbit che avevano scelto. Bilbo era in gamba, poteva sicuramente farcela, e Thorin credeva in lui, si fidava di lui come di pochi altri. Bilbo lo aveva stupito tante volte, ma deluso mai, proprio mai. Quelle insicurezze erano solo sue. 
 
L’unico problema era che non si sentiva affatto lucido e obiettivo quando si trattava del suo hobbit, e sebbene avesse una gran voglia di correre a riprenderselo, si costrinse a resistere a quella tentazione. Quell’istinto era dettato unicamente dai suoi sentimenti, e i sentimenti non avevano posto ora. Doveva concentrarsi sulla missione, doveva concentrarsi sulla gemma; recuperarla era tutto quello che contava. 
 
“Ci sta mettendo troppo tempo,” fece notare Nori, interrompendo i suoi pensieri. 
 
“Diamogli altro tempo,” ribatté seccamente. Si stava ingannando da solo, illudendosi che sarebbe stato tutto facile? 
 
“Tempo per farsi uccidere?” si intromise Balin. 
 
“Hai paura,” constatò Thorin, voltandosi per guardarlo negli occhi. 
 
E fu sul punto di dirgli che avere paura era un lusso che non potevano permettersi, che avrebbe fatto meglio a controllarla, come stava facendo lui. Ma lo sguardo severo del vecchio nano lo indusse a mordersi la lingua, proprio come accadeva quando era un ventenne che cercava di capire come si sta al mondo. Dopo tutti quegli anni, Balin era ancora in grado di metterlo in soggezione; in altre circostanze ne avrebbe sorriso. 
 
“Sì, ho paura,” ammise quello, senza traccia di vergogna. “E ho paura per te. Una malattia grava su tutto quel tesoro, una malattia che portò tuo nonno alla pazzia, e tu in questo momento non sei te stesso. Il Thorin che conosco non esiterebbe a entrare u-” 
 
“Non metterò a rischio la riuscita di questa impresa per salvare la vita di…uno Scassinatore,” lo anticipò Thorin, sulla difensiva. Concentrarsi sull’Arkengemma era fondamentale. 
 
Ma Balin non si fece intimidire, e lo sguardo che gli lanciò lo passò da parte a parte. “Bilbo. Lo Scassinatore si chiama Bilbo!”
 
E aveva ragione. 
 
Cosa stava combinando? Non avrebbe mai dovuto lasciare che Bilbo andasse da solo. Era vero che non era lucido, ma non erano i sentimenti per Bilbo a renderlo cieco, era la fissazione per la gemma a fargli dimenticare cosa era veramente importante. E Bilbo era la cosa più importante. Bilbo era mille volte più importante di una stupida pietra, e lui lo aveva mandato dritto dritto tra le fauci di un drago sputafuoco che aveva sterminato intere città senza un briciolo di pietà. 
 
Avrebbero pensato ad un altro modo per recuperare il tesoro, ora doveva assolutamente raggiungere lo hobbit. Doveva salvare Bilbo dal pasticcio in cui lo aveva messo. 
 
Si voltò di scatto portando meccanicamente la mano sull’elsa della spada, e fece per attraversare la porta, ma in quell’istante la terra vibrò sotto i suoi piedi. 
 
Per un attimo che gli sembrò interminabile, tutta la Montagna tremò, e quello poteva significare solo una cosa: il drago era sveglio. Smaug era tornato. 
 

 
  1. Era il 2770 della Terza Era quando Smaug si insediò ad Erebor, e l’avventura per la sua riconquista si svolge tra il 2941 e il 2942 T.E. Sì, lo so cosa pensate, Thorin si porta bene i suoi 195 anni. Bilbo invece ne ha 51 (2890 T.E.). (su)
 
Angolino dell’autrice:
 
Ben ritrovati a tutti! Ogni tanto rispunto per dirvi due parole sulla storia.
Come vi sarete accorti questo capitolo è un pochino più breve degli altri. In realtà originariamente sarebbe stato parte di quello precedente, ma ho preferito tagliarlo perché cominciava ad essere veramente troppo. Il prossimo invece è quello dedicato a Smaug, che merita una bella entrata in scena e non mi andava di unirlo nemmeno a quello. Quindi, eccoci qui con un capitolo di passaggio - che temo zoppichi un po’, soprattutto nella prima metà, ma pazienza. 
Chi tra voi ha letto il libro potrebbe anche notare che ho ripreso molte descrizioni da Tolkien per quanto riguarda Erebor, è una parte che mi piace molto e in qualche modo volevo omaggiare le belle immagini del Settimo Regno dei Nani che ci ha descritto il Professore.
 
Ho anche preferito la versione della profezia che c’è lì, perché credo abbia più senso di quella del film, in cui in effetti non è che i conti proprio tornino con le frasi della mappa, volendole interpretare letteralmente come intendeva Tolkien. 
 
Questo è quanto.
 
Approfitto per un grazie enorme e un grandissimo abbraccio a chi ha seguito la storia fino a qui e continuerà a seguirla, all’Acorn Club perché siete le migliori, e ai nuovi lettori che si aggiungono ogni giorno <3
 
Al prossimo aggiornamento! (E armatevi di pazienza perché ancora siamo in alto mare)
 
   
 
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