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Autore: futacookies    22/02/2023    1 recensioni
{bakudeku - established relationship - happy ending}
Questo viaggio non s'ha da fare - ovvero, Bakugou alla prese con la minaccia della distanza e con una relazione che minaccia di infrangersi al primo colpo.
«Giovane Bakugou, non credo che ci sia molto che tu possa fare.» [...]
Katsuki non l’ha presa male. No. Nu-uh. Lui sta vivendo la faccenda con la serafica tranquillità dello sventurato poliziotto che deve tagliare il filo giusto per non far esplodere la bomba — filo rosso? Filo blu? Mancano 30 secondi, il tempo scorre, la tensione aumenta, tic toc, tic toc, si asciuga un rivolo di sudore e poi taglia. Zac! Ma lui ha tagliato il filo sbagliato e dopo un attimo di silenzio sgomento- BOOM! Sono morti tutti. Ma lui non l’ha presa male.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: All Might, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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NdA (in ritardo ma meglio che mai): scritta per la prima settimana del Cow-t 13 indetto da Lande di Fandom con il prompt: “Non mi importa di avere ragione se poi resto sempre da solo”. Era da un po’ che avevo voglia di torturare Bakugou, quindi eccoci qui. Potrebbe essere ooc? Sì. Penso che sia perfettamente giustificato (l’ooc, ovvio)? Sempre sì. È qualcosa a metà tra la commedia (solo perché finisce bene), la tragedia (per tutto quello che viene prima) e il pippone mentale (tutto quello che c’è in mezzo) e be’, spero che vi piaccia!

Buona lettura!


 


In guerra e in amore



 

«Ah! Bakugou-kun, non pensavo di trovarti qui!»

Il preside Nezu, arrivato in ufficio dopo averli fatti attendere per una mezz’oretta, sembra particolarmente allegro. In realtà Katsuki, che lo ha salutato con un goffo inchino, non dovrebbe essere lì. Izuku era stato convocato per quella mattina e lo aveva supplicato di accompagnarlo e lui aveva magnanimamente accettato, dal momento che è un ottimo fidanzato — o almeno si sforza di esserlo, perché se deve essere il migliore in tutto tanto vale essere anche il migliore dei fidanzati.

(Okay, non è andata esattamente così. Izuku non l’ha propriamente supplicato, e lui non ha magnanimamente concesso un bel niente, ma dal momento che dopo questa visita avevano già deciso di vedersi, nessuno dei due aveva trovato obiezioni al pensiero che Katsuki fosse lì con lui — al suo fianco, dove voleva essere e dove sarebbe sempre stato.)

«In ogni caso, è sempre un piacere vedervi.» continua il preside, arrampicandosi sulla sua sedia girevole. 

«Bene, bene.» borbotta al termine dei convenevoli. «Non voglio trattenervi più del necessario. Dimmi, Midoriya-kun, hai già deciso cosa fare, adesso che vi siete diplomati?»

Izuku, accanto a lui, si irrigidisce. Katsuki sa che è un argomento delicato: nonostante la pronta offerta di Endeavor di unirsi alla sua agenzia, Izuku sta ancora temporeggiando — ci sono troppe cose sul suo piatto, tra l’agenzia di Nigheye, adesso gestita da Bubble Girl, in cui già da tempo lavora anche Togata-senpai, e la proposta di Gran Torino di affinare ulteriormente il suo addestramento prima di riprendere esplicitamente il ruolo di hero. 

«Non saprei dirglielo con esattezza.» mormora Izuku, grattandosi il collo imbarazzato. «In realtà ci sto ancora riflettendo.»

«Oh, splendido, splendido! In questo caso, che ne diresti di passare un po’ di tempo a lavorare negli Stati Uniti?»

«Eh?»

«AH?»

Katsuki si volta verso Izuku e gli lancia uno sguardo infuocato. Si sono alzati entrambi, spingendo all'indietro le sedie su cui stavano fino a pochi momenti prima, ma se Katsuki sembra genuinamente irritato anche al solo pensiero, gli occhi di Izuku stanno scintillando di eccitazione. 

Il preside Nezu si sfrega energicamente le zampe. 

«Mi fa piacere vederti così entusiasta. Sai, l’agenzia presso cui All Might aveva fatto lo stage — saranno passati quasi trent’anni — be’, loro speravano di contattare la tua agenzia e magari proporre uno scambio, ma dal momento che non lavori ancora ufficialmente per nessuno hanno pensato di rivolgersi a me! Eh eh! Sì, sì, penso proprio sia quello che ti ci vuole. Passerò ad All Might tutta la documentazione necessaria e lui si occuperà delle scartoffie e ti spiegherà un po’ come muoverti. Bene, il mio lavoro qui è terminato. Buona fortuna, Midoriya-kun. Bakugou-kun.» li congeda, agitando amichevolmente una zampa. 

Appena fuori dal suo ufficio, Izuku è così eccitato che a malapena riesce a non tremare. 

«Ci pensi, Kacchan? Andrò a studiare in America, proprio come All Might!»

Katsuki, che tutto si aspettava da quel colloquio fuorché quello che era appena successo, lo guarda con un misto di incredulità ed irritazione.

«Davvero stai pensando di accettare?», domanda, assottigliando gli occhi.

«Perché, pensi che non dovrei farlo?» 

Izuku lo sta guardando come se gli fosse uscita una seconda testa, come se gli avesse detto che la Terra è quadrata e lui lo sa perché in realtà viene da Marte. Perché, pensi che non dovrei farlo? La risposta gli sembra banale. Scontatissima. Certo che non deve farlo. Che pensiero assurdo, lasciare tutto — lasciare lui — e fuggire in America per- per quanto tempo, poi? Qualche mese? Un anno? Forse perfino di più. Eh, se lo ricorda bene, il periodo americano di All Might. Cinque lunghi anni prima di tornare in patria e- e Izuku non vorrà mica imitarlo?

«Ma sei impazzito?» sibila, trascinandolo per la manica del giubbotto lontano dall’ufficio del preside. «Izuku tu non- non fai mica sul serio?» insiste, petulante. 

Izuku si scrolla la sua mano di dosso. È chiaramente ferito, non c’è nemmeno bisogno che glielo dica, c’è l’ha proprio scritto in faccia che non era questa la reazione che si aspettava, quella che voleva da lui — il migliore dei fidanzati possibili forse non si sarebbe comportato così, ma in questo momento Katsuki sente che Izuku non meriti davvero tutto l’impegno che ci sta mettendo, non quando già si sta immaginando in un altro Paese, a vivere una vita diversa da quella che hanno in Giappone, magari con qualcun altro al suo fianco. 

«Certo che faccio sul serio.» sbotta, incrociando le braccia al petto. 

«È una follia! Non puoi mica andartene così!»

«Non parto mica domani, Kacchan!»

«Non- non è questo che mi preoccupa. La situazione qui già fa abbastanza schifo, cosa penseranno tutti se anche Deku, il grande eroe della lotta contro Shigaraki e All for One, ci molla all’improvviso?»

«È questo che ti preoccupa?»

No, ovviamente. Be’, sì, in realtà lo preoccupa anche questo — ma solo relativamente. Cosa farebbe lui se Izuku si trovasse così bene in America da scegliere di restarci? Cosa gli accadrebbe se Izuku decidesse che in fondo non vale la pena trascinare una relazione a distanza? Hanno un equilibrio così delicato, loro due. Izuku pensa, pensa tanto, pensa a tutto, ma della loro relazione non sembra preoccuparsi granché. L’unico che ci pensa, l’unico che si preoccupa, come un idiota, come un cretino, è lui. Ci ha messo tanto per venire a patti con i suoi sentimenti per Izuku e ogni giorno che trascorrono l’uno accanto all’altro è implicitamente sia sfida che vittoria — ma da solo- senza di lui, Katsuki non può vincere.

 

***

 

«Non penso che dovresti farlo.»

Izuku, steso accanto a lui, sospira rumorosamente. Katsuki sa che avrebbe fatto meglio a restare zitto — sa che di tutti i momenti per tirare fuori l’argomento questo forse è uno dei peggiori — però proprio non ci riesce a non ripeterglielo. 

«Kacchan-» mugugna Izuku, girandosi su un fianco per dargli le spalle. «Ne abbiamo già parlato.»

Il suo tono stanco e scocciato sembra volerlo mettere a tacere a tutti i costi: Katsuki apre la bocca, sbuffa, la richiude e ci pensa per un po’. Certo che ne hanno già parlato: non hanno fatto altro che discuterne da quando Izuku ha ricevuto la proposta di trascorrere un periodo non meglio definito negli States, come già aveva fatto All Might prima di lui. Avranno ben pensato che fosse giusto offrire la stessa opportunità anche al suo discepolo.

Lui — e grazie tante per aver chiesto la sua opinione — non può dirsi più contrario. Non è un buon momento per allontanarsi dal Giappone, con una situazione instabile che rischia di frantumarsi da un momento all’altro. Poco importa alla popolazione che loro abbiano sacrificato qualunque cosa, pur di eliminare la minaccia di Shigaraki e All for One — gli eroi sono sempre meno popolari, sempre più invisi e sulla buona strada verso l’estinzione, almeno a giudicare dai tassi d’iscrizione della UA, calati vertiginosamente nell’ultimo anno. 

Se se ne va Deku, luminoso faro che volente o nolente ha guidato e ispirato heroes di ogni sorta negli ultimi due anni, che messaggio potrebbe mai passare? Non è detto che lo sia, ma potrebbe significare la fine per tutti loro — il Giappone ha bisogno di Deku, gli heroes hanno bisogno di Deku e lui- lui- lui ha bisogno di Izuku.

Forse, se avesse il coraggio di dirglielo chiaramente, Izuku resterebbe. Forse, se glielo chiedesse non per qualunque obbligo superiore che lui ha portato a mo’ di obiezione, ma perché è lui che lo vuole disperatamente, forse potrebbe fare la differenza. 

«Izuku-» mormora, seguendo con un dito il profilo della sua nuca, dell'avambraccio, del fianco destro, per poi arpionarlo e stringerlo più vicino a sé. 

«Kacchan~» mormora, stavolta condiscendente, voltandosi verso di lui per stringerli le braccia intorno al collo e tirarlo giù verso di sè. Katsuki insegue le sue labbra, le cattura, si bea di ogni suo respiro, di ogni gemito che gli ruba accarezzandogli lentamente l’interno coscia finché- 

«Non andartene.» gli scappa e Katsuki non crede di essersi mai sentito più patetico che in questo momento. 

Il sospiro di Izuku questa volta non è soltanto rumorosamente scocciato — è sfinito, quasi cattivo e Katsuki si sente incredibilmente in colpa per aver rovinato l’ennesimo momento di intimità, ma è proprio più forte di lui: non riesce a stringerlo tra le braccia con tanto abbandono e desiderio se l’unica cosa a cui pensa mentre lo guarda è che ormai hanno i giorni contanti. Un paio di settimane, tutt’al più un mese prima che salga su un aereo che metterà troppi chilometri tra di loro perché lui possa anche solo lontanamente sperare di contarli — troppi perché lui possa anche solo lontanamente sperare di colmare la distanza.

Perché Katsuki la sua decisione l’ha presa, e lui resta. Non che qualcuno gli abbia esplicitamente offerto la stessa opportunità di Izuku, ma se avesse davvero voluto andarsene non gli sarebbe nemmeno stato troppo difficile — il punto è che lui sa dov’è il suo posto e il pensiero che Izuku non sia così certo nella sua scelta, che abbia vacillato, che anzi abbia  ceduto al pensiero di andarsene e lasciarlo lì lo manda ai pazzi. 

«Izuku-» soffia ad un palmo dal suo viso, ma lui non ci sta: stringe le ginocchia intorno ai suoi fianchi e lo ribalta, trovandosi a cavalcioni su di lui. «Izuku-» tenta di nuovo lamentoso, ma lui scuote la testa e spinge i fianchi contro i suoi. Katsuki afferra il lembo della sua maglietta e la tira su, rivelando una mappa di cicatrici posta a decorare i suoi addominali scolpiti, il petto che si alza e si abbassa affannosamente, i fianchi magri che scompaiono nei suoi jeans.

«Questo è imbrogliare.» afferma Katsuki, slacciandogli la cintura e sbottonandogli i pantaloni. 

«L’ultima volta che ho controllato-» ribatte Izuku, spostandosi di lato per scalciare via i jeans prima di tornare su di lui «tutto era lecito in amore.»

«Se è per questo, anche in guerra.»

Izuku ridacchia e si riversa su di lui: gli scosta una ciocca bionda dalla fronte e lo bacia, prima sullo zigomo, poi la guancia e la mascella, sotto l’orecchio, sul collo e Katsuki chiude gli occhi e pensa che non importa, quanto Izuku lo faccia impazzire, perché tra poco le sue mani che ai intrufolano lentamente sotto i suoi pantaloni saranno soltanto un ricordo — o più probabilmente un sogno erotico.

«Ehi, Terra chiama Kacchan.», mormora Izuku, lasciandosi cadere a peso morto sul suo petto. «Io sono ancora qui.» 

«Sì.», Katsuki, ancora stordito dai suoi pensieri, annuisce sommessamente.

«E tu dove sei, Kacchan?»

«Dovunque sei tu.»

«Bene.», concorda Izuku, scivolando accanto a lui e sprofondando con la schiena nel materasso. «Allora vieni da me.», mormora, afferrando le sue mani e tirandoselo addosso. «Allora vieni qui e amami, Kacchan.»

E Katsuki fa esattamente quello che gli è stato chiesto, mentre mette il suo corpo, la sua bocca, le sue mani al servizio di Izuku, adorando ogni centimetro di pelle su cui riesce ad arrivare, possedendolo con una smania che quasi gli è estranea, respirando i suoi gemiti come se fossero tutto l’ossigeno di cui ha bisogno — eppure, in tutti questi istanti, risuona nella sua mente un gong infernale che gli ricorda che se Izuku in quel momento è lì, sotto di lui, tra un mese solo gli dei sanno dove sarà. Katsuki non è mai stato dedito alla preghiera, ma da qualche parte nel suo animo trova la forza di supplicare che Izuku non gli venga portato via.

 

***

 

Katsuki ci ha pensato. Si è sforzato a lungo, ha fatto una lista, ha preparato un discorso. È stato un impegno tanto encomiabile quanto futile, almeno a detta di Best Jeanist, che lo ha osservato curioso per una lunga settimana di preparazioni. E adesso che si sente pronto, con il suo bel discorso e il suo elenco puntato e ordinato, si avvia a quella che è, senza ombra di dubbio, la sua ultima spiaggia, l’ultimo fare di speranza di poter convincere Izuku che non c’è motivo di andar via e che anzi, ci sono numerosi ottimi motivi per restare — e uno, più di tutti, che Katsuki non ha avuto il coraggio di aggiungere alla lista, perché è un codardo e ha il terrore di scoprire davvero che lui non è abbastanza, da solo, per far restare Izuku. 

«Giovane Bakugou, non credo che ci sia molto che tu possa fare.» 

Il tono di All Might è severo, ma sinceramente compassionevole. All Might l’ha ricevuto, lo ha ascoltato con interesse e forse con una punta di preoccupazione di fronte alle decine di obiezioni che ha brillantemente posto. Gli ha servito del tè caldo per distendere i suoi nervi e ha conversato del più e del meno mentre Katsuki ha cercato le ultime briciole di coraggio prima di iniziare a parlare — gli sembra ridicolo, essere così spaventata, ma il pensiero di perdere Izuku e non far niente a riguardo è molto più terrificante del suo attuale stato di debolezza. 

«Non mi fraintendere:» continua, mentre Katsuki, camminando avanti e indietro, consuma il pavimento di legno scuro  del suo ufficio «personalmente, credo che tu abbia ragione. Ma piuttosto che pensare a cosa sia meglio per il Giappone o per tutti noi, non dovremmo forse preoccuparci di quello che sia meglio per il giovane Izuku? Dopo tutto quello che ha passato, costruirsi una nuova identità in un Paese diverso dal nostro potrebbe fargli bene.»

Katsuki lo guarda, fa una smorfia impietosa e apre la bocca per controbattere. All Might lo ferma prima che possa iniziare.

«Alla sua età avevo già perso la mia maestra, ma avevo ancora tantissima strada da fare prima di riuscire portare sulle mie spalle un fardello come il suo. Sotto molti aspetti il giovane Izuku mi ha già sorpassato — ma non per questo dovrebbe farsi carico del destino del nostro Paese.»

Katsuki resta in silenzio. È davvero la cosa migliore per Izuku? Andarsene e mollarli tutti lì, mollarlo lì senza dispiacersi troppo per tuffarsi in una nuova avventura, sgravarsi del peso che lui cerca in tutti i modi di mettergli in groppa? No. No, non può essere così. Ci deve essere un errore da parte di All Might, ci deve essere un modo per convincere prima lui e poi Izuku che questa cosa non ha assolutamente senso. 

Katsuki cammina ancora un po’, indeciso sul da farsi. All Might gli rivolge sguardi accondiscenti che sembrano volergli suggerire che ha tutto il tempo del mondo per digerire la cosa, tanto lui non lo caccerà mica. Si appoggia allo stipite della finestra. L’ufficio di All Might affaccia sui campetti scoperti dove si allenavano per la corsa — sembra secoli fa, quando a fare a gara su quelle piste c’erano lui e Izuku, invece sono passati soltanto pochi mesi e Izuku gli sta già scivolando tra le dita. 

«Lui non-» tenta. «Non può-» riprova. «Io-» sussurra quasi stridulo, aprendo e chiudendo i pugni — lui non capisce, non può partire, io ho bisogno di lui. Ma non riesce a dirlo. 

«Giovane Bakugou» sospira All Might, avvicinandosi per stringergli una spalla. «Sappiamo entrambi che non è a me che devi fare certe confessioni. Siete sempre stati dei giovanotti turbolenti, ma mi era parso di capire che ultimamente le vostre divergenze si fossero- conciliate

Katsuki, che gradirebbe immensamente che il pavimento si aprisse per ingoiarlo, grugnisce in risposta. All Might, che forse ha passato troppo tempo che Izuku, che gli ha attaccato come un virus questa smania di analizzare tutto, sembra aver esaurito i consigli da dare. Il té che gli ha offerto un’ora prima si è raffreddato e lui ha ormai compreso che non ha senso continuare a battere questa pista — per All Might il bene di Izuku viene prima di tutto e se Katsuki ha intenzione di opporsi, allora dovrà sbrigarsela da solo. 

 

***

 

Katsuki non l’ha presa male. No. Nu-uh. Lui sta vivendo la faccenda con la serafica tranquillità dello sventurato poliziotto che deve tagliare il filo giusto per non far esplodere la bomba — filo rosso? Filo blu? Mancano 30 secondi, il tempo scorre, la tensione aumenta, tic toc, tic toc, si asciuga un rivolo di sudore e poi taglia. Zac! Ma lui ha tagliato il filo sbagliato e dopo un attimo di silenzio sgomento- BOOM! Sono morti tutti. Ma lui non l’ha presa male. 

Stamattina Izuku ha avuto il barbaro coraggio di chiedergli di accompagnarlo a comprare le ultime cose che gli servono per la partenza. Mancano ancora due settimane, ma lui non ha alcuna intenzione di arrendersi — arrendersi significa permettere a Izuku si salire indisturbato su quel benedetto aereo e lui preferirebbe di gran lunga tenerlo legato e imbavagliato nell’armadio piuttosto che lasciarlo andare. 

«Ehi, Kacchan!» saluta Izuku, montando sul sedile posteriore della moto. «Grazie dell’aiuto.» continua, scoccandogli un bacio sulla guancia. 

Katsuki arrossisce — detesta quando succede: ha una reputazione da mantenere, lui, e poi aveva già deciso che avrebbe fatto la parte del sostenuto. Come può mostrarsi freddo e distaccato e arrabbiato — cosa che effettivamente è — se Izuku dal nulla si avvicina, gli stringe le braccia intorno al vita e si sporge oltre la sua spalla per soffermarsi per un istante troppo breve sulla sua guancia? Sebbene sia ormai abituato ad un intimità ben più intensa con Izuku, questi atti così spontanei e sinceramente affettuosi ancora lo mandano in confusione.

«Sai, non mi aspettavo che accettassi. In realtà avevo quasi chiesto ad Uraraka di-»

«AH?»

«Be’, sai, dopo la discussione dell’altra volta-»

Katsuki, che stava per accendere la moto, sospira e abbassa il cavalletto. 

«Izuku.»

«Sì?»

«Sei un idiota. Sei- un cretino, davvero, io non capisco come girino le rotelle nel tuo cazzo di cervello.» sbotta, schioccandogli la fronte. 

«Io- io sono arrabbiato con te? Sì. Ce l’ho a morte con te in questo momento. Proprio adesso.» insiste, girandosi per guardarlo e afferrargli il mento. «Ma se pensi che sia un valido motivo per trattarti male allora non hai ancora capito nulla.»

«E poi-» riprende, voltandosi e mettendo in moto «non sono mica io il cattivo, qui.»

Izuku sbatte il casco contro il suo, nel goffo tentativo di dargli una testata.

«Stai forse insinuando che io sia cattivo?»

«Oh, no. Non lo sto insinuando, lo sto apertamente dicendo.»

«E sentiamo, da quando inseguire i propri sogni è una cattiveria?»

Impegnato a svoltare tra biciclette e motorini, Katsuki usa il traffico cittadino come scusa per non rispondergli immediatamente. Izuku ancora non demorde, naturalmente e continuando ad insistere Katsuki sa di non fare del male soltanto a lui, ma pure alla loro relazione — non è un lusso che normalmente si concederebbe, ma quante altre scelte ha? Dalla risposta di Izuku è evidente che lui non è compreso nei suoi sogni, non c’è abbastanza spazio per la loro relazione e l’ombra di All Might che Izuku è ancora impegnato a rincorrere. E cosa ci dovrebbe fare, lui, con questa consapevolezza?

«Lascia perdere, Izuku. A questo punto, non penso che riusciresti a capire.»

«Ma io-» sbotta, impazienti, stizzito, «io voglio capire! Qual è il problema, Kacchan?»

Katsuki frena bruscamente ad un semaforo rosso — per un attimo, per un solo, glorioso istante pensa di confessargli tutto. Il problema è che lui se ne vuole andare e non si è preoccupato nemmeno per un secondo di come lui potesse reagire. Entusiasta dal primo momento in cui gli è stata avanzata la proposta, lo ha cacciato completamente dalla visione d’insieme e ha continuato a comportarsi come se non fosse impegnato in una relazione, come se lui non contasse niente, come se non gli importasse niente e questa cosa gli aveva fatto male in un modo straziante, un dolore pungente al petto che aveva provato a causa delle ferite e delle battaglie, ma che mai avrebbe pensato potesse essere causato da Izuku.

E poi pensa che sia tutto inutile. In fondo già gliel’ha chiaramente detto. Se a questo punto ancora non c’è arrivato, se dice di non riuscire ad immaginare quale possa essere il problema, allora le opzioni sono due: o davvero non c’è speranza che possa capire la sua posizione, nemmeno se gliela spiegasse dettagliatamente, oppure sta facendo finta — sta tirando la corda a suo rischio e pericolo nella speranza che lui si esponga e gli riveli i suoi veri sentimenti. Perché dovrebbe mai volerlo sottoporre ad una tortura del genere, Katsuki non lo sa, ma dubita fortemente che Izuku possa essere davvero così ottuso da non averlo ancora capito. 

«Sai una cosa, Izuku? Non c’è nessun problema. Nessunissimo problema.» commenta, con un mezzo sorriso che potrebbe all’apparenza sembrare divertito ma che in realtà rasente l’isteria. «Siamo pure arrivati al centro commerciale.» aggiunge, parcheggiando la moto. «Allora, cos’è che ti serve?»

Izuku sbuffa. Normalmente non si accontenterebbe di una risposta del genere, ma deve averne davvero fin su i capelli, delle loro discussioni, perché scuote le spalle e caccia dalla tasca una lista ordinata.

«Un completo elegante, qualche felpa — mamma ha detto che non posso mica girare con le felpe di All Might, altrimenti non faranno altro che paragonarmi a lui — e beh, cose così.» spiega, un po’ mogio. 

Katsuki- Katsuki si sente in colpa. Già è un po’ di tempo che si sente, con questa sensazione oppressiva che in fondo sta facendo un sacco di scenate per nulla, sta facendo soffrire Izuku inutilmente, non si sta affatto comportando come dovrebbe, perché se il suo posto dovrebbe essere sempre accanto a Izuku, allora il suo ruolo dovrebbe essere quello di continuo, rassicurante, strenuo supporto. Invece che pensare a tutti i motivi per cui Izuku non dovrebbe andare, Katsuki dovrebbe semplicemente sorridergli a trentadue denti e dirgli che non si apsetta di meno da lui che il migliore dei risultati possibili — dovrebbe dirgli che non è mica una sorpresa, che lo vengano a chiamare pure da altri Paesi, perché lui è un eroe capace di gesta incredibili. Dovrebbe dirgli che lui è incredibilmente orgoglioso di lui — perché lo è, davvero. Ma tutto l’orgoglio che può provare e tutto l’amore che sente per Izuku non sono abbastanza per sostenerlo di fronte al terrore di perderlo.

«Ehi, Izuku.», lo chiama, mentre l’altro è impegnato a vagliare felpe e maglioni colorati. 

«Mhh? Che c’è, Kacchan? Visto qualcosa che ti piace?»

«Mhh» Katsuki finge di pensarci un po’ mentre lo afferra per la vita per stringerlo a sé «in effetti, tu mi piaci parecchio.» confessa, mordendogli appena l’orecchio.

«In effetti, neanche tu sei troppo male.», risponde Izuku, piegando la testa per esporre il collo. Katsuki ci si avventa senza farsi ripetere l’invito due volte: solitamente Izuku è restio a qualunque tentativo di effusioni pubbliche, troppo preoccupato di cosa tutti gli altri possano pensare per lasciarsi effettivamente andare — e non ci vuole troppo prima che Izuku si renda conto che le due file di manichini dietro cui sono nascosti non serviranno a proteggerli a lungo.

«Kacchan- Kacchan, aspetta!»

«Mhh, sia mai che qualcuno pensi che abbiamo una relazione.» sbotta, allontanandosi appena. 

Izuku, arrossito e affannato, non risponde immediatamente. 

In fondo, ma poi non così in fondo come si potrebbe immaginare, Katsuki è terribilmente insicuro quando si tratta di Izuku e della loro relazione: consapevole che il filo che li tiene uniti è sottilissimo, lui non dimentica che c’è stato un momento della loro vita in cui l’ha trattato in modo orribile — e chi glielo garantisce che Izuku se ne sia dimenticato, che non lo scaricherà appena avrà trovato qualcuno di migliore, che possa dargli qualcosa di cui Katsuki non è ancora capace?

«Sai che non è così, Kacchan.»

«Mhh, certo, ‘zuku.» mormora, dandogli un bacio tra i capelli. «Se lo dici tu.»

 

***

«La vuoi sapere una cosa, Kacchan? Sei una grande testa di cazzo.»

«Ah beh, sai come si dice: ce ne vuole una per riconoscerne un’altra!»

«Ah, e da quanto te la stavi tenendo pronta, questa risposta di merda?»

«Fossero le mie risposte di merda, il problema-»

«Oh, adesso te lo dico io qual è il problema, Kacchan! Il problema è che tu sotto sotto sei un enorme insicuro e non sei capace di pensare che io possa continuare ad amarti anche se non sono qui vicino a te, perché tutto quello che fai è ripeterti che potrei trovare qualcuno migliore di te. E a questo punto, potrei iniziare a pensarlo anch’io.»

Stanno litigando. Questo non gli sembra il solito discorso sterile dopo il quale Katsuki fingerà di non aver parlato e Izuku farà finta di non aver sentito — stavolta sono entrambi troppo frustrati per far finta di niente e lasciar stare. 

A onor del vero, è cominciata come al solito: Izuku che raccontava degli ultimi preparativi per la partenza ormai imminente e Katsuki che proprio non ce l’ha fatta a star lì seduto mentre gli diceva come non vedesse l’ora di partire — e se Izuku è semplicemente emozionato per la nuova avventura che lo attende, tutto quello che Katsuki riesce a sentire è che non aspetta altro che il giorno in cui si sbarazzerà di lui. Non riesce a sopportarlo. C’è un fuoco che gli scorre furioso nelle vene alla vista della valigia ormai quasi chiusa, al pensiero che il ragazzo che ama non sembra nemmeno lontanamente dispiaciuto al pensiero di lasciarlo. 

Forse gli sarebbe bastata un’attenzione in più, un gesto mirato a rassicurarlo, a permettergli di affrontare il distacco con la giusta serenità. Invece Izuku è un egoista e Katsuki è un codardo e a dirlo ad alta voce sembra tutto sbagliato, ma è proprio quello che sono in questo momento.

Sotto i poster di All Might che sembrano guardarlo con lo stesso misto di rimprovero e compassione del loro mentore originario, Katsuki non riesce più a trattenersi. 

«Sei davvero così contento al pensiero di andartene?» sbotta, aggressivo.

«Kacchan-»

«No, dico, almeno un minimo di- non lo so, riguardo? - nei miei confronti, è troppo da chiedere?» si passa una mano sulla faccia «Io capisco che- non è vero, non lo capisco perché sei così contento, ma almeno potresti far finta che ti dispiace il pensiero di lasciarmi qui?»

«Non essere ridicolo, Kacchan, è ovvio che-»

«Cosa? Cosa sarebbe ovvio? Perché qui non è ovvio un cazzo. L’unica cosa ovvia in questo mese è che tu non hai esitato nemmeno un momento a mandare tutto all’aria per andare a giocare a fare All Might in America.»

«Io non sto-»

«Ahh, risparmiami le palle. Non ti rendi conto che le tue azioni colpiscono anche me? Che mi feriscono?»

«Tu parli di ferire? Per amor del- Kacchan, tutto quello che hai fatto da quando ho ricevuto la proposta è stato soltanto criticare, lamentarti, dubitare di me e-»

«Cos’altro avrei dovuto fare, eh? Non mi pare che tu mi abbia dato motivo di fare altrimenti-»

«La sai una cosa, Kacchan-?»

 

***

 

«Che gran coglione.»

«Hai visto? Te l’avevo detto, è uscito completamente fuori di testa.»

«Non lui, Bakugou. Tu.»

Katsuki si è svegliato stamattina alle cinque per andare a correre. Ha poi saltato la colazione, notoriamente il pasto più importante della giornata, perché aveva accesso il telefono, non aveva trovato nuovi messaggi di Izuku e se l’era presa così tanto che gli era venuta la nausea — tutto questo per dire che se ora Mezzo e Mezzo non si ritrova una ciotola di ramen in testa è soltanto perché sta morendo di fame. 

Sapeva che confidarsi con Todoroki sarebbe stata una pessima idea, ma non aveva molte altre opzioni: Capelli di Merda aveva esplicitamente detto che gli avrebbe fornito una spalla su cui piangere se fosse stata necessaria, ma che non aveva alcuna intenzione di offrirgli consulenza di coppia a tempo indeterminato — e ammettere che ora forse gli sarebbe servita, quella spalla, per piangere davvero e non solo figurativamente, era fuori discussione. Per cui Todoroki, che si è nel corso del tempo tenuto stretto il titolo autoconferito di amico e notoriamente non il più grande amante dei gossip tra i suoi conoscenti, si era rivelato la vittima ideale per confidarsi e magari sfogarsi pure. 

Dopo il loro litigio, che si è fatto via via più brutale finché non erano finiti a gridarsi insulti sensa senzo mentre Katsuki scendeva le scale inferocito e Izuku si affacciava al balcone per continuare a strillargli contro che era un pezzo di merda. Da allora erano passati due giorni di totale silenzio in cui Katsuki aveva cominciato a dubitare seriamente, sentitamente e con confermato, rinnovato ed aumentato terrore che tra loro le cose fossero davvero arrivate ad un punto irreparabile. 

«Questo» comincia, puntandogli contro una bacchetta «è alto tradimento. Potrei revocarti il titolo di amico.»

«Non puoi revocare qualcosa che non mi hai mai concesso.»

«AH! Quindi finalmente ammetti-»

Lo sguardo austero di Todoroki lo mette a tacere. Certo, non è questo il momento di mettersi a discutere sulle sottigliezze. 

«Quindi io sarei il gran coglione.»

«Già.»

«E sentiamo, illuminata testa di cazzo, cosa dovrei fare secondo te?»

Mezzo e mezzo gira un po’ la testa. Mangia rumorosamente la sua soba fredda, mastica ancora più rumorosamente e infine annuncia: «Non ne ho idea.»

«Che situazione di merda.», sbotta Katsuki, fissando lugubre l’uovo che galleggia nel brodo.

«Già.» conferma Todoroki, che almeno si sforza di condividere il suo tombale stato d’animo.

Izuku parte domani mattina e lui è a pranzo con Todoroki a lamentarsi del fatto che non sappia se si siano o meno lasciati, che non ha idea di come metterci una pezza su e a farsi dire di come sia stato un coglione. Perfetto, davvero — se non avesse tutta questa fame, forse la ciotola di ramen se la dovrebbe dare in testa da solo. 

«Potresti chiedergli scusa.», la buttà lì Todoroki. 

Certo, potrebbe farlo. In vari attimi di debolezza ha pure pensato di farlo per davvero. Ma chiedere scusa non equivarrebbe forse ad ammettere di aver torto? Ed ha forse lui torto? Beh, dipende dai punti di vista. Se lo chiede a Todoroki, allora ha torto. Ma se lo chiede alla sua bastonata immagine allo specchio, ecco, allora lui ha ragione e dovrebbe essere Izuku, che non ha fatto altro che alimentare le sue insicurezze per un mese interminabile, a fare il primo passo. Se davvero ci tiene a lui, questo è il minimo sindacale. Può ingoiare l’orgoglio e ammettere di avere torto — eppure Katsuki sa benissimo che non lo farà, perché a modo suo Izuku sente di avere ragione e quindi dovrebbe essere lui a sacrificarsi per la causa. 

E dunque sono bloccati, in uno stallo che li potrebbe tenere così per sempre, senza vincitori e vinti, ma anche senza una riconciliazione — gli andrebbe bene? Riuscirebbe a convivere con la consapevolezza che sono stati disposti a tirare lo sciacquone del loro futuro piuttosto che fare il primo passo? Se in guerra e in amore tutto è lecito, cosa succede quando si rischia di perdere entrambi? Cosa si fa?

«Che situazione di merda.»

«Ma non l’hai già detto?»

 

***

 

Katsuki non riesce a dormire — il pensiero della partenza di Izuku, sempre più vicina, lo tiene sveglio. Questa notte forse l’avrebbero dovuta passare insieme, per stringersi un po’ più forte, per promettersi cosa stupide come che non c’è distanza che li può separare davvero, per dirsi che avrebbero dovuto aspettare, certo, ma che alla fine sarebbero stati insieme. 

Questa solitudine, questo silenzio assordante che non riesce a svuotargli la testa da Izuku, questo macigno che gli pesa sul petto e gli rende difficile respirare, e gli rende scomodo stare steso a letto, non sono forse un pezzo troppo alto da pagare per avere l’ultima parola? Per potergli rinfacciare, eventualmente, che lui aveva ragione, che l’ha sempre avuta? 

Sarebbe meglio potersi girare a guardare un’ultima volta Izuku che dorme pacifico nel suo letto, poterlo vedere stiracchiare all’alba e correre in giro a recuperare i suoi vestiti, e sentirlo strillare che muoviti, Kacchan, altrimenti perdo il volo. E Katsuki avrebbe fatto finta di perdere tempo, e avrebbe dimenticato le chiavi della macchina a casa soltanto per godersi un’ultima volta le lamentele di Izuku, sperando che fossero abbastanza forti per riempirgli le orecchie anche nel solitario viaggio di ritorno. 

Però l’avrebbe accompagnato lo stesso, anche se non voleva, anche se ogni singola cellula del suo corpo lo supplicava di non farlo. Lo avrebbe accompagnato lo stesso, se solo ne avesse avuta la possibilità, perché lui lo ama e vuole soltanto quello che è meglio per lui — di più, lui vuole soltanto che Izuku sia felice, a prescindere dalle scelte che compie e dalla loro oggettiva bontà. Anche quando non lo comprendono.

Questo almeno deve dirglielo. Seppure, all’ultimo, gli mancherà la forza per chiedergli scusa, per gettarsi ai suoi piedi e pregarlo di perdonarlo e non abbandonarlo, deve almeno dirgli che lui lo ama incondizionatamente, al punto che in aeroporto ce l’avrebbe portato lui stesso. 

Guarda l’orologio. Sono le cinque e mezza. Il decollo è previsto tra due ore, l’imbarco tra un’ora e mezza, se adesso si veste e prende la moto può ancora sperare di beccarlo all'aeroporto — sì, allora mette le scarpe e afferra il telefono. Prova a chiamare izuku un paio di volte, ma ovviamente non arriva risposta. Allora- allora- presto, deve fare presto, chi potrebbe accompagnarlo se lui, ovviamente, non lo sta facendo?

«Rispondi, maledizione, rispondi-» borbotta, correndo per le scale e sperando di non rompersi una gamba sul momento — sarebbe così imbarazzante, lasciare che Izuku parta quando loro hanno ancora così tanto in sospeso perché si è rotto una gamba, non può nemmeno-

«Bakugou-kun, sto guidando.»

«Bene, Faccia Tonda, brava, concentrati sulla strada. Izuku è con te?»

«Sta dormendo.»

«Beh, certo, sono le cinque del mattino, sai che se non dorme abbastanza poi diventa irritabile e-»

«Cosa vuoi, Bakugou?»

«Ah, sì, giusto. Quanto ti manca all’aeroporto?»

«È la prossima uscita.»

«Bene. Anzi, no. Male. Per tutti gli dei, rallenta. Sto arrivando.»

«Stai arrivando? Cosa diamine-»

 

***

 

In tutta onestà Katsuki deve ammettere che non è stato spesso a questo aeroporto e che trovare la strada giusta è stato difficile finché non gli è arrivato un salvifico messaggio di Uraraka che gli dava la sua esatta posizione e lo minacciava di muovere il culo. Katsuki ha corso a perdifiato, fino a sentire male ai polmoni, ed è arrivato appena in tempo per vedersi piombare addosso un’inferocita Uraraka.

«Tu! Io non ho parole, come ti viene di dirmi che stai arrivando, ti rendi conto in che posizione mi hai messo, oh ma io te la farò-»

«Tutto giusto, Faccia Tonda. Lui dov’è?»

«Lui dov’è? È partito! Ecco dov’è!» sbotta, indicando un aereo che sta in quel momento chiude definitivamente lo sportello passeggeri. «E non c’è modo di recuperarlo, adesso, da qui in avanti si procede solo con il biglietto — e non pensare di fare scenate!» lo rimprovera, vedendo che già sta pensando di scavalcare le ringhiere e fare a botte con i controllori. 

«Gliel’ho detto, che stavi venendo. Suppongo che per un po’ ci abbia sperato, poi è passato troppo tempo e allora ha cominciato a dire che sicuramente si trattava di un ultimo, crudele scherzo e che probabilmente adesso stavi dormendo beato ancora nel tuo letto. C’è rimasto così male, mi si è spezzato il cuore a guardarlo. Poi è dovuto andare, non ha voluto sentire ragioni.»

Katsuki, sgonfio come un palloncino, crolla a terra. Ce l’aveva quasi fatta. Ci era andato così vicino — per tutto il suo interminabile viaggio in autostrada non ha fatto altro che pensare a cosa avrebbe detto Izuku, alla faccia che avrebbe fatto, ha sperato e ha corso e ha rischiato di provocare non meno di quattro incidenti in momenti diversi e ha fallito lo stesso. 

Uraraka si siede a terra accanto a lui. Benché la sua presenza silenziosa e gentile sia di conforto, non c’è molto che possa fare o dire per farlo stare meglio — non c’è nulla che si potrà mai fare o dire per alleviare il dolore e il senso di colpa e l’opprimente sconfitta, nulla che non sia-

«Kacchan?»

Katsuki scatta in piedi come se avesse preso la scossa — ha quasi il timore di voltarsi, come se si trattasse di un’illusione, come se non potesse più nemmeno fidarsi dei suoi sensi.

«Oddio, Deku, ma sei un coglione!» sbotta Uraraka, alzatasi insieme a lui.

«Kacchan. Sei qui.»

Katsuki annuisce appena. Adesso che ce l’ha davanti, improvvisamente non sa più che dire. Sente la lingua che collassa su se stessa in un triste tentativo di soffocarlo e i piedi di piombo al pensiero di raggiungerlo. 

«Kacchan, perché sei qui?» insiste Izuku, coprendo in pochi istanti la distanza che li separa.

«Perché tu non sei su quell’aereo?» 

«Posso sempre prendere il prossimo.»

«Ah — quindi- Sì, beh, certo. Devi prendere il prossimo.» biascica appena, cercando in tutti i modi di mascherare la delusione di fondo. Ha avuto tanto tempo per pensare al pensiero di Izuku che se ne andava e si era arreso al pensiero di essere stato sconfitto, eppure averlo lì con lui ha acceso in un istante la speranza che non fosse tutto perduto. 

Ma non è questo il motivo per cui lui è lì adesso — adesso ha l’opportunità di pareggiare i conti ed assicurarsi che Izuku possa davvero salire sul prossimo aereo senza rimpianti, senza la convinzione che Katsuki ce l’abbia con lui per questo, libero dal peso delle sue insicurezze e della sua gelosia. 

«Io- io voglio che tu sia felice, Izuku. È difficile accettare di non essere l’unico in grado di renderti felice, ma se questo è quello che vuoi, allora per me va bene. Questo è quello che anch’io voglio per te.»

Izuku, che per alcuni momenti è sembrato estatico mentre lo ascoltava, all’improvviso si imbroncia, con il labbro inferiore che trema appena, e scoppia a piangere tra le sue braccia.

«Ahh, Kacchan!» singhiozza, tirando su col naso «Sono così felice che tu me l’abbia detto! Io-» si ferma, prende dei lunghi respiri «Io pensavo che tu fossi geloso, che non ti fidassi di me- e che fossi anche un po’ invidioso.» confessa tra un sospiro e l’altro. «Ma io non potrei mai- non ci potrebbe essere nessun altro per me. Mi dispiace, ho sbagliat-»

«No, Izuku non dirlo, sono io che ho sbagliato e-»

Qualunque altra cosa volesse dire viene zittita da rumori di finto rigurgito di Uraraka, che ovviamente non si è persa un solo istante della scena. 

«Siete disgustosi.» sentenzia. «Abbiamo capito tutti-» continua, indicando la piccola folla di spettatori che si era creata intorno a loro «che vi dispiace e che vi perdonate che siete innamorati. Ora, possiamo andare a occuparci del prossimo volto di Izuku o dobbiamo restare qui per sempre?» conclude, picchiettando furiosamente sull’orologio. 

«Io-» Izuku tentenna. «Sì, sì, andiamo. Andiamo, Kacchan.» afferma, trascinandolo per un braccio in giro per l’aeroporto. 

Katsuki non l’ha presa male — filo rosso? Filo blu? In fondo i fili da tagliare sono soltanto due, e se la volta precedente aveva tagliato quello sbagliato, adesso- zac! e il timer si ferma e la bomba non esplode. Questa volta, possono farcela. 



 

  
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