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Autore: Aaeru    25/02/2023    10 recensioni
Una breve one-shot introspettiva a tema "Missing Moment" dedicata all’episodio 30: cosa succede tra Oscar e André in armeria quando Alain li lascia soli?
Grazie in anticipo per il tempo e l’attenzione che vorrete dedicare alle mie righe.
Buona lettura,
Aaeru
P.S.: Per chi avesse piacere di proseguire la lettura, è in corso il sequel "Alter ego".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La punta della penna si trascina stancamente sul foglio tracciando linee inquiete e disomogenee, come inquieti e disomogenei sono i pensieri che le si affastellano in testa impedendole di redigere i documenti con la consueta lucidità ed efficienza. Non avrebbe dovuto bere così tanto, lo fa troppo spesso di recente, ma è pur vero che non conosce altro modo per provare a sopire la coscienza e aggrapparsi all’oblio effimero del sonno. 

Anche se la qualità dei vini offerta dalle cantine de Jarjayes è indubbiamente superiore a quella proposta dalle bettole parigine, lo scotto di questi mezzucci da osteria comincia a pesare.

Posa un attimo lo stilo e prova a massaggiarsi le tempie, lo sguardo scivola fuori dalla finestra, sulla piazza d’armi semideserta immersa nella morbida luce pomeridiana. 

Siamo già a metà aprile, i ciliegi sono in pieno sboccio cedendo i bianchi petali alle brezze primaverili. Come allora, all’inizio della loro vita da adulti, all’inizio di tutto. O forse l’inizio della fine…

Oggi, però, il vento spira sferzante, troppo per il periodo. Si vede dalla quantità di polvere che solleva scorrendo rapido sulla terra battuta, vorticando in  mulinelli grigi che pizzicano gli occhi e la bocca dei rari soldati, reclute perlopiù, che passano di lì.

Concentrati, Oscar!

Sta per riportare gli occhi al foglio quando una macchia scura, più bassa e tornita delle altre, attira la sua attenzione: si muove piano, quasi ondeggiando, strapazzata dalla corrente. 

Dalla sua postazione non potrà seguirla a lungo e, nemmeno ne ha l’intenzione, però prova una vaga sensazione di familiarità. Deve trattarsi di una donna, data l’altezza e il capo che sembra coperto da una cuffietta chiara, una parente venuta per uno dei soldati. Chissà se Nanny è già stata qui… Non ha osato chiedere.

Non si sono più parlate dalla sera precedente, quando l’anziana governante l’ha accolta con l’annuncio di una visita, la più inattesa per identità e per intenti, perché mai si sarebbe aspettata una proposta di matrimonio da parte del colonnello Girodelle.

Tantomeno che suo padre acconsentisse alle nozze, rinnegando il sacrificio imposto dal suo primo vagito. 

E nemmeno c’è stato modo di ragionare con il suo ex sottoposto, divenuto agli occhi paterni un augusto pretendente, disposto a rinunciare al proprio nome bruciandolo sull’altare dell’orgoglio del Generale de Jarjayes. Se n’è andato subito, beandosi alla sola vista di lei, poiché, con la parola dell’altro in tasca, non aveva più bisogno di nulla.

Un rumore vibrante recide il filo dei pensieri. Passi pesanti ma rapidi, non di un solo uomo ma di tanti, la fanno pensare a una mandria di prede inseguite da un branco di belve fameliche. Non ha ancora capito con chi ha a che fare. 

Fa per alzarsi e riportare l’ordine quando tra i mugghi e i latrati distingue due sillabe meglio articolate che le riportano il viso di André, non quello che da sempre ricorda, ma quello dell’uomo sfregiato e insolente che si è sostituito al suo amico di infanzia. 

Nondimeno, il cuore prende lo stesso battito di quindici anni prima, quando per poco non ha perso il compagno per il capriccio di una principessa tanto bella quanto avventata, e così si  getta  all’inseguimento del branco.

Lo raggiunge che è già tutto finito. Le ci vuole un attimo per riconoscerlo, nella penombra quasi crepuscolare dell’armeria, perché non si è ancora abituata a vederlo indossare l’uniforme blu invece di quella marsina beige che sembrava fatta apposta per dissimulare la sua presenza nei saloni sfavillanti di Versailles. E nemmeno ha ancora fatto l’occhio a quei capelli corti, anche se sono passati mesi da quando, insieme alla chioma, lui ha voluto tagliare ogni legame con quella versione di sé falsamente remissiva che si era dipinto addosso per dovere e per necessità. L’odiata cicatrice, inconfutabile attestazione di identità, è invece schiacciata per terra, dilatata dal gonfiore degli edemi che stanno cominciando a deformare il volto così come il resto del corpo massacrato.

Non è la visione orrida a impedirle di avanzare, pietrificandola, costringendola ad appoggiarsi allo stipite della porta per non crollare. Quell’enorme soldato con la faccia da schiaffi, Alain de Soissons, quello che si è autoproclamato rappresentante della Compagnia B, è vicino ad André e fa per soccorrerlo, snocciolando ordini ruvidi ma pietosi: “Ma come ti hanno conciato?!Su, alzati! Ti accompagno in infermeria!”. Poi, però, si blocca  accorgendosi che l’altro non può sentirlo perché sta piangendo, e non per il dolore delle ossa rotte, dei colpi mal schivati. Sta pregando, sta implorando.  Lei, il loro comandante. Di non diventare moglie di qualcun altro. Intende bene il soldato de Soissons, che adesso ha tutto un po’ più chiaro. Istintivamente si gira verso la porta e si accorge che l’oggetto di devozione del soldato Grandier li sta fissando inebetita. Che divinità da strapazzo!, pensa de Soissons con un ghigno di scherno. Non sa resistere al gusto della provocazione e allora decide di abbandonare il compare alle cure della sua dea che, se proprio non vuole esaudire la sua richiesta, potrebbe almeno farlo morire con un briciolo di soddisfazione sulle labbra peste. Le scivola di fianco ficcandole gli occhi neri addosso, con tutta l’intenzione di aumentare il disagio dell’altra a dismisura e godersi ogni singola sfumatura di stizza. Masticando sdegno, è al compagno incosciente che si rivolge quando, a un palmo dall’orecchio della dea, domanda blasfemo: “Che cosa ci trovi in una donna simile?”, per poi abbandonarli a loro stessi.

Allora lei trova finalmente la forza di avvicinarsi o, meglio, di fare quei cinque passi in avanti prima di crollare in ginocchio accanto a lui, che non ha ancora smesso di biascicare litanie impastate di sangue, lacrime e saliva. 

Gli scosta delicatamente i capelli dalla guancia livida e prova a chiamarlo piano nella speranza di condurlo a sé. Nota la linea del naso assurdamente intatta in mezzo allo scempio di ecchimosi. 

Come fa a saperlo? Non c´è nulla di ufficiale, non ho nemmeno accettato! Io non…

La palpebra libera si solleva a stento. Lo smeraldo conosciuto dell’iride più intenso che mai sotto le ciglia fradicie. 

“Oscar…”

“Sono qui, André. Ascoltami, se ti do una mano io, pensi di riuscire ad alzarti?”, si accerta lei ingoiando angoscia e sensi di colpa.

Ma lui non la vede e non la sente, sprofondato nel baratro del suo terrore più grande, il dolore fisico non è bastato a fugare quello dell’anima.

Di colpo, i muscoli martoriati si tendono nello sforzo immane di andarsene da lì, urgenza istintiva che non trova risposta se non sussulti convulsi che spaventano l’altra ancora di più.

“André, calmati: sono qui, ti aiuto io”, ribadisce incerta.

A fatica, ignorando i legittimi lamenti del corpo inerme, riesce a rovesciarlo supino. Ecco, ora può fare la conta dei danni, forse è anche meglio così, si dice,  prima di tentare manovre troppo azzardate… 

Quasi a chieder scusa per le maniere brusche, gli accarezza la fronte, scostando sovrappensiero il ciuffo corvino con cui lui nasconde l’orrenda prova della sua sciagurata fedeltà. 

Sono contento che non sia successo a te…

Rabbrividisce mentre osa insinuarsi sotto la giubba aperta dell’uniforme del soldato Grandier, in cerca di eventuali lacerazioni nascoste del tessuto e chiazze rosse che suggeriscano l’uso di armi bianche. Con suo enorme sollievo, non ne trova, mentre i mugugni di André alle pressioni lievi delle dita timide attraverso la stoffa sottile della maglia viola confermano la presenza di almeno un paio di costole rotte.

Appoggia le mani pallide sulle sue nocche incrostate di sangue, ed è certa che non sia stato lui a iniziare. Non è mai stato un attaccabrighe, anche se ultimamente dubita di conoscerlo davvero. Negli annali delle loro comuni scazzottate, lui ha sempre avuto la parte del pacificatore, soprattutto quando a lei è toccata quella della provocatrice. No, è troppo ragionevole per…

La stretta delle mani sui polsi. Il bacio vorace. La veemenza insospettata. Lo strappo.

Cosa sei diventato, André? Sono stata io a ridurti cosi?

“Oscar…”. Ennesima invocazione. Lei appoggia il palmo sulla bocca per impedirgli di concludere.

Smettila, André, smettila!, vorrebbe urlargli, ma un nodo le serra la gola mentre sente le palpebre inumidirsi. La mano scivola lungo il collo e si ferma al centro del petto, lì dove batte il cuore di lui. Più lento di quando l’ha sentito picchiare violentemente contro il suo, settimane prima, tuttavia non… quieto, se così si può dire. 

Deve decidersi a portarlo via da lì, potrebbero esserci emorragie interne, serve un medico, si ripete. Ma le sue gambe ora sembrano fatte di pezza e, quando prova a passargli le braccia sotto le ascelle per trascinarlo, scivola in avanti cadendo in  ginocchio con la testa bruna in grembo.

Dannazione! Sono solo una donna!

Si rannicchia su di lui, come a proteggergli il capo, l’olfatto rintraccia il profumo antico della pelle anche attraverso l’odore metallico del sangue. Restano così, per un momento indefinito, finché l’altro si ridesta solleticato da una ciocca bionda che gli stuzzica la guancia gonfia. Tuttavia, non ha modo di realizzare che lei si è già staccata per farlo respirare.

Lo aiuta a sollevarsi un poco, a mettersi seduto. Lui la lascia fare quel tanto che basta per poter riprendere un minimo controllo dei muscoli, poi si scosta per mantenere le distanze promesse. Distoglie lo sguardo per non cedere alla tentazione di chiedere ciò che non può. E visto che non ha nemmeno voglia di  rispondere alle domande che l’altra ha in mente (e il dovere) di porre, si risolve a fare l’inconcepibile: fuggire da lei, anche se si tratta soltanto di quella decina di metri che li separano dall’infermeria.

“Non preoccuparti, penso di potercela fare anche da solo”, previene asciutto ogni ulteriore offerta d’aiuto oscillando sulle gambe incerte.  

Lei fa per andargli dietro comunque, le braccia basse ma protese, pronte a intervenire in caso di cedimento. 

Oscar, no! Non voglio la tua pietà! Lasciami solo, ti prego!, vorrebbe gridare ma riesce a rivolgerle soltanto un ultimo sguardo spezzato, prima di lasciarsi inghiottire dal buio del corridoio e affidarsi al suono dei passi di Alain, sempre più vicini.

 

Lei si appoggia alla parete ed esausta si lascia scivolare nuovamente sul pavimento. Si osserva le mani ora sporche di sangue secco, la testa vuota. Resta lì, abbandonata, finché non capisce qual’ è la sola cosa da fare. L´unica che può fare per il bene di lui, più che per il proprio. E torna ad essere se stessa.

   
 
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