La scenata che ho messo su all'ora di pranzo probabilmente i vicini la ricorderanno per anni... addirittura per secoli.
Ho reso mia madre piccola piccola e non le ho dato il tempo di dire una sola parola, le ho vomitato addosso tutto l'odio che ho accumulato verso lo zio, la sua famiglia e verso la ridicola condizione nella quale viviamo.
Sono andata in camera, sbattendo la porta così forte da rompere la maniglia e mi sono messa a piangere.
Mia madre bussava ma non le ho mai aperto.
Dopo qualche ora mi sono decisa ad uscire: mi sento in colpa verso di lei, dopotutto anche lei è una vittima del fratello.
La casa è buia, mamma non c'è. Mi avvicino all'immondizia per gettare i fazzolettini impregnati di lacrime, ma altri, probabilmente di mia madre, sono già sulla superficie.
Devo averla davvero ferita.
Mi dispiace tanto per lei, non avrei dovuto aggredirla così. Purtroppo ho un carattere schifoso e lei che si è sempre messa da parte per gli altri ha avuto la peggio come al solito.
La colpa è tutta di quell'idiota dello zio, il garage è il suo.
Così come la casa, così come le nostre vite.
L'unico peccato che io e nostra madre abbiamo commesso è stato accettare "l'aiuto" dello zio.
Dopo che i miei si sono separati la casa in cui abitavamo fu messa in vendita, mia madre investì quei soldi per mettersi in società col fratello più grande, aprendo questo locale dove servo ai tavoli pizze e pietanze varie.
Nel frattempo lui ci disse che potevamo vivere qui, nella sua seconda casa, dove paghiamo comunque l'affitto e senza nemmeno uno sconto.
Una casa di cui lui ha il duplicato delle chiavi, una casa in cui ogni week end piomba senza preavviso, per controllare che quella scimmia di sua nipote, cioè io, non l'abbia distrutta: era così che mi chiamava spregiudicatamente quando ero piccola e non si preoccupava nemmeno che io stessi ascoltando.
Nel suo piccolo cervello ha sempre creduto che la mia passione per la musica fosse roba da sbandati, che bevono, si drogano e che demoliscono qualsiasi cosa abbiano davanti, idea che si era fatto quando avevo quattordici anni, ma che naturalmente si applica benissimo anche oggi.
Sia gli zii che i cugini mi hanno sempre tenuta a distanza a causa del mio carattere vivace e diretto.
Se ci aggiungiamo anche il fatto che ero piuttosto vistosa e che ho sempre difeso le minoranze, in famiglia mi sono sempre fatta qualche nemico.
Eppure sono diventata estremamente docile con gli anni, per non far litigare la mamma con lo zio, che dopotutto ci dava del lavoro e un posto dove stare.
Oh, ma se lo può scordare che io resti a vivere qui un giorno di più e che gli faccia da schiava al locale, così da potermi avere sul palmo della mano.
Mamma è sempre stata un po' debole, sarò io a darle una svegliata: sono stanca di vederla con le borse sotto agli occhi, a fare la sottomessa di un sessantenne ignorante che ha a malapena frequentato la scuola media. Un uomo senza moglie che ha vissuto in casa della madre fino ai cinquant'anni, senza nemmeno uno straccio di amico con cui andarsi a fare una birra.
Mi sono infilata nella stradina che porta alla pizzeria, oggi è lunedì, giorno di chiusura, eppure le luci sono accese, la serranda è mezza aperta.
Dei ladri?
Dall'interno si sente litigare: sono le voci di mamma e dello zio.
Con un leggero chinare della testa, tanto sono una nanerottola, riesco ad entrare: mi accovaccio dietro al bancone cercando di origliare.
«Come ti permetti di parlarmi in questo modo, quando ti ho dato un tetto sopra la testa e un luogo dove lavorare?» la voce grassa e stupida dello zio sembra ancora più disgustosa stasera.
«No, sono io che ti ho dato un posto dove lavorare dopo che hai finito di scontare gli arresti domiciliari!»
Arresti domiciliari? Questa è una novità.
«Che sorella ingrata che sei, non vedevi l'ora di rinfacciarmelo, vero? Ricordati che dove vivi c'è il mio nome sul citofono!»
«E tu ricordati che pur di aiutarti ti ho anche pagato le bollette della luce a mesi alterni quando sei stato in difficoltà!» la mamma sbatte i pugni su un tavolo. «E che la casa dove vivo, dove mi fai pagare l'affitto e dove non c'è nemmeno il mio nome sul citofono, é stata intestata ad entrambi!»
«E che male c'è? Quando ho avuto bisogno di un lavoro mi hai aiutato ad aprire il locale, mentre io ti ho lasciato stare in quella casa, che come hai detto non è solo tua!»
«Ma tu avevi già un posto dove stare!» mamma continua a sbattere i pugni sul tavolo.
«Allora potevi evitare di divorziare! Così potevi restare in quella casa e magari evitare di rovinare il tavolo del locale a furia di prenderlo a pugni con la fede che ancora ti ostini a portare al dito!»
«Fred è stato molto importante per me ed è il padre di Carolina, non hai nessun diritto di accusarci di non essere riuscite a dimenticarlo! Come hai potuto dare via la chitarra della bambina senza chiedere? Solo perché non ti è mai piaciuto…» la mamma si asciuga le lacrime con affanno.
Ma come si permette di parlare in questo modo della nostra famiglia, questo perdente?
«Carolina una bambina? Io a quell'età avevo già anni di lavoro alle spalle, mentre lei a malapena sa portare due piatti in tavola ed ha iniziato a studiare con anni di ritardo…»
Adesso basta. Mi sono alzata dal nascondiglio e l'ho guardato con l'espressione più cattiva e disgustosa che mi può riuscire: «Alla mia età avevi anni di lavoro alle spalle, eh? E che lavoro facevi, svaligiavi le casse dei supermercati? Una bella carriera, davvero.» ho applaudito più forte che ho potuto, mentre lui è diventato rosso in viso.
Grugnendo come un maiale mi si è avvicinato puntandomi il dito contro, a pochi centimetri da me: «Brutta viziata, come ti permetti di parlare così a tuo zio più grande? Io alla tua età…»
«... Alla mia età eri in galera? Pensa alla tua vita prima di giudicare quella degli altri!»
«Carolina, ti prego…» mia madre mi prega di stare in silenzio.
«No mamma, io non ci sto più a farmi mettere la merda in faccia da questo troglodita! Mi licenzio, tu fai quello che ti pare!»
«Carolina, aspetta…»
«Non sperare di convincermi! Quest'idiota mi ha rubato la chitarra che mi avete regalato tu e papà e l'ha gettata via, venduta, solo lui sa che ne ha fatto!»
Mamma ha iniziato a balbettare: «Ti prometto che te ne comprerò un'altra, non fare così…»
«Non me ne frega niente della chitarra, era un ricordo!»
È l'ultimo regalo che mi avete fatto quando eravamo ancora tutti insieme. Lo so che il ricordo rimarrà per sempre nel mio cuore e tutte quelle cavolate, voglio solo andare via da quella casa, smettere di fare quel lavoro sottopagato, di sentirmi sempre giudicata da un imbecille solo perché siamo sciaguratamente imparentati… E se posso usare la perdita della chitarra come pretesto, certo che lo farò!
Era la mia preziosa chitarra.