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Autore: Blakie    27/02/2023    7 recensioni
«Mi sei mancato così tanto mentre non c'eri, Daryl Dixon».
Una versione alternativa in cui Beth e Daryl si ritrovano tra le mura di Alexandria.
[bethyl | alexandria what if]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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15. HEREINAFTER


Era passata poco più di una settimana da quando l'orda aveva invaso Alexandria, dalla morte di Deanna e da quando io e Daryl ci eravamo finalmente avvicinati, una volta per tutte. In una sola giornata si erano condensate tante cose brutte, ma anche qualche cosa bella. Il lutto per le persone che avevamo perso e il senso di vittoria per essere riusciti, alla fine, a difendere la nostra casa si intrecciavano in uno strano miscuglio di sensazioni e consapevolezze, che da quel momento in poi aveva permeato ogni cosa.

Tutte le attività e quotidianità che avevano reso Alexandria una realtà molto simile a quella precedente l'apocalisse erano state sospese. Tutti i cittadini che si erano salvati dal massacro erano stati ingaggiati per occuparsi di quelle che erano diventate le priorità: ricostruire le mura, ripulire la città, bruciare i corpi dei vaganti. Si era rivelata una cosa lunga, dal momento che i resti dei vaganti erano molti e si doveva fare avanti e indietro fuori dalla zona sicura diverse volte, per bruciarli. Perciò, anche io mi ero ritrovata ad aiutare a raccogliere corpi, a ripulire le strade dal sangue, a dare una mano all'ambulatorio.

La parte più difficile, però, era stata aggiungere più di un nome al muro commemorativo: Deanna, Jessie, Sam, Ron, Ted, Lucy, Maya e Pascal. Purtroppo, di tanti di loro non era rimasto praticamente niente da poter seppellire in maniera degna. 

In quelle giornate difficili, mi tornava spesso in mente il versetto che (un neo-redento) Padre Gabriel aveva scelto per concludere la commemorazione in onore di chi ci aveva lasciato: Davide disse a Salomone suo figlio: "Sii forte, coraggio; mettiti al lavoro, non temere e non abbatterti, perché il Signore Dio, mio Dio, è con te. Non ti lascerà e non ti abbandonerà finché tu non abbia terminato tutto il lavoro per il tempio". E, come Salomone, anche noi stavamo cercando di ricostruire il nostro tempio.

«Ormai la breccia è stata liberata dalle macerie della torre collassata. Anche con lo sgombero dei corpi abbiamo quasi finito».

Dopo una settimana così estenuante, le parole con cui Rick iniziò quella riunione di fine giornata arrivarono come la più bella delle notizie. Ci eravamo riuniti nel vecchio studio di Deanna, come era ormai d'abitudine. Al centro del tavolo attorno al quale eravamo raccolti, svettavano una mappa e i progetti per l'espansione di Alexandria che Deanna aveva lasciato a Michonne e Rick. 

«Quindi non rimane che issare il telaio delle pareti e trovare i pannelli per richiudere quella dannata breccia», ne convenne Abraham.

«Mentre tornavamo dall'ultima spedizione, io e Daryl abbiamo visto dalle parti di Ashburn un grosso cantiere edile. Forse anche quello serviva per la costruzione di un centro commerciale», intervenne Aaron, cerchiando con la matita la città sulla cartina al centro del tavolo.

«Dal momento che il cantiere qui vicino lo abbiamo ripulito, si potrebbe dare un'occhiata. Se siamo fortunati, potremmo trovare lo stesso tipo di pannelli. Invece il materiale per l'intelaiatura che ci è rimasto dovrebbe essere sufficiente», commentò Abraham.
 
«Ashburn non è molto lontana da qui. Possiamo tornarci domani», si offrì Daryl, guardando Aaron. Il quale, però, si scusò, dicendo che per il giorno dopo era già impegnato con un'altra squadra. A quel punto, prima che qualcun altro potesse farlo, mi offrii di accompagnare Daryl per recuperare quelle lamiere: con mia grandissima sorpresa, nessuno mosse chissà quali obiezioni, lui in primis.

Dopo aver stabilito tutti i dettagli di quella spedizione ed aver messo appunto l'organizzazione delle squadre per la giornata successiva, Rick sciolse la riunione ed ognuno tornò alla propria abitazione. Dopo quello che era successo, avevo deciso di tornare a vivere assieme al resto della mia famiglia nella grande casa che gli era stata assegnata, perciò seguii Rick, Michonne e gli altri. Si era infatti liberata una camera per me quando Maggie e Glenn avevano, al contrario, deciso di occupare la casa degli Anderson, ormai inabitata. Si trovava subito dopo la casa in cui abitavano Abraham, Rosita, Eugene, Tara, Sasha e Tyreese: il perfetto compromesso tra il rimanere vicini e avere un nido tutto per loro nel quale prepararsi per l'arrivo di mio (o mia?) nipote.

Mia sorella mi affiancò mentre camminavamo nella stessa direzione. Accanto a lei c'era Tara. «Come ti senti alla vigilia della tua prima spedizione?».

Mi voltai per sorriderle. «Tutto sommato, tranquilla. È giusto che mi renda utile».

«Perché, non ti sei resa utile, fino ad ora?», domandò Tara. «Denise mi ha detto che è stata più volte sul punto di portarti fuori dall'ambulatorio di peso, per convincerti ad andare a casa».

Abbassai lo sguardo e scalciai via un sassolino, sorridendo imbarazzata. «Denise esagera. Intendevo dire che è giusto che ogni tanto esca anche io, non posso stare sempre al sicuro dietro ad una recinzione».

«Non mi pare che siamo stati molto al sicuro qua dentro, ultimamente», commentò Maggie.

Sospirai. «Già. Però penso che mi farà bene uscire un po'».

Quando arrivammo davanti a casa sua, Maggie mi abbracciò. «Stai attenta, domani».

«Ehi, dimentichi forse chi verrà con me? Sono in una botte di ferro», la rassicurai, sciogliendo l'abbraccio.

Lei mi diede un buffetto affettuoso sulla guancia, accompagnato da un sorrisetto malizioso. «Non l'ho affatto dimenticato», mi rispose, lanciandosi uno sguardo d'intesa con Tara.

«Ma smettetela», le rimbrottai arrossendo, ma senza riuscire a impedirmi di sorridere.

Le salutai con una linguaccia e, quando entrai, trovai Judith sul divano assieme a Michonne e Carol. Mi fermai un po' lì con loro: era bello tornare a casa sapendo che ci sarebbe sempre stato qualcuno della mia famiglia ad attendermi. Non rimpiangevo per niente il fatto di non avere più una casa tutta per me, non dopo quello che avevamo passato e non dopo l'enorme rischio di perderli che avevo corso. In quelle giornate difficili, era stato bello sapere che, una volta finiti i miei doveri, non sarei rimasta sola in una casa troppo vuota per me.

Michonne mi disse che Rick era passato in ambulatorio a dare la buonanotte a Carl, che si stava lentamente riprendendo dopo la grave ferita che aveva subito all'occhio. Daryl, invece, si era fermato a preparare il furgone per il giorno successivo, assieme ad Abraham.

Quando l'arciere rincasò, nel soggiorno ero rimasta solo io. Stavo leggendo un libro alla luce della lampada ad olio posizionata sul tavolino, avvolta in una coperta e circondata dal silenzio. Nel momento in cui sentii la porta aprirsi, mi voltai e guardai oltre lo schienale del divano.

«Ehi», mi salutò non appena mi vide, chiudendosi la porta alle spalle.

Gli sorrisi, chiudendo il libro. «Ehi».

Mi raggiunse sul divano, sedendosi accanto a me. Si lasciò andare sui cuscini con una sonora sbuffata, allungando le gambe per appoggiare i talloni sul tavolino. Si voltò verso di me. «Che ci fai ancora sveglia? Domani partiamo presto».

Osservai il suo viso, illuminato di arancione dalla lampada che, in contrasto al buio attorno a noi, creava un'intima penombra. Lanciai un'occhiata al corridoio, immerso nell'oscurità: quando fui sicura che non ci fosse nessuno, lo presi sottobraccio e mi accoccolai a lui. Sentire il suo corpo contro il mio e la pelle del suo collo così calda contro la mia fronte mi provocò un senso di tranquillità e sollievo istantanei.

In quelle giornate così frenetiche, in cui rimanevamo distanti la maggior parte del tempo, impegnavo buona parte della mia mente a immaginare il momento in cui saremmo potuti, finalmente, stare un po' vicini. Le ultime sere nella mia vecchia casa, prima di tornare a vivere con la mia famiglia, le avevamo trascorse guardando dei vecchi DVD, parlando del più e del meno (beh, per la maggior parte del tempo era stato lui ad ascoltare le mie ciance), oppure appollaiati sul tetto mentre Daryl fumava ed io stringevo la coperta attorno ai nostri corpi, in un silenzio complice. Una sera, vinto dalla stanchezza, aveva sonnecchiato per un po' sul mio divano, con la testa sulla mia coscia, mentre leggevo un libro che avevo recuperato dalla libreria comune. Altre volte, gli facevo compagnia mentre era di guardia. Dopo aver passato un po' di tempo insieme, Daryl se ne era tornato sempre e comunque a casa. Era bello  vivere nuovamente sotto il suo stesso tetto, anche se avevamo dovuto dire addio ad un po' di privacy.

«Lo so, ma volevo vederti un attimo, prima di andare a dormire. Sei stato fuori tutto il giorno».

«Quelle carcasse non si bruciano da sole», replicò, posando la sua mano destra sulla mia coscia avvolta nella coperta. La naturalezza con cui, ormai, si era abituato a toccarmi mi faceva sussultare di emozione ogni volta. Sembrava molto più a suo agio quando era con me: non si irrigidiva più quando cercavo il contatto fisico e mi lasciava fare.

Tutto questo, ovviamente, quando eravamo soli. In compagnia degli altri, Daryl aveva continuato a mantenere il massimo riserbo, per non far capire a nessuno cosa stesse succedendo. A me non importava niente delle opinioni altrui, anzi: talvolta era una faticaccia trattenere i gesti affettuosi mentre eravamo insieme ad altre persone, specialmente se Daryl faceva una delle sue battute sagaci oppure mostrava il suo lato più tenero mentre giocava con Judith. Ma avevo comunque intenzione di rispettare questo suo bisogno di riservatezza. Ogni tanto mi concedevo di sfiorargli la mano di sfuggita, quando ero sicura che nessuno ci guardasse; era capitato che anche lui indugiasse in maniera discreta con la mano sulla mia schiena, o che mi desse una carezza leggera sulla nuca, di nascosto da tutti. Nonostante io non sentissi lo stesso bisogno di discrezione di Daryl, nonostante fossi consapevole che, se anche lui fosse stato dello stesso avviso, avrei vissuto il tutto molto più liberamente anche davanti agli altri... dovevo ammettere che era bello avere qualcosa solo per noi, da custodire con cura.

«Sembri esausto», sussurrai dopo un po', osservando Daryl che teneva la testa mollemente appoggiata allo schienale del divano, con gli occhi chiusi.

«Lo sono», confermò.

«Andiamo a letto?».

«Vai, vai», mi spronò, accompagnando le parole con dei leggeri colpetti sulla gamba. «Appena ritrovo le forze ci vado anche io».

Lo guardai di sottecchi, mordendomi nervosamente il labbro. Non aveva capito. «Veramente... Insomma, dormono tutti al piano di sopra e tu ti sei sistemato nel seminterrato, no? Intendevo che, magari, almeno per questa sera potevo fermarmi da te», spiegai, con titubanza.

Si voltò di scatto ed il suo sguardo allarmato fu immediatamente nel mio, mentre sibilava: «Beth». Pronunciò il mio nome come se fosse un rimprovero e la cosa non mi sorprese: sapevo benissimo quale sarebbe stata la sua reazione.

«Domattina partiamo prestissimo, nessuno si accorgerà che non sono in camera mia. Anche perché nessuno verrebbe mai a controllare, a prescindere», replicai.

«Non è il caso», borbottò, togliendo la mano e alzandosi in piedi.

«Certo, non sia mai che a qualcuno venga in mente di fare irruzione nel seminterrato in piena notte».

Nella semioscurità, notai che Daryl si era lasciato sfuggire un sorrisetto divertito: non era la prima volta che lo vedevo beffarsi della mia esasperazione davanti alle sue paranoie. Inaspettatamente, mi prese per il polso, costringendomi con poca grazia ad alzarmi. La coperta scivolò sul pavimento, mentre le sue mani mi circondarono i fianchi per far aderire il suo corpo al mio. Le sue labbra erano ad un soffio dalle mie ed il suo sguardo mi stava facendo diventare le gambe molli come gelatina.

«Non tirare troppo la corda, Beth».

Appoggiai le mani sul suo petto, provando a rispondergli a tono. «E tu non metterti sulla difensiva. Non ho in mente niente di strano».

«Ci mancherebbe altro!».

Sbuffai. «È solo che, per svegliarmi all'alba, di solito mi servono le cannonate. Se invece dormiamo insieme, non rischio di svegliarmi tardi o di farti perdere tempo. Quando ti alzi tu mi alzo anche io, te lo assicuro. Sto semplicemente pensando al lato pratico della questione», spiegai, con un tono esageratamente innocente.

«Il lato pratico, ah?», ironizzò.

«Assolutamente sì. Prometto solennemente che non attenterò in nessun modo alla sua virtù, signor Dixon».

«Pfft, la mia virtù!», berciò sottovoce, alzando gli occhi al cielo.

Non riuscii a fare a meno di sorridere divertita, sollevando il mignolo della mano sinistra, ben dritto. «Possiamo fare sul serio col giuramento del mignolo, se non ti fidi».

«Pure le stronzate da boy scout», borbottò, scrollandomi di dosso. Mentre aggirava il divano ed io, ridendo sottovoce, raccoglievo la coperta che era caduta per terra, lo sentii aggiungere: «muoviti, prima che cambi idea». Sentii nascere sulle labbra un sorriso trionfante e lo seguii, ma non prima di aver spento la lampada ad olio, facendo piombare nuovamente il soggiorno nel buio.

Ne è valsa la pena insistere, mi ritrovai a pensare un quarto d'ora dopo, beatamente accoccolata a Daryl sul letto a una piazza e mezzo che era stato sistemato nel seminterrato apposta per lui. Non era spazioso quanto il matrimoniale che troneggiava in camera mia, ma mi offriva la scusa perfetta per stargli avvinghiata. 

Anche quella volta, Daryl si era coricato su un paio di cuscini che lo mantenevano in posizione leggermente rialzata rispetto alla mia. Nonostante ciò, ero riuscita a sistemarmi contro di lui, la fronte appoggiata contro la sua spalla e la mia mano aggrappata al suo braccio, che teneva incrociato all'altro sul suo petto. Era palesemente sulla difensiva e mi divertiva il pensiero che un uomo grande e grosso come lui assumesse certi atteggiamenti nei confronti di una ragazzina. Come se rappresentassi realmente un pericolo per la sua incolumità.

«Non stai scomodo così?», sussurrai nel buio.

«No. Dormi».  

«Hai una certa età, stare in quella posizione può rovinarti la schiena», rincarai, dopo qualche istante. Lo stavo deliberatamente punzecchiando, più del solito. In risposta ottenni soltanto un grugnito seccato e a quel punto non riuscii a trattenere una risata sommessa. In realtà, dormire stava risultando più difficile del previsto: avevamo già dormito insieme, prima e dopo l'arrivo ad Alexandria, ma quella volta era diverso. L'euforia di avere Daryl così vicino sotto le coperte, nell'intimità della sua stanza buia e considerata la svolta che c'era stata tra noi... Sì, era decisamente diverso. Mi strinsi di più a lui, sfregando la punta del naso contro la maglia che usava per dormire, inspirando il profumo del bagnoschiuma che aveva utilizzato per farsi la doccia. Sarebbe stato un insulto non approfittare di quel momento di intimità così raro e miracoloso.

«Daryl...», lo chiamai in un sussurro.

«Ti ho detto di dormire». Il suo tono era secco ma calmo, anche se avvertii i muscoli del suo avambraccio guizzare per la stizza.

Strinsi le labbra per soffocare un'altra risata. «E il bacio della buonanotte?».

«Domani ti lascio a casa», mi minacciò in tutta risposta, abbassando il volto verso il mio. Grazie alla luce del lampione esterno che filtrava dalla finestra sopra di noi, riuscii a distinguere nella penombra i suoi occhi, ridotti a due fessure.

«E daaai! Giuro che poi mi metto a dor-».

La mia promessa venne bruscamente interrotta dalle sue labbra, che si erano avventate sulle mie con un sospiro esasperato. Daryl sciolse il mio abbraccio, sbilanciandosi verso di me per farmi stendere sulla schiena; puntellò il gomito per non gravarmi addosso col busto, le gambe ancora distese sul materasso vicino alle mie. Quando dischiuse le labbra per approfondire il bacio, la mia lingua rispose con entusiasmo alla sua, assecondandone i movimenti. Gli allacciai le braccia al collo per far aderire i nostri corpi, completamente in balia del suo sapore e delle sensazioni che mi provocava sentirlo così vicino dopo un'intera giornata lontani. Era come un'onda di impaziente calore che cresceva: più ne ricevevo, più ne volevo.

Faceva correre le sue mani lungo le spalle, le braccia, le costole e i fianchi con gesti febbrili, separando di tanto in tanto le nostre bocche per riprendere fiato. Sentivo il suo respiro concitato contro il mio e avvertii una fitta nel bassoventre, quando la sua mano sollevò il mio ginocchio per fare in modo che la mia gamba gli circondasse il fianco. Quando le sue labbra scesero a baciare e a mordere la pelle del mio collo mi lasciai scappare un gemito. Passai una mano tra i suoi capelli, facendo correre l'altra sulla sua schiena per cercare la sua pelle calda sotto la maglia. Con una manovra inaspettata, mi fece rotolare sul fianco e si stese alle mie spalle, continuando a lasciarmi baci umidi sul collo. Poi appoggiò la testa al cuscino, mi allacciò un braccio intorno alla vita e mi strinse a sé. 

«Adesso dormi», ordinò. La sua voce arrochita e il suo respiro, alterato e caldo contro il mio orecchio, mi provocarono una cascata di brividi che scese lungo tutta la spina dorsale, fino all'ultima vertebra. Annuii, incapace di parlare e restando ad ascoltare i nostri respiri affannati che, pian piano, tornavano ad un ritmo regolare.

Avere Daryl stretto a me, con il suo corpo che aderiva perfettamente al mio, mi provocava una sensazione talmente bella e appagante, che avrei voluto rimanere vigile tutta la notte, per non perdermi un solo istante. Ma la giornata era stata lunga e sfiancante e quel bacio della buonanotte mi aveva dato il colpo di grazia. Complice il silenzio assoluto, mi addormentai, cullata dal respiro di Daryl e dal calore del suo corpo che avvolgeva il mio.

***

«Non riesco ancora a credere che tu mi abbia lasciato venire con te», proferii, seduta al posto del passeggero nell'abitacolo del furgone su cui viaggiavamo. Presi il pacchetto di sigarette che svettava dal vano portaoggetti, sfilandone una e offrendola a Daryl.

«Non che ci fossero alternative», replicò, tenendo lo sguardo fisso sulla strada mentre afferrava la sigaretta e se la portava alle labbra.

Gli sfilai lo zippo dalla tasca e gli accesi la sigaretta. «Ah ah, molto divertente».

Prese la prima boccata. «Sono serio come la morte», disse, ma stava sorridendo.

«Sei seriamente uno stronzo», mi lamentai, distendendomi contro il sedile e accavallando le gambe sul cruscotto. Guardai fuori dal finestrino abbassato, sorridendo tra me e me. A quell'ora del mattino, la nebbia che si infilava tra gli alberi del bosco e che nascondeva l'orizzonte rendeva l'atmosfera ovattata. «So che è strano, ma sono contenta di essere finalmente uscita da Alexandria. Avevo bisogno di allontanarmi, prendere un po' d'aria...». Mi voltai verso di lui, senza smettere di sorridere. «Tutto questo non ti ricorda qualcosa?».

Lui mi lanciò un'occhiata interrogativa, continuando a fumare in silenzio.

«Beh, io e te, soli qua fuori... Come quando siamo scappati dalla prigione. Che di per sé non è stato un bel momento, ovviamente, ma è stato in quei giorni che abbiamo iniziato a conoscerci. Ci parlavamo a malapena, prima».

«Ah sì, è stato quando mi hai dato del criminale».

«Ehi, tu hai detto che mi stavo comportando come una puttanella del college che pensa solo a ubriacarsi!», replicai, colpendolo sull'avambraccio e fingendomi offesa. Daryl, le mani sul volante e la sigaretta tra le labbra piegate in un mezzo ghigno, cercò di ritrarsi dalle mie proteste, lanciandomi uno sguardo furbo da sopra la spalla destra.

Decisi di essere clemente e incrociai le braccia al petto. «Ti ho anche fatto cambiare idea sul fatto che ci siano ancora brave persone in giro. Questo non lo ricordi, eh?», aggiunsi, con un sorriso sornione. Se c'era una cosa in cui Daryl non era cambiato, era la sua ritrosia a parlare di sentimenti, emozioni o altri argomenti che potevano farlo sentire troppo esposto a livello emotivo.

Infatti, si limitò a minimizzare la cosa con una scrollata di spalle ed un'espressione in volto che voleva simulare indifferenza. La presi con filosofia, tanto lo aveva già ammesso una volta e, per me, era stata più che sufficiente. Però mi venne in mente una domanda che volevo fargli da qualche giorno.

«A proposito, tu ed Aaron ricomincerete a reclutare, quando sarà tutto sistemato?».

Daryl prese l'ultima boccata di fumo e buttò il mozzicone fuori dal finestrino. «Non credo».

Annuii, gettando lo sguardo sulla strada. Mi aveva messa al corrente del fatto che Rick, il giorno prima della missione alla cava, gli avesse detto che non dovevamo più accogliere persone nuove. «Prova a riparlarne con Rick. Sono sicura che ha cambiato idea, nel frattempo».

Mi voltai a guardarlo: stava tamburellando nervosamente le dita di una mano sulla sommità del volante, senza dare segno di voler rispondere. Fin troppo concentrato sulla strada davanti a noi. Lo studiai ancora per qualche istante, prima di capire quale fosse la verità.

«Oh... Sei tu ad aver cambiato idea».

«Non è così», si mise sulla difensiva, la postura improvvisamente più rigida. «Cioè, non lo so. Avere delle bocche in più da sfamare, scommettere su nuova gente... Abbiamo altro a cui pensare, al momento».

Tolsi le gambe dal cruscotto e mi avvicinai a Daryl. 

«Non vergognarti di pensarla così», lo rassicurai. «Quello che è successo ha lasciato il segno, in tutti noi. È per questo che ho avuto bisogno di uscire, sai? Volevo evitare di chiedermi, almeno per oggi, chissà quando capiterà la prossima volta. Sono giorni che non penso ad altro».

Daryl ascoltò in silenzio ciò che non avevo avuto il coraggio di dire neanche a Maggie, mantenendo gli occhi sulla strada.

«Non è facile rimanere positivi con tutti i casini che sono successi, eh?», commentò poco dopo, lanciandomi un mezzo sorriso.

Gli sorrisi di rimando, sentendo gli occhi inumidirsi per il sollievo di essermi tolta quel peso. «Per niente», risposi, scuotendo la testa. «La Beth sempre ottimista si è presa una vacanza, a quanto pare».

«Spero torni presto. C'è bisogno del suo ottimismo irritante», disse, senza guardarmi.

Tirai su col naso, lasciandomi scappare una risata. Il cuore mi si era alleggerito all'improvviso, come se Daryl avesse afferrato a piene mani il peso che lo opprimeva e lo avesse gettato via.

«Glielo riferirò», promisi, rilassandomi contro il sedile.

Il viaggio verso Ashburn, che durò poco più di una quarantina di minuti totali, filò liscio e senza intoppi. Viaggiammo attraverso le vie deserte della cittadina, prima di arrivare alla periferia e trovare ciò che stavamo cercando. Per nostra fortuna, il cantiere, a differenza di quello vicino ad Alexandria era delimitato da reti: se fossimo riusciti a chiudere il perimetro, avremmo potuto raccogliere quello che ci serviva in tranquillità, senza temere l'arrivo di vaganti dall'esterno. Superammo l'entrata del cantiere a bordo del furgone, per dare un'occhiata generale restando in sicurezza.

Lo spazio che ci ritrovammo davanti era delimitato, dal lato opposto al nostro, dall'enorme struttura che costituiva lo scheletro dell'edificio, attorniato dalle impalcature. Lo spazio attorno a noi era disseminato di cumuli di terra rossiccia, grosse tubature sparse quà e là, blocchi di cemento impilati, escavatori, bulldozer e macchinari di vario tipo.

«Questa impresa edile doveva essere una di quelle coi controcoglioni, guarda che ufficio», disse Daryl, indicandomi una specie di prefabbricato costituito da due livelli.

«Vale la pena darci un'occhiata. Ci sono molti mezzi, forse hanno anche delle taniche di carburante, da qualche parte. Viste tutte le spedizioni che stiamo facendo, non è mai abbastanza».

«Priorità ai pannelli», mi ricordò, indicandomi con un cenno del capo una pila di lamiere ondulate che erano state lasciate nelle vicinanze dell'ufficio. «Anzi, prima di tutto chiudiamo il perimetro». 

Il cantiere non era molto affollato, dal punto di vista dei vaganti: lo spazio ampio li manteneva sparpagliati, perciò riuscimmo ad affrontarne non più di due per volta. Usai il pugnale non soltanto per evitare di fare troppo rumore, ma anche perché alcuni indossavano ancora il casco di protezione, quindi dovevamo trafiggergli il cervello passando per il bulbo oculare.

«È troppo strano vederti combattere senza la balestra», commentai, mentre mi rialzavo dopo aver atterrato l'ultimo vagante presente nello spiazzo. Invece le ali d'angelo del suo gilet, dopo una piccola rammendata, erano tornate belle e dispiegate sulla sua schiena.

Daryl si strinse nelle spalle, buttando per terra il bastone di ferro che aveva utilizzato come arma. «Di sicuro non vado a cercare quello stronzo per farmela ridare».

«Te ne troverò un'altra io, infatti», gli promisi, puntellando i pugni sui fianchi e allargando le spalle con atteggiamento spavaldo.

Lui mi sospinse verso il cumulo di lamiere, senza nascondere un mezzo sorriso divertito. «Ma cammina».

I pannelli erano lunghi e larghi, ma fortunatamente non molto pesanti: sollevandoli io da un lato e Daryl dall'altro, riuscimmo a caricarli sul cassone del furgone, che avevamo già parcheggiato vicino alla pila di lamiere. Trovammo anche qualche tanica di benzina vicino ad un escavatore, che riponemmo nel cassone insieme ai pannelli.

«Diamoci una mossa. Non voglio stare fuori troppo».

«Abbiamo raccolto tutto quello che dovevamo e non è nemmeno mezzogiorno», dissi, alzando lo sguardo verso il sole. «Possiamo dare un'occhiata con calma e fermarci un attimo»,

«Prima torniamo meglio è», replicò Daryl, guardandosi attorno con aria diffidente ed estraendo la pistola dalla fondina.

Mi addossai alla porta del prefabbricato, una mano sulla maniglia e l'altra sulla mia pistola, mentre Daryl si sistemava a lato della soglia. Quando mi fece cenno col capo, aprii la porta di scatto e lui si infilò nell'ufficio, con le braccia tese e l'arma puntata davanti a sé.

«Libero», sentenziò la sua voce da dietro la porta, così lo seguii.

Il primo livello dell'ufficio era composto da un corridoio abbastanza stretto, sul quale si affacciavano due porte ravvicinate tra loro. La prima porta era socchiusa e Daryl vi sbirciò dentro, assicurandosi che fosse vuota: quando mi diede il suo benestare, entrai anche io. Era una sorta di sala riunioni, con un tavolo tondo posizionato al centro della stanza, attorniato da sedie, e un piccolo schedario sotto la finestra; addossata al muro, si trovava una lavagna magnetica, tappezzata dai progetti del cantiere. Daryl si mise a rovistare frettolosamente nei cassetti dello schedario e, non trovando nulla di utile, mi invitò ad uscire dalla stanza con un colpetto sulla schiena.

La seconda porta celava una specie di mini deposito con scorte di calcestruzzo, legno, attrezzi da lavoro e altre diavolerie da cantiere che non avevo mai visto. Daryl raccolse nel suo zaino degli strumenti che potevano servirci anche ad Alexandria, poi ci recammo al secondo livello del prefabbricato, salendo la scala che si trovava all'esterno del box. Dietro alla prima porta, come enunciava la targhetta, si trovava il bagno. L'ultima stanza che ci attendeva doveva essere stato l'ufficio del capo-cantiere. Contro le pareti verde scuro erano posizionati schedari e scaffali con portadocumenti vari. Opposta all'entrata, c'era una scrivania di legno ricoperta da scartoffie e cianfrusaglie varie; in tutta quella confusione, svettava la foto di famiglia di un uomo, calvo e sulla quarantina, che mi sorrideva dalla cornice assieme alla moglie e alle loro due figlie. Un altro viso che mi guardava, questa volta però in maniera lasciva, era quello della bambolona mora e svestita stampata sul calendario appeso al muro. Al centro della scrivania era sistemato il computer, spento da chissà quanto tempo e ingrigito dalla polvere. Anche il resto della stanza sembrava ricoperto da una cortina polverosa. Se non fosse stato per la coperta di lana stesa sotto alla scrivania, avrei giurato che quel posto non vedesse visitatori da un sacco di tempo.

Daryl interruppe il suo frugare in giro per osservare quel picnic improvvisato con le sopracciglia aggrottate. Abbandonati sul pavimento c'erano anche un binocolo, un piede di porco e due bottigliette d'acqua piene.

«Ci vive qualcuno, qui», azzardai, affiancandolo.

«Può essere. O forse hanno dovuto levare le tende e non torneranno», rimuginò. A lato della scrivania vi era un castello fatto con dei barattoli di latta vuoti, che Daryl fece crollare toccandolo con la punta dello scarpone.

«Magari sono solo andati a cercare provviste», dissi. Sfilai due latte di cibo in scatola dal mio zaino e le posizionai per terra, sulla coperta. Daryl mi lanciò un'occhiata di traverso.
 
«Che c'è?», domandai, risistemando lo zaino sulle spalle.

«Lo sai che a casa stanno iniziando a diminuire le scorte».

«Olivia mi ha detto che c'è stato un leggero calo rispetto ai mesi scorsi, sì. Ma sicuramente ce la stiamo passando meglio di chi vive accampato sotto ad una scrivania», replicai, facendo spallucce. 

«Rischi di lasciarle qui per niente. Nessuno ti assicura che, chiunque fosse qui, tornerà».

Allungai un braccio all'indietro per recuperare due cucchiai da una tasca laterale dello zaino. Ne feci sventolare uno sotto il naso di Daryl. «Facciamo così, allora: una la mangiamo noi e una la lasciamo qui. Questo posto non è male e, sicuramente, prima o poi ricapiterà che si fermi qualcuno. Se possiamo aiutare qualche sconosciuto, perché no? Non sarà un barattolo in meno a farci morire di fame».

Daryl si allontanò da me e si lasciò andare sul divano malandato che si trovava sotto la finestra. «Come ti pare».

Raccolsi la lattina di fagioli stufati e mi sedetti accanto a lui, offrendogli nuovamente il cucchiaio. Mantenni il barattolo sollevato tra noi per attingervi a turno e iniziammo a mangiare in un silenzio complice. Mentre masticavo mi guardai in giro, cercando di individuare cosa avrei potuto portare via tra tutta quella roba. Sarebbe stato utile prendere i fogli e la cancelleria, per la riapertura della scuola: Sam sarebbe stata felicissima di avere del nuovo materiale con cui poter lavorare. E Michonne avrebbe apprezzato quel blocco di fogli per la progettistica, dal momento che lei e Rick avevano accennato ad un ampliamento delle mura. Se avessimo setacciato anche il bagno, forse, avremmo potuto trovare qualche scorta medica per l'infermeria.

Mentre mettevo insieme un inventario tra me e me, Daryl continuava a mangiare in silenzio.

«Non sono tutti come i due che hai incontrato nel bosco», mi venne da dire, all'improvviso.

Lui alzò lo sguardo nel mio, senza nascondersi dietro a finte espressioni sorprese e senza falsi interrogativi. Aveva capito benissimo quello che volevo dirgli. Scrollò le spalle, avvicinando il barattolo a sé e scavandoci dentro col cucchiaio per guardare altrove.

«E me lo stai dicendo perché...?».

«Perché ti comporti diversamente, da quando li hai incontrati. Era da tanto che non ti vedevo così diffidente», ammisi con cautela.

«Essere diffidenti ci ha salvato il culo molte volte».

«È vero, però mi seccherebbe molto sapere che sono bastate due persone spaventate a farti invertire la marcia sui reclutamenti», replicai, con un sorriso. «Lo hai detto tu stesso, quella sera: è stata semplice sfiga e non sono tutti così. Ci hai forse ripensato?».

«Ho solo fatto due calcoli, a mente fredda... La paura rende stronzi e gli stronzi sono una minaccia. Quella volta è andata bene perché c'ero solo io, ma avrebbero potuto aspettare, entrare ad Alexandria e fare del male a qualcuno. Non mi va di correre ancora rischi inutili e mettervi in pericolo». Quando smise di parlare, ebbi l'impressione che si fosse tolto un gran peso. Chissà da quanto covava quell'idea e chissà quanto ci aveva rimuginato sopra.

«Sappiamo difenderci», gli ricordai. Il fatto che Alexandria fosse ancora in piedi, dopo tutto quello che era successo, ne era la prova. A prescindere da tutte le ricadute emotive del caso. «E stiamo cercando di rimetterci in piedi dopo un brutto momento. Rialzarsi non significa dimenticare il dolore della caduta, o che scompaia la paura di cadere di nuovo».

Daryl mi guardò di sottecchi. «Non sembravi pensarla così, prima. Cos'è, la Beth ottimista è già tornata dalla vacanza?».

Appoggiai il barattolo ormai vuoto per terra e gli sorrisi. «Ha dovuto farlo, nel momento in cui hai iniziato a dire assurdità. Tu non potresti mai metterci deliberatamente in pericolo, Daryl, non l'hai mai fatto. Anzi, hai salvato molti di noi, più volte. Una minima parte di rischio c'è sempre... Non vivremmo dove viviamo ora, se Aaron non avesse rischiato. Fa parte del gioco». Gli sfiorai il volto e la punta delle mie dita passarono tra le ciocche della sua frangia scompigliata. «Devi solo darti del tempo. Sono sicura che, quando le mura saranno di nuovo in piedi e torneremo alla normalità, tornerai là fuori a cercare persone. Perché è questo ciò che fai, è questo ciò che sei».

Sul viso di Daryl c'era un'espressione che poche volte gli avevo visto assumere: era distesa, con un angolo delle labbra appena arricciato in un sorriso e uno sguardo più tenero del solito. L'azzurro delle sue iridi che, fino a quel momento, era stato incupito dai pensieri, si schiarì nuovamente. Mi ricordò il cielo terso che si apre quando il sole spazza via le nubi dopo una mattinata di pioggia incessante. Si sporse col busto verso di me, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio. Poi, cinse il mio volto con una mano e mi baciò morbido, senza aggiungere altro.

Mi sentivo molto meglio di quanto mi fossi sentita in quella settimana. Riuscire a condividere certi stati d'animo con Daryl, rendermi conto che anche lui poteva aver bisogno del mio ascolto, che potevo aiutarlo a stare meglio, anche solo parlando... riusciva a spazzare via qualsiasi pensiero negativo mi avesse tormentata in quei giorni. Rassicurando lui, ero riuscita a rassicurare anche me stessa, a ricordarmi che, qualunque cosa fosse successa, non sarei stata sola.

«Andiamo?», chiese Daryl, schiarendosi la voce dopo aver separato le nostre labbra.

Annuii, allontanandomi da lui controvoglia. «Sai, pensavo di raccogliere qualche materiale di cancelleria, per la scuola. Potremmo anche trovare qualche rifornimento per l'infermeria se ci fermassimo un attimo a ricontrollare nel bagno».

Daryl si alzò, offrendomi la mano per tirarmi su. Con un balzo, fui di nuovo in piedi.

«Okay», concesse, «ma cerchiamo di spicciarci».

«Buongiorno, stranieri!».

Il mio corpo reagì prima che potessi rendermi pienamente conto di quella voce sconosciuta: con un gesto fulmineo, la mano destra andò a recuperare la pistola dalla fondina, spianandola davanti a me. Con la coda dell'occhio, notai che anche Daryl era scattato in posizione di difesa.

«Una domanda veloce: siete stati voi a mettere in sicurezza il perimetro, qua fuori?».

Daryl non rispose. Chissà che sguardo aveva, in quel momento. Di sicuro non molto amichevole. 

«Lo prenderò come un sì. Vi devo ringraziare, è stato bello tornare e trovare il cortile di casa libero dai masticatori. Posso...».

«Ce ne stavamo andando».

«E dai, amico, sto solo cercando di avere una conversazione civile! Era da tanto che non mi succedeva di avere degli ospiti. Non che mi dispiaccia essere un lupo solitario, eh, ma quattro chiacchiere ogni tanto fanno sempre piacere e non hanno mai ucciso nessuno».

«Lo dici tu».

Durante quello scambio, misi a fuoco il ragazzo davanti a noi: sembra avere poco più di trent'anni, indossava un paio di camperos e, sotto la giacca di jeans, svettava su una maglietta il logo di qualche band metal a me sconosciuta. Aveva i capelli neri e ricciuti, lo sguardo era scuro e gentile. Ci sorrideva, per nulla intimorito dal proprio svantaggio numerico; anzi, continuava a parlarci senza difendersi dietro qualche arma, a differenza nostra. Lo studiai, per cercare di capire se avesse qualche asso nella manica, nonostante entrambe le braccia fossero abbandonate lungo i fianchi. Nel momento in cui notai l'arma che lo sconosciuto stava tenendo mollemente appesa alla spalla, non potei fare a meno di sorridere. Continuai a tenerlo sott'occhio, sporgendomi appena verso Daryl.

«Te lo avevo detto, che ti avrei trovato un'altra balestra».



Note autrice

Ciao, a chiunque stia leggendo. Sono passati quattro anni dall'ultimo aggiornamento e l'ultima cosa che credevo è che, un giorno, sarei tornata a pubblicare.
Un po' perché ho avuto un blocco enorme che non mi ha permesso di scrivere nemmeno una riga, un po' perché l'entusiasmo per The Walking Dead è scemato nel tempo, a causa delle ultime stagioni che - a mio parere - non hanno nulla da spartire con le prime. Non mi hanno appassionata come le prime e quindi anche la mia voglia di scrivere di questo mondo mi ha abbandonata per tanto tempo.
Il fatto, però, che la storia principale sia conclusa e che, per sapere come finisce, io abbia recuperato il tutto... mi è servito a riprendere in mano questa storia. Anche perché il mio ammore per i Bethyl è sempre stato lì, nonostante non sia riuscita a scriverne per tanto tempo. Ad ogni modo, per chiunque sia ancora qui: SCUSATE.
Passando al capitolo... ci sono praticamente solo Beth e Daryl perché io per prima ho avuto bisogno di riprendere confidenza con loro due, ora che sono diventati essenzialmente una coppia. La trama non è andata avanti più di tanto, me ne rendo conto, ma spero abbiate apprezzato questa panoramica del loro rapporto e di come stiano cercando entrambi di rapportarsi all'altro, alla luce dell'avvicinamento che c'è stato tra loro.
Guardando Daryl nelle ultime stagioni, ho notato che si è lasciato andare, a livello interpersonale, e che ha molto ridotto l'idiosincrasia per affetto/emozioni/contatto fisico (specialmente grazie ai bambini). Ho immaginato, quindi, che avrebbe potuto fare questa evoluzione anche grazie a Beth, che si sarebbe ammorbito prima se le cose avessero preso una piega diversa. Spero di non averlo snaturato, ecco.
Prima di lasciarvi, devo dire un grazie E N O R M E a vannagio che ha accettato di betare questo capitolo con grande disponibilità e cura <3 e un grazie altrettanto grande ad AkaneT87 che con il suo sostegno inaspettato via dm mi ha spronata a riprendere in mano questa storia. E anche ad Ariane, che mi sprona sempre off-line <3
Dovrei riuscire ad aggiornare tra un mesetto (questa volta mi rifiuto di far passare gli anni, giuro); intanto ringrazio  chiunque avrà voglia di leggere e di lasciarmi un suo parere.
Alla prossima!

 
   
 
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