Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Bloody Hell    01/03/2023    1 recensioni
«Ah, dunque quelli che ho manifestato sarebbero i poteri del cristallo dell’Opale…» conclusi, osservandomi le mani che emettevano energia bianca.
“Bello schifo”, pensai, lasciandolo per me questa volta. […] Quando rialzai lo sguardo, immersa nei miei pensieri, Vincent mi stava scrutando, da capo a piedi, con estrema attenzione, ed un mezzo sorriso beffardo sulle labbra.
“Per essere così giovane, chissà cosa diavolo devi aver fatto per diventare il Mentore di questo posto pieno di pazzi. Peccato, eri quasi un bel giovanotto…” anche questo pensiero rimase solo per me, un po’ vergognandomi, dato che era quasi 6 anni più grande di me.
«E… tu cosa vuoi da me?» mi accorsi solo in ritardo di avergli stupidamente dato del tu, come se fosse un mio confidente qualunque. Sorrise ancora di più, rilassando gli occhi e piantando le sue pupille nei miei.
«Che tu faccia parte di questa Congrega, Nives, come tutti gli altri cristalli esistenti.» si espresse, dopo un lungo silenzio, in cui ha ben palpato la mia crescente agitazione.
Merda, forse mostrarmi così sprovveduta e ingenua, non era stata una grande idea.
.
.
Spoiler! (la storia è in fase di sviluppo, creazione e aggiornamento: è una demo di un fumetto)
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Giunti a destinazione 

 

“Egregio Signor Brian…” iniziai a scrivere con la penna fra le mani, un foglio svolazzante mezzo strappato, appoggiata alla meglio sul misero e sudicio tavolino del treno a vapore su cui stavo viaggiando. Risi sommessamente. “Nah, nemmeno io mi prenderei sul serio.” continuai a scrivere. 

“Onestamente non avrei mai pensato che ci avrei impiegato così poco a riscriveresti tramite queste insignificanti lettere.” sospirai profondamente. Ormai ero in viaggio da un paio di giorni, forse tre, avevo perso il conto. Solo le notti insonni passate a rigirarmi in scomparti microscopici al posto di letti ricoprivano la mia mente. Assieme al meraviglioso e immancabile sottile mal di testa che accompagnava le mie giornate ormai da anni. 

“Mi sento molto scombussolata, persa… e mi manchi da morire, lo ammetto. Stare senza la mia altra metà potrebbe togliermi ogni singolo raggio di vita da dentro.” continuai ad aggiornare il testo della lettera che stavo scrivendo per Brian, mio fratello gemello. Guardai fuori dal finestrino, inevitabilmente pensando a tutto quello che avevo lasciato alle mie spalle intraprendendo questo viaggio. Non era nemmeno un viaggio che avrei voluto fare, era solo una mera copertura della vita che non avrei mai condotto se fossi rimasta a Veletrum. Che anzi, mi sarei rifiutata di condurre: sposare un uomo, più grande di me, che non mi ha mai trattata bene, solo per dare ascolto a mio padre. Mai mi sarei abbassata a tanto. 

“Ammetto però che un po’ mi manca casa… mi mancate un po’ tutti. A parte… a parte tu sai chi.” scrissi ancora. Mio fratello sapeva tutto e ormai parlavamo in codice. A casa erano tutti un po’ troppo espansivi, c’era chi aveva la tendenza a controllare tutto. Come mio padre e Jean, il mio “promesso” sposo. 

“Conto 3 giorni di viaggio da quando sono partita… o almeno così credo. Ormai la cosa meno traumatica che mi possa essere successa è avere un lieve mal di testa, tra dirigibili e navi.” una lieve pulsazione alle tempie mi fece capire che stavo sforzando troppo le meningi, e che ormai stavo per vomitare a forza di guardare la penna che scriveva. Decisi di concludere momentaneamente la scrittura e di continuarla una volta scesa dal fantastico treno in cui mi trovavo. 

“Al momento comunque mi trovo quasi a destinazione, su un treno davvero terribile e mal messo. Sono quasi arrivata a Rainfort: l’agitazione si fa sentire.”

Non feci in tempo a chiudere il pennino antiquariato che avevo in mano che il treno frenò in maniera davvero brusca. 

«Attenzione! Si avvisa la gentile clientela che siamo arrivati all’ultima fermata: Stazione Principale di Rainfort, quartiere di Moonsight. Che Dio vi benedica.» 

Dove diavolo avevo guardato tutto questo tempo? Ero al centro di Rainfort e nemmeno mi ero resa conto.

«Oh! Accidenti!» esclamai all’improvviso, nel mentre il treno frenava e irrimediabilmente ogni cosa che avevo in mano assieme ai fogli svolazzanti mi cadde nel pavimento sudicio. Mi affrettai subito a raccoglierli, notando che nessuno degli altri passeggeri evidentemente si sarebbe messo ad aiutarmi. “Sigh” pensai, “te sogni ancora troppo Nives”. 

Mi guardai un po’ intorno, dopo essermi risistemata e dopo essere scesa dal treno. Lanciai letteralmente contro una parete un po’ più nascosta la borsa a tracolla che avevo e anche la pesante valigia che mi portavo dietro dalla città di Munimir. Tentai di appiccicarmi alla parete di mattoni di una delle colonne portanti che caratterizzavano la stazione, guardando bene come l’umidità della città di Rainfort le bagnava piano, per evitare che occhi indiscreti si poggiassero sulla mia figura. Mio malgrado, era un posto aperto e anche piuttosto illuminato, sia artificialmente che naturalmente, date le immense vetrate. Mi affrettai a sistemarmi il pesante giaccone che avevo prontamente portato con me prevedendo le temperature basse del paese. C’era una bella differenza tra la nazione di Veletrum e quella di Groundlane: nel mio paese c’era sempre il sole d’estate, ma il freddo rigido dell’inverno non ci chiudeva perennemente nelle case, soprattutto se si abitava al sud; mentre qui era una pioggia perenne, assieme alle perenni basse temperature… non sarebbe stato facile stare qui, anche se era dicembre e ormai ero abituata al freddo. Una volta concluso di ragionare sulle differenze immense che dividevano i nostri paesi, iniziai a guardarmi intorno. Notai le tubature ramate che sporgevano e che correvano lungo le colonne, lungo i muri e persino sull’alto e antico soffitto che caratterizzava la stazione, i vapori che fuoriuscivano addirittura dai mattoni, le goccioline di pioggia che trapelavano anche dalle vetrate che illuminavano l’ambiente. Fuori non era eccessivamente buio, nonostante i nuvoloni carichi di pioggia che si intravedevano all’orizzonte, da dove ero arrivata. Notai anche la quantità infinita di persone che brulicava dentro di essa. Un continuo via vai, c’era chi doveva lavorare, chi doveva partire per giorni, chi tornava, chi si trasferiva… come me. Decisi di aver visto troppo e che forse era ora di andare a destinazione, a quella definitiva: la Febes. Prima sarei dovuta passare alla dogana a lasciare e ritirare dei documenti… le solite burocrazie per il trasferimento. Mi trovavo lì per lavoro, nulla di più. Mi avviai dunque a passo svelto, cercando di non inciampare ogni due passi sulla valigia o sulla mia borsa, verso l’uscita effettiva della stazione, andando a cercare il punto ritrovo in cui vendevano e fornivano mappe ai turisti. Diciamo che ogni stazione ne aveva una, ogni luogo in cui si atterrava o arrivava a destinazione c’era. Era un obbligo, anzi un diritto, così aveva decretato il papa. Proprio in quel momento notai il suo bel manifesto spiaccicato su un palazzo, in bella vista, chiaro come la luce del sole quando è mezzogiorno. 

“Che pallone gonfiato.” inutile dire che non mi era mai stato simpatico. 

Dopo varie peripezie e dopo essermi persa svariate volte per i vicoli poco raccomandabili del quartiere di Moonsight finalmente recuperai una mappa decente e…

«Signorina Sperium!» mi voltai verso una voce calda che mi stava chiamando. O perlomeno, che stava chiamando il nome che avevo fornito. 

«S-sì?» guardai un po’ a vuoto non vedendo il proprietario della voce. Nessuna risposta. Mi guardai intorno nuovamente ma scrollai la testa. 

“Iniziamo bene: pure le allucinazioni uditive, adesso. Possibile che tu te lo sia solo immaginato visto il numero di ore dormite che hai sulle spalle.” mi ripetei. Tornai a concentrarmi sulla mappa, tentando di capire qualcosa nella gestione degli spazi e dei luoghi. 

«Signorina!» sentii una mano avvolgente appoggiarsi sulla mia spalla e sussultai immediatamente. Mi voltai di scatto, completamente colta alla sprovvista. Mi ritrovai di fronte a un uomo di bell’aspetto, molto curato, con capelli brizzolati, probabilmente sulla cinquantina. Aveva un sorriso teso, e sembrava dispiaciuto del piccolo inconveniente. Portava un bel giaccone nero, molto lungo, e delle cinghie attorno alle braccia, decorate con dei fini ingranaggi dorati; aveva un cappello cilindrico e degli occhiali tondi poggiati giusto sopra, i tipici “goggles” di Groundlane. Aveva persino un bastone che pareva piuttosto pregiato, dati i dettagli del legno. 

«Mi perdoni, non avevo intenzione di spaventarla, Miss» mi disse con più dolcezza, ritraendo delicatamente la mano. Aspettò che mi calmassi qualche secondo prima di  continuare. 

«Sono venuto da parte della Febes per scortarla fino alla nostra sede, in modo tale che non si perdesse e che non faticasse in tal maniera a piedi.» rimasi interdetta dalla distanza fredda delle parole che espresse. Di solito questo tipo di adulti non si rivolgono con così tanto rispetto verso noi ragazzi ventenni, mi suona quasi… sospetto. 

«Oh, uhm… non si preoccupi per lo spavento. In ogni caso è davvero molto cortese da parte vostra, io non-» mi interruppi. Volevo davvero farmi vedere come una tale sprovveduta? Guardai un punto dietro di lui prima di riprendere lo sguardo e di continuare a parlare. 

«Io mi stavo incamminando da sola, comunque.» esaurii io infine, puntando i miei occhi nei suoi color noce. Tentai di mantenere il più possibile uno sguardo vuoto e a tratti inquietante: non è che mi fidassi molto. 

«Miss, non si preoccupi, qui nessuno la vede come una sprovveduta. Volevamo solo evitare di farle fare tutta quella strada a piedi con una valigia così pesante addosso.» sorrise, socchiudendo lo sguardo, lasciandomi intendere che era lui quello più adulto nella conversazione, non si sarebbe lasciato chiudere in una simile maniera da una ragazzina come me. Ricacciai giù con violenza la sensazione di rabbia incontrollata che mi stava crescendo dentro a dismisura, e sorrisi a mia volta, ringraziandolo e chiedendogli di farmi strada. Detestavo farmi mettere così i piedi in testa. Ci dirigemmo verso una carrozza chiusa, data l’immensa pioggia che stava dilagando, era piuttosto vecchia, piena di intarsi e decorazioni nero e oro, al limita del pacchiano. Distorsi il naso notando la pochezza nel gusto che avevano i Rainfortniani, ma provai a passarci sopra: del resto solo i veri artisti di Veletrum, come me, potevano davvero comprendere il buon gusto dei colori e dei loro abbinamenti. Salii senza troppi problemi, aprendomi la portiera da sola e lasciando a bocca asciutta l’uomo, di cui, in maniera scortese, ho scordato di chiedere il nome. Presi posto in un angolo della vettura, posizionai la valigia tra le mie gambe e poi fissai l’uomo che aveva preso posto dalla parte opposta alla mia. Sembrava molto più alto e più grande rispetto all’angolo angusto in cui si era messo. 

«Miss, credo che sia tutto iniziato col piede sbagliato. Ricominciamo: come le è andato il viaggio?» esordì dopo un lungo silenzio riempito solo dai rumori esterni, cui pioggia, vociare di persone che camminano lungo i viali e il trottare dei cavalli. Sospirai.

«Sì, ha ragione. Il mio viaggio purtroppo è stato tortuoso e stancante. Ma sono stata scortese, non le ho nemmeno chiesto come si chiama.» discostai lo sguardo mentre pronunciavo quelle frasi, tornando prorompente sull’ultima parte. 

«Mi chiamo William Withman, ma la prego mi chiami solo Will» sorrise, annuendo leggermente con la testa. 

“E’ davvero un bell’uomo, bisogna ammetterlo, per avere più di 50 anni si tiene fisicamente bene” mi portai delicatamente una mano alla bocca, tentando di nascondere il sorrisino che mi scappò pensando queste cose. Acconsentii alla sua richiesta e mi spiegò brevemente in cosa consisteva effettivamente la Febes, dato che ancora non mi era eccessivamente chiaro, anche se era conosciuta internazionalmente per le sue prestigiose università di Geologia e Cristallografia. 

«Dunque, Miss, la Febes oltre ad avere alcune delle più prestigiose università dell’intero continente sotto il suo nome, è anche un luogo principale di ritrovo, scambio di idee e dibattiti. Ma oltre a questo, nei secoli si è andato a delineare un ordine un po’ più complesso di ciò che è il cuore della Febes» fece una pausa, per garantirmi di interiorizzare le informazioni che avevo appena appreso. Realmente, sapevo già cosa fosse la Febes, mia nonna in gioventù mi raccontò che era un membro di essa, ricoprendo un rango molto importante. Nel tempo però, mi raccontò anche che non era quello che diceva di essere e se ne andò volontariamente, sentendosi in trappola in mezzo a persone… poco raccomandabili. Infatti, ero restia a trasferirmi lì proprio per questo. Ma finsi di non saperne nulla, approcciandomi con una domanda sciocca.

«Ordine? Non si tratta mica di una setta, vero?» esposi la mia domanda fingendomi anche un po’ preoccupata, conferendomi un aspetto un po’ ingenuo. E abboccò.

«Miss, non si preoccupi che non è assolutamente quel tipo di luoghi. Siamo coperti dalla Chiesa, che ormai è nostra alleata da molti anni» sorrise dolcemente. 

“Incredibile come abbia abboccato a questo, mentre poco fa aveva palesemente intuito il mio stato d’animo confuso, quando ho provato a mascherarlo” pensai, rimanendo un po’ interdetta, senza darlo troppo a vedere. 

«In ogni caso, sotto il nostro ordine abbiamo raccolto anche la banca della nazione di Groundlane e i siti archeologici principali. Oltre a controllare, appunto, tutti gli scavi geologici e gli studi dei cristalli» continuò Will. Finsi di apparire disinteressata, guardando fuori dal finestrino colorato di scuro, tentando di vedere qualcosa, scostando le tendine delicate che vi erano appoggiate davanti. In che razza di situazione assurda mi stavo cacciando lo sa solo Dio… Forse. 

«E… che cosa ci farò io nella Febes? Qual è il mio scopo? Perché mi avete contattata?» gettai fuori queste domande che ormai avevo ripetuto a sufficienza nella mia testa. Sapevo benissimo perché fossi lì, sapevo benissimo a cosa sarei servita, ma speravo che i motivi fossero altri, diversi. 

«Questa, Miss, è un’informazione privata che spetterà al Direttore fornirla. Però, posso assicurarle che si troverà molto bene qui, la gente che popola i nostri luoghi è molto aperta alla comunicazione. Avrà anche la possibilità di studiare, qualora lo desiderasse» mi rispose sorridendo lui. Si era distanziato ancora di più, era un sorriso freddo quello che mi aveva mostrato. Avrei dovuto aspettare ancora per avere delle risposte che smentissero i miei dubbi. 

«Siamo arrivati» esordì William. Deglutii. 






 

 


(Attenzione! Mancano descrizioni di luoghi e persone, l'interesse è incentrato principalmente sulla trama essendo una demo.)

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Bloody Hell