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Autore: Sokew86    03/03/2023    0 recensioni
Ho la bocca con una piega verso il basso che mi fa sembrare arrabbiata con mondo. Le ombre sotto gli occhi non aiutavano a darmi un aspetto amichevole e, a peggiorare, il mio passo di camminata è sempre deciso. In quel caso il passo era anche accompagnato da nervosismo, perché ero stata chiamata a fare un colloquio da Pret a Manger, una caffetteria-catena britannica.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01_Pret kindness

Pret kindness


Nell’estate 2011 la stazione londinese di Victoria Station era in rinnovazione: erano iniziati da mesi i lavori per la metropolitana che avevano influenzato anche l’aspetto dell’edificio principale. C’erano numerosi divieti di accesso e sensi unici scritti a pennarello nero su lavagne bianche. I soffitti alti e luminosi della stazione, che ricordavano quelli di azienda tessile ottocentesca, rendevano la percezione della folla meno ingombrante.  In realtà erano le undici del mattino, un orario morto per qualsiasi ferrovia al mondo.

    Camminavo con il mio solito broncio, ho la bocca con una piega verso il basso che mi fa sembrare arrabbiata con mondo. Le ombre sotto gli occhi non aiutavano a darmi un aspetto amichevole e, a peggiorare, il mio passo di camminata è sempre deciso. In quel caso il passo era anche accompagnato da nervosismo, perché ero stata chiamata a fare un colloquio da Pret a Manger, una caffetteria-catena britannica.  Il colloquio era negli uffici generali, proprio nella stazione.  A un certo punto mi sono dovuta fermare e controllare le indicazioni che avevo scritto su un foglio, li avevo poi riposti quasi con stizza nella mia borsa. Avevo camminato fino ad arrivare a filo con i binari e girato a destra trovando finalmente gli uffici, un sospiro mi era sfuggito dalle labbra e poi ero tornata alla mia espressione neutrale che mi fa sembrare tanto una stronza.

Ero entrata nell’ufficio della catena con un sorriso a bocca chiusa, per sembrare amichevole, e avevo salutato la receptionista e chiesto informazioni.  Dopo una breve attesa nella hall, in cui avevo potuto notare il simbolo rosso della catena sui muri bianchi, era entrato l’intervistatore. Non era amichevole, i gesti erano secchi e la voce dura: impartiva ordini, non dava spiegazioni. Con il suo arrivo erano iniziate le prove per essere assunti in una semplice catena di caffetteria low cost.

La prima prova consisteva in un questionario attitudinale su PC. Le domande descrivano un’ipotetica situazione nel locale e avevi quattro scelte su come reagire: i test attitudinali m’innervosiscono parecchio perché sento di essere giudicata come persona e non come lavoratore. Il mio sguardo rimaneva fisso sul PC continuando a rispondere con esitazione, ogni tanto mi passavo una mano dietro al collo in un gesto di auto conforto a me tipico.

La seconda prova consisteva in un colloquio. Fui portata in una stanza bianca, dove di fronte a me si stagliava, ancora una volta, il simbolo della catena sul muro: quasi come uno stemma nobiliare del capitalismo. L’intervistatore di prima era seduto con una collega che sorrideva stancamente e aveva un’espressione indecifrabile, aveva tra le mani un plico di fogli. Iniziarono a fare domande sulle risposte che avevo dato al test, erano nel plico, ma non capivo che cosa mi dicevano perché il loro accento era difficile e parlavano troppo veloce per me. Quando capivo una domanda, il mio broken english non li impressionava come le spiegazioni delle mie scelte nel test. Uno di loro disse qualcosa dal tono infastidito all’altro e mi fecero uscire.

Rimasi in attesa nella hall senza guardare gli altri candidati, avevo gettato qualche sguardo solo sulla receptionista che era concentrata sul lavoro. Mezz’ora dopo il tirannico intervistatore era uscito e aveva snocciolato una serie di nomi, tra cui il mio storpiato, e ci aveva invitato ad andare via. Mi sono alzata per uscire solo quando l’ha fatto la persona chiamata dopo di me

Quando sono uscita dagli uffici, sono rimasta ferma fuori alla porta a far passare gli altri candidati e poi ho camminato lentamente con gli occhi pieni di lacrime. Mi sono appoggiata a un muro e ho iniziato a piangere disperatamente per il mio fallimento. Credo che dopo un paio di minuti una signora anziana dall’aspetto britannico si sia avvicinata. Mi ha chiesto che succedeva, tra singhiozzi avevo risposto che avevo appena fallito un colloquio di lavoro e che la sera avrei dovuto lavorare in un posto di merda. Sinceramente non so se mi ha compreso, il mio inglese era patetico e ne avevo avuta la prova. Mi ha chiesto se volevo essere abbracciata e ho accettato quel gesto gentile di una sconosciuta di una città che, fino a quel momento, non mi aveva mostrato nessuna gentilezza. Ho accettato con rassegnazione e ho sentito due braccia esili abbracciare la mia piccola figura.

 

   
 
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