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Autore: RandomWriter    05/03/2023    3 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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59.
RIMORSI

 
L’uscita definitiva di Debrah Jones dalla sua vita e da quella di Castiel aveva rappresentato un sollievo marginale per Nathaniel. La ragazza era comparsa all’improvviso, con l’impeto di uno tsunami e lasciando dietro di sè l’eco assordante di un’amicizia fraterna andata in pezzi.
Gli ci era voluto più di un anno per risaldare quel legame con il rosso, e il suo più grande terrore era che potesse cedere seconda volta. Fu proprio l’angoscia tradita dai suoi occhi ad accendere i sensi di Debrah. Non era bastata l’assurdità di quella coincidenza a farla dubitare dell’identità del ragazzo che la fronteggiava. A distanza di un anno, non osservava significativi cambiamenti nel ragazzo, mentre lo stesso non si poteva dire di lei. Aveva lasciato crescere i capelli che finivano per coprirle quasi interamente il nuovo e vistoso tatutaggio sull’avambraccio destro. Anche in termini di look, il suo aspetto risultava rinnovato, optando per capi di vestiario più aggressivi ma al contempo sofisticati.
Mentre abbracciava Sophia, Debrah aveva distolto l’attenzione dal ragazzo, godendosi il calore dell’unica persona in quella stanza che era sinceramente felice di rivederla. Traspariva della dolcezza nel modo in cui la mora aveva sciolto l’abbraccio, esitanto qualche istante prima di separarsi da quella stretta. Dolcezza da cui Nathaniel aveva imparato a diffidare. L’avrebbe presa a schiaffi se quel gesto non fosse stato così estraneo ai suoi principi. Debrah era la personificazione di uno dei suoi più grandi errori di valuatazione, la miccia che aveva acceso quella guerra fredda tra lui e Castiel. Eppure lei appariva rilassata, beata di quell’incredibile leggerezza di chi non conosce il significato del senso di colpa. Quel’espressione estatica era però destinata a spegnersi, dopo interminabili secondi di silenzio:
« Logan sta ancora dormendo? » le chiese Sophia. Sbirciò una porta chiusa alle sue spalle, prima che Debrah replicasse compostamente:
« Logan non c’è »
L’amica spalancò leggermente le labbra, presa in contropiede da quell’inattesa informazione. Confusa, si preparò a ribattere ma Debrah la anticipò:
« Ne parliamo più tardi, Fia. Ora non mi va »
Quella richiesta fece calare un disagevole silenzio che però non era destinato a durare. La sola presenza della ragazza risultava sempre più intollerabile per Nathaniel. Non era psicologicamente preparato a trovarsela davanti, specie in una situazione particolarmente delicata come quella in cui si erano cacciati lui e Sophia. Vedere Debrah gli aveva ricordato Castiel, Morristown ed infine Rosalya. Per un attimo, durato quanto la scorsa notte, era riuscito a tacere il lato più razionale e moralista della sua persona ma ora era arrivato il momento di guardare in faccia la realtà: aveva tradito Rosalya e doveva tornare a Morristown quello stesso giorno. Per quanto inevitabile, urlare contro Debrah non era in cima alle sue priorità. Sentiva salirgli la nausea a forza di reprimere tutti i suoi pensieri, così, prima che Sophia potesse introdurlo alla conversazione, il biondo aveva già abbandonato quella cucina così soffocante.
In camera da letto, recuperò i vestiti, gettandoli alla rinfusa nello zaino. Doveva passare al residence a recuperare il resto dei suoi bagagli e il tempo era sempre meno.
Non attese molto prima che Sophia piombasse in camera a chiedergli delle spiegazioni:
« Che succede Nath? Perchè te ne sei andato così? »
Lo seguiva con lo sguardo, mentre lui si muoveva frettolosamente da un lato all’altro della stanza, raccattando i suoi effetti personali.
« Ho un aereo da prendere e sono già in ritardo » la freddò, infilandosi la felpa.
Nonostante avesse lasciato Debrah fuori da quella camera, non riusciva a tenerla fuori dalla sua testa. Sapeva che l’ex ragazza di Castiel fosse originaria di Allentown ma non aveva mai valutato l’eventualità che Sophia la conoscesse. Ancora più paradossale era l’eventualità, poi verificatasi, di incontrarla a migliaia di miglia di distanza dalle rispettive città.
Eppure aveva sempre avuto la sensazione che quella questione fosse rimasta in sospeso, non solo tra lui e Castiel, ma anche per Debrah. Nel primo caso, Castiel si era sempre rifiutato di affrontare direttamente il discorso, liquidando il litigio di quell’anno a un capitolo chiuso nel passato. Nathaniel però avrebbe voluto approfittare della loro riappacificazione per convincerlo della genuinità del suo comportamento, che ogni sua decisione, per quanto sbagliata, non fosse stata fatta a suo discapito. Quanto a Debrah, era sparita all’improvviso, senza assumersi alcuna responsabilità di quanto accaduto e lanciando alle ortiche una relazione in cui Castiel aveva creduto molto.
Fu a quel punto che nel biondo balenò il sospetto che il trasferimento in California di Debrah fosse coinciso con la decisione di Sophia di abbandonare la famiglia. Del resto, tra le doti meno encomiabili della mora rientrava la sua capacità di manipolare le persone, facendo leva sulla propria apparente fragilità. Si voltò quindi di scatto verso la rossa, sibilando a denti stretti:
« Quando dicevi di esserti trasferita qui perché c’era una persona che aveva bisogno di te… non sarà mica lei? »
In una semplice sillaba, Nathaniel era riuscito ad imprimere così tanto disgusto e frustrazione che per un attimo la rossa non capì chi fosse l’oggetto di tanto odio. Boccheggiò confusa, mentre la rabbia del suo interlocutore si alimentava sotto i suoi occhi.
« E’ lei Mackenzie? » tuonò impaziente.
Spiazzata e incapace di sostenere la furia che le si parava davanti, Sophia borbottò una risposta caustica che finì per irritare ancora di più il suo interlocutore.
« C-cosa? No, no, che stai dicendo… »
« Allora perché lei è qui?! »
Quella situazione sfuggiva totalmente alla sua comprensione ma nell’attesa di ricevere ulteriori indizi, la ragazza si sforzò di mantenere la calma, rispondendo all’interrogatorio:
« Si è trasferita qui dopo aver rotto con il suo ex lo scorso anno. Era davvero distrutta, Nathaniel… e in quel periodo, anche io avevo bisogno di stare sola, così l’ho raggiunta qui… »
L’accanimento del ragazzo verso Debrah poteva trovare una sua spiegazione solo in a fronte di una mutua conoscenza. Una coincidenza alla quale non aveva mai pensato prima.
« Lei era distrutta? Oh poverina! » continuava ad imprecare il biondo. Chiuse con foga la zip dello zaino, al punto che quest’ultima gli restò in mano  « fanculo! » emise, gettandola per terra con sprezzo.
Il ragazzo con cui stava Debrah l’anno precedente si chiama Castiel ed era originario di Morristown. Esattamente come il Castiel di Nathaniel e di sua sorella Erin.
 
« Quindi possiamo dire che sei ufficialmente impegnata? » le aveva sorriso Sophia, allungandole un bicchiere di Coca-Cola.
« Considerami già sposata! » aveva strillato Debrah, gesticolando animatamente.
L’amica si era presentata a casa sua quella domenica pomeriggio senza nessun preannuncio. Neppure il tragitto tra Morristown ed Allentown aveva sopito la sua frenesia. Quella mattina lei e il suo nuovo ragazzo avevano ufficilizzato la relazione, dopo aver scoperto di non avere nessun interesse a frequentare altre persone. Castiel si era fatto avanti con lei, le aveva dichiarato in modo un po’ impacciato quello che provava e l’idea che ora lui fosse il suo ragazzo, le regalava dei brividi di gioia e orgoglio.
Anche se Sophia riusciva a partecipare con trasporto a quell’esplosione di entusiasmo, lo stesso non si poteva dire dell’altra presenza nella cucina dei Travis. Scocciata per quella chiassosa interferenza durante la visione della sua serie TV preferita, Erin si limitava ad alzare alternativamente il volume per contrastare il chiacchiericcio di Debrah. Nonostante un’indole universalmente riconosciuta come amichevole, l’amica di sua sorella rappresentava una mal celata eccezione. La mora era sempre troppo chiassosa, talvolta prepotente e saccente. Nemmeno sul piano degli hobbies, le due avevano molti argomenti di conversazione. Erin preferiva gli sport individuali, mentre Debrah giocava a pallavolo nel suo liceo. Erin odiava cantare in pubblico, Debrah non perdeva occasioni per esibirsi. Tuttavia, la repellenza tra le due sembrava non turbare l’unico comune denominatore, rappresentato da Sophia. A contrario della gemella, la ragazza apprezzava quell’indole così ribelle e anarchica. Debrah era un vulcano di energia e di ambizioni e non esitava a dichiarare apertamente quali fossero i suoi desideri.  
« Te lo sei meritato, Candy » le sorrideva Sophia.
Candy. Un nomignolo alquanto ridicolo che non si sposava con la personalità indigesta della sua destinataria, pensò Erin sbuffando. Per ogni battuta scambiata tra le due amiche, doveva sacrificare un dialogo della sua serie televisiva.
« Ovvio! Mica è da tutti farsi Allentown e Morristown tre volte a settimana! »
« Beh, diciamo che è stata anche una bella scusa per saltare delle lezioni » ridacchiò Sophia. Non di rado si era trovata a giustificare l’assenza dell’amica di fronte ad insegnanti preoccupati per il perdurare della presunta malattia della ragazza. Del resto, i genitori della ragazza le avevano sempre lasciato così tanta libertà di gestione che l’assunzione di responsabilità non rientrava tra le doti più spiccate di Debrah.
« Sofy tu non puoi capire! E poi sapessi come scopa! » aveva sospirato lei, lanciandole un’occhiata maliziosa.
« Beh almeno tiene la casa pulita »
Il sarcasmo di quel commento era arrivato direttamente dal divano, costringendo le due interlocutrici a interrompere la loro conversazione. Il profilo irritato di Erin teneva lo sguardo fisso sulla TV ma metà del suo viso era sufficiente a trasmettere la totalità del fastidio che stava covando. Sophia sogghignò, mentre Debrah fissò la mora con un’espressione inizialmente risentita ma destinata a trasformarsi in un ghigno sardonico.
« Devo spiegarti il reale significato, Erin? » la punzecchiò.
« L’importante è che l’abbia capito tu, Debrah » la sbefeggiò lei di rimando. Si alzò quindi dal divano, sconfitta dall’inevitabile intrusione dell’ospite in quella stanza. Poche persone riuscivano a estrapolarle il lato più acido e pungente della sua personalità e Debrah era in cima a quella lista.
« Dove vai? » le chiese Sophia seguendola con lo sguardo.
« A cercare la pace interiore » borbottò di malumore abbandonando la stanza. Non appena sentirono i passi di Erin farsi sempre più lontani, Debrah borbottò:
« Credimi, tua sorella ha seriamente bisogno di una scopata »
 
L’ex ragazzo di Debrah si chiamava Castiel. Ricordò solo alcuni dettagli che lo riguardavano, primo tra tutti che fosse una testa calda. Il Castiel di Debrah era uno spirito estremamente ribelle e sovversivo. Viveva da solo e il suo rendimento scolastico lasciava a desiderare. Del Castiel di Erin, Sophia sapeva ben poco; la sorella le aveva accennato un interesse per la musica e per il basket, sport per altro mai menzionato da Debrah. Inoltre, poco dopo l’ufficializzazione della sua relazione, Debrah era sparita totalmente, venendo meno per Sophia le occasioni per conoscere il suo ragazzo. Paradossalmente, non ne aveva mai vista una foto. Doveva riconoscere che l’assenteismo dell’amica l’avesse ferita ma d’altro, Sophia era una strenua sostenitrice del diritto a non elemosinare l’attenzione delle persone e si era rassegnata a rispettare la totale immersione di Debrah in quel nuovo rapporto. Come se ciò non bastasse, dei perbenisti come sua sorella o Nathaniel non erano assolutamente compabili con la frammentaria descrizione che Debrah aveva fornito del suo anarchico ragazzo. Eppure, in quel presente in cui lei si trovava nella sua stanza a San Francisco, ad osservare i movimenti nervosi di Nathaniel Daniels, non poteva esserci altra spiegazione.
« Nathaniel, ma quindi... Debrah... stava con Castiel... il vostro Castiel? » titubò.
Si sentì confusa nell’uso di quell’aggettivo possessivo. Non era il Castiel di nessuno eppure era anche il Castiel di tutti. Che cosa avesse di così magnetico del ragazzo, Sophia non l’aveva ancora capito. L’unica verità di cui era a conoscenza era che per colpa sua, Debrah aveva sofferto come mai prima di allora e fu per questo che, con crescente rabbia, sputò:
« E’ stato lui lo stronzo che l’ha fatta soffrire? »
Quella semplice domanda sembrò anestetizzare i movimenti spasmodici di Nathaniel. Il biondo si congelò tenendo le braccia piegate davanti al petto e sbattè le palpebre più volte, incredulo.
Non di nuovo. Debrah continuava a plasmare la realtà a suo piacimento, costruendo una rete di bugie dalla quale non solo non ne restava intrappolata ma ne era addirittura la tessitrice.
« Che cazzo dici? » sbraitò, scrollandosi da quella fissità.
Si avvicinò a Sophia, aggirando il letto che li separava. Determinata a non perdere una seconda volta il controllo della conversazione, Sophia replicò:
« Chissà cosa ha raccontato a te Castiel! Io mi fido di Debrah! »
Il ragazzo socchiuse le labbra, spiazzato. L’ultima volta che Nathaniel aveva sentito quelle parole, la sua amicizia con Castiel era andata ineluttabilmente in pezzi. Anche se non l’aveva preventivato, era riuscita a vincere quella discussione annientando completamente nel biondo ogni volontà di replica.
 
L’aroma avvolgente del caffè si era librato nell’aria, rilassando così l’umore leggermente infastidito del professor Condor. Le colleghe più giovani si intrattenevano in una conversazione che interferiva con la lettura del giornale locale, rito che si concedeva ogni mattina prima di affrontare decine di studenti svogliati e demotivati. Se non altro, leggere dell’arrivo di Dajan Brooks nelle file dei Cavs per la prossima stagione di basket, aveva sortito un effetto calmante sul docente, accanito sostenitore della squadra. Anche se nella sua materia quel liceale non aveva mai brillato, il vecchio insegnante sorrise orgoglioso. Si sarebbe vantato di aver avuto tra i suoi banchi la futura promessa del basket nazionale.
Miss Fraun invece era alle prese con un’attività meno distensiva e, sbuffando tra un foglio e l’altro, esaminava degli ultimi compiti di storia. Colpa della preside che le aveva chiesto di concludere con urgenza il rendiconto della 4^ C, una delle classi più problematiche nella sua disciplina. La magra consolazione era rappresentata dall’arrivo di Kentin Affleck a metà anno, il quale aveva alzato la media della classe che soggetti come Castiel, Trevor e Kim abbassavano tremendamente. Persino Erin Travis, la pupilla di Miss Joplin, aveva difficoltà in storia e arrivava sempre ad una sufficienza tirata. Quei quattro, che per lei rappresentavano una fonte di grattacapi, erano invece nel cuore del suo recente flirt, nonché allenatore di basket. Si accomodò gli occhiali sul naso aquilino e sorrise, all’idea che, quella sera, lei e Boris sarebbero usciti a cena nel suo ristorante preferito.
« La preside era così elettrizzata. Hai fatto una proposta fantastica, Beck! » stava squittendo Miss Robinson. Analogamente alla collega di storia, anche Jane Robinson avrebbe dovuto occupare quell’ora libera per mettersi in pari con le verifiche di arte da correggere. Tuttavia, la presenza della sua amica e collega Miss Joplin costutuiva sempre una tentazione impossibile da ignorare.
« Andiamo, Jane, diciamo invece che è avvilente che questa iniziativa non sia mai stata fatta prima! »
« Beh, converrai che il liceo non ha bisogno di questo genere di pubblicità… » osservò Miss Robinson, sedendosi più compostamente.
« L’istituto no, ma non può attrarre nuovi studenti solo per fama, deve dimostrare sin da subito la validità dell’offerta didattica che offre. Così magari riusciremo anche ad attrarre studenti davvero eccellenti. Questo è il genere di pubblicità di cui ha bisogno l’Atlantic » precisò Miss Joplin, rafforzando le sue parole con una gestualità esagerata. L’insegnante d’arte sorrise e annuì soddisfatta:
« Beck, Beck… se continui così, diventerai l’erede di Miss Swanson, lo sai? »
Mister Connor ripiegò diligentemente il giornale e lo inserì nella sua cartella. La campanella sarebbe suonata di lì a breve e suo malgrado, non riusciva a farsi contagiare dall’entusiasmo di quelle due colleghe più giovani. Una giornata di orientamento nell’istutito era quel genere di attività per cui non si sarebbe mai offerto volontario e, dal momento che non gli veniva pure riconosciuta come straordinario, non riusciva nemmeno a comprendere l’entusiasmo e la passione delle sue insegnanti.
 
Kim ricontrollò la lista di nomi davanti a sè.
Il campionato di atletica era alle porte e quell’anno rischiavano seriamente di fare brutta figura. Il club di atletica era sul podio dei migliori club del liceo sin da quando la scuola era stata fondata. Prima ancora che la squadra di basket la reclutasse per il torneo, la velocista aveva osservato un abbassamento delle performance e, con il suo allontamento temporaneo dalla pista, quest’ultimo sembrava aver risentito di un ulteriore ribasso. Facendo quindi leva sull’onore sportivo della scuola, Kim stava cercando cercando di strumentalizzare il torneo delle sezioni a favore del campionato imminente:
« Cosa intende dire, signorina Phoenix? » le aveva chiesto la preside, quando Kim l’aveva intercettata nei corridoi.
« Potremo aprire le candidature al campionato anche a studenti che non risultino formalmente iscritti al club, purchè abbiano delle performance eccelenti... e a tal proposito, i risultati sportivi del torneo delle sezioni sono vitali per i club come quello di atletica »
Ogni anno il club di atletica partecipava ad una competizione nazionale aperta a tutte le scuole superiori, il cosidetto campionato di atletica. L’Atlantic High School non si era mai esentata dal parteciparvi ma sfruttava pure un evento interno, che si svolgeva due mesi più tardi, per selezionare e accalappiare nuovi membri per i diversi club sportivi della scuola per l’anno scolastico successivo. Tale evento prendeva il nome di torneo delle sezioni era una rappresentato da un’intera giornata all’insegna dello sport e dell’atletica. Le lezioni venivano quindi sospese per concedere ai rappresentanti di ogni classe di affrontarsi  in svariate discipline sportive, che andavano da prestazioni individuali a giochi di squadra. Ne risultava quindi una vera e propria gara dove venivano messi in risalto le abilità sportive degli studenti più prestanti.
Poichè indirizzato a tutte le sezioni, ogni classe doveva schierare almeno un elemento in ogni disciplina di atletica leggera mentre per le tre partite a squadre, si candidavano gli studenti delle varie calssi purchè appartenenti alla stessa sezione.
La proposta di Kim era di revertire quella tradizione e anticipare il torneo così da rimpolpare le file dell’atletica in vista dell’imminente campionato.
« Non siamo ai livelli degli anni scorsi, abbiamo bisogno di prestazioni migliori » aveva sottolineato la ragazza, continuando a seguire il passo impettito della preside. Quest’ultima soppesò la proposta, trovando alquanto difficile ascoltare le proprie riflessioni poichè disturbate dal parlottare frenetico e concitato della studentessa.
« Non pensi che i membri del club di atletica si sentirebbero offesi a vedersi passare davanti qualcuno che non fa nemmeno parte del club? » domandò infine la donna, sostando davanti alla porta del suo ufficio.
Era l’unica obiezione che le era sembrato ragionevole sollevare. Probabilmente gli insegnanti avrebbero avuto da ridire sullo scarso preavviso con cui avrebbe richiesto di sospendere le lezioni ma del resto, si trattava di appena un giorno. Alla sua domanda, la velocista si era limitata a sollevare le spalle e con un’espressione cinicamente spietata, rispose:
« In tal caso, avrebbero dovuto allenarsi di più »
 
Il suono di un clacson, per quanto in lontananza, fu sufficiente a destarlo dal sonno. Gli era impossibile ignorare certi suoni, persino quando dormiva. Quell’udito così fine era il suo dono e la sua condanna. Con la testa che gli pulsava e la gola dolorante per le troppe sigarette fumate la notte precedente, Castiel aprì gli occhi pigramente, realizzando di essersi addormentato sul divano. Nel tentativo di mettersi in piedi, inciampò in qualcosa di particolarmente ingombrante e per poco non perse l’equilibrio, evitando di cadere sul tavolino davanti a lui:
« Mozart... » borbottò Ace nel sonno « guarda dove metti i piedi »
Infagottato come una crisalide, ai piedi del divano, giaceva Ace, il chitarrista della band per cui aveva iniziato a lavorare tre mesi prima. Fu quell’immagine a scaturirne le successive: erano usciti a fare festa e, in memoria dei bei tempi nello chalet in Germania, avevano fatto baldoria fino a notte fonda. Nonostante i Tenia fossero rientrati in hotel, dopo appena mezz’ora, Ace e Chester erano tornati sui loro passi, dichiarando che erano troppo su di giri per dormire.
Purtroppo Castiel, diversamente dai due, non era ancora esente dai suoi doveri di studente e, per altro, era pure in estremo ritardo. Avrebbe dovuto seguire il consiglio di Trevor che, verso le due di notte, era stato l’ultimo a congedarsi e gli aveva suggerito di seguirlo. Suo malgrado, Castiel adorava così tanto intrattenersi in compagnia di Ace e Chester che avevano finito i festeggiamenti a casa sua fino alle quattro del mattino.
Stava appunto per chiedersi che fine avesse fatto il loro vocalist quando udì un profondo russare provenire dalla sua stanza. Come Chester fosse riuscito ad accappararsi il letto, non era tra i ricordi di Castiel. Si accontentò di aver almeno conquistato il divano. Del resto, non ricordava nemmeno come fossero arrivati a casa sua quella mattina. Nel tentativo di rimettersi in piedi, Castiel finì per urtare una seconda volta contro Ace che, inevitabilmente, si lamentò.
« Sei tu che sei in mezzo al cazzo, Ace... » brontolò allora il padrone di casa.
Dondolò verso la cucina mentre il musicista rubava furtivamente il posto ancora caldo rimasto vacante sul divano. Castiel iniziò quindi a preparare il caffè, operazione che gli costava la stessa fatica di tenere gli occhi aperti. Nell’attesa che la calda bevanda fosse pronta, si versò un sorso d’acqua e ne allungò un bicchiere anche all’ospite disteso sul divano.
« Vuoi acqua? » gli chiese ma Ace non si mosse. Non aveva tempo per riservare agli amici una colazione degna di quel nome, aveva già perso la prima ora di lezione.
« Senti Ace, devo andare. Non posso farmi segare anche quest’anno... »
Controvoglia, il biondo iniziò a stiracchiarsi pigramente e si mise seduto. Si guardò attorno, familiarizzando con l’ambiente e, tenendo gli occhi semi chiusi, biascicò:
« Lasciaci casa e veniamo a scuola a riportarti le chiavi »
« Con il cazzo! Lasciale sotto lo zerbino »
« Ma sei sicuro? » domandò Ace che, per quanto si fosse divertito a fare un’incursione nel liceo il giorno prima, non era in condizioni di farsi vedere in pubblico.
« Ovunque purchè non vi ripresentiate a scuola... sennò poi la vecchia rompe i coglioni a me »
Ace sbadigliò sguaiatamente e mentre l’aroma di caffè si diffuse nella stanza, mormorò:
« Come sei messo con la canzone? »
In tutta risposta, il compositore sbuffò. Generalmente non aveva grossi problemi a trovare l’ispirazione per comporre musica, ma la richiesta avanzata dalla loro etichetta discografica era stata molto più precisa e vincolante del solito:
« E’ proprio necessario mettere una ballata romantica nell’album? » indagò il rosso, tornando verso la cucina. Ritornò con due tazze di caffè fumanti e si spaparanzò sulla poltrona, voltandosi verso l’amico chitarrista.
« Beh piccolo Mozart, siamo rimasti tutti impressionati dal tuo talento quindi vogliamo vedere fino a che punto sai essere... camaleontico »
« Non sono sicuro del risultato, Ace. Scrivere testi romantici non è mai stato il mio forte »
Ace sorseggiò con avidità il caffè fumante e quando Castiel potè finalmente rivedere la sua espressione, si ritrovò davanti un sorriso provocatorio:
« Tu pensa ad Erin e vedrai che le parole ti verranno »
 
« Una giornata scuola aperta? » masticò Armin, addentando il pranzo. Quella giornata piovosa l’aveva obbligato, assieme ai suoi amici, a ripiegare per l’odiata mensa.
Castiel non si era visto per tutta la mattinata e se non altro si erano risparmiati le lamentele del più grande nemico dei pranzi al chiuso. Aveva risposto frettolosamente ad Erin, dicendole che era in hangover e incastrato a casa dalla presenza di metà Tenia.
« Sì, l’anno chiamato “Atlantic HS open Day”... non l’hanno detto anche a voi? » stava domando Erin, allungandosi per prendere il sale. Si sporse un po’ troppo e in quel movimento, finì per scoprire involontariamente una piccola parte del fondoschiena.
« Cip, comportati bene. Ti si vede il culo »
« Oh Castiel finalmente! » esultò Alexy, voltandosi verso la voce piccata alle sue spalle.
« Ti sembra l’ora di arrivare? » lo rimproverò Erin, che nel frattempo era arrossita e stava cercando di ricomporsi « che cosa avete combinato ieri sera? »
Castiel si massaggiò la testa ancora indolenzita e brontolò qualcosa sul fatto di evitare rumori forti. Mai come quel giorno avrebbe preferito mangiare all’aperto, lontano dal brusio e chiacchericcio degli studenti.
« Cos’è che dicevate? Scuola aperta? » si sforzò di chiedere, guardando con poca convinzione il panino che aveva recuperato in mensa. Nonostante il suo cervello gli intimasse di nutrirsi e idratarsi, lo stomaco aveva iniziato una lotta passiva a colpi di nausee e mancanza di appetito.
« Parrebbe che sia stata un’idea della Joplin… si terrà tra qualche settimana » riassunse Ambra, schiaffeggiando la mano di Armin che le aveva appena rubato una polpetta dal suo piatto.
« Solo dalla Joplin poteva partire un’iniziativa del genere » sussurrò Rosalya, concentrandosi sull’applicazione dello smalto viola mentre Castiel la guardava schifato. Non era la prima volta che lo sottoponeva a quella tortura olfattiva.
« Potresti togliermi quella porcheria da sotto il naso? »
La ragazza però lo ignorò, controllando accuratamente la sua perfetta manicure. Erin invece sorrise pazientemente, troppo abituata ai continui contrasti tra i due. Li conosceva da ormai sei mesi e non ricordava un’occasione in cui avessero dimostrato un minimo di affetto, se non addirittura rispetto, l’una per l’altro. Tuttavia, non appena il suo sguardo cadde sul piatto della ragazza, i suoi pensieri vennero reindirizzati verso la modestia di quel pasto:
« Rosa, ma quella porzione non è un po’ poca? »
« Sì, ma è perché sono in dieta da due settimane » esclamò prontamente la stilista « devo essere impeccabile per stasera! » annunciò solenne.
Da lì a poche ore, il suo Nathaniel sarebbe tornato a Morristown, coronando finalmente un sogno accarezzato per quattro anni. Non solo. Ogni aspetto della sua vita e quella dei amici più cari era destinata ad allinearsi in una perfetta congiunzione astrale: la solidità del gruppo storico si sarebbe ripristinata definitivamente e Nathaniel le avrebbe fatto da spalla a far aprire gli occhi a Castiel ed Erin sulle concrete possibilità di evoluzione del loro rapporto. La sua mente era già arrivata ad immaginare una romantica uscita a quattro quando venne bruscamente riportata all’argomento di conversazione in corso:
« Sei già molto magra, Rosa… cosa ti metti in testa? » insistette Erin e, senza aspettare una replica, iniziò a scaricare prepotentemente parte del suo cibo sul piatto dell’amica. Castiel e Lysandre sorrisero discretamente, inteneriti da quella premura, mentre Iris scosse il capo:
« Dubito che così mangerà, Erin »
« Appunto » convenne Rosalya, passando direttamente il piatto al fratello, seduto accanto a lei « devo essere perfetta per Nath »
Dal tono piccato dell’ultima frase, era chiaro che nessuno l’avrebbe distratta dal suo obiettivo, nemmeno l’occhiata di biasimo che le stava lanciando la sua migliore amica.
« Parlando di Nathaniel » sviò Armin, notando le espressioni annoiate di Kentin e Castiel « organizziamo qualcosa? »
« Potremo fare come per il compleanno di Erin! L’idea era uscita bene! » ridacchiò Alexy.
« Ovvio, perché quando ci sono io, la festa si anima » soggiunse il gemello.
« Quindi, festa a sorpresa per Nathaniel? » riepilogò Kentin, destandosi dai suoi pensieri.
« Sì, ma dove? » si elettrizzò Alexy « dobbiamo fare una mega festa, perché con il suo ritorno, si conclude finalmente la guerra fredda iniziata l’anno scorso! »
Fu allora che un silenzioso Castiel notò otto teste voltarsi in sincrono nella sua direzione. Imbarazzato per essere oggetto di tutta quell’attenzione, bofonchiò:
« Guardate che a Nathaniel non piacciono le sorprese... »
Rosalya, battè un palmo sul tavolo, facendo sobbalzare la povera Violet per lo spavento.
« Ma lo fai apposta, Cas? » brontolò « sei un guastafeste! »
« Lo conosco meglio di te, genio. Nathaniel ama avere tutto sotto controllo, se lo prendi alla sprovvista si agita »
« Ma che stronzate! Nath non è così complessato come te! »
Prima che Castiel potesse aggiungere altro, fu tempestivo l’intervento diplomatico di Lysandre che convenne:
« Tutti rimangono spiazzati da una sorpresa, Castiel, ma se fatta per le giuste ragioni non ci sono motivi per essere a disagio »
Il rosso borbottò poco convinto mentre Rosalya, autodichiaratasi vincitrice della discussione, si alzò dal tavolo per restituire un vassoio che non era molto più vuoto di quando l’aveva ricevuto dall’addetta della mensa. Quando Nathaniel l’avrebbe vista in quel vestito taglia 38 si sarebbe pentito amaramente di aver sprecato così tanti anni senza farsi avanti con lei.
 
« Si divertono proprio quando sono insieme... » stava pensando Trevor, fissando da lontano la compagnia di Erin e dei suoi amici.
Era raro vederli in mensa, dal momento che prediligevano i pasti consumati nel giardino esterno della scuola. Trevor invece era solito pranzare con buona parte della squadra di basket, alla quale si sommava la presenza di Kim da ormai diversi mesi. Eppure, nonostante si fosse sempre intrattenuto volentieri con la loro compagnia, nell’ultimo periodo gli era capitato spesso di desiderare di allargarla. Da quando Erin era arrivata nella sua classe, aveva avuto l’occasione di frequentare Castiel anche al di fuori della scuola e del campo di basket e aveva scoperto nel rosso una personalità molto più estroversa e amichevole del previsto. D’altro canto, da quando Dajan e Kim avevano fatto coppia fissa, il povero cestista si era sentito un po’ messo da parte dai suoi migliori amici. A peggiorare la situazione, Steve stava passando un brutto periodo con la sua ragazza e finiva per lamentarsi tutto il tempo dei suoi problemi sentimentali. Quegli sfoghi erano del tutto inconcepibili per l’animo pragmatico di Trevor. La parte che trovava più appagante dell’avere una ragazza era la garanzia di poter soddisfare i suoi impulsi più animaleschi, il resto erano per lo più inevitabili sacrifici da assecondare in nome di un bene più grande. Se ne era reso conto dopo aver chiuso la sua relazione con Brigitte, con la quale a malapena riusciva ad avere una conversazione. Impegnarsi seriamente a stare in una coppia non solo non faceva per lui, ma nell’ultimo periodo era diventato quasi insofferente all’esplosione di romanticismo della sua scuola. Dajan e Kim, Ambra e Armin, poi Nathaniel e Rosalya. Per quanto fosse felice per quelle coppie, una delle quali supportate da lui in prima persona, gli era impossibile accettare che facessero tutte sul serio. Lui preferiva godersi la leggerezza della sua età, senza vincoli e responsabilità. Anche per quello le sue recenti uscite con Kim e Dajan si erano rivelate piuttosto monotone. Aveva bisogno di qualcosa che solleticasse il suo interesse, una sorta di passatempo.
« Ehi amico, mi stai ascoltando? »
Era stato Wes a richiamare la sua attenzione, sventolandogli la mano a pochi centimetri dalla faccia. Trevor si ridestò, ricapitolando un altro argomento fisso dei loro ultimi pranzi: Wes e la sua affilizione per essere ancora single.
« Sì, Wes, lo so. Le ragazze se la tirano troppo » ripetè meccanicamente.
« Ma di cosa stai parlando? »
Trevor lo fissò interrogativo ed esclamò:
« Perchè? Non ti stavi lamentando di essere un morto di figa? »
Wes si accigliò e, cercando di imporsi un’aria di superiorità, lo corresse:
« E invece è proprio il contrario. Ho deciso che non uscirò più con nessuna ragazza per almeno sei mesi! »
Quella dichiarazione scatenò una smorfia beffarda sul viso del cestista che lo fronteggiava:
« Chi tu? Ma figuriamoci! A te basta che respirino »
« Non è vero »
« E la tipa odiosa con cui sei uscito la scorsa settimana? Vogliamo parlarne? A parte che aveva più barba di me »
Incuriositi da quella conversazione, anche il resto dei cestisti si interessò a quello scambio di battute:
« Lei è stata un passo falso, lo ammetto » convenne Wes, incrociando le braccia al petto « ma questo non vuol dire che io non sappia... selezionare »
« Secondo me non riusciresti a resistere più di due mesi senza uscire con una ragazza » lo sfidò Trevor, ridendo. Wes però, solleticato da quella sicurezza, obiettò:
« E’ una scommessa, Mc Connell? Perchè la accetto! »
« Wes, non scommettere soldi » gli consigliò Dajan « ne devi già un sacco a Trevor »
« Cosa scommettiamo? » continuò imperterrito Wes, guardando il suo sfidante dritto negli occhi. Quest’ultimo riflettè un attimo e poi convenne:
« Se vinco io, mi dai il numero di tua cugina »
« Ma se ha tredici anni! » sbottò Wes, orripilato.
« Non lei, idiota! Quella di New York...Sarah se non sbaglio »
« Sonia » lo corresse Wes, cominciando già a pentirsi di quel patto « ma se vinco io... » ci pensò qualche istante e infine convenne « mhm... ci devo pensare bene »
« Per me puoi anche deciderlo dopo. Non c’è verso che io perda » concluse Trevor ostentando sicurezza.
Per quanto lo sguardo di Wes fosse determinato a vincere, Trevor sentiva una certa eccitazione salirgli in corpo. Era certo delle proprie convinzioni e l’idea di poter uscire con l’avvenente cugina di Wes, raprpesentava esattamente quel genere di distrazioni di cui era così disperatamente alla ricerca.
 
Erin saltellò sul posto, contenendo a stento la gioia ma quel blando tentativo non era sufficiente a sedare l’impazienza di Boris:
« Senti un po’, signorina, vi ho concesso di tenere qui i cellulari durante l’allenamento per una questione di sicurezza, ma questo non significa che tu lo possa usare come pretesto per bighellonare »
All’allenatore di basket mancava molto la presenza di Kim. Era una delle atlete più concentrate sul pitturato, quella che assieme a Dajan prendeva più seriamente gli allenamenti. Se non altro, era legittima la sua richiesta di tornare nel club da cui era stata sottratta, quello di atletica. Era in quel contesto che Kim poteva davvero brillare sotto il profilo agonistico. Boris doveva quindi accontentarsi di quella ragazza fin troppo vitale che era Erin. Gli pianse il cuore all’idea che pure lei era destinata a salutarli l’anno successivo, dopo che la sua collega Miss Joplin l’aveva praticamente prenotata per il suo club di scienze.
« Non faresti tanto il burbero se sapessi chi mi sta scrivendo ora, Bors » ridacchiò lei, adorabile, trotterellandogli intorno.
« Il tuo ragazzo segreto? » ironizzò l’omone, seguendo con lo sguardo il resto dei cestisti.
Alla domanda di Boris, seguì un suono sordo e la risata goliardica di Trevor:
« Oddio Black, adesso pure tu prendi le palle in faccia come Erin! »
Il coach si lasciò sfuggire un sorriso, consapevole che c’erano altre persone attente ad origliare quella conversazione. In particolare, a più riprese aveva notato quanto fosse fine l’orecchio dell’ex capitano.
« E’ Melanie Green » gli rivelò Erin, mostrandogli lo schermo del cellulare.
Lasciò che quella notizia sortisse l’effetto sperato e aggiunse:
« Verrà qui! E non sarà da sola! »
« Cosa, cosa? La Triade verrà qui? »
Con un certo disappunto, Boris osservò che quella notizia aveva distratto buona parte dei suoi ragazzi i quali, capeggiati da Trevor, avevano interrotto l’allenamento per avvicinarsi incuriositi a lui ed Erin.
Ora che il torneo di basket era solo un elettrizzante ricordo, aveva notato un generale allentamento dei ritmi da parte dei cestisti ma, doveva ammetterlo, non gli dispiaceva poi così tanto che qualche volta si distraessero in chiacchiere amichevoli. La tweener aveva risposto affermativamente con un sorriso trionfante, che si duplicò sul viso di Trevor:
« Devo misurarmi con Reed! »
« Quand’è che vengono? » s’intromise allora Dajan.
« Domani! In realtà sono di passaggio perchè lunedì hanno un incontro a New York ma si fermeranno volentieri a Morristown una mezza giornata. Venite anche voi? Sì? Sì? » li supplicò adorante, guardando uno ad uno i suoi compagni di squadra.
« Ovvio che veniamo! E ci prenderemo la rivincita! » esultò Trevor, carico di energia. Si voltò allora verso l’ex capitano rimasto in disparte e dichiarò:
« Black, vieni anche tu e questa volta vediamo chi è la vera triade divina! »
Erin era su di giri. La sua quotidianità era cambiata in meglio da quando aveva incontrato Melanie la prima volta. In quella circostanza, Castiel era in Europa e lei soffriva immensamente per quella lontananza. Il torneo di basket, con un viaggio a Berlino come primo premio, aveva rappresentato per lei l’unica speranza di accorciare quella separazione forzata. Successivamente al torneo, la sua conoscenza con Melanie era andata intensificandosi, al punto da diventare amiche. Nelle settimane successive, Erin non aveva avuto timore a condividere con la cestista i suoi sentimenti per quel tanto sospirato amico, così come Melanie si era aperta sulla sua nascente relazione con Isiah Reed. Per quanto Erin fosse davvero pessima in questioni amorose personali, si era rivelata un’ottima consigliera e anche per merito dei suoi incoraggiamenti, Melanie ed Isiah avevano iniziato ad uscire insieme da poche settimane.
La cestista era diventata talmente presente nella sua vita, che Erin le aveva raccontato di sua sorella Sophia e del mistero legato alla sua fuga da casa. Fu proprio grazie a quello scambio di informazioni che Erin era in procinto di aggiungere un’altra tessera al puzzle che stava cercando di ricomporre. Dopo aver aggiornato Melanie sull’indirizzo ricevuto da Tracy Leroy, la ragazza si era offerta di aiutarla nella sua indagine. Sua cugina infatti lavorava in una delle biblioteche più grandi di Chicago, residenza della misteriosa Cosima Manning e poteva svolgere delle ricerche interne relative alla cronaca locale. Pertanto quel giorno, oltre al suo arrivo a Morristown, Melanie avrebbe portato con sè delle informazioni che, forse, avrebbero finalmente fatto luce su una vicenda fin troppo nebulosa. 
 
Anche se erano passate più di due ore da quando Nathaniel aveva abbandonato quella stanza, nell’aria sembrava aleggiare ancora il profumo del deodorante che, frettolosamente, si era spruzzato prima di abbandonarla.
Quello con Sophia era stato un saluto freddo, quasi rancoroso, dopo che la scoperta di una conoscenza comune in Debrah gli aveva avvelentato l’animo:
« Ho bisogno di spazio... » aveva sussurrato lui, sulla soglia di casa « ti chiedo scusa Sophia ma è tutto... sbagliato » erano le prime parole che gli erano uscite dopo interminabili secondi di silenzio.
Sbagliato. Preso dalla fretta e dall’urgenza di dirigersi in aeroporto, non era riuscito a trovare un altro aggettivo che definisse il loro trascorso della notte precedente. Del resto, Nathaniel aveva tradito la sua ragazza con lei. Lei che per giunta, non poteva sentirsi immune da colpe poichè si trattava di aver ferito Rosalya, la migliore amica di sua sorella Erin.
« Lo so » era riuscita a replicare, guardandolo a malapena in faccia.
Non avrebbe pianto anche se il crollo emotivo era dietro l’angolo. Poteva solo pregare che se ne andasse il prima possibile da quell’appartamento e dalla sua vita. Tuttavia, il biondo non corrispose alle sue preghiere:
« Non mi riferisco a ieri notte. Cioè sì anche, non è giusto quello che ho fatto però... » aveva ragionato sempre più confuso e a disagio « è che ora che quella è qui non riesco a riflettere lucidamente »
« Non c’è tanto da dire » lo fermò Sophia « tu ora torni da Rosalya e io rimango qui. Per quello che mi riguarda, non ha significato nulla »
Se Nathaniel avesse saputo leggerle dentro, avrebbe capito che nello stesso istante in cui quelle parole erano uscite dalla sua bocca, anche l’onestà aveva abbandonato il corpo della ragazza. Quella dichiarazione non rifletteva la verità perchè mai avrebbe assecondato il biondo se i suoi principi morali fossero stati più saldi dei sentimenti che aveva maturato per lui. Sophia era una ragazza impulsiva ma non era una sprovveduta. Sapeva cosa c’era in ballo dietro la sua notte di passione con lui ma era disposta ad assumersi le stesse responsabilità che si sarebbe assunto Nathaniel. Peccato che lui non avesse corrisposto alle sue aspettative. Seppure in modo confuso e difendendosi dietro la presenza inopportuna e sgradita di Debrah, era chiaro il suo rimorso. Ma se ciò era vero, Sophia non seppe spiegarsi lo sguardo avvilito con cui lui l’aveva fissata dopo quella frase.
Dal canto suo, Nathaniel era rimasto senza parole, sminuito nel suo orgoglio e arrabbiato con sè stesso per aver ceduto ad un’inutile tentazione.  Aveva compromesso la sua coscienza per niente. Per tutta la vita aveva sempre saputo giocare stando alle regole e per una volta che provava a trasgredirle, aveva perso la partita.
« Se le cose stanno così, allora non è successo nulla. Stammi bene, Sophia »
Estese il manico del trolley e, guardandola per un’ultima volta negli occhisi era voltato verso la rampa di scale, mentre lei si richiudeva la porta alle spalle.
Pensò che se avesse voluto rimangiarsi le sue parole, quella era l’occasione. Rincorrerlo lungo i gradini e dirgli che era un idiota a pensare che per lei non avesse significato nulla. Prima che il suo istinto prendesse il sopravvento, si diresse verso la sua stanza, distendendosi sul letto. Le sembrava di avere un peso sullo stomaco e, per quanto cercasse una posizione comoda, nessuna riusciva a sgravarla da quella logorante oppressione. Voleva piangere ma paradossalmente ogni sforzo le risultava vano. Dove erano finite quelle lacrime che aveva tanto desiderato versare nell’intimità solitaria della sua stanza?
La sua mente ripercorse le immagini della notte precedente. Rivisse il momento esatto in cui si erano stesi sul letto e la sensazione di essere spogliata da mani non sue. Avvertì il contatto caldo della pelle chiara del ragazzo che si appoggiava contro la sua, mentre le labbra continuavano a cercarsi nel buio di quella stanza.
Era stato un incontro estremamente istintivo, per certi versi poco romantico ma dettata principalmente dalla foga della passione. Una delle prestazioni più appaganti della sua vita, anche se la statistica a tal riguardo si limitava ad un paio di ragazzi con cui era uscita in passato.
« Si può? »
La rossa voltò il capo verso l’entrata della stanza, da cui fece capolino Debrah. Dopo che Nathaniel aveva fatto la sua scenata, l’amica aveva avuto il buon senso di richiudersi in camera e attendere che le acque si calmassero, prima di comparire negli spazi comuni.
« Se n’è andato, Debrah » le comunicò Sophia, notanto l’atteggiamento circospetto della mora.
« Ho visto » sospirò l’altra. Si sedette sul letto mentre Sophia si ricompose, appoggiando la schiena contro la testiera. Le lenzuola erano ancora stropicciate e si sforzò di non pensare al perchè quel giorno lo fossero più del solito. Debrah restava pazientemente in silenzio, comportamento alquanto insolito per la sua personalità vivace e dirompente.
« L’ho mandato via io. Sono una cretina »
La sua interlocutrice le accarezzò amorevolmente la gamba, ribattendo:
« Non sei cretina. Sei solo innamorata »
« Non dovevo portarmelo a letto, Debrah! » sbottò Sophia, decidendosi finalmente a sollevare lo sguardo e destarsi dalla sua apatia « sapevo che era impegnato e vuoi sapere di più? Con la migliore amica di Erin! »
« Sai come si chiama? »
« Rosalya, ma cosa c’entra? »
L’espressione di Debrah fu talmente stupita da risultare quasi buffa agli occhi di Sophia:
« Che c’hai? »
Era strano per Debrah sentire quel nome, dopo quasi un anno dall’ultima volta che era stato menzionato. L’arrivo di Nathaniel e la sua relazione clandestina con Sophia aveva ridestato in lei i ricordi della sua storia con Castiel e il suo rapporto turbolento con gli amici di lui. La sua domanda non era stata casuale. Il suo ex ragazzo le aveva confidato che il biondo fosse attratto da Rosalya ma poichè quest’ultima non le era mai andata a genio, Debrah si era limitata ad assimilare passivamente quell’informazione. Non avrebbe mai potuto prevedere che a distanza di un anno si sarebbe ritrovata a consolare la sua amica per aver potenzialmente compromesso la relazione di Rosalya White. In cuor suo, una piccola parte di sè gioì, perchè quella ragazza era sempre stata indisponente e prevenuta nei suoi riguardi: 
« Diciamo che tra me e Rosalya non è mai scorso buon sangue. Punzecchiava continuamente Castiel, quasi ci volesse provare. Un po’ gatta morta, se posso dire » spiegò, piegando la testa di lato.
Sophia ci mise qualche secondo ad assimilare quell’informazione. Aveva scoperto da poche ore quanto la sua vita fosse in realtà interconnessa a quella degli amici di Erin e Debrah rappresentava proprio quell’anello di congiunzione.
« Sul serio? » indagò confusa. La sua conoscenza con Rosalya era molto marginale, limitata a quando si era recata in California a trovare Nathaniel il mese precedente. Era sicuramente una ragazza abituata a ricevere le attenzioni maschili ma faticava a credere che la descrizione fornita da Debrah corrispondesse al profilo della migliore amica di Erin.  
« Erin ci è tanto affezionata, mi pare strano che ... »
« Diciamo che tua sorella non è mai stata un drago nel scegliersi le amicizie » sorrise Debrah con indulgenza « te la ricordi Leti? »
Sophia sorrise appena, ricordando quella singolare amicizia tra Erin e Leticia che apparentemente non avevano nulla in comune. Mentre tra lei e Debrah c’era sempre stata una complicità stimolante, sua sorella sembrava esseri accontentata della prima persona che l’avesse avvicinata.
« Il punto è, Sophia, che tu non hai fatto nulla con malizia o cattiveria » precisò Debrah, tornando all’argomento principale « l’amore capita e capita anche di scambiare una passione momentanea per amore. Non hai scelto tu di essere attratta da lui e lui non ha potuto decidere che avrebbe sempre e solo voluto bene a Rosalya »
« Sì ma guarda come sono andate le cose! Non è servito a nulla assecondare quei sentimenti, perchè ora io sono sola e lui si sente una merda »
« Non è vero che non è servito a nulla, Sofy » la consolò Debrah, la cui voce aveva preso un’inflessione quasi materna. Sophia era davvero la sua amica più cara. L’unica che riusciva davvero ad apprezzare ogni lato della sua personalità e non poteva restare impassibile di fronte al suo struggimento.
« A prescindere dalla profondità dei sentimenti che ci spingono a tradire i nostri principi morali, il fatto stesso che questi sentimenti siano nati in noi ci impedisce di vivere serenamente se non proviamo ad assecondarli. Perchè se non fosse successo nulla ieri notte, lui oggi sarebbe tornato a Morristown chiedendosi se Rosalya è davvero la ragazza che amerà più di ogni altra al mondo... e, lasciamelo dire, se è successo quello che successo, vuol dire che ci dovrà riflettere su. Per quanto io la trovassi insopportabile, anche Rosalya merita una persona che la ami più di ogni altra e Nathaniel deve assumersi consapevolmente questa responsabilità. Quindi non dire che non è servito a nulla. E’ solo quando metti alla prova la tua relazione che capisci cosa vuoi davvero »
La mora si zittì, conscia che in quel momento doveva lasciare all’amica il tempo di riflettere sulle sue parole e sulle sue emozioni. In fondo, quanto a relazioni finite male, Debrah poteva vantare una malinconica esperienza.
« Da quello che è successo puoi solo che crescere Sophia, come del resto ho fatto io nelle mie relazioni con Castiel prima e Logan poi »
Al sentire nominare Logan, il loro conquilino, Sophia realizzò di non aver più chiesto delucidazioni in merito all’amica. Paradossalmente, dovevano recitare quella scena a parti invertite dove era lei a consolare Debrah per quel rapporto fallito. Eppure, non riusciva a sopprimere l’egoistico desiderio di continuare a parlare di Nathaniel, probabilmente perchè le riflessioni della sua amica le stavano offrendo una chiave di lettura che leniva il suo rimorso.
« Sì ma ora non so cosa fare, Deb » sospirò « io non so se sia davvero amore quello che provo per lui ma di certo non si è trattato di una botta e via. Se ripenso a ieri notte, a quanto lui fosse... preso... » mormorò esitante sull’utilizzo della parola più appropriata « mi salgono certi brividi sulla schiena... Mi manca già, mi manca ogni cosa di lui eppure l’ho lasciato andare»
Cacciò quindi la testa tra le gambe, chiudendosi a riccio. Debrah la fissò con tenerezza e soggiunse:
« Ti capisco. Perchè io e te siamo uguali. Autodistruttive e masochiste... Ma voglio che tu sappia che non è mai troppo tardi! »
In quella frase, Debrah le aveva preso le spalle e la guardava dritta negli occhi:
« Dobbiamo lottare per quello che abbiamo perso perchè è proprio con la determinazione di ottenere il perdono che dimostriamo i nostri veri sentimenti. E’ così che ho capito che con Logan non potevo continuare a stare, sai? »
« Non ti seguo... » ammise Sophia, cercando di ricomporsi.
« Ho lasciato io Logan » riformulò Debrah « non era giusto continuare a starci insieme se puntualmente, avevo un altro chiodo fisso nella testa... e quel chiodo fisso è sempre stato riappacificarmi con Castiel »
Sophia boccheggiò confusa. Era la prima volta che Debrah menzionava quei sentimenti sopiti. Una volta cessata quella relazione, la mora era stata molto vaga sull’accaduto, chiedendo a Sophia di non farle troppe domande. Sapeva solo che si erano lasciati e che per questo, lei era a pezzi.
« Ma quindi tu... sei ancora innamorata di lui? » titubò Sophia.
Aveva il timore di sentire quale sarebbe stata la risposta ma in quel momento più che mai doveva capire quale fosse la sua posizione in quel delicato gioco. Lei era andata a letto con il ragazzo della migliore amica di sua sorella mentre la sua migliore amica era interessata al migliore amico di sua sorella. La ridondanza di quei ruoli la confondeva, così come non era certa che ciò che legasse Erin a Castiel fosse una casta amicizia.  L’istinto le suggerì però di non menzionare quel sospetto a Debrah, per lo meno non finchè le sue intenzioni non fossero state chiare.
Alla domanda di Sophia, la mora aveva sorriso leggermente e, prendendo un profondo respiro, aveva concluso:
« Ora è di te che parliamo, Sophia. Voglio solo che tu sappia che qualunque sia la tua scelta, io sarò dalla tua parte »
 
Nessuno dei clienti prestava alcuna attenzione alla TV che, nel frattempo, aveva finito di trasmettere il telegiornale. Jordan afferrò di soppiatto il telecomando e iniziò a scorrere frettolosamente tra i canali, alla ricerca della sua trasmissione di cucina preferita.
« Ferma qui! » urlarono quasi in coro due voci.
Si voltò sorpresa oltre che leggermente contrariata, riconoscendo in una delle due, quella di Trevor.
« Metti sulla partita! » la esortò quest’ultimo.
Indispettita per la mancanza di cortesia, la cameriera ubbidì silenziosa, mentre Trevor e Liam, una delle recenti conoscenze introdotte dal ragazzo, calamitavano la loro attenzione sullo schermo del televisore.
« Magari lei voleva vedersi qualcos’altro » le venne in soccorso l’unica ragazza del trio.
Nonostante le occasioni di conoscere Kim fossero state piuttosto sporadiche, Jordan aveva raccolto tutte le informazioni essenziali: era la migliore amica di Trevor e stava insieme con il ragazzo più educato e cortese di quel gruppo, Dajan, che in quel momento le aveva appena avvicinato la sua birra.
« Cosa ci troverete di bello in questo sport, io proprio non capisco » borbottò la cameriera tra sé e sé.
« Dici così solo perchè non lo conosci » replicò prontamente Trevor, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori « se civedessi giocare, cambieresti totalmente idea »
Jordan finì di posizionare gli ultimi bicchieri sporchi e accese la lavastoviglie, ignorando la replica del ragazzo che però non demorse:
« Anzi, sai che facciamo? Domani pomeriggio esci con noi! Vengono a trovarci dei nostri amici, sono dei formidabili cestisti! »
Quella proposta non sortì alcun effetto su Jordan, se non quello di squadrare il ragazzo con lo stesso interesse riservato ad un’unghia fastidiosamente scheggiata.
« Allora? Vieni? » insistette lui.
« Domani è sabato » si limitò a replicare Jordan, appoggiandosi al bancone del bar.
« E quindi? »
« Te l’ho già detto mille volte, io la-vo-ro »
« Non nel weekend »
« Specialmente, nel weekend »
Le circostanze vollero che proprio in quel momento, il loro battibecco fosse udito da Heidi, una dei due titolari del pub che intervenne:
« Domani hai il pomeriggio libero, Jordan. Esci un po’ con i tuoi amici »
Quattro teste di voltarono in sincrono, verso una figura bassa e impettita, intenta a riempire due bicchieri di vodka. Heidi era la giovane proprietaria del locale che aveva accettato la richiesta di lavoro di Jordan, purchè non trascurasse gli studi e gli impegni scolastici. Tuttavia, sapeva quanto la ragazza prendesse alla lettera quell’impegno, tanto da farle dubitare di avere una vita sociale, al di fuori di quel locale.
« Grazie Heidi, ma preferisco venire al lavoro » replicò lei risoluta.
« E io preferisco che tu esca » insistette l’altra « per settimana prossima Ian mi ha chiesto un cambio turno, gli darò il tuo di domani »
Messa alle spalle dalla sua proprietaria e con la pressione di sentirsi giudicata dai presenti, la cameriera sospirò arrendevole. D’altra parte, per quanto l’essere un po’ scorbutica fosse connaturato nella sua natura, declinare l’invito di Trevor davanti ai suoi amici più cari, la metteva in difficoltà. Non le restava, per una volta, di concedersi il lusso di comportarsi come tutti i ragazzi della sua età.
« A che ora quindi? »
 
Dei passi concitati si alternavano lungo il corridoio di marmo. In più occasioni Molly aveva rischiato di scivolare e, nonostante le molteplici raccomandazioni dei Daniels, si ostinava a ignorare quelle premure. Il motivo era rappresentato dall’ospite in arrivo, che per la donna rappresentava il figlio che non aveva mai avuto.
« Ragazzo mio, finalmente! » esultò, lanciando le braccia al collo di Nathaniel « come stai? Hai fame? »
Erano tre mesi che non lo poteva abbracciare e stringere a sè anche se, poichè il ragazzo la sovrastava di parecchi centimetri, era più che altro le spalle dell’anziana governante a beneficiare di quella stretta.
L’affettuoso benvenuto di Molly scaldò il cuore del viaggiatore che si fece strada all’interno della dimora.
Lo accolse la familiarità di un atrio silenzioso e freddo, scaldato unicamente dall’animosità della donna.
« Come è andato il viaggio? Guarda che bello che sei! Hai preso sole, eh? » esclamò la signora, togliendogli a forza lo zaino dalle spalle.
« Molly » ridacchiò lui. Quell’accoglienza calorosa sortiva un effetto lenitivo sul suo umore devastato. Poche persone riuscivano a regalargli serenità in momenti difficili e la sua tata era sempre stata una delle migliori in quel ruolo. Nathaniel non aveva ancora osato controllare i messaggi che l’avevano bombardato da quando era atterrato a New York sperando che gli evitasse di peggiorare il suo malessere. La sua unica e magra consolazione era rappresentata dalla prospettiva del weekend ormai alle porte, durante il quale avrebbe cercato di riflettere sugli eventi degli ultimi mesi. Era come se in California avesse resettato la sua esistenza a Morristown, arrivando persino ad annicchilire il lato più razionale e controllato della sua personalità, prendendo decisioni impulsive ed emotivamente azzardate. La presenza di Debrah poi aveva complicato inutilmente una faccenda fin troppo complessa e non riusciva ad allontanare l’idea che, senza quella ragazza presente, sarebbe riuscito ad affrontare Sophia in modo diverso. Invece si era lasciato assalire da rabbia e rancore, che avevano interferito con i suoi sentimenti per la ragazza, liquidando il loro rapporto con fredde parole di addio.
« Sei diverso, Natty » borbottò la governante, insofferente per la silenziosità del primogenito dei Daniels. Quel commento destò per un attimo il ragazzo che, sorridendole malinconico, sospirò:
« Mi sei mancata, Molly »
La donna rispose a sua volta con una smorfia compiaciuta ma, in cuor suo, dovette ignorare quel sesto senso che le suggeriva di approfondire la natura di quel saluto laconico. Nello sguardo del ragazzo leggeva una sorta di spossatezza che nemmeno la stanchezza di un viaggio lungo potevano giustificare.
« Mi sembra il minimo! » sbottò invece, nel tentativo di allegerirgli la mente « ora vai a riposarti, caro. La cena sarà pronta tra un’ora... ti ho fatto preparare il tonno scottato in crosta di pistacchi che ti piace tanto »
Nathaniel inspirò e, senza aggiungere nulla, si chinò ad abbracciare una seconda volta quella donna che l’aveva cresciuto e che aveva sempre rappresentato per lui e la sorella un porto sicuro. Quand’era più piccolo, il fisico minuto di Molly era sufficiente a ripararlo da ogni cattiverai del mondo e ora che era diventato ormai adulto, rimpiangeva quella sensazione di protezione.  Ne ispirò il profumo alle rose, un po’ troppo forte, quasi ai limiti del nauseante. Tuttavia era quell’odore che evocava in lui la dolcezza di un’infanzia in cui nessun problema era troppo grande da non essere risolto. Gli bastava correre da quella donna e lei avrebbe saputo trovare una soluzione. Ma non si trattava più di trovare un giocattolo scomparso o annunciare un brutto voto al padre.
« Nathaniel... » borbottò Molly, confusa da un abbraccio che durava da tanto tempo.
Lui allora si ricompose e, allontanandosi ripetè dolcemente:
« Mi sei mancata, Molly... davvero tanto »
Una volta salito al primo piano, notò subito la porta spalancata della stanza di Ambra. Ne ispezionò il contenuto e si sorprese nel trovarla disabitata. Non sapeva se quella constatazione lo rendesse più leggero o preoccupato. Da un lato aveva un bisogno spasmodico di sgravarsi la coscienza, di raccontare a qualcuno quello che era successo nelle ultime ventiquattr’ore e poter beneficiare di un consiglio. Dall’altro lato però, agognava la solitudine più completa, così da poter capire prima quale fosse il consiglio che più di ogni altro desiderasse ricevere.
Arrivò nella sua camera e si fiondò pesantemente sul letto, senza togliersi le scarpe.
Dimenticare quello che era successo poteva essere apparentemente la soluzione più semplice e logica. Sophia non intendeva rivederlo e Rosalya non avrebbe sofferto per la sua infedeltà. Eppure, Nathaniel non era sicuro di riuscire a liquidare la questione e farla cadere nel dimenticatoio. Non solo per lo schiacciante senso di colpa del mentire alla sua ragazza ma per la consapevolezza che i suoi sentimenti per lei, forse, non erano poi così forti come credeva. Tuttavia, prese anche in considerazione l’eventualità di aver sopravvalutato quanto era successo tra lui e Sophia, perchè spinti da una passione intensa ma passeggera che mai gli avrebbe permesso di avvia una storia.
« Sei l’errore più giusto che abbia mai fatto »
Quella frase che aveva pronunciato continuava a ronzargli in testa, impedendogli di convincersi che il suo avvicinamento a Sophia fosse dettato unicamente da un abbaglio.
Rosalya era una certezza, la ragazza che aveva sempre desiderato ma con cui non aveva ancora vissuto una relazione piena, a causa della sua partenza programmata per la California. Quel piccolo assaggio di quotidianità fornito dalla sua visita a San Francisco prima e alle Bahamas poi era solo il preludio di una storia che l’avrebbe reso felice e sereno. Eppure non riusciva a non fantasticare sul come sarebbe stato scegliere Sophia.  Quest’ultima aveva il fascino dell’azzardo, di una scommessa che poteva rivelarsi incredibilmente vincente ma i rischi di perdita erano altissimi e incalcolabili. Scegliere Sophia significava perdere Rosalya, non solo come propria ragazza. Conseguentemente la sua migliore amica Erin e, Nathaniel lo temeva più di tutti, persino Castiel sarebbe stato in difficoltà in quello schieramento. Non poteva nemmeno escludere Lysandre nella lista di persone che l’avrebbero biasimato per quella scelta. Per la verità, nessuno di quel gruppo di amici con cui non vedeva l’ora di riallacciare finalmente i rapporti andati distrutti l’anno precedente sarebbe stato dalla sua parte.
Non escluse però che, con il tempo, se i suoi sentimenti per Sophia si fossero rivelati sinceri e incontrollabili, sarebbe stato perdonato per il suo comportamento.
In quel complesso sistema matematico, Nathaniel continuava ad inserire variabli e calcoli di probabilità che improvvisamente sparirono quando il suo cervello si sforzò di evocare le ultime parole di Sophia:
« Per quello che mi riguarda non ha significato nulla »
La ragazza non voleva comparire come incognita in quell’equazione.
Quelle parole affilate gli avevano reciso il cuore con la precisione di un coltello. Proprio quando era convinto di aver imparato a leggere Sophia Travis e la sua malcelata bontà, lei si era rivelata cinica e spietata. Cominciò quindi a rimurginare sull’eventualità di averla idealizzata e che, se era tanto legata ad una come Debrah, allora evidentemente Sophia non aveva davvero nulla in comune con la bellezza d’animo della gemella.
Stava cercando disperatamente di screditare quella ragazza ma, ben presto, nella sua mente iniziarono a farsi strada prepotentemente i ricordi dei momenti più intensi vissuti assieme a lei a San Francisco.
Rivisse l’attimo in cui l’aveva vista tuffarsi nell’oceano per soccorrere una persona o quando grazie a lei, aveva finalmente reagito a sua madre Ingrid.
Sophia era molto più della gemella cinica e ribelle di Erin.
In quella ragazza, Nathaniel non aveva resistito al richiamo della sua determinazione e del suo desiderio spasmodico di essere libera. Qualità che lui aveva sempre agognato ma soffocato.
« Per quello che mi riguarda non ha significato nulla »
Quelle parole impietose continuarono ad echeggiare nella testa del biondo il quale, più le riascoltava, e più si rendeva conto di quanto lo ferissero nell’animo.
 
Il getto di acqua calda che gli aveva irrorato la pelle aveva sortito un effetto ristorativo non solo sulla sua tensione muscolare ma aveva contribuito a rilassare la mente. Uscendo dalla doccia, Nathaniel cercò di fare mente locale sul da farsi. Doveva abbattere il muro di silenzio che aveva eretto da quando era salito sull’aereo e contattare Rosalya del suo arrivo.
Se la soluzione più giusta era fingere che nulla fosse cambiato, allora anche lui dissimulare le sue angosce. Digitò velocemente un messaggio per la sua ragazza, scusandosi per la scarsa loquacità che imputò alla stanchezza e si distese sul letto. Pregò che la risposta gli arrivasse il più tardi possibile, così da poter trascorrere quella serata nel più totale isolamento. Aveva bisogno di dedicarsi a qualche attività intelletuale come leggere un buon libro e le eventuali notifiche di bentornato da parte dei suoi amici, rappresentavano un memorandum della sua vita sociale fuori da Villa Daniels.
Sospirò mentre usciva dal bagno e lasciò che la magra consolazione della deliziosa cena promessa da Molly lo confortasse.
Tuttavia, una volta raggiunta la sfarzosa sala da pranzo, notò con estremo disappunto che la tavola non era stata ancora apparecchiata.
« Ma Molly stasera non si cena? » le chiese non appena riconobbe i passi alle sue spalle.
« Tuo padre è stato trattenuto in ufficio e tua madre è con lui » lo informò la donna ma prima che informasse il ragazzo circa lo status del suo pasto, Nathaniel la interruppe incredulo:
« A lavoro? Mamma è in azienda con mio padre? »
La governante intuì la natura di quella perplessità e, sorridendo comprensiva aggiornò il figlio che la coppia di genitori era gradualmente ma inesorabilmente cambiata in quegli ultimi mesi. Ingrid in modo più repentino e lampante del marito poichè da quando era tornata dalla California aveva messo da parte il suo proverbiale snobbismo e aveva iniziato ad interessarti attivamente alle sorti della compagnia. Le mancava la formazione tecnica per poter dare un contributo significativo all’azienda di famiglia, ma con la sua conoscenza dello svedese, si era rivelata una risorsa insperata nelle comunicazioni con uno dei loro maggiori partner commerciali redisenti a Stoccolma. Inoltre, anche il suo rapporto con Ambra ne aveva beneficiato: la donna infatti aveva smesso di provocare la figlia circa la sua relazione con Armin il quale, era ormai il benvenuto a casa Daniels:
« Cioè » si corresse Molly « non voglio dire che tua madre l’abbia ancora approvato totalmente, ma credo che abbia capito quanto quel ragazzo sia giusto per Ambra e non lo tratta più con la freddezza di prima »
« Incredibile » borbottò il biondo affascinato. Tuttavia, per quanto quelle informazioni fossero state assimilate positivamente, Nathaniel non riusciva a godersi appieno la felicità che doveva scaturire da esse.
« Mentre tua sorella è da Armin » completò Molly.
« Beh gentile da parte sua non essere a casa proprio la sera in cui sono tornato » commentò ironico.
Dentro di sè però stabilì che quella notizia era un’altra nota di sollievo che rinfrancava il suo umore. Potersi isolare da tutti non sembrava più una prospettiva così remota.
« Eh, l’amour c’est l’amour » recitò la governante « comunque ti ho fatto preparare la cena nella depandance »
« Nella depandance? »
« Sì, perchè abbiamo tinteggiato ieri il salone e si sente ancora un forte odore di vernice » lo aggiornò Molly, chiudendogli davanti alla faccia la porta della stanza. Confuso da quel gesto, il ragazzo obiettò:
« Io però non sento nulla »
Si curvò circospetto verso la donna e scrutandola direttamente negli occhi, indagò:
« C’è qualcosa che non va, Molly? »
La vide avvampare davanti al suo naso e gonfiarsi le gote, come se quella domanda le fosse risultata del tutto inappropriata:
« Vai nella depandance e mangia! Cosa sono tutte queste domande? »
Confuso ma divertito, Nathaniel alzò le braccia in segno di resa e si avviò verso il giardino. Lo attraversò, per raggiungere la piccola abitazione che veniva usata come alloggio per gli ospiti.
La depandance dei Daniels non aveva nulla da invidiare all’abitazione succursale che esisteva in casa Gilmore nell’universo di Una mamma per amica. Era un appartamento di un piano attaccato alla piscina e che godeva di una certa privacy rispetto alla dimora principale. Era dotato di una spaziosa zona giorno e un’accogliente camera da letto. Mancava solo la cucina ma, del resto, con lo stile dei vita dei Daniels, non era necessario pensare ad uno spazio in cui i membri di quella famiglia dovessero mettersi ai fornelli. Per quello c’era la cucina della casa principale, dimora dello storico cuoco di famiglia e del suo piccolo staff. Proprio perchè così accogliente, Nathaniel pensò di approfittare di quell’angolo di pace per trascorrere una  notte tranquilla, senza dover necessariamente incrociare altri inquilini di casa sua, primi tra tutti i membri del suo nucleo familiare.
Più si avvicinava a quella depandance però e più avvertiva una strana sensazione.
Molly gli aveva promesso una cena pronta, eppure le luci erano tutte spente.
Aveva già posato la mano sulla maniglia quando un pensiero angosciante gli attraversò la mente.
Ormai però era troppo tardi:
« BENTORNATO!!! »
Nathaniel trasalì di fronte al coro di amici che aveva accolto chiassosamente il suo arrivo.
Quella che doveva essere una piacevole sorpresa, era per lui una tremenda imboscata.  
Rosalya gli gettò le braccia al collo, mentre lui dondolò nel tentativo di tenersi in equilbrio. Coriandoli di plastica erano volati ovunque, riempiendo di colore e allegria un ambiente altrimenti elegante e sui toni del beige.
« Sorpresa!!! » gli urlava Rosalya nelle orecchie, incapace di staccarsi da lui.
Lui che si guardava attorno estremamente disorientato.
Tutti sorridevano felici ma Nathaniel si sentì morire dentro per la sua incapacità di condividere quella gioia.
Non in quel momento.
Improvvisamente diventò paranoico e gli sembrò di avere ancora addosso l’odore di Sophia o una qualche traccia che dichiarasse la sua colpevolezza. Doveva riuscire a guardare i suoi amici in faccia, fingendo una serenità che però gli risultava sempre più estranea.
Sciolse l’abbraccio di Rosalya che, nel frattempo aveva cercato le sue labbra.
La baciò frettolosamente, a stampo, borbottando:
« C-che bella sorpresa... Non me l’aspettavo proprio »
Passò sbrigativamente in rassegna ogni singolo volto: Rosalya, Kentin, Iris, Lysandre, i gemelli Armin e Alexy, sua sorella Ambra. Tutti gli sorridevano ignari del suo disagio e dei tormenti che gli affliggevano il cuore.
Quando però il suo sguardo si posò sull’unica persona che non si era sbracciata o affannata ad avvicinarsi a lui, Nathaniel avvertì un’ondata di calore e rassicurazione. Con un’espressione eloquente, Castiel lo fissava complice con le braccia incrociate davanti al petto. A stento tratteneva un sorrisetto beffardo perchè sapeva quanto quelle situazioni lo mettessero a disagio. Gli bastò quella singola presenza a farlo sentire meno frastornato e solo.
Fu allora che si rese conto che, prima di Molly, Ambra o addirittura di Rosalya, la persona che gli era mancata di più in tutti quei mesi era proprio il suo migliore amico Castiel.
« Nath, come stai? » aveva esclamato una voce alla sua destra.
Quella voce lo fece trasalire e per certi versi lo spaventò più di quanto avesse fatto il saluto fragoroso con cui era stato accolto da tutti pochi istanti prima.
Si voltò di scatto e, per un attimo, vide Sophia davanti a lui.
Sbattè gli occhi e si rese conto che in quella stanza c’era una persona che, inevitabilmente, gli avrebbe ricordato il suo crimine ogni volta che i suoi occhi si fossero posati su di lei.  
Il ragazzo impallidì mentre Erin, confusa da quella reazione rimase in silenzio. Boccheggiò esitante ma prima di riuscire a formulare una risposta sensata, si sentì afferrare le spalle e venne trascinato con poca grazia verso il divano:
« Ti serve una birra, amico » sentenziò Castiel, mettendogli una lattina tra le mani e urlò:
« Alexy, alza la musica! »
 
Nonostante un inizio alquanto zoppicante, la festa aveva preso la giusta piega. Nathaniel era sopravvissuto alla prima mezz’ora di domande e attenzioni che si erano concentrate su di lui. Rosalya gli era rimasta incollata trasognante, accarezzandogli la schiena e rivolgendogli sorrisi innamorati.
Fortunatamente, la numerosità dei suoi amici era tale che ben presto si erano divisi in gruppetti. Chi come Erin, Rosalya, Iris e Alexy si erano messi a ballare, altri come Ambra, Armin, Lysandre e Violet erano impegnati in una ben più posata conversazione. Con sollievo, Nathaniel si era quindi ritrovato accerchiato solo da Castiel e Kentin, con cui aveva avuto l’occasione di interagire durante la loro vacanza alle Bahamas. La loro conversazione però venne interrotta da Alexy che, dopo aver trascinato Ambra e Armin, era riuscito a convincere anche Kentin a unirsi ad una sorta di ballo karaoke.
« Dai Nathaniel, vieni a cantare! » aveva cercato di trascinarlo Alexy, esultando per il successo della serata.
« Magari dopo » aveva sorriso il biondo e prima che l’organizzatore potesse insistere, Castiel glie venne in soccorso.
« Ti fumi una cicca con me? »
Quella proposta fu l’offerta migliore che Nathaniel potesse ricevere. Non esitò un secondo ad alzarsi ma tastandosi le tasche, ricordò di essere sprovvisto di tabacco:
« Te la do io, muovi il culo » lo spronò Castiel, intento a rollarsi la propria e lasciandosi alle spalle i borbottii delusi di Alexy.
Da quando era arrivato alla depandance, il rosso era stato il marionettista che lo spostava a suo piacimento e ciò fu vitale per mascherare il disorientamento di Nathaniel.
Si sedetterò sulle sedie in vimini vicino al bordo piscina, sollevati dal lasciarsi alle spalle il chiasso proveniente dall’interno dell’abitazione.
Lì fuori i suoi risultavano estremamente attutiti e la consapevolezza di non essere uditi, agevolò la conversazione.
« Così ti aspettavi il tonno in crosta di pistacchi » lo derise Castiel, imitando malamente un accento francese e riprendendo una conversazione avviata poco prima.
Nathaniel sogghignò e scrutando il cielo nero, borbottò:
« Non serve dirtelo vero che questa sorpresa mi ha destabilizzato? »
«  Se ti riferisci alla mancanza del sashimi di tonno, ci dovrebbero essere delle scatolette in dispensa »
« Che zotico che sei. Io mangio solo tonno rigorosamente fresco, dei mari della Scandinavia » esclamò Nathaniel cercando a sua volta di imitare un accento snob.
Accettò l’offerta del tabacco che gli veniva allungato da Castiel e iniziò a frugare alla ricerca di un filtro mentre l’amico soggiungeva:
« Ho cercato di dirglielo che le sorprese non ti fanno impazzire ma ... »
« Grazie lo stesso » lo fermò Nathaniel « del resto, è normale che non ti abbiano creduto. Sembra strano no? A tutti piacciono le sorprese »
« A me fanno cagare » replicò stizzito l’altro, emettendo una nuvola di fumo.
« Onesto » ridacchiò Nathaniel « comunque grazie per essere venuto »
« Beh, è pur sempre una festa. Mica sono venuto solo per te, sfigato » lo punzecchiò.
Durante la sua permanenza di Califonia, la comunicazione tra i due amici era stata così puntuale che erano ben pochi gli argomenti di cui erano all’oscuro l’uno dell’altro.
Parlarono quindi di cose alquanto superficiali finchè fu Nathaniel a decidersi a portare la conversazione su un piano più intimo. Ancora non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di confessare tutto a Castiel ma, più parlavano insieme e più sentiva che il ragazzo fosse l’unica persona con il quale era disposto ad aprirsi.
Tuttavia, se ciò fosse accaduto, ci sarebbe arrivato per step.
Nel frattempo c’era un altro argomento che gli premeva e che non lo riguardava direttamente:
« Con Erin come va? »
Preso in contropiede, Castiel gli lanciò un’occhiata fugace, per poi tornare a fissare il riflesso della luna sulla piscina.
« Sempre uguale » borbottò annoiato, piegando il collo di lato, come se quell’argomento non lo toccasse particolarmente.
« Nessun progresso? »
« Sempre uguale » ripetè Castiel monotono.
Nathaniel soppesò quelle parole e rimase in silenzio.
Non era la prima volta che toccavano quel tasto e nell’ultimo periodo aveva imparato a lasciare al rosso il tempo di metabolizzare l’argomento e decidere se fosse in vena di affrontarlo. A quanto pare, quella sera lo era dal momento che improvvisamentè sbottò:
« Cioè, ci sono dei momenti in cui sento che sto per dirle tutto, sul serio... ma poi penso al casino che ne uscirebbe se fossi l’unico coglione che sente certe cose, capisci? »
Nathaniel non rispose ma era chiaro che Castiel potesse beneficiare della sua più completa attenzione, così continuò:
« Siamo nella stessa cazzo di classe, gli stessi cazzo di amici »
« Beh grazie tante! » ridacchiò allora il biondo, sperando di alleviare il visibile nervosismo dell’amico.
« Lo sai cosa intendo » lo freddò per l’appunto Castiel « hai presente quando vorresti fare tantissimo una cosa ma la consapevolezza di quanto sia potenzialmente distruttiva ti frena dal provarci? »
Potenzialmente distruttiva. Nathaniel soppesò quelle due parole e le associò istintivamente alla sua debolezza per Sophia. In quel caso aveva ceduto alla tentazione, nonostante quella che Castiel avesse definito una cosa potenzialmente distruttiva. Ma nel suo caso, le conseguenze della sua decisione non si sarebbero limitate a lui stesso ma mi sarebbero ripercosse anche su alcuni dei suoi amici e, prima di tutti, su Rosalya.
Cercando di allontanare quelle riflessioni, tornò a concentrarsi sull’argomento iniziale:
« Io credo solo Cas che prima o poi dovrai venire a patti con quello che provi per Erin. Voglio dire... quanto pensi di farcela ancora senza dirle nulla? »
Nathaniel ricordò quindi una conversazione avvenuta settimane prima quando, sfiorando l’argomento Erin, Castiel si era liberato la coscienza:
« Quando stavate insieme, l’ho baciata » gli aveva confessato. Sorpreso da quell’uscita, il biondo aveva chiesto spiegazioni che tuttavia si erano limitate a descrivere le circostanze di quell’episodio e ad informarlo che la ragazza non aveva consapevolezza di quanto fosse successo.
« Avresti dovuto farlo prima » aveva quindi concluso il biondo, lasciando così cadere la conversazione.
Tornò al presente in cui lui e Castiel si erano isolati dalla festa in suo onore e stavano per l’appunto parlando di Erin.
« Non rompere il cazzo anche tu. Ci pensa già Lysandre. Mi passerà prima o poi » borbottò il rosso, grattandosi la tempia stizzito.
« Ma se ti piace da prima che io e lei ci mettessimo insieme! » sbottò spazientito l’amico.
« Possiamo non rinvangare questa parte? » sibilò il rosso a denti stretti « questa ancora non l’ho digerita »
« Mica pensavo che ti piacesse sul serio all’epoca! E poi babbeo, se stiamo tutti ad aspettare i comodi tuoi, Erin morirà vergine »
Quella che voleva essere una battuta detta in leggerezza però venne recepita da rosso con un malcelato interesse. Nathaniel lo vide voltarsi interessato verso di lui e arrossire leggermente:
« Ah ma perchè...cioè... » bofonchiò Castiel, distogliendo poi lo sguardo.
Nathaniel sorrise felino, consapevole di aver stuzzicato la curiosità dell’amico ma intendeva godersi ancora un po’ il tenero disagio in cui si era cacciato:
« No dico...tu e lei » cercò di articolare il ragazzo con gesti di bizzarra interpretazione:
« No, non abbiamo mai fatto sesso se è quello che vuoi sapere. Io avrei voluto » ammise, mentre Castiel lo gelava con lo sguardo « ma lei non era pronta... per quello che ne so io, non l’ha mai fatto con nessuno »
Per quanto l’interlocutore avesse cercato di celare la sua reazione, era palese che avesse sortito un effetto piacevole sul suo umore.
« Chi è ancora vergine? »
La voce acuta di Rosalya era comparsa all’improvviso alle spalle dei due ragazzi, facendoli trasalire:
« Nathaniel » sbottò Castiel, infastidito dalla presenza della ragazza. Nutriva una sorta di gelosia verso di lei, poichè finiva sempre per sottrargli l’attenzione delle persone a cui teneva di più, in primis Erin e Nathaniel. Paradossalmente quel sentimento non solo era reciproco ma era addirittura enfatizzato nella stilista.
« Fosse anche vero, non lo sarai certo dopo stanotte » gli sussurrò Rosalya maliziosamente.
L’intenzione, seppur poco convinta, era di comunicare il messaggio con una certa discrezione ma suo malgrado Castiel aveva sentito perfettamente.
Non che quei discorsi lo mettessero a disagio ma da quando aveva chiuso la sua relazione con Debrah, la mancanza della sfera sessuale nella sua vita diventava sempre più frustrante. Per un ragazzo come lui sulla soglia dei vent’anni poi era ancora più difficile soffocare certi desideri. La casta attrazione per la sua compagna di banco era una tortura quotidiana che poteva essere appagata solo in parte nell’intimità della sua stanza ma che di certo non lo soddisfava allo stesso modo.  
« Ti dispiace se ne parliamo dopo? » esclamò Nathaniel, fissando Rosalya con un’espressione indecifrabile.
Castiel tornò a concentrarsi sulla coppia, colto alla sprovvista dalla risposta incerta dell’amico. Se il rosso era basito, Rosalya era decisamente irritata:
« Ti ho fatto qualcosa? » indagò lei.
« No, no scusami. E’ che sono stanco e poi stavo parlando con Castiel mentre noi stiamo insieme dopo quindi... »
L’amico palleggiava lo sguardo tra i due, confuso da quella scena, mentre Rosalya girava i tacchi stizzita:
« Allora scopati Castiel! A quanto pare preferisci rossi! »
Quella battuta fece trasalire Nathaniel che in quel momento pensò ad un riferimento diverso da quello inteso dalla sua ragazza. Avesse avuto un’attrazione omosessuale per Castiel, probabilmente sarebbe stato più giustificato e capito ma, purtroppo per lui, era un’altra la rossa da cui si sentiva attratto.
Colpito dal silenzio dell’amico, Castiel allora riprese parola:
« Anche a me sembri un po’... diverso, Nate. Tutto ok? »
Non era sicuro che quel diverso fosse l’aggettivo migliore per descriverlo ma non riusciva a spiegarsi quell’atteggiamento così distaccato verso la stilista. Dal canto suo, se fino a quel momento Nathaniel si era imposto l’omertà, sapeva che un’occasione del genere non si sarebbe ripresentata tanto spontaneamente.
Potenzialmente distruttiva.
Come la bomba che stava per sganciare.
Castiel raccolse la lattina che aveva appoggiato al pavimento a bordo piscina e realizzò suo malgrado che fosse vuota. Si era appena alzato in piedi con l’intenzione di recuperarne un’altra all’interno della depandance che Nathaniel mormorò:
« Ieri sono andato a letto con Sophia... la sorella di Erin »
Il rosso si voltò di scatto, tornando a rivolgere tutta la sua attenzione sul biondo.
« C-CHE?! »
Nathaniel non rispose ma si limitò ad annuire con espressione colpevole.
Frastornato, Castiel sgranò dapprima gli occhi, boccheggiò ed infine urlò:
« MA SEI UNA MERDA! »
« Non alzare la voce! » gli intimò Nathaniel, guardandosi attorno circospetto.
L’amico era rimasto in piedi davanti a lui e calmarsi apprariva l’ultima delle sue intenzioni. Iniziò a camminare nervosamentelungo il bordo della piscina ma poi tornò sui suoi passi e, abbandonandosi pesantemente sulla sedia, piegò il busto verso Nathaniel, bisbigliando furente:
« E me lo dici così? »
« E come dovevo dirtelo, idiota? » sussurrò l’amico a sua volta, contagiato dal suo nervosismo.
« Non dovevi dirmelo affatto! Metti nella merda anche me ora! Sei un coglione, un coglione » ripetè Castiel sconvolto. Se non fosse per l’implicazione di tutto quello che poteva succedere, la sua reazione risultò quasi comica agli occhi del biondo mentre per il ragazzo, fresco di quella notizia, risultava tutto così assurdo che non sapeva da che parte iniziare:
« Cioè, ma ti pare che ti metti insieme a Cerbero in persona e poi fai questa stronzata? Se lo viene a sapere ti trovi appeso per le palle al cancello della scuola! »
Nathaniel stava per aprire bocca, quando Castiel continuò:
« Perchè poi giustamente tu che fai? Hai avuto Erin, ma no, non contento la scarichi, che Cristo santo sai cosa avrei dato per essere nei tuoi panni, per poi metterti con Rosalya, dopo anni che le morivi dietro. Quando finalmente si stava sistemando tutto, ti fai pure la sorella di Erin? Hai beccato un’offerta paghi uno prendi tre? »
« Castiel calmati, stai dicendo un sacco di cazzate » mormorò Nathaniel.
A quel punto cominciò a dubitare della sua decisione di aprirsi con l’amico. Magari doveva dargli tempo per assimilare quella notizia, ma sul momento non si stava rivelando di nessun aiuto.
« Ora sono tuo complice lo sai vero? Mi hai messo in una posizione di merda, Nate»
Nathaniel lo lasciò farneticare per qualche altro minuto finchè finalmente l’amico riuscì a calmare i propri deliri isterici:
« Senti, non voglio dettagli inutili su come è successo ma il perchè a questo punto me lo devi » sentenziò, girandosi la seconda sigaretta. Il nervosismo veniva tradito dall’impacciataggine con cui il rosso cercava di allineare il tabacco lungo la cartina, gesto che gli risultava di una spontaneità dettata dall’esperienza. Inoltre aveva finito da poco di fumare la sigaretta precedente e già era passato alla successiva.
Nathaniel inspirò, cercando di raccogliere le idee ma, dopo estenuanti secondi di silenziosa riflessione, mormorò sommessamente:
« Non lo so neanche io perchè »
« NON LO S- » iniziò ad urlare Castiel con un tono che gli era uscito talmente acuto da risultare femminile. Lo riabbassò subito, sia per vergogna che per assecondare l’occhiataccia di Nathaniel « come cazzo sarebbe a dire che non lo sai? » sibilò rabbioso «cos’è te la sei trovata sopra mentre dormivi? Se è così ti prego spiegami perchè mi interessa »
« Vuoi piantarla con le stronzate e stare serio? » lo redarguì Nathaniel.
Se non altro, come accadeva di sovente in passato, parlare con Castiel gli permetteva di tirare fuori il suo lato più aggressivo e reattivo. Del resto, era connaturato nella natura del rosso la capacità di scatenare affettuosi istinti omicidi ai suoi danni.
« Ma sono serio, porca puttana! Non tradisci così la tua ragazza se poi non sai nemmeno perchè è successo! »
Quella considerazione fu la prima cosa intelligente che Nathaniel aveva udito da quando avevano intavolato quella discussione. Evidentemente Castiel si stava calmando ed era pronto ad affrontare quel problema con la razionalità di cui il biondo aveva bisogno.
Nathaniel sapeva che l’orgoglio smisurato del rosso era giustificato da un’ammirevole integrità morale in fatto di relazioni e sentimenti. In fondo in fondo, Castiel era un romantico, un uomo di altri tempi che credeva fermamente in valori quali l’onestà e la fiducia. Nonostante questa consapevolezza, che lo faceva sentire di molto inferiore, l’amico lo provocò:
« Non tutti hanno la tua nobiltà d’animo, Cas... e comunque un giorno potrebbe capitare anche a te »
Castiel inspirò del fumo e rimase in silenzio. Non sapeva se aggiungere altro ma il musicista sembrava assorto in una personale riflessione:
« Non succederà » concluse infine « almeno, non se si trattasse di tradire Erin »
« E come fai ad esserne così sicuro? » lo incalzò Nathaniel.
« Perchè avrei troppa paura di perderla »
Fu in quella frase allora che Nathaniel aggiunse una seconda importante considerazione alla bilancia dei suoi sentimenti. Quel semplice ragionamento esposto da Castiel gli si presentava davanti nella sua brutale semplicità: la sua paura di perdere Rosalya non era paragonabile a quella di perdere Sophia.
Vide un corvo posarsi sul ramo di un albero e gli sembrò che guardasse nella loro direzione, come se volesse assistere a quella discussione.
« Credo che Sophia mi piaccia sul serio » ammise infine Nathaniel, torturandosi l’unghia del pollice.
Castiel si grattò il capo, incapace di commentare.
Da un lato avrebbe voluto rinfacciargli la facilità con cui dichiarava il suo amore a tutte le ragazze che conosceva, prima Erin, poi Rosalya e infine Sophia. Il tutto nell’arco di appena sei mesi. Tuttavia non era quello il momento per i puzecchiamenti e recriminazioni. A lui ne erano piaciute solo due in diciannove anni e si chiese a quel punto quale fosse la situazione da considerare normale.
« Mi sono comportato da stronzo » aveva continuato Nathaniel, davanti al silenzio del suo amico « è successo meno di ventiquattr’ore fa, non l’ho ancora metabolizzato e poi c’era Debrah quind- »
« Debrah? »
Nathaniel si zittì.
Gli era scivolato quel nome prima che facesse in tempo a rimangiarselo. Ovviamente era intenzionato a svelare all’amico quella scomoda e inaspettata amicizia tra la sua ex e la sorella di Erin, ma al momento non voleva mettere troppa carne al fuoco. Indeciso sul da farsi, il biondo temporeggiava ma quell’attesa non faceva altro che accrescere il nervosismo e l’interesse del musicista:
« Senti Nate, parla o ti prendo per le palle da parte di Rosa. Che cazzo c’entra Debrah? »
 
Dopo essere tornata nella depandance, Rosalya si era limitata a unirsi agli altri fingendo indifferenza ma per Erin era palese la drammatica scomparsa della sua allegria contagiosa.
Approfittando di un frangente in cui i presenti si volevano accordare per un gioco da tavola, la mora si avvicinò all’amica e la prese in disparte:
« Ehi Rosa, tutto a posto? »
Guardandola di sottecchi e assicurandosi di non essere sentita dal resto degli amici, la ragazza sbottò:
« Un corno! Sono settimane che non mangio niente per questo giorno, Erin! Mi avete detto tutti che sono stupenda in questo vestito, persino Castiel, Erin! Castiel mi ha squadrata... che è già tanto per lui che non fa altro che guardare te »
« Smettila di dire sciocchezze e non divagare » la redarguì Erin, lusingata per quel commento, a suo avviso, infondato.
« Comunque, sono io o Nathaniel mi sta evitando? Sono secoli che non ci vediamo e non ha voglia di toccarmi? Di abbracciarmi, baciarmi? Gli ho fatto qualcosa? » la tempestò di domande Rosalya, sentendo il battito accelerarle e il respiro farsi più frenetico « se ne sta tutta la sera a confabulare con il suo compagno di merende che, diciamocelo, non è proprio Mister Loquacità. Ma che c’avranno da dirsi? Con lo spessore emotivo di Castiel poi? »
Erin sorrise paziente perchè era inutile far notare a Rosalya quanto invece il rosso fosse bravo a celare la propria sensibilità. Non era quello il punto focale dello sfogo dell’amica e pur cercando di essere imparziale, la mora condivideva perfettamente le perplessità di Rosalya.
« E se fosse solo molto stanco per il viaggio? » tentò insicura ma dallo sguardo truce della sua interlocutrice, capì di non essere convincente. Si sforzò allora di pensare a qualcos’altro e in quell’istante ricordò le parole del rosso quando si era parlato per la prima volta della festa a sorpresa:
« Forse aveva ragione Castiel quando ci sconsigliava di piombargli in casa così, Rosa. Magari è un insieme di cose, questo fatto e anche la stanchezza del viaggio... e lui stasera fa fatica ad assecondare la tua energia »
Rosalya soppesò quelle parole.
Era chiaro che non la convincessero a fondo ma almeno il tentativo di Erin di risollevarle l’umore e tranquillizzarla, bastò a strapparle un sorriso. La mora era ormai la prima persona a cui si rivolgeva quando qualcosa la turbava, finendo per scalzare il primato che Alexy si era conquistato in tanti anni di amicizia. Con Erin, e la dolcezza della sua personalità, Rosalya sentiva che il lato più amaro del suo essere finiva sempre per essere mitigato:
« Come farei senza di te, Cip? Ci fossimo innamorate tra di noi a quest’ora saremo la coppia più felice del mondo »
Quella constatazione, per quanto familiare e ribadita più volte in passato, fece ridere l’amica a sua volta e, con un tenero abbraccio, si riunirono al resto della compagnia.
 
« ...Debrah non c’era più quando ho lasciato l’appartamento, immagino fosse in camera sua. Non so nient’altro Cas, davvero, me ne sono andato da lì con più domande che risposte »
Castiel, che ora aveva raggiunto una certa compostezza, aveva ascoltato in silenzio tutta la storia dell’amico. Gli mancavano ancora dettagli su come fosse nato l’amore per Sophia, visto che non erano passate troppe settimane da quando i due erano stati insieme alle Bahamas. Non aveva neanche capito se Nathaniel fosse davvero convinto di riuscire a tenere quel segreto per sempre o se avesse messo in conto di liberarsi la coscienza ed essere onesto.
E poi c’era l’argomento Debrah.
Stranamente, al di là dell’incredibile coincidenza di scoprire in lei un’amica di Sophia Travis, Castiel non riusciva a sentire altro. Aveva anestetizzato ogni sentimento nei suoi riguardi e ora non capiva cosa avrebbe dovuto sentire.
Rabbia per averlo mollato di punto in bianco? Rancore per averlo tradito? Aveva perdonato Nathaniel, senza voler sapere esattamente cosa fosse accaduto tra di loro, avrebbe potuto fare lo stesso con lei.
Per un attimo nella sua testa contemplò l’eventualità che Debrah potesse tornare da lui.
Un pensiero che fino a Settembre scorso lo assillava, nella speranza che si potesse concretizzare.
Poi era arrivata Erin e quella fantasia era sparita all’improvviso.
Eppure l’aveva amata davvero.
Debrah era stata la sua prima ragazza, la sua prima esperienza per tante cose. Le doveva molto della persona che era diventato, nel bene e nel male.
« Quindi ora Nath, che pensi di fare? Pensi davvero che fare finta di nulla servirà a farti stare meglio? » chiese, allontanandosi dalle sue nostalgiche riflessioni:
« No, ma più di liberarmi la coscienza, chi ne gioverebbe? Sophia non mi vuole e io a Rosalya voglio un sacco di bene »
« Ma vuoi stare con lei? » lo interruppe Castiel con serietà.
« Io... »
« Ho capito » lo freddò lui, di fronte alla sua esitazione.
« No, Castiel non è così semplice » patteggiò Nathaniel, innervosendosi.
« Sì invece, Nate, è ora che dovresti rispondere senza esitare! Perchè ora che sei a tanto così da perdere Rosalya dovresti sapere se la vuoi o no » ruggì Castiel spazientito.
Nemmeno per il rosso era semplice analizzare la situazione nella sua interezza e quella confusione lo faceva sentire insicuro e nervoso.
Rimasero in silenzio perchè, di fronte a quell’ultima provocazione, Nathaniel non sapeva più che argomentazioni usare. Castiel lo squadrò e vide una persona tormentata dai pensieri, incapace anche solo di un sorriso finto. Spense la sigaretta contro il pavimento e si alzò dalla sedia:
« Vado a dire a tutti che ti è salita la febbre e che sei tornato nella tua stanza. Non possono vederti in queste condizioni »
Nathaniel si limitò a riflettere per qualche istante, prima di annuire convinto. Era l’unica soluzione temporanea per un problema che non si sarebbe mai risolto definitivamente. Se non altro, dopo aver passato ore a chiacchierare, il biondo seppe di aver fatto solo una cosa giusta quel giorno: essersi confidato con Castiel.
Proprio come ai vecchi tempi, parlare con lui rappresentava la strategia più efficace per cercare sollievo ai suoi problemi personali. Fino a quel momento Castiel era stato un ottimo orecchio per i problemi con la sua famiglia e suo padre in particolare, ma era la prima volta che affrontavano questioni di cuore così intimamente.
Si congedò, dopo averlo ringraziato con un affetto che voleva dichiarare quanto gli fosse stato di sostegno.
« Buonanotte, amico » mormorò, allontanandosi e venendo avvolto dall’oscurità del giardino che lo proteggeva da chiunque volesse intercettarne il percorso.
 
 



Note dell’autrice:
 
Care lettrici, mi siete mancante, così come mi è mancato scrivere IHS.
Sono così felice che, se state leggendo queste parole vuol dire che sono riuscita nel mio intento! Avevo promesso (da qualche parte su EFP se non erro) che ci fossero voluti anche dieci anni, IHS avrebbe avuto la sua conclusione (essendo stata publicata ad Aprile 2014, ci sono andata molto vicina!)
Ebbene, è così, ormai non ci sono più scuse. La maggior parte dei capitoli è ormai abozzata.  Vedrete quindi cosa ho sempre avuto in mente sin da quando ho realizzato che questa ff stesse diventando molto più di un passatempo da concludere in 10 capitoli. Anzi, ricordo che fu proprio con il capitolo 10, quando Erin e Castiel si trovano a passare la serata al liceo che ho iniziato ad appassionarmi alla storia che io stessa stavo creando.
Spero che questi anni di attesa mi abbiano fatto bene e che mi troviate sapientemente invecchiata, come un buon vino. Dal canto mio, essendo più matura rispetto a quando ho iniziato, mi sono spinta a descrizioni ed eventi che prima non avrei saputo affrontare con la giusta maturità. Mi sono resa conto che non avevo ancora reso giustizia a quanto i maschi di quell’età possano essere più interessati a certi “bisogni fisiologici” e che, presa molto dall’atmosfera da ff, stessi creando delle coppie di diciottenni come se fossero tutte pronte per il matrimonio. Per cui, spero vi piaccia quella che io chiamo la terza IHS, quella più adulta che ho sempre immaginato di presentarvi (anche se non dopo tutti questi anni!).
Troverete questo capitolo anche su EFP, anche se ormai temo che tanto il mio account quanto quello di chi mi seguiva da lì sia stato dimenticato. Ci sono affezionata sia perchè da lì è iniziato questo viaggio e sia perchè le recensioni più lunghe e sentite sono postate lì e credo che sia lì che IHS dovrà sempre risiedere.
 
A presto!
 
Elena
  
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