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Autore: Zobeyde    08/03/2023    3 recensioni
Prequel de “Gli ultimi maghi”
Sono anni turbolenti per l’Europa: la Belle Époque sta per tramontare, sotto l'incombere di una guerra come non se n’erano mai viste, e nella millenaria città di Arcanta, dove la magia esiste e i suoi abitanti hanno da sempre vissuto al riparo dalla corruzione del mondo, c’è chi non può restare indifferente ai cambiamenti fuori dalle sue mura incantate:
Abigail Blackthorn, in fuga da una gabbia dorata per aiutare chi soffre nelle trincee, dove inaspettatamente troverà amore e dannazione.
Solomon Blake, cinico, ladro, machiavellico, determinato a rendere la magia grande come un tempo, fino al giorno in cui scoprirà che ogni cosa ha un prezzo.
Zora Sejdić, maga decaduta che ha fatto dello spiritismo la propria arma per la scalata al potere. Un’arma però che si rivelerà presto a doppio taglio…
Dal testo:
[…] Vede, ambasciatore, io non credo né negli dei, né negli uomini. Credo che ognuno di noi, presto o tardi, venga chiamato a giocare un ruolo in una partita ben più grande. Deve solo capire qual è il suo. […]
Genere: Angst, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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UN LAVORO DA GENTILUOMINI
 
 



Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?
I travel the world and the seven seas
Everybody's looking for something...


EurythmicsSweet Dreams
 




 
Il passaggio conduceva a una serie di corridoi di servizio e scalinate tortuose, che si diramavano in tutto il Gran Palazzo.
«Servono per raggiungere discretamente gli appartamenti privati» spiegò Rasputin, mentre lo guidava in quel labirinto; laggiù, in quello spazio angusto, il suo tanfo era asfissiante. «Dicono che Bartolomeo Rastrelli[1] li abbia realizzati ispirandosi a Versailles: il Re Sole li usava per far visita alle sue innumerevoli amanti.»
«Affascinante» commentò Solomon, più per educazione che per altro; non era molto interessato all’architettura, in quel momento. «E lei per cosa li utilizza?»
«Un po’ per diletto personale.» Il monaco sogghignò. «E un po’ per necessità: la corte pullula di serpenti, fa comodo avere delle vie di fuga.»
«Deduco non sia particolarmente amato da queste parti.»
«È il prezzo del potere» sospirò Rasputin. «La Russia sarebbe persa senza il suo zar, e lo zar sarebbe perso senza di me.»
«E ha mai seriamente temuto per la sua vita?»
«Almeno una volta a settimana» disse il monaco, in tutta calma. «Ma ho imparato a prendere le dovute precauzioni.»
«Del tipo?»
«Come si diventa immuni ai serpenti?» chiese lui, e quando Solomon scrollò le spalle, gli mostrò una schiera di denti gialli e storti e disse: «Col veleno, conte: una piccola dose ogni mattina, per temprare il corpo e lo spirito.»
«Ah» fece Solomon, stavolta con sincero interesse. «Molto astuto. Prenderò nota.» Chissà che non possa servire anche a me, un giorno.
Scesero una ripida scalinata e sbucarono nell’ennesimo corridoio, ma di punto in bianco, lo starets si fermò davanti a un anonimo muro di mattoni e sollevò una mano, dalle unghie lunghe e nere di sporcizia. Solomon lo osservò mentre vi tracciava dei segni, e improvvisamente, vide la parete ondeggiare di fronte ai suoi occhi come fumo e poi svanire, lasciando libero l’accesso a un altro corridoio nascosto; non più rischiarato da lampade ma da torce, che gettavano lugubri bagliori aranciati sulle pareti di roccia viva.
«Interessante» mormorò Solomon, che stava cominciando a trovare quella visita guidata un po’ noiosa. «Un’altra idea del buon Rastrelli?»
«Questo luogo è più antico» rispose il monaco, in tono grave. «Il palazzo sorge su uno dei primi insediamenti rus’[2] : questa era la tomba di un re veggente…»
«Va bene, va bene» tagliò corto Solomon, temendo un’altra digressione storica. «Possiamo proseguire per quel che mi riguarda.»
Entrarono. Il cunicolo si ramificava in una successione infinita di altre gallerie, tanto che presto Solomon perse il senso dell’orientamento; odoravano di pietra fredda e muffa, con sotto qualcosa di ferroso e marcescente.
All’improvviso, un suono agghiacciante simile a un ruggito echeggiò nelle gallerie, e la fiamma delle fiaccole tremò.
«Che diamine è stato?» chiese Solomon, gettandosi un’occhiata alle spalle.
«Solo il vento. Continui a camminare, ambasciatore, e occhio a dove mette i piedi.»
Emersero in una vasta sala rotonda, col soffitto a cupola sorretto da un cerchio di colonne; al centro, c’era un sarcofago rozzamente scolpito, attorno al quale si muovevano una dozzina di figure avvolte da mantelli di seta nera, coi cappucci tirati sopra la testa. Alcuni facevano oscillare degli incensieri d’argento, e una densa foschia violacea invadeva l’ambiente, rendendo l’aria, già di per sé stantia, soffocante.
Solomon mosse qualche passo sotto la cupola. «Dove siamo?»
«Lo chiamano Tempio dell’Origine» spiegò Rasputin. «Perché è qui che ogni cosa ha avuto inizio: prima della Fondazione di Arcanta, quando il Tutto e il Vuoto non erano entità separate, e la magia scorreva potente nella terra e nel sangue degli uomini.»
Solomon percepì le figure incappucciate scivolare come spettri alle sue spalle, bloccando l’unica via d’uscita. «E cosa fate di bello quaggiù per passare il tempo?»
Si vide strappare il bastone di mano.  Un istante dopo, delle fredde manette gli stringevano saldamente i polsi dietro la schiena.
«Quello che fanno i monaci» gli sussurrò all’orecchio Rasputin, e il suo alito putrescente gli rimescolò lo stomaco. «Preghiamo per l’avvento di un mondo migliore. E devo ammetterlo: è un onore che l’Arcistregone dell’Ovest in persona sia venuto a trovarci. Che ne dice, signor Blake? Non le sembra il momento di far cadere la maschera?»
 

Pochi minuti più tardi, Solomon aveva di nuovo il suo aspetto, era seduto su una sedia con le mani ancorate ai braccioli da ganci d’acciaio liscio come acqua, ed era attorniato da individui incappucciati e armati di daghe affilate.
«Acciaio alchemico» valutò, riconoscendo la lega anti-magia dalla formula segreta, che veniva fabbricata solo nei laboratori del Cerchio d’Oro, ad Arcanta. «Deve esservi costato un occhio della testa: so che non ne gira più molto, al Mercato Nero dell’Occulto.»
«Ho i miei contatti» replicò Rasputin, un ghigno beffardo ad arricciargli le labbra. «E lei ha i suoi, vedo. Come sapeva dove trovarci?»
«Che vuole che le dica? Con me le persone parlano» rispose Solomon, con un’alzata di spalle. «Il più delle volte non ho bisogno di ricorrere alla malia per convincerle. Un sorriso può aprire molte porte, certo…» Fece una smorfia, soffermandosi sulla dentatura marcia del monaco. «Una buona igiene orale aiuta.»
«Veniamo al punto» lo interruppe Rasputin, accigliandosi appena. «So che è qui per conto di Arcanta. Ma non troverà mai quel che cerca: questi tunnel si estendono per chilometri e solo i miei confratelli e io ne conosciamo l’esatta geografia.»
«Siete molto ben organizzati.»
«Il Tempio è qui da molto prima di Arcanta» disse Rasputin, asciutto. «Così come il potere che noi veneriamo. Il vero potere, quello che da secoli i suoi Decani hanno tacciato di eresia.»
«E cosa vi ha portato in cambio tutta questa venerazione?» domandò Solomon, amabile. «Sbaglio o nessuno di voi è ancora riuscito a ottenere i poteri che avete perso per colpa di Arcanta?»
Guardò gli incappucciati, schiere di maghi e streghe decaduti, nelle cui vene la magia si era inaridita da secoli. «Mm? Nessuno?»
«Non è così che funziona!» sbottò il monaco. «Non basta pregare il Vuoto perché conceda i propri doni: occorre completo abbandono…»
«E le orge» completò Solomon.
«Siamo fatti di carne» replicò Rasputin. «Gli Adoratori del Vuoto annegano negli abissi del piacere ed espiano i propri peccati attraverso il dolore e la preghiera. Così offriamo la nostra devozione al Potere Oscuro, nell’attesa che mandi tra noi colui che porterà il suo regno sulla terra. E restituisca ciò che ci è stato sottratto.»
«Perciò» riassunse Solomon. «Copulate, pregate e vi flagellate affinché arrivi un messia in grado di ridarvi la magia? E come lo riconoscerete? Porta, che so, una runa vichinga tatuata in mezzo alla fronte? Ha sei dita per mano, invece che cinque..?»
«Sarà il Libro Nero a rivelarci la sua identità» rispose il monaco, solenne. «Al momento opportuno. Ma non è di questo che dovrebbe preoccuparsi, signor Blake.»
Si curvò su di lui, per fissarlo dritto negli occhi. «Ciò che dovrebbe preoccuparla è: cosa dovremmo farne di lei? Ucciderla?»
Molti adepti espressero concitatamente il loro consenso.
«Sacrifichiamolo al Vuoto!» suggerì qualcuno, con enfasi. «Diamo a questo miscredente un assaggio del suo potere!»
«Io dico di mandare la sua testa ad Arcanta!» propose un altro, passando il pollice sul filo della sua lama. «Che sia da monito!»
Il monaco si accarezzò la barba. «L’idea è allettante. Ma riconosco che sarebbe uno spreco di sangue magico, puro e antico. Un uomo come lei, un Arcistregone, temuto e rispettato: per riavere il loro prezioso Corvo Bianco i Decani sarebbero disposti ad acconsentire a qualunque nostra richiesta.»
«È una possibilità» concesse Solomon. «Ma io ne ho una migliore, se vi va di ascoltarla.»
«Non si lasci ingannare, Gran Maestro» strillò una voce femminile da sotto un cappuccio. «Si ricordi con chi abbiamo a che fare: è il Corvo Bianco di Arcanta! Non ci si può fidare di lui!»
«Devo dare ragione alla signorina» disse Solomon. «Nemmeno io mi fiderei di me stesso. Ma se sapete come lavoro, saprete anche che non sono come i miei colleghi: non torturo la mente delle persone, né la suggestiono con delle illusioni. E di certo non rischio di rompermi un’unghia brandendo un’ascia arrugginita…»
Le sopracciglia del monaco quasi si toccarono. «Dove vuole arrivare?»
«A me piace fare affari» riprese Solomon, accavallando le gambe lunghe e magre. «Perciò, parliamo d’affari: non sono l’unico che Arcanta ha mandato a intrufolarsi a palazzo, stasera.»
Parecchi iniziarono a sussurrarsi cose da cappuccio a cappuccio.
«Vi propongo uno scambio» disse Solomon. «Voi mi liberate, io vi porto l’infiltrato di Arcanta, voi lo imprigionate, e poi chiedete il vostro riscatto ai Decani, se proprio ci tenete.»
Rasputin emise una risata bassa e priva di umorismo. «Venderebbe sul serio un suo collega, un amico, pur di avere salva la vita, signor Blake?»
«Questo è solo il primo punto dell’accordo» obiettò Solomon. «Il secondo è che mi facciate entrare.»
«Entrare dove?»
«In tutto questo.» Solomon roteò gli indici, visto che erano la sola cosa che riusciva a muovere. «Questa faccenda del Vuoto mi interessa e gradirei saperne di più.»
«Perché dovremmo volerla tra le nostre schiere?» chiese Rasputin, sprezzante. «Un servitore di Arcanta, un traditore della sua stessa razza.»
Il sorriso affabile svanì all’istante dal volto dello stregone. «Io non servo nessuno. Arcanta per me non significa niente e il titolo di Arcistregone è solo un trampolino per vette più gratificanti.»
Rasputin cominciò a camminargli intorno, le mani dietro la schiena. «Devo riconoscere che lei è un uomo interessante. Ma solo la fede rende un uomo qualunque un Adoratore. E lei ne è totalmente privo.»
«La fede servirà a poco per ciò che intendete realizzare» lo contraddisse Solomon. «Le opportunità vanno create.»
«Gran Maestro!» esclamò un adepto, scandalizzato. «Questa è blasfemia!»
«Io posso offrirvi un canale diretto per Arcanta» disse Solomon. «La possibilità di accedere ai suoi segreti.» Guardò lo starets, che aveva smesso di camminare e ora lo fissava con intensità. «Lei e io siamo fatti della stessa pasta, Gran Maestro: col suo carisma, è diventato uno degli uomini più influenti di tutta la Russia. Immagini cosa potrebbe fare con le conoscenze custodite alla Cittadella: il mondo sarebbe suo.»
«Mm» fece il monaco. «E lei che ci guadagnerebbe?»
«Mi basta una fetta della torta. La Gran Bretagna andrebbe più che bene.»
Seguì una gran baccano, voci che si sovrapponevano le une alle altre.  Rasputin sollevò la mano per metterle a tacere.
«Fratelli, ogni cosa accade per una ragione: forse, l’arrivo del signor Blake è il segno che stavamo aspettando.»
Con uno scatto, le tenaglie che bloccavano i polsi di Solomon si aprirono.
«Molte grazie.» Lo stregone si alzò in piedi, sistemandosi la giacca. «I miei affetti, se non vi dispiace.»
Titubante, un adepto gli restituì il bastone dall’impugnatura d’argento a forma di testa di corvo.
«E l’orologio» aggiunse Solomon. «Sono un tipo puntuale.»
L’adepto tirò fuori dal mantello l’orologio da taschino, e Solomon dovette nascondere la sua smania di riottenerlo. Nel momento in cui gli riscivolò nella tasca, si sentì immediatamente più leggero.
«Abbiamo un patto, signor Blake» disse Rasputin, tendendogli la mano. «Veda di non infrangerlo.»
Solomon rispose alla stretta, ma subito dopo avvertì la puntura di un ago affondargli nella spalla destra. Trasalì e si girò verso l’incappucciato che brandiva una siringa a mo’ di pugnale. «Che significa?»
«Una precauzione» rispose Rasputin, sorridendo maligno. «Veleno di serpente. Ci impiegherà qualche ora a fare effetto: torni qui con quanto promesso, Blake, e le somministrerò l’antidoto io stesso.»
Solomon si massaggiò la spalla indolenzita. «L’avevo detto, Gran Maestro: siamo fatti della stessa pasta.»
 

All’interno di una vasta e umida cantina, sotto le cucine del Gran Palazzo, una grossa lastra di pietra venne sbalzata via con una piccola esplosione; dal polverone, emerse un uomo alto, barbuto, dalle spalle larghe rese ancora più spesse dalla pelliccia che ornava il bavero del suo cappotto. L’uomo spazzò via la polvere con le grosse mani e si sistemò in testa un colbacco di astrakan nero, poi occhieggiò l’ambiente con fare guardingo.
Boris Sergeevič Volkov avanzò cauto fra le botti di vino stoccate nel locale sotterraneo, risalì una scalinata scivolosa per l’umidità e aprì una porta affacciata su uno spoglio corridoio di servizio. Una volta certo che la via fosse libera, si incamminò coi sensi vigili: sapeva che l’accesso al covo della setta degli Adoratori del Vuoto era laggiù, da qualche parte.
“Un branco di fanatici, il cui solo obiettivo è vedere il mondo bruciare” li aveva apostrofati l’Inquisitore Blackthorn, il Decano che gli aveva affidato l’incarico.
I Decaduti di solito preoccupavano la Cittadella quanto pulce preoccupa un branco di lupi: appartenevano ad antiche famiglie di maghi, che per orgoglio si erano rifiutati di far parte della comunità di Arcanta, della luminosa, nuova era della magia che i Decani avevano costruito per la loro gente. Ma le continue guerre dei Mancanti avevano rimodellato il mondo, e, a furia di abbattere città per costruirne di nuove, di scavare come talpe insaziabili alla ricerca di tesori, erano riusciti a far emergere un Male che per lungo tempo si pensava fosse stato debellato: il Codice Oscuro, ultima reliquia del culto del Vuoto, era stato rinvenuto in quello che era stato l’Impero persiano, divenuto poi romano, bizantino e ottomano. E infine, territorio conteso tra Russia e Austria.
L’Arcistregone del Nord setacciò corridoi tutti identici, col sottofondo della festa che si stava svolgendo nelle sale attigue. A un tratto, una sensazione di riconoscimento lo attraversò come una scossa elettrica, per la legge magica della Corrispondenza. Alzò una mano e in essa apparve una scure di energia rossa e vibrate. Boris ruotò su sé stesso, pronto a colpire il potenziale assalitore. Ma si bloccò a metà dell’atto. «Tu?!»
«Ciao, Bo» lo salutò Solomon allegramente. «Dalle dimensioni di quella scure, deduco tu sia molto felice di vedermi.»
Boris abbassò di poco l’arma. «In nome dei Fondatori, che ci fai qui?!»
«Mi conosci, non resisto a un bicchiere di kvas e ai baccanali satanici.»
Boris emise un basso ringhio e dissolse la scure. «Non dirmi che sei venuto a sapere della mia missione!»
«Quella di confiscare un grimorio di Magia Vuota e distruggerlo?» fece Solomon, rimuovendo un pelucco dalla giacca. «Ne so quanto basta.»
«Be’, vedi di starne fuori» intimò l’altro. «Il Nord è territorio di mia competenza, e i Decani hanno affidato l’incarico a me!»
«Va bene, non ti scaldare» Solomon alzò le mani in segno di pace. «Voglio solo offrirti il mio aiuto.»
Boris sollevò un sopracciglio. «Tu? Offrirmi aiuto?»
«È nell’interesse di entrambi che quel libro sparisca dalla circolazione» disse Solomon, serafico. «Prima che qualche squilibrato trovi il modo di servirsene.»
Boris continuava a essere profondamente scettico. «Tu non fai mai niente per niente.»
«Vedila così» sospirò l’altro. «La settimana scorsa ho portato a termine tutti gli incarichi che i Decani mi hanno affidato, e non so stare senza niente da fare. E poi, siamo tra gli stregoni più potenti di Arcanta: in due abbiamo più possibilità di successo, non credi?»
Boris continuò a squadrarlo con diffidenza. Poi, buttò fuori anche lui un sospiro: «D’accordo, hai il permesso di assistermi. Ma ti avverto: è un incarico della massima importanza e non ti permetterò di mettermi i bastoni tra le ruote!»
Solomon gli dedicò un sorriso smagliante. «Sarò un santerellino, promesso!»
Brontolando, l’Arcistregone del Nord lo precedette lungo il corridoio. Solomon sentiva pizzicare il punto in cui l’ago lo aveva trapassato e si accorse di avere i brividi: il veleno di Rasputin si stava aprendo rapidamente una strada verso gli organi vitali.
«Allora» disse, facendo finta di niente. «Come hai fatto a imbucarti?»
«Ho scavato una galleria fin sotto le cucine, dalla rete fognaria.»
«Questo spiega il tuo odore.»
Boris arrossì appena, sotto la folta barba. «E tu come sei entrato?»
«Dalla porta principale. Nei panni dell’ambasciatore ungherese.»
«E quello vero dov’è?»
«Nudo, dentro un baule, all’ambasciata.»
Boris era sconcertato. «Hai chiuso un diplomatico dentro un baule?! Blake! Lo sai che ci è proibito interagire direttamente coi Mancanti!»
Solomon sbuffò. «Gli ho rimosso la memoria, non sono un principiante. Al suo risveglio avrà solo un brutto mal di testa.»
L’Arcistregone del Nord scosse il capo. «Sai quel è il tuo problema, Blake? Sei maledettamente in gamba, ma scegli sempre la strada che metta in luce tutti i tuoi difetti anziché i pregi.»
«E da quando trovare la strada più facile sarebbe un difetto?»
«Sto parlando di seguire la strada giusta, non quella facile» disse Boris. «Di agire con onore. Alla Corte delle Lame è così che vogliamo essere ricordati.»
L’espressione di Solomon si indurì. Onore, certo. L’onore non lo aveva reso Arcistregone dell’Ovest, non lo aveva tirato fuori da un sacco di situazioni pericolose, così come in passato non lo aveva sottratto alle punizioni di suo padre. E di certo non aveva salvato Jonathan.
«Quando si viene ricordati, significa che si è morti» disse Solomon, seccamente. «E io intendo restare in circolazione per un bel po’. Perciò…»
Con un movimento impercettibile, ruotò il polso e contrasse le dita. «Spero non ce l’avrai troppo con me.»
Boris strabuzzò gli occhi. «Che stai facendo…?»
«Rallento il tuo battito cardiaco. Tranquillo, Bo, ti farai solo una dormitina.»
Boris mosse un passo verso di lui, incerto sulle gambe. «Grandissimo figlio di…»
E collassò lungo disteso ai suoi piedi.


«Sono ammirato» commentò Rasputin, quando Solomon ebbe rimesso piede nel Tempio dell’Origine, accompagnato dal corpo privo di sensi di Boris Volkov. «Niente meno che il celebre Lupo Grigio, il flagello del Nord.»
«Cercate di non strapazzarlo» disse Solomon, mentre alcuni adepti trascinavano via l’Arcistregone del Nord. «Dunque, il nostro accordo?»
Gli serviva l’antidoto. Si sforzava di non farlo trapelare, ma iniziava ad avere le vertigini e gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte…
Rasputin ridacchiò. «Abbiamo ancora un’ora prima che il veleno la uccida. E nel frattempo, la manterrà abbastanza debole da impedirle di sabotare il nostro rito.»
Solomon mascherò un attacco di tosse con una risata. «Ma potrei perdermi il gran finale.»
«Lo prenda come un atto di fede.»
Due iniziati entrarono reggendo per due aste un’elaborata cassa di legno rivestita d’oro. Solomon si fece attento. «È ciò che penso?»
Rasputin attese che i seguaci posassero a terra la cassa e vi passò sopra una mano. «Qui dentro è custodito il Codice Oscuro di Farabi» spiegò.  «“L’Alchimista Folle”, colui che iniziò il culto del Vuoto.»
Gli adepti si disposero in cerchio, continuando a spargere incenso, e presero a intonare una nenia in un antico dialetto greco. Rasputin, invece, alzò il coperchio della cassa. «E adesso, lo pregheremo affinché ci riveli l’identità del Prescelto che ci guiderà verso il Grande Cambiamento.»
Tirò fuori con cura un tomo delle dimensioni di una Bibbia, dalla rilegatura incastonata di pietre preziose. Mentre i fumi dell’incenso salivano in pigri vortici verso la cupola, lo starets aprì il libro e lo adagiò sul sarcofago. «Unitevi a me in preghiera! Che il potere del Vuoto scenda su di noi e ci riveli la via per la grandezza!»
Estrasse dalla tunica un kinjal[3] dall’impugnatura in oro. «Potere Oscuro, prendi dalle nostre mani questo sacrificio e donaci il sapere degli Antichi!»
E, con un movimento fluido, freddamente calcolato, il monaco recise la gola all’adepto alla sua destra. Solomon non riuscì a nascondere lo stupore e il disgusto, mentre guardava l’uomo sgozzato accasciarsi, rantolando, sopra il sarcofago, che fu presto interamente zuppo del suo sangue.
Seguirono diversi minuti di silenzio carico di attesa, in cui però, a parte la cessazione dei rumori provenienti dalla vittima sacrificale, non accadde assolutamente niente. Gli adepti si scambiarono occhiate perplesse.
«Ha letto le istruzioni del libro prima di usarlo, vero, Gran Maestro?» chiese Solomon.
Rasputin lo fulminò con un’occhiataccia. «Taci, Corvo Bianco! Cosa può saperne uno come te dei nostri…» Si interruppe, come distratto da un pensiero improvviso, e subito dopo impallidì. «Un momento…il corvo! Razza di idioti! Dov’è finito il suo…?»
Un’esplosione di luce bianca dissolse l’intera sala, seguita da un coro di ululati di sorpresa e dolore. Gli adepti si coprirono i volti con le mani, accecati, e iniziarono a urtarsi gli uni con gli altri, incespicando nei mantelli come lattanti.
Un grosso corvo albino apparve dal nulla in un turbine di piume bianche, e si tuffò su Rasputin, che brancolava menando fendenti col suo kinjal. L’uccello allargò gli artigli, gli graffiò la faccia, dopodiché strappò dal suo collo una sottile catena a cui era assicurata un’ampollina di vetro. Infine, volteggiò sotto la cupola, lasciandola cadere nella mano aperta di Solomon.
Lo stregone non perse tempo; sgusciò tra gli iniziati prima che potessero trafiggerlo con le loro daghe, ruotò il bastone e assestò un paio di colpi per metterli ko. Si liberò degli altri generando un turbine di vento così potente da sollevarli in aria e mandarli a sbattere con violenza contro le pareti. Infine, spiccò un salto verso il sarcofago e vi atterrò sopra in perfetto equilibrio, come un acrobata.
Rasputin era in ginocchio, schiumante di rabbia, con una mano sulla faccia e il sangue che gli colava fra le dita.
«Corvo Bianco!» sbraitò. «Danzerò sulla tua tomba!»
Si tirò su e, con un ringhio di belva, gli si avventò contro brandendo il kinjal; Solomon schivò il primo attacco, parò il secondo con l’asta dal bastone, impugnandolo come una spada. Il monaco compì un’agile piroetta su sé stesso, come un derviscio, pronto ad affondare la lama nel suo fianco. Solomon indietreggiò e, con una rotazione del polso, gli spezzò una gamba.
Rasputin digrignò i denti dal dolore, ma la smorfia si tramutò subito in un sogghigno, e tornò alla carica più agguerrito di prima.
Dannazione, pensò il mago, impressionato. È proprio vero che è duro da buttar giù questo qui!
Prima che potesse colpire ancora, Solomon sollevò una mano la catena di un incensiere d’argento si attorcigliò attorno all’impugnatura del coltello, strappandoglielo di mano. Approfittando della sorpresa del monaco, Solomon gli puntò contro il palmo e lo sbalzò dall’altra parte della stanza. Rasputin si schiantò con forza contro una colonna e questa volta restò a terra, gemendo e imprecando. Intanto, Solomon afferrò il Codice Oscuro e lo infilò in tasca
Il monaco lo fissò con odio, ansimando forte. «Crede di aver già vinto, signor Blake?»
«Non lo credo» replicò lo stregone. Agitò ancora le dita e la catena dell’incensiere lo avvolse stretto attorno alla colonna, immobilizzandolo. «L’ho appena fatto. Buona fortuna col suo Prescelto, Gran Maestro.»
E con un sibilo, usò il salto e svanì nel nulla, seguito dal corvo albino.
Riapparvero in una delle gallerie di roccia e Solomon estrasse l’orologio. «Sei in ritardo di quattro minuti e otto secondi, vecchio mio.»
Wiglaf gli si appollaiò sulla spalla, gracchiando piano.
«Che significa “ti eri perso”?» Solomon stappò l’ampollina, scolando l’antidoto tutto d’un fiato. «I demoni non si perdono. Ti stai impigrendo, ecco la verità. La prossima volta tu ti fai avvelenare e io preparo l’entrata ad effetto, e poi voglio vedere. Comunque, ho quel che mi serve. Possiamo tornarcene a casa…»
Wiglaf gli beccò il lobo dell’orecchio ed emise uno stridio.
«Mm? Sto dimenticando qualcosa? A che ti riferisci?»
Il corvo si alzò in volo, sbarrandogli la strada.
Solomon ridacchiò. «Oh, pensi sul serio che lo avrei lasciato qui? Stavo solo scherzando!»
Senza speranza, il Famiglio gli fece strada nel dedalo di cunicoli fino alle segrete.  Le celle, scavate nella roccia, si aprivano su un tunnel illuminato da fiaccole. Solomon si fermò di fronte a una porta di ferro dotata di una stretta fessura. Bastò un rapido movimento delle dita e la serratura scattò.
Alla debole luce, Boris Volkov era seduto sul pavimento sudicio, le caviglie incatenate e le mani bloccate da un manicotto d’acciaio. Sotto le spesse sopracciglia brune, i suoi occhi grigi lo trafissero come lame. «Sparisci, lurida serpe!»
«Sono venuto a liberarti, Bo. Non tenermi il broncio.»
L’Arcistregone del Nord diede uno strattone alle catene. «Non ho bisogno del tuo aiuto! Troverò da solo il modo di uscire di qui.»
«Entro la fine di questo secolo?»
«Almeno non dovrò aspettarmi un’altra pugnalata alle spalle!»
«Il solito permaloso» esalò Solomon, annoiato. «Adesso ti tolgo quell’affare, ma promettimi che farai il bravo lupacchiotto. Oppure ti metto la museruola.»
L’altro masticò una serie di imprecazioni in russo, mentre acconsentiva di buon grado a farsi rimuovere il dispositivo anti-magia da Solomon.
Lasciarono le segrete e, guidati da Wiglaf, percorsero a ritroso la galleria.
«Insomma, lo hai preso?» chiese rudemente Volkov, rompendo il suo ostinato silenzio. «Il Codice Oscuro. Sei riuscito a trovarlo?»
Solomon sfilò dalla tasca il prezioso tomo incastonato di gemme. «Tutto tuo. Lo vedi che in fondo non sono un alleato così pessimo?»
Lo stregone glielo strappò di mano. «Non dirmi che avevi previsto tutto!»
«Quasi tutto» rispose Solomon. «L’iniezione di veleno è stata un interessante colpo di scena.»
Boris esaminò il libro. «Se non altro, abbiamo portato a termine la missione.»
Si fermarono a un crocicchio. Lo stregone gettò a terra il Codice ed evocò la sua ascia di energia. Solomon fece un passetto indietro, mentre il Lupo Grigio sferrava un possente fendente, che ridusse in pochi istanti il tomo a un cumulo di cenere.
«È stato facile.»
«Già» disse Boris, corrugando la fronte. «Forse fin troppo...»
In quell’esatto istante, un possente e terribile ruggito scuotè le pareti di pietra, facendoli sobbalzare entrambi. Solomon rabbrividì: era lo stesso suono immondo che aveva sentito prima, quando era insieme a Rasputin.
«In nome dei Fondatori!» esclamò Boris. «Che cosa è stato..?»
La risposta non tardò ad arrivare. Con un cupo cigolio, una pesante grata di ferro arrugginito iniziò a sollevarsi, liberando l’accesso a una grossa galleria buia alla loro destra.
Dalle profondità, risalì qualcosa di gigantesco. Alto più di due metri, la pelle grigio-verde e le braccia grosse come tronchi d’albero. Caviglie e polsi erano stretti da bracciali di ferro, a cui erano attaccati pezzi di catene. Aveva indosso solo un perizoma di stracci, e brandiva un’immensa clava di legno. Sollevò la testa calva dalle orecchie a punta, e li guardò fisso coi suoi infossati occhi neri, infiammati di rabbia.
Boris era sbiancato. «Un orco!»
«Questo lo vedo» disse Solomon. «Come lo abbattiamo, Uomo del Nord?»
La creatura ruggì e sollevò la clava.
«CORRI!»
Era incredibilmente veloce. Solomon e Boris si diedero a una fuga disperata, imboccando gallerie a casaccio, mentre il suolo tremava sotto i passi della creatura e l’aria veniva spostata dai colpi dalla sua clava.
«Per tutti i demoni, siamo maghi!» esclamò Solomon, senza tuttavia frenare la corsa. «E siamo in due!»
«Quella cosa non la butti giù con gli incantesimi» ansimò l’altro. «Ha la pelle troppo spessa! Rimbalzerebbero dappertutto, vuoi che il Gran Palazzo ci crolli in testa?!»
L’orco era proprio dietro di loro. Solomon ne percepì l’odore nauseabondo e decise di improvvisare. Levò una mano contro il muro di pietra e contrasse le dita. Si generò un’esplosione di detriti, mentre la parete crollava aprendo una breccia. Solomon diede uno spintone a Boris, e si trovarono a ruzzolare su un lucido pavimento, all’interno di un immenso salone rivestito da smalti e intarsi rococò. Solomon tossì e strizzò gli occhi, abbagliato dalla luce elettrica dopo ore di oscurità. Erano tornati nel Gran Palazzo.
«Maledizione» fece Boris. «Ci sono delle persone qui!»
Solomon non fece in tempo a rispondere. Si sentì afferrare per la caviglia e sollevare in aria a testa all’ingiù, come se non pesasse niente. Si trovò faccia a faccia con l’orco, riflesso nei suoi occhi scintillanti come sassi di fiume.
La creatura spalancò la bocca ed emise un ruggito spaccatimpani, assieme a uno spruzzo di bava e un fetore da far girare la testa. Sì, decisamente Solomon non aveva previsto di finire così la serata…
«Blake!»
Percepì il sibilo dell’ascia di Boris, e vide lo stregone partire alla carica contro la creatura. L’orco gettò via l’Arcistregone dell’Ovest come una bambola, mandandolo a schiantarsi contro una parete con tale violenza da crepare l’intonaco.
Solomon si sollevò con fatica, scuotendo la testa per scacciare l’esplosione di punti luminosi che gli sfarfallavano davanti agli occhi. Nel frattempo, l’ascia di Boris disegnava strisce di energia rossa nell’aria, nel tentativo di tenere a distanza il mostro. Solomon riuscì a mettersi in piedi, sostenendosi alla parete, mentre Wiglaf compiva giri agitati sulla sua testa.
Pensa, dannazione, pensa!
Gettò uno sguardo alle finestre, rivestite da tende di broccato così spesse che a fonderle ci si poteva armare un esercito. Fece scattare la mano e a quel comando, una tenda si staccò in un vortice di stoffa e volteggiò fino a ricadere sopra la testa dell’orco, coprendogli la visuale. La creatura ringhiò di collera e agitò le braccione, nel tentativo di liberarsi.
Solomon intrecciò le dita, girandogli attorno, e la tenda avvolse il bestione, riducendolo a una gigantesca mummia. In poco tempo, perse l’equilibrio e si abbatté pesantemente al suolo, mugugnando e dibattendosi.
Ma il broccato non era abbastanza resistente, e presto cominciò a farlo a brandelli.
Solomon recuperò alla svelta il bastone, passò una mano lungo l’asta, tramutandola in una spada sottile. Nell’istante in cui l’orco riuscì a liberare la testa, lo stregone fu su di lui, la punta acuminata a pochi centimetri dai suoi occhi.
«Pensaci, ragazzone» disse, in tono di avvertimento. «Avrai la pelle dura, ma basta poco per trapassarti il cervello.»
L’orco lo fissò e, nei suoi occhi, a Solomon parve di vedere qualcosa, che si agitava sotto tutta quell’aggressività primitiva. Vide terrore. Vide perdita. E una lacerante sofferenza che gli procurò una strana fitta nel petto.
Abbassò la lama.
Boris iniziò a protestare, mentre permetteva alla creatura di alzarsi, ancora avvolta nel tendaggio come un senatore romano. Senza emettere neppure un suono, la guardarono tornare a rintanarsi nel buco che conduceva alle gallerie.
«Lo lasci andare?» disse l’Arcistregone del Nord, stupito. «Così?»
Solomon agitò lo spadino, che tornò un innocuo bastone di legno.
«È solo una povera creatura infelice. Hai visto quelle catene? Chissà per quanto tempo l’hanno tenuta rinchiusa là sotto.»
Boris lo stava fissando in un modo che lo mise a disagio. «Che c’è?»
«Ogni tanto riesci a stupirmi, Blake. Dopotutto, non sei il bastardo che tutti credono.»
Solomon si passò una mano sul completo, per far svanire la polvere e le tracce di bava di orco. «Non dirlo in giro. Mi rovineresti la reputazione.»
Percepirono un rumore di passi e ordini gridati in russo appena fuori le porte dalla sala.
«Le guardie dello zar» mormorò Boris. «Il baccano deve averle attirate. Che facciamo, adesso? Blake?»
Nessuna risposta.
Boris si guardò intorno: all’improvviso, era rimasto da solo.
Sputò un’imprecazione. «BLAKE!»
 

L’intero palazzo era in allarme, e squadre di cosacchi armati di fucili a ripetizione sciamavano lungo i corridoi. Il motivo di tale scompiglio, comprese Solomon, era la minaccia di un attacco terroristico ai danni dello zar. Mentre i due stregoni erano alle prese con l’orco, era arrivata una telefonata dall’ambasciata ungherese a San Pietroburgo: sembrava che un giovane domestico si fosse introdotto nella camera dell’ambasciatore Szapáry con l’intenzione di rubacchiare, e che avesse fortuitamente sentito dei rumori provenire da un baule. Il conte era stato immediatamente soccorso e il Gran Palazzo avvertito della presenza di un impostore, forse un sicario.
Peccato solo che il conte non fosse assolutamente in grado di descrivere che aspetto avesse il suo assalitore, come se lo avessero cancellato dalla sua memoria. Colpa dello shock, si convinsero tutti.
Solomon mantenne comunque il profilo basso mentre si aggirava per il palazzo, che le guardie dello zar stavano provvedendo a evacuare. Si sporse oltre un angolo per accertarsi che la via fosse libera, ma in quell’istante, sentì una voce familiare…
«Frigyes! Frigyes, dove sei?»
Era la moglie del conte Szapáry, Edvige, che correva come una pazza in cerca del marito. Solomon imprecò fra sé per il contrattempo, e assunse di nuovo l’aspetto dell’ambasciatore. «Amor mio, calmati! Sono qui, che succede?»
Lei gli gettò le braccia al collo. «Oh, grazie al cielo! Dicono che un pazzo omicida sia entrato nel palazzo! Le guardie non hanno voluto dirci di più, sospettano che abbia dei complici!»
«Va tutto bene, cara.» Solomon le diede delle pacche distratte, pensando a come togliersela dai piedi. «Perché non raggiungi gli altri…? Sono certo…»
Si udirono dei comandi e un frastuono di stivali in marcia.
Solomon non ci pensò due volte. Afferrò la contessa e la trascinò dietro l’angolo, tappandole la bocca con un bacio. La sentì diventare subito un pezzo di granito tra le sue braccia, ma attese che i soldati si allontanassero, e poi la lasciò andare. «Le mie scuse, madame.»
La contessa era paonazza e scapigliata. «Lei…lei non è mio marito!»
«Temo di no» replicò lui, riassumendo il proprio aspetto. «Ma sono certo che sia stato un piacere per lei quanto per me.»
Le fece un baciamano galante e, sotto gli occhi spalancati e sbalorditi della donna, saltò e svanì. Edvige invece si portò una mano al petto, respirando forte. E in quel momento, si rese conto di non avere più al collo il suo zaffiro.
 
Coperte e samovar di tè bollente furono distribuiti tra gli ospiti, raggruppati sul prato di fronte al Palazzo come un branco di pecore impaurite. Solomon scivolò agilmente tra la gente chiassosa e in cerca di spiegazioni che affollava il parco, e si allontanò inosservato verso gli alberi.
Al riparo da occhi indiscreti, estrasse da sotto la giacca un grosso libro tempestato di gemme: il povero Boris ci teneva così tanto a fare bella figura coi Decani, perché non accontentarlo? Avrebbe portato ad Arcanta la notizia del suo successo, avrebbe avuto gli applausi e la riconoscenza della Cittadella, assieme a una storia avventurosa da raccontare ai suoi allievi alla Corte delle Lame.
La serata, in fondo, si era rivelata proficua per tutti.
Solomon sorrise e intascò il libro. Poi, lanciò in aria il grosso zaffiro sottratto poco prima alla contessa, riafferrandolo al volo: sì, una serata decisamente proficua.
«È ora di tornare a casa, Wig» disse, percependo un battito d’ali sopra la testa. «Immagina la faccia di Lucy quando…»
Colse un movimento tra i cespugli. Solomon strinse l’impugnatura del bastone e si volse di scatto. «Chi c’è?»
Le siepi si mossero ancora. Poi, dall’ombra, emerse un bestione con la testa calva, la pelle grigio-verde cui la luna donava riflessi argentei.
Solomon aprì la bocca. «Ancora tu? Non ti è bastata la lezione?»
L’orco stringeva ancora in mano la sua clava e Solomon arretrò, pronto all’attacco. Ma la creatura non attaccò. Buttò invece la clava ai suoi piedi e poi si inginocchiò goffamente.
«Ehm» fece Solomon, perplesso. «Come dovrei interpretare questa cosa?»
«Mio nome è Valdar» biascicò la creatura, cogliendolo di sorpresa. Neanche si aspettava che sapesse parlare.
«Oh, molto piacere…»
«Sangue di Grendel scorre in mie vene» disse l’orco, con voce cavernosa. «Scandinavia mia casa. Uomini malvagi portato via Valdar con forza e reso lui cane da guardia. Valdar di nuovo libero ora.»
«E sono molto felice per te» replicò Solomon, educatamente. «Ma adesso devo proprio…»
«Valdar cercato di uccidere Stregone Blake.»
«Sì, be’.» Solomon occhieggiò i Mancanti riuniti nel parco. «Tranquillo, capita a tutti una giornata no.»
«Ma Stregone Blake risparmiato vita a Valdar» proseguì l’orco, con un tono che esprimeva la massima solennità. «Ora Valdar in debito. Servirà Stregone Blake fino alla morte.»
«Cosa!?» fece Solomon, sbalordito. «Suvvia, giovanotto, non c’è bisogno di essere così melodrammatici.»
«Valdar è guerriero d’onore» replicò l’orco, fieramente. «Ripagherà suo debito servendo Stregone Blake. O sua vita perderà valore.»
«Siete tutti fissati con questa storia dell’onore oggi!» sospirò il mago. «Senti, non per offenderti, ma non so proprio cosa farmene di un orco, va bene? Perciò, tornatene in Scandinavia e riprendi con la tua…vita o qualunque cosa tu facessi prima.»
Valdar ridusse gli occhi a fessure. «Valdar servirà Stregone Blake. O sua vita perderà valore.»
«Sì, questo l’hai già detto!»
Quello stupido bestione non sembrava deciso a spostarsi di un centimetro.
Solomon imprecò. Il parco pullulava di Mancanti e soldati armati fino ai denti, prima o poi qualcuno avrebbe fatto caso alla presenza di un orco rannicchiato in mezzo ai rododendri…
Infatti, presto sentì delle voci e vide delle lanterne luccicare nel buio, proprio in loro direzione.
«Maledizione!» disse Solomon, fra i denti. «So già che me ne pentirò.»
Fece un cenno a Wiglaf e il corvo volò in picchiata su di loro. Poi, in un vortice di piume bianche e luce, il demone portò tutti e tre lontano da lì.
 
 

[1]Bartolomeo Rastrelli: architetto russo di origine italiana.
 
[2]Antico popolo scandinavo che occupava l’attuale Russia occidentale.
 
[3]Pugnale tipico della Circassia (Caucaso). Spesso adottato dai cosacchi.
 
 
  
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