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Autore: ImRebecca    10/03/2023    2 recensioni
Wolfgang si sente solo, seppur sia ben consapevole che, per qualche strana ragione, da circa un mese a quella parte, non lo sia più.
Forse quella solitudine così nauseabonda che avverte è causata dallo stare seduto su una scomoda sedia, in una stanza di degenza silenziosa e opprimente, al capezzale di Felix, il suo migliore amico, in attesa che si svegli da quel coma che sembra durare un’eternità; o forse è tutto frutto della sua testa, così tanto piena e ubriaca del pensiero vivo di Kala, voce la quale da infiniti giorni rimane tacita e nascosta nella sua mente.
Parole: 2451. | Tempo di lettura: circa 8 minuti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kala Dandekar, Wolfgang Bogdanow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!  
Ci ho impiegato anni, ben quattro per la precisione, e – forse – persino qualcuno in più, ma, finalmente e soprattutto per la mia gioia, il grande momento, quello che aspettavo da anni, è finalmente giunto: dopo mille dubbi, paranoie e chi più ne ha più ne metta, sono pronta a farmi a conoscere di nuovo con una voce – uno stile – decisamente più maturo e meno acerbo della prima volta che approdai, ormai, otto anni fa su questi lidi.
Questa storia non è quella con cui avrei voluto (ri)esordire, ma, di recente, mi sono resa conto che più il tempo scorre inesorabile – la storia è datata maggio 2019, per darvi un’idea – e più il mio stile, com’è giusto che sia, evolve, e di conseguenza, più mi allontano da quello con cui ho scritto questa storia che, personalmente, ancora oggi, amo da morire.       
L’arco temporale in cui si colloca
Tensione Sensoriale è tra la fine della prima stagione e lo speciale natalizio che va a introdurre la seconda.           
L’idea di questa storia – missing moments mi ha colta in un dormiveglia mattutino nel maggio del 2019, dopo che avevo da poco terminato, per l’ennesima volta, di rewatchare Sense8, e non potevo che approfittarne e buttare giù l’idea che si è praticamente scritta da sola in un momento molto difficile e vulnerabile della mia vita, da come si leggerà nella dedica di questa oneshots che è stata scritta proprio in quel periodo.    
Sperando che la storia possa piacervi nonostante magari qualche difetto, vi auguro una buona e piacevole lettura.

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La dedica di questo racconto si suddivide in tre parti.
A me stessa e a tutta la mia forza di volontà nell’aver avuto
per un po’ la forza di superare, almeno per una settimana, questo snervante
blocco dello scrittore nel periodo più buio della mia vita.
A Francesca, il mio porto sicuro,
che mi ha ascoltata, supportata e sostenuta con estrema pazienza
in un lungo e interminabile anno di agonia.
Ti ringrazio dal profondo del mio cuore.
Ti voglio bene.
E infine, ma non meno importante, a Max (Riemelt),
per avermi fatta così tanto innamorare ancora una volta di Wolfgang,
da farmi riprendere la mia penna in mano e regalarmi un po’ di pace e serenità.
Grazie mille.





Era consapevole che quel pensiero seccante, vorticatogli ora nella mente, fosse più con-traddittorio che mai, eppure il vuoto se ne stava lì, tanto assillante e nauseabondo da fargli girare la testa.
Era solo una stupida impressione, o forse uno strano effetto collaterale suscitato dall’aver trascorso una quantità indefinita di ore in quella stanza d’ospedale, troppo bianca quanto asettica. 
Wolfgang si ritrovò a scuotere la testa, esausto, tentando invano di scacciare quella sensazione il più lontano possibile.  
La solitudine improvvisa, ferma sulla bocca dello stomaco, continuava a rimanere lì, irremovibile, ma soprattutto inspiegata, dopo tutto ciò che era cambiato nella sua vita in quell’ultimo mese.
Non gli era ancora per niente chiaro né la causa e né il motivo di quello che gli stava accadendo intorno, o meglio e per la precisione, in qualche remota parte del suo sistema nervoso, ma qualcosa dentro di lui gli suggeriva che forse non sarebbe mai più stato solo. Non ora che esistevano sette voci, sparse per il mondo, proprio lì, nella sua testa; anche se quella che voleva sentire di più fra tutte, da circa sette lunghi e interminabili giorni, rimaneva tacita e nascosta nella sua mente, ma non tra i suoi pensieri. Kala gli mancava, però con tutto ciò che era successo, forse era meglio così. Più si fosse tenuta a distanza da lui, più sarebbe stata al sicuro; e ne aveva avuto di nuovo la piena conferma, circa una settimana prima.
Wolfgang sospirò tra un lento dondolio e l’altro sulla sedia, esasperato nell’avvertire ancora di più quel silenzio farsi opprimente, quasi angosciante, fuori e dentro di lui, tra il suo stesso inconscio e quella che era ora la sua dura e sofferta realtà, spostando per l’ennesima volta lo sguardo sul suo migliore amico moribondo, steso sul letto, completamente ignaro della piega surreale che aveva assunto la sua vita da circa un mese a quella parte.
Felix gli mancava, gli mancava da morire, e la sua normalità, costituita da brivido e adrenalina, non era la stessa senza di lui e la sua incredibile vitalità, che fin dall’infanzia aveva colorato il lurido grigiore della sua esistenza. Felix, dopo la morte di sua madre, era tutto ciò che lui aveva saputo riconoscere come famiglia.
Felix Bernne era la sua famiglia, per qualcosa che era molto più forte del sangue: per scelta.
Le sue stesse parole, proferite a Kala e sentite più che mai in quell’istante, gli riecheggiarono nella mente, quasi stesse rivivendo un’altra volta il momento in cui lei gli aveva fatto compagnia al suo capezzale. 
Le aveva raccontato di Felix, di come da bambini si erano conosciuti al doposcuola punitivo e di come, una volta diventati amici, saltavano la scuola per starsene stravaccati sulla poltrona a guardare miriadi di film; e poi di come lui, brandendo solo una mazza, l’aveva difeso sia dai bulli del quartiere che da quella bestia che era stato suo padre.
Per quanto quegli anni fossero stati dei bocconi amari da buttar giù, da una parte Wolfgang ne conservava ancora un ricordo indenne e spensierato da tutta quella merda che era stato costretto a ingoiare, e ciò lo doveva alla presenza di Felix nella sua vita.
«Cazzo, svegliati, Felix!» borbottò, ora, Wolfgang in un roco sussurro, stufo più che mai di quella maledetta stanza che odorava di medicinale, dell’attesa infinita e di quella schifo di situazione che aveva ridotto il suo migliore amico su quel dannato letto. Non solo gli mancava, ma aveva bisogno di lui, come ne aveva adesso di una sana boccata d’aria fresca che, d’un tratto, dal nulla e all’improvviso, gli solleticò appena le narici. Era frizzante, salata e poi così in-tensa che la lasciò penetrare nei polmoni, inspirandola.
Wolfgang chiuse gli occhi, percependo la brezza pungente che riconobbe come salsedine, accarezzargli il viso.
«Ehi!» lo riscosse, inattesa, la sua voce così familiare, perplessa e calma al tempo stesso, che seppe distinguere all’istante, tra lo scrosciare delle onde e il vociare concitato della gente.
Wolfgang riaprì gli occhi, trovando dinanzi a sé il cielo e il mare che si incrociavano sulla linea dell’orizzonte, per poi sentire i suoi piedi e le sue caviglie essere scalfite con forte impeto da un’onda che s’infranse sulle sue scarpe e su parte dei suoi jeans. Chinò lo sguardo verso il basso, notando il blu dei pantaloni essersi fatto più scuro e percependo il loro tessuto appiccicarsi alla pelle, proprio come lo erano i calzini dentro alle scarpe, ormai zuppe.
Si era bagnato, ma al contempo non lo era affatto, però era come se lo fosse.
Se gli fosse successo un mese prima, come quando aveva sentito il fango sotto la pianta del piede in quelle che potevano essere possibili scarpe nuove che era intento a provare, avrebbe reagito con un’imprecazione appena sussurrata e alquanto confusa tra sé e sé, ma ormai stava cominciando a farvi l’abitudine: sensazioni del genere, ora, facevano parte della sua più che normale quotidianità.
Wolfgang sollevò lo sguardo verso la sua sinistra, incrociando a meno mezzo metro di di-stanza lo sguardo interrogativo di Kala, intenta a guardarlo con il capo appena inclinato da un lato.
«Ehi!» le rispose di rimando lui, osservandone l’aspetto così tanto curato e ordinato anche in costume da bagno, da emanare il suo speciale e puro candore.
I suoi lunghi capelli, mossi e neri come la pece, erano legati in una morbida coda allentata che lasciava intravedere i suoi soliti orecchini a cerchio dorati, tipicamente indiani. Indossava un costume intero nero, unito all’altezza dell’ombelico da un anello, il quale le denudava la schiena e maggior parte dell’addome. 
Dinanzi a quella visione, Wolfgang si sentì mancare il fiato per un lungo istante, intento a contemplare la sua pelle olivastra e le sue curve perfette, quasi mingherline e poco pronunciate. 
Avvertì farsi spazio dentro di lui la voglia di annullare quei pochi centimetri che li divideva per sfiorarla e toccarla, ma non gli pareva il caso di sfidare la sorte. E forse, per quanto rispettasse Kala, non l’avrebbe più fronteggiata fino a quando lei non gli avrebbe chiesto di farlo; ma era inutile negare l’evidenza per quanto, perfino con quella tensione palpabile che c’era tra loro, intenta a disperdersi nell’aria salmastra di Positano, anche Kala desiderasse la stessa cosa. Wolfgang lo sapeva, ma soprattutto lo sentiva come se i suoi sentimenti fossero appartenuti a lui soltanto. Alla fine, essere un Sensate era questo, no? Lui non era solo Wolfgang Bogdanow, ma era in parte anche Kala Dandekar, la stessa Kala Dandekar che non amava Rajan, ma che al tempo stesso e solo pochi giorni prima era divenuta sua moglie, la sua sposa, e che ora si trovava in luna di miele con lui. 
Per quanto ci tenesse a Kala e desiderasse che quelle nozze non fossero mai state celebra-te, Wolfgang, seppur per niente felice, era tranquillo di sapere che lei fosse al sicuro e che avesse accanto un uomo che la meritasse e l’amasse veramente. Per lui e Kala non c’era alcuna possibilità di futuro, a causa delle loro vite completamente diverse e dal fuso orario poco allineato che c’era tra Berlino e Mumbai. D’altronde e come se non bastasse, le loro idee, i loro principi e le loro diverse culture erano differenti se paragonate a quella che era la loro profon-da e inspiegata intesa, più che altro iniziata per chissà quale motivo ed esistente solo nelle loro teste.
«Che ci fai qui?» domandò Kala, tentando con tutta sé stessa di superare quell’imbarazzo creatosi tra loro.
In effetti, come poteva anche solo darle torto? In quale razza di universo, l’ipotetico amante – che in questo caso poteva essere solo lui – interrompeva, così e dal nulla, la quiete dei primi giorni di quello che si prospettava un lungo matrimonio tra marito e moglie? Forse solo in quello Sensate era possibile, e lui, ora, era lì.
«Non lo so» le rispose, chinando per un istante lo sguardo sull’ennesima onda che si scontrò su di lui. «Avevo bisogno di una boccata d’aria.»
«E tra tutti i posti esistenti in cui potresti essere, proprio qui?» proseguì Kala, perplessa e forse anche un po’ divertita dall’ennesima ironia del caso: era sempre stato così tra loro, fin da quando le loro menti erano entrate in contatto la prima volta. Sapeva benissimo che non era colpa sua e che non aveva scelto lui di essere lì. 
Wolfgang fece spallucce, rivolgendole un sorriso beffardo e malizioso dinanzi alla quale Kala arrossì, chinando lo sguardo.
«Sei con Felix?» chiese, cambiando discorso e facendosi seria.  
Wolfgang annuì con un lieve cenno del capo, spostando lo sguardo alla sua destra, tornando alla propria realtà, tra le mura soffocanti di quella stanza di degenza e sul corpo inerme del suo migliore amico, collegato a una flebo dall’altra parte del letto rispetto a dove stava lui, e, adesso, anche Kala.
«Come sta?» domandò gentile e cauta, riponendo ogni sua attenzione verso Felix.
«I medici dicono che comincia a stare meglio» rispose lui, ora stravaccato sulla sedia con le mani in tasca e le caviglie incrociate, le quali scomparivano sotto il letto. «Si riprenderà.»
E quelle parole proferite dai dottori, adesso, erano l’unica piccola certezza che aveva e che lo sapeva tenere aggrappato alla speranza di vedere gli occhi grigi di Felix riaprirsi presto e for-se su di lui, se fosse stato fortunato.
In quel momento, Kala sembrò percepire e comprendere quel vuoto che sentiva alla bocca dello stomaco, per cui si premurò di verificare lei stessa come stesse il suo migliore amico, controllandogli il battito cardiaco attraverso il polso. Dinanzi a quel gesto spontaneo, Wolfgang si ritrovò a sorridere di gratitudine, udendo poi nella sua testa il pulsare regolare del cuore di Felix, sentito tramite le capacità mediche di lei.
«Lo senti?» Kala riallacciò lo sguardo al suo, un mezzo sorriso a farle capolino sulle labbra. «Sta bene. Dagli tempo.»
«Grazie» rispose Wolfgang, più che riconoscente, a voce bassa.
«Tu come stai?» continuò lei, volgendo, ora, ogni sua attenzione su di lui.
Wolfgang si soffermò a guardarla per un istante, beandosi per quanto poteva del suo più che sincero interesse nei suoi confronti, dopo che gli aveva posto quella semplice domanda a cui era tanto difficile rispondere. Stette per replicare che, anche solo rispetto a qualche minuto prima, adesso che c’era lei stava meglio, ma il suo sguardo fu attirato dalla fede dorata che portava al dito, la quale fu capace di riportarlo nell’immediato a quell’amara realtà. Com’era possibile che per solo qualche innocua e innocente chiacchiera, tutto ciò che stava loro intorno, con le proprie e rispettive circostanze, si annullasse come se niente fosse mai esistito?
«Bene», sospirò Wolfgang, sconfitto dalla presenza di quell’anello nuziale.
«Sicuro?»
«Sì, sto bene», ripeté lui, rassicurante. «E tu? Stai bene?»
Guardò Kala distogliere lo sguardo e rivolgerlo alla placida quiete delle onde che s’infrangevano sulla stessa acqua che le originava, distinguendo poi Rajan tra la quantità di bagnanti intenti a farsi una bella nuotata.
«Sì, sto bene, grazie» rispose lei in un sorriso, ritornando a a posare lo sguardo su di lui. «Poi, Positano è bellissima.»
Wolfgang annuì, assaporando la brezza salmastra sul viso e guardando Rajan tra le onde, dinanzi a sé.
Sapeva benissimo, lo percepiva addosso, che nemmeno Kala aveva detto la verità, e per quanto lui avesse avuto qualcosa da ridire, lasciò correre: quello non era il momento giusto per perdersi in inutili speculazioni, per il semplice motivo che sarebbero state solo vane parole spazzate via dal vento.
«Rajan come sta?» le domandò poi lui, più per semplice cortesia che per vero interesse. Ci teneva e voleva essere gentile, proprio come aveva appena fatto lei chiedendogli della salute di Felix. 
«Che aspetti, Kala?! L’acqua è bellissima, vieni!» urlò d’improvviso Rajan al largo, entusia-sta, sbracciandosi tra le onde e catturando la sua – loro – attenzione.
«Aspettami, sto arrivando!» urlò Kala in risposta, rivolgendo lo sguardo e poi un sorriso in direzione del marito.
Wolfgang volse di nuovo lo sguardo su di lei, comprendendo di avere i secondi contati in sua compagnia.
«Direi che tu abbia avuto la tua risposta» disse Kala, divertita, con un mezzo sorriso timido.
«Già.» Lui annuì e ricambiò la sua espressione con lo stesso impaccio.
Kala assentì, tentennante, umettandosi le labbra.
«Cosa aspetti? Dovresti raggiungerlo» la incoraggiò lui, con un sorriso e un cenno del capo.
«Allora, ci vediamo» lo salutò lei, rivolgendogli uno sguardo esitante, quasi volesse trattenerlo.
«Sì, ci vediamo» ripeté Wolfgang di riflesso, con amarezza nella voce, chiedendosi quando gli avrebbe fatto di nuovo visita nella sua testa, ormai sempre piena e ubriaca del suo pensiero.
La guardò poi farsi spazio a falcate tra le onde che avrebbero cominciato a scontrarsi su di lei, fino a che l’acqua salata non l’avrebbe presa con sé, spingendola sempre più a largo per condurla tra le braccia di Rajan. Però, a un tratto, dopo che l’ebbe salutata e poi baciata con lo sguardo, Kala si voltò, cercando i suoi occhi.
«Wolfgang…?» iniziò lei, titubante, cercando di trovare voce, forse, a quel groviglio confuso di sentimenti contrastanti che traspariva nei suoi grandi occhi scuri, ora altrove, che voleva tanto far uscire.
«Sì?».
Kala scosse la testa, pensierosa, forse prendendo tempo, per poi riallacciare lo sguardo al suo. «Niente.»
Wolfgang annuì, inappagato e scontento da quella tensione e da tutto ciò che aveva combinato.
Forse l’aveva persa… o forse non del tutto, se Kala gli rivolgeva ancora la parola.
«Ci vediamo» la congedò lui, spingendola ancora di più tra le braccia del suo novello sposo.
«Sì, d’accordo» assentì lei in un mormorio, per poi voltarsi di nuovo verso il mare, l’orizzonte e Rajan.
Lui la osservò allontanarsi, ancora una volta con il cuore spezzato, continuando a rimanere invisibile agli occhi del mondo, tranne che ai suoi.
D’un tratto, Wolfgang si ritrovò a boccheggiare ansante come se fosse rimasto in apnea per un tempo indefinito. Si guardò intorno, scombussolato nel cuore e spaesato con la testa, ritrovandosi tra le spoglie pareti bianche di quella stanza d’ospedale, al capezzale di Felix, da cui non si era mai mosso, almeno non fisicamente.
Seppur le connessioni sensoriali fossero sempre e ormai all’ordine del giorno, questa volta, la sua profonda intensità, fu ancora più capace di disorientarlo tra due diverse realtà così tanto simili e diverse tra loro. 
Ora, quel vuoto, così improvviso e insensato, aveva fatto spazio alla più che abbondante sazietà.
La breve atmosfera tesa del momento appena vissuto l’aveva saputo riempire, facendo placare quel vuoto che lo affliggeva alla bocca dello stomaco, seppur fosse stato l’ennesimo boc-cone aspro da mandar giù; ma almeno adesso sapeva che, nonostante tutto ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti, per qualsiasi sorte gli fosse capitata, era consapevole che Kala – e poi il resto della cerchia – sarebbe rimasta con lui fino all’esalazione del suo ultimo respiro.
 
 
 
 
   
 
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