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Autore: Nina Ninetta    12/03/2023    3 recensioni
Un mondo flagellato da un gelo senza precedenti che gli abitanti hanno ribattezzato IV Era Glaciale. Eppure, qualcuno sostiene che non sia un fenomeno naturale, ma che ci sia qualcosa di oscuro dietro...
Cinque giovani, ognuno con il proprio passato ingombrante, dovranno unire le forze e affrontare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Finora...
"Seconda classificata al contest “D&D Mania” indetto da Ghostro sul forum di Efp"
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO
ECONDO
 
 
Gar di Niihel sollevò le palpebre lentamente, la luce che penetrava attraverso l’ampia vetrata gli causò una fitta lancinante, perciò si schernì gli occhi. Suo padre Dun’Gar lo aveva avvertito: se continuerai ad abusare del Potere della Luce prima o poi ne pagherai le conseguenze.
Aveva anche un dolore pulsante alla base della nuca, poi ricordò: la figlia del locandiere; la fuga oltre le mura di cinta; le Din Nadair – come aveva detto che si chiamava quella a cavallo? – la luce abbagliante; il buio…
Scattò a sedere al centro del materasso, ma la testa gli vorticò forte e si premette una mano sulla fronte.
«Bevi questo, ti farà bene.»
Gar sbirciò da un occhio, accettando la tazza di brodaglia verdastra che una sconosciuta gli stava porgendo. Annusò il liquido scuro e si meravigliò di scoprire che non aveva odore.
«Sei la madir che mi cercava?»
«Màthayr» lo corresse. «Sì, sono io…» La Madre Superiora delle Din Nadair si accomodò sulla poltrona ai piedi del letto, nonostante fosse avanti con l’età il suo fisico snello le permetteva ancora una certa agilità nei movimenti. Indossava un lungo abito verde smeraldo, decorato finemente con ghirigori dorati. Sul capo era adagiata una tiara d’oro e i capelli acconciati in una crocchia elegante. Sorrise a Gar, sistemandosi con le spalle contro lo schienale imbottito di velluto rosso e intrecciando le dita in grembo. Parlava piano, scandendo le parole.
«Emeryl mi ha raccontato che non è stato facile convincerti. Sei un tipo sospettoso
«No, semplicemente non mi andava. Dove mi trovo?»
«Sei nella Torre d’Opale, casa delle Din Nadair e io sono Berenise.»
«Dov’è Màs?»
Lei sollevò un sopracciglio, non aveva capito.
«Màs, il mio lupo.»
«Non ho visto nessun lupo, ma potrai chiederlo a Emeryl quando la incontrerai. O a Kewst.» Sorrise. «Non hai ancora bevuto. Bevi.»
Gar non l’ascoltò.
«Immagino che Kewst sia quello che mi ha colpito alla nuca.»
«È stato necessario. Dovresti bere.»
«Che cos’è?» Il giovane guardò nella tazza.
«Un decotto a base di erbe medicinali che ti aiuterà a stare meglio.»
«Cosa vuoi da me?»
Berenise si alzò con grazia e Gar adocchiò le sue armi adagiate su un antico comò. La donna gli sfiorò il dorso della mano con la quale teneva la tazza, accompagnandola alle labbra.
«Prima bevi, poi parleremo.»
«Facciamo il contrario, eh mader? Prima parliamo e poi, magari, se mi viene sete dal troppo parlare, berrò.»
«Màthayr» lo corresse di nuovo lei, tornando con la schiena dritta e sospirando. «Emeryl mi aveva avvertito sul tuo conto.»
«Sì, faccio questo effetto…»
La Madre Superiora gli tolse la tazza dalle mani e mosse le dita libere davanti al volto del ragazzo, sussurrando parole inafferrabili. Gar si addormentò dolcemente.
 
 
 
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Emeryl bussò con le nocche sulla porta della Sala delle Apparenze ed entrò, senza attendere che Berenise le desse il permesso. Trovò la Màthayr sul terrazzo, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso sulle stalle ai piedi della balconata. Emeryl la raggiunse, rabbrividendo e stringendosi nel suo stesso abbraccio.
«Fa freddo qui fuori, Màthayr, perché non rientra?»
«Come si è comportato alla sua prima missione?» Chiese invece la più anziana, continuando a tenere gli occhi verso il basso.
«Chi?» Emeryl seguì lo sguardo dell’altra e solo allora notò Kewst alle prese con la strigliatura di un cavallo. Era un uomo grande e grosso, di poche parole. Non aveva detto un’intera frase per tutto il viaggio, rispondendo a monosillabi e cenni del capo. Portava sulla schiena un martello da guerra che a occhio e croce doveva pesare quanto un essere umano, eppure lui pareva non risentirne affatto. Ciò nonostante, adesso, si stava prendendo cura di un cavallo con un’accortezza rara ed era stato sempre lui a dirle di addormentare quel lupo anziché di ucciderlo.
«Kewst non ama molto i maghi e la magia in generale. Ma sopporta quelle come noi. Forse perché sua madre era una Din Nadair» spiegò Berenise, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo.
«Una di noi?»
Finalmente la Màthayr sollevò la testa per scrutare gli alberi della Foresta delle Lame che circondava la Torre. Ricordò con una punta di nostalgia Anthalia Fiammardente: forse una delle discepole più capaci e intelligenti che avesse mai avuto. Soprattutto, ricordava ancora perfettamente il disperato grido di aiuto per quel figlio che non comprendeva: è intelligente, forte, ama studiare le arti arcane, Màthayr, eppure non riesce a visualizzare la magia!
Prima che la bella Anthalia morisse, Berenise le aveva promesso che si sarebbe presa cura di suo figlio, non lo avrebbe lasciato solo in un mondo dove suo padre era ancora in vita. Ma così non era stato: l’Est era lontano e altri avvenimenti – come la ribellione di Iberia, ad esempio – avevano discostato la sua attenzione da quel ragazzino. Si era rilassata, anche perché sapeva che Decilius era con lui, poi l’Arcimago era morto e del figlio di Anthalia aveva perso ogni traccia.
L’aveva creduto morto? No, quelli come lui non muoiono così facilmente.
Lo aveva cercato, aveva pagato uomini dalla dubbia moralità e alla fine l’aveva trovato. Aveva chiesto al capo dei Lamaercan – uno dei tanti clan mercenari in giro per il continente – di prenderlo con sé e di non allontanarsi troppo dalla Torre d’Opale.
«Dove vuole che ci piazziamo, mia Signora.»
«Ai confini della Foresta delle Lame andrà benissimo.»  
Quando l’Arcimago di Valldysi, Tullius, l’aveva convocata al Gran Concilio e lei si era presa l’onere di cercare il Sangue di Ve’Rah, il pensiero era corso immediatamente a Kewst, perciò aveva raggiunto l’accampamento dei Lamaercan e chiesto di parlargli.
Si era ritrovata dinnanzi un uomo di neanche trent’anni, ma con lo sguardo duro di chi ne ha passate tante. Era chiaro che il suo fisico imponente richiamasse il Sangue dei Giganti che gli scorreva nelle vene, eppure i suoi lineamenti erano dolci, fatta eccezione per una cicatrice che gli correva dall’occhio destro alla guancia sinistra. Sembrava imbarazzato.
«Sei Keveset Fiammardente-Lamarcana?»
A quel nome il ragazzo aveva alzato lo sguardo e occhi dello stesso colore dei ghiacci l’avevano guardata, spauriti.
«Kewst. Chi sei?»
Berenise gliel’aveva confessato chi era e come aveva conosciuto sua madre, ma gli aveva anche detto che aveva bisogno di lui, il mondo aveva bisogno non solo della sua forza, ma anche delle sue conoscenze.
«Màthayr?!» La dolce voce di Emeryl irruppe nei suoi ricordi. In lontananza le parve di scorgere uno scintillio tra le fronde degli alberi.
«Chiama Kewst, vi aspetto entrambi nella Sala Grande. È tempo di muoversi…» Così dicendo la più anziana lasciò la Sala delle Apparenze per prima.

 
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Gar fu di nuovo svegliato dalla Màthayr, questa volta riaprendo gli occhi senza provare dolore alcuno. Si sentiva riposato e in forma come se avesse dormito per giorni interi, mentre invece erano appena trascorse un paio d’ore.
«Prendi le tue cose e seguimi, figlio di Dun’Gar. Il tempo dei giochi è finito.»
Il giovane eseguì l’ordine, senza perderla un attimo di vista, muovendosi alle sue spalle lungo corridoi ampi, freddi e illuminati dalla flebile luce emessa dalle pietre incastonate nei bastoni magici delle Din Nadair. Quella di Berenise, però, sembrava brillare di più rispetto alle altre. Lungo il percorso incrociarono diverse giovani e tutte chinarono il capo dinnanzi alla Madre Superiora, indirizzando uno sguardo incuriosito al ragazzo che la seguiva. Quest’ultimo non mancò di rispondere con un occhiolino e un sorrisetto sghembo.
«Sa che potrei anche abituarmi a questo posto, matrin?! Non è male: belle donne, giovani fanciulle, aria buona…»
«Màthayr!» Sospirò Berenise. «Siamo arrivati!» Concluse, spalancando un ampio portone con entrambe le mani e una sala, con un unico trono sul fondo, si aprì a loro.
Ai piedi di quest’ultimo c’erano due persone: Emeryl e Kewst. Gar riconobbe lei e la indicò con un dito:
«Tu sei… Eryl!»
«E-me-ryl!» Scandì la Din Nadair dai lunghi boccoli dorati che aveva lasciato sciolti e fluenti sulla schiena.
«E tu…?» Gar si voltò verso il ragazzo dai folti riccioli scuri, imponente quanto una quercia.
«Kewst. Scusa per il colpo.»
«Sei stato tu? Perdonato, però la prossima volta avvisami quando stai per colpirmi» il giovane del Deserto gli strizzò l’occhio, ma evidentemente l’altro non afferrò la battuta poiché si limitò a rispondere con un atono “va bene”.
«Dov’è Màs?»
«Il lupo intendi? L’ho addormentato, tranquillo, è vivo.» Rispose Emeryl.
«Perfetto. Non che mi interessi più di tanto, ma mi segue da quando l’ho liberato e mi dispiacerebbe saperlo morto. Potete chiamarmi Garni, comunque.» Altro occhiolino.
«”Non che mi interessi più di tanto”» ripeté Emeryl abbozzando un sorriso di scherno. «Però, complimenti per la lealtà.»
Garni fece spallucce.
«Lo so, ho tantissime qualità! Imparerai a conoscerle tutte!»
Emeryl distolse lo sguardo con una smorfia, poi per fortuna la Madre Superiora li richiamò a sé, battendo la punta del bastone sul pavimento. Si voltarono a guardarla: si era accomodata sul trono, tenendo con la mano destra il bastone magico ritto al suo fianco. Si udì uno scoppio sordo provenire da fuori. I tre ragazzi si girarono verso l’ampia vetrata che dava sulla zona occidentale della Foresta delle Lame. Di nuovo Berenise batté il bastone affinché la loro attenzione fosse solo per lei.
«Màthayr…» bisbigliò l’incantatrice.
«Emeryl, mia cara ragazza. Dal primo giorno che ho accolto te e tua madre Sheeira qui, nella Torre, ho saputo che il tuo destino sarebbe stato arduo e difficile. Doloroso, anche. Ma importante.»
Quando Garni sentì pronunciare il nome della regina Sheeira si fece serio. Emeryl era sua figlia? Ciò significava che era anche la figlia di Re Vermyl, il regnante che sedeva sul trono di Magena da quasi mezzo secolo. Era quindi la principessa esiliata, l’erede al trono bandita dal suo stesso reame. La scrutò di sottecchi: bella era bella. Una figura eterea, priva di peso, simile a una nuvola nel cielo.
«Màthayr, che cosa significa?» La voce rotta dalla paura però la rendevano maledettamente umana e vulnerabile. Un nuovo scoppio, questa volta più vicino, la fecero sobbalzare.
«Tuttavia, non sei la protagonista del viaggio che intraprenderete. Questo gramo fardello spetta a te, figlio di Dun’Gar del Deserto.»
I presenti spostarono l’attenzione sul giovane.
«Io?!» Garni si indicò con il pollice, proprio all’altezza del tatuaggio del lupo. «Sapevo di essere importante, ma non credevo fino a questo punto» scherzò. Nessuno sorrise.
«Avrei voluto avere più tempo per spiegarvi, ma purtroppo il nemico è qui.» Berenise scattò sull’attenti al terzo boato a cui seguì una luce abbagliante, mentre alte fiamme divampavano tra gli alberi, a pochi chilometri dalla Torre d’Opale.
«Quale nemico, Màthayr?»
«Maghi» rispose Kewst, più parlando fra sé.
«Andate ora. Cercate l’Antica Pergamena del Drago e consegnatela al Sommo Sacerdote di Ve’Rah, al tempio della dea della Fiamma Sacra.» La Madre Superiora scese con agilità i pochi scalini e si rivolse a Kewst per primo:
«Anthalia Fiammardente era una donna forte e giusta, e tu hai ereditato il suo senso del dovere. I tuoi occhi sono buoni, nonostante le cicatrici che porti sulla pelle e qui…» gli adagiò una mano sul cuore, lo sentì battere veloce, non amava essere toccato da estranei, men che meno da qualcuno che adoperasse la magia. «Affido la missione al tuo pensiero analitico, alla tua saggia pazienza.»
Fiammardente, sì! Garni aveva già sentito pronunciare quel nome, da suo padre forse… o forse no! Accidenti a lui e a quando non aveva prestato attenzione ai racconti dei suoi compagni.
«Màthayr, che cosa sta succedendo?» La voce di Emeryl risuonò troppo stridula, preoccupata. Era tempo di salutare anche lei.
«Mia bella principessa, il tuo destino sarebbe dovuto essere quello di sedere un giorno sul trono di Magena. Evidentemente, i Divini hanno in serbo per te un compito ben più grande da onorare. Tu sei intelligente, caparbia e gentile. Smetti di temere la morte e sarà lei a temere te.» Berenise si prese qualche secondo. «Trova l’Antica Pergamena del Drago, non conosco altre persone capaci quanto te.»
«Che cos’è? Perché la dobbiamo trovare?»
La Madre Superiora guardò infine Garni, nonostante ciò che si dicesse in giro su di lui, Dun’Gar aveva cresciuto un bravo ragazzo.
«A te toccherà infine il compito più arduo, figlio di Ve’Rah.» Silenzio, il giovane del Deserto abbozzò un riso. «Il Sommo Sacerdote ti attende, sarà lui a spiegarti tutto.»
«Ehi, frena! Io non voglio essere invischiato in queste faccende. Mi basta vivere alla giornata.»
«A volte non siamo noi a scegliere il nostro Destino, figlio di Ve’Rah.»
«Temo proprio di sì, invece. E smettila di chiamarmi figlio di Ve’Rah. Io sono Gar di Niihel, figlio di Dun’Gar.»
«Tu sei il figlio della dea della Fiamma Sacra. Tuo padre ti trovò in un villaggio distrutto dal fuoco» la donna evitò di aggiungere che lui stesso era avvolto dalle fiamme e che forse era stato sempre lui ad appiccare l’incendio, seppur involontariamente.
Inconsciamente era la parola giusta.
Un nuovo boato, poi le vetrate alla loro sinistra esplosero e un paio di zampe fecero capolino sul davanzale. In un attimo, due uomini-leone balzarono nella Sala Grande: Leonid al servizio del Regno di Iberia.
Kewst afferrò il martello da guerra con entrambe le mani e colpì una delle due bestie antropomorfe, facendola volare dalla finestra, quindi atterrò l’altra, tenendola inchiodata al pavimento mentre le premeva l’impugnatura dell’arma alla gola:
«Chi vi manda, bestia?»
Quest’ultima tentò di graffiarlo.
«Non c’è più tempo, andate!» Berenise spinse Emeryl e Garni.
«Màthayr, io…»
«Cominciate dalla capitale di Magena, la biblioteca reale vanta i più antichi tomi mai ritrovati.»
Altri due Leonid spuntarono dalle fessure aperte.
«Andiamo, guerriero» Garni afferrò Kewst per un braccio e lo tirò via. «Emeryl muoviti, dannazione!»
La ragazza bionda era stata trattenuta dalla Madre Superiora che l’aveva fermata per la manica, sussurrandole parole che non avrebbe dimenticato facilmente:
«Tua madre è viva. Cercala. Salvala: qualsiasi cosa voglia dire.»
L’incantatrice fece per aprire bocca, ma la donna la spinse via appena prima che un Leonid potesse piombarle addosso. Berenise fulminò l’uomo-leone con una scossa elettrica scaturita dalla pietra del suo bastone. Emeryl si rimise in piedi e corse verso gli altri due, i quali la stavano aspettando fra i battenti aperti del portone.
«Andiamo alle stalle» disse Kewst, mentre scendevano a passo svelto le scale di pietra. Ormai la Torre d’Opale si era trasformata in un campo di battaglia. 
«No, devo passare prima per la mia stanza. Ho delle cose da prendere per il viaggio.» Ribatté Emeryl.
«Guarda che non è un viaggio di piacere!» Le fece notare Garni.
«Appunto!» Rispose lei, virando a destra al primo incrocio. Gli altri due la seguirono a ruota.
 
Giunti ai dormitori, dove tutto era ancora tranquillo, si chiusero all’interno della stanza, piccola ma ben tenuta. Kewst rimase con le spalle contro il muro, immobile, gli occhi bassi e a disagio per essere entrato in un luogo dove tutto era impregnato di magia. Garni, al contrario, si mosse libero e curioso, intanto che Emeryl riempiva un borsellino con diverse monete e indossava il suo mantello verde, simbolo di appartenenza alle Din Nadair.
«“Il Potere Arcano delle Donne”» Gar lesse il titolo del libro sulla scrivania e fischiò. «È una storia spinta o si attiene al significato letterale?»
Emeryl glielo tolse di mano e lo riadagiò sulla superficie del tavolo, parlandogli a una spanna dal viso. Era leggermente più alta di lui.
«Non-toccare-niente!» Poi armeggiò qualche secondo ancora con alcuni oggetti.
«Donne! Tu sembri uno che le capisce al volo!» Il giovane del Deserto si rivolse a Kewst, il quale non lo degnò neanche di uno sguardo. «Che compagnia allegra!»
«Andiamo!» Emeryl li oltrepassò entrambi, sbirciò il corridoio e quando fu certa che non ci fossero nemici, li invitò a seguirla con un cenno della mano: conosceva una scorciatoia per le stalle.
Ognuno salì su un cavallo diverso, in lontananza si potevano sentire ancora gli schiocchi della battaglia. La ragazza lanciò un’ultima occhiata alla Torre d’Opale che si ergeva nel cuore del bosco. Non era mai stata violata da quando vi aveva messo piede, e vederla sofferente, sapere che le sue consorelle stavano lottando per difenderla, mentre lei era pronta a scappare con un paio di sconosciuti, come una vigliacca qualunque, le faceva male al cuore. Eppure non poteva voltarsi indietro. La Màthayr le aveva affidato una missione e sussurrato parole importanti: tua madre è ancora viva. Devi aiutarla, salvarla, qualsiasi cosa significhi.
Già, cosa significava?!
Partì al galoppo, ignorando le incantatrici alle prese con i maghi e i Leonid, intanto che le lacrime le offuscavano la vista.
Dopo aver messo diversi chilometri tra loro e la Foresta delle Lame, finalmente poterono fermarsi a ragionare sul dà farsi.
«La Màthayr ha detto di cercare un’Antica Pergamena…» cominciò la Din Nadair
«L’Antica Pergameno del Drago» precisò Kewst, lei lo guardò male: non le piaceva essere corretta.
«E di portarla al Sommo Sacerdote di Ve’Rah, il cui tempio si trova a Est.» A questo punto guardò Garni, il quale stava sbadigliando senza preoccuparsi di coprirsi la bocca.
«Sì?»
«Mi stai ascoltando? Tu vieni dal Deserto, no? È lì che si trova il tempio della dea.»
«Credo di sì…»
«Non ci sei mai stato?»
«Perché avrei dovuto? Certo, mi hanno raccontato che le Vestali valgono la fatica del viaggio...»
Emeryl scosse il capo, sentiva un fastidio simile a un prurito che non si riesce a grattare montarle dentro, ma si costrinse a contare fino a dieci prima di continuare.
«Berenise ci ha anche detto di iniziare da Magena» voltò lo sguardo verso ovest, dove si potevano scorgere i pinnacoli della capitale, alti palazzi di vetro di smeraldo che si stagliavano contro il cielo. Il Regno di Magena era detto anche Continente Verde non solo per la rigogliosa natura che lo ricopriva, ma anche per quelle splendide costruzioni di un verde abbagliante, riconoscibili a chilometri di distanza. Si raccontava che nelle giornate terse, potessero ammirarne i riverberi anche dal Regno di Iberia, l’isola nel mezzo del mare.
«Puoi mettere piede nella città senza che le guardie ti assalgano?» Le chiese Kewst e l’incantatrice sorrise beffarda.
«Noi Din Nadair sappiamo come passare inosservate, quando vogliamo.»
«Bene, è stato un piacere conoscervi. Buona fortuna per tutto!» Garni fece per trottare via.
«Dove pensi di andare?» Lo fermò Emeryl.
«Non lo so di preciso…»
Sia Emeryl che Kewst lo fissarono sbalorditi.
«La Màthayr ha detto che tu sei fondamentale per la riuscita di questo piano, che sei il figlio della dea della Fiamma Sacra.»
«E allora? Io che ci guadagno?»
«Non sei almeno curioso di scoprire che cosa significa?» Emeryl era quasi sconvolta dalla totale assenza di dovere di quel ragazzo.
«Non tanto a dire il vero…»
«L’Antica Pergamena potrebbe trovarsi in un vecchio tempio ricolmo di oro» Kewst parlò piano e senza cadenza alcuna, come se stesse raccontando una leggenda passata. «Inoltre, essere considerato figlio di una dea ha un enorme impatto sociale.»
Garni lo fissò per un po' assottigliando gli occhi, quegli occhi così diversi dagli altri, unici. Poi annuì lentamente, si acconciò il turbante sulla testa e si coprì il volto.
«Mi hai convinto, “Senzamagia”» si era ricordato chi fosse Kewst mentre cavalcavano lungo la strada serrata del bosco. Era il figlio di Kobin Lamarcana, uno dei nobili più potenti del Regno di Niihel. Aveva sentito diverse storie su di lui da bambino, una in particolare sapeva di mito: si diceva che fosse stato gettato nelle fogne dal padre stesso, nel momento in cui si era reso conto che non ci fosse magia nel suo sangue, sebbene sua madre discendesse dai Giganti. Qui, il piccolo era sopravvissuto a un ratto dalle dimensioni di un elefante e ne era uscito fisicamente e mentalmente più forte.
La versione più plausibile della storia, ovviamente, lo dava per morto.
Kewst sfoderò una lunga spada con una tale velocità che quasi non lo videro, puntandola alla gola del ragazzo, il quale mostrò entrambi i palmi in segno di resa, eppure non c’era paura nel suo sguardo felino.
«Chiamami solo un’altra volta così e sarà l’ultima.»
«Va bene, basta così!» Emeryl abbassò la punta della lama con le dita. «Abbiamo già abbastanza problemi da risolvere, non serve che ci mettiate anche i vostri!» Così dicendo mosse le redini del suo cavallo in direzione della città di Magena. «Andiamo. Il viaggio è lungo.»
I tre galopparono a passo spedito fino alla capitale del Regno Verde.


 
  
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