Anime & Manga > Occhi di gatto/Cat's Eye
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Autore: crisalide_bianca    12/03/2023    1 recensioni
Dopo essersi allontanate dal Giappone per mesi, nuove scoperte e nuovi pericoli chiamano in madrepatria le sorelle Kisugi. Hitomi, Rui, e Ai (la banda Occhi di gatto) hanno infatti trovato una nuova pista nella ricerca del padre scomparso, ma gli artefatti rischiano di andare perduti per sempre a causa di un nuovo, temibile nucleo criminale. Personaggi e dipinti inediti si uniranno alla storia originale di Tsukasa Hōjō per dare vita al seguito delle avventure delle ladre più famose degli anni '80.
Essendo una storia ispirata al manga e non alla serie animata, i nomi dei personaggi saranno quelli originali in giapponese.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kelly Tashikel, Matthew Hisman, Nuovo personaggio, Sheila Tashikel, Tati Tashikel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Questa mattina è stata proprio incredibile, non ho mai sentito tutte quelle parole per dirmi che ho sbagliato a scrivere un rapporto.” Toshio camminava per il marciapiede pensando tra sé e sé. “Se si arrabbia per queste stupidaggini, avrà un attacco di cuore quando succederà qualcosa di davvero importante! Per fortuna esiste il mio amato caffè in questo mondo, oggi avrei bisogno di una dose doppia…” Si trovò davanti al Cat’s Eye e stavolta il flusso di ragionamenti uscì dalla sua bocca, invece di restare nella propria testa.

-“Oh, ma insomma! Come sarebbe a dire ‘chiuso’?! Per cosa? Gli dei devono proprio odiarmi, accidenti!” Attirò l’attenzione dei passanti che gli rivolsero gelidi sguardi. “Ehm, scusate! Ah, Hitomi dovrà darmi spiegazioni convincenti…” Abbassò il volume della voce e passò oltre.

 

-“La casa è tutta sottosopra, chi ha portato via Jack stava cercando qualcosa e di certo non i soldi.” Osservò Hitomi, constatando che il portafogli del ragazzo, prima di quel momento a terra, non fosse stato nemmeno aperto.

-“Eccomi, sono arrivata appena ho potuto!” Ai aprì la porta di casa Lewis e la sua aria preoccupata peggiorò sensibilmente alla vista di quella scena: era ancora vestita con l’uniforme scolastica, tanta era la fretta di arrivare a destinazione.

-“Prima di dire qualsiasi cosa, cerca di mantenere la calma, Ai. Innanzitutto capiamo la situazione e poi agiamo con intelligenza, senza farci prendere dal panico.” La più grande lo ripeteva quasi più a se stessa che non alle altre, mascherando i suoi turbamenti. Lei era inginocchiata a terra per cercare di capire qualcosa dalle impronte confusionarie lasciate sul pavimento, sporco come se qualcuno avesse usato le scarpe da esterno in casa*: c’erano dei sassolini piccoli e bianchi in giro, di certo non lasciati dalle pantofole.

-“Ora che c’è anche lei, ricominciamo da capo. Rui, quali sono state le parole precise che ti hanno allarmato durante la sua telefonata? Potrebbe averti dato degli indizi sottintesi.” La donna cercò di tornare a quel momento con la mente e ripercorrerlo passaggio dopo passaggio.

-“Inizialmente voleva dirmi qualcosa, era come se fosse allarmato: ma in quel momento ha chiuso la chiamata, lui o qualcun altro.” Fece un respiro profondo. “Mi ha parlato del gatto del vicino, ma sono abbastanza certa che non abbia animali domestici o li avrei sentiti.”

-“Rui, come fai ad esserne così sicura…?” La sorella minore provò ad avanzare una timida domanda, consapevole della sua ridotta rilevanza.

-“Non importa ora, vai avanti.” Incalzò Hitomi.

-“E poi ha detto… ci vediamo domani al museo di ombre cinesi, alle sei di sera.” Si fermò per un istante. “Poco prima stavamo parlando di rimandare la nostra visita in un museo che non avevamo ancora scelto, un attimo dopo era come se avessimo già deciso tutto. Era un discorso che non aveva senso alle mie orecchie.”

-“Quindi pensi che sia altamente probabile che fosse una sorta di messaggio in codice, dico bene?” Hitomi aveva intuito qualcosa.

-“Sì, secondo me sì.” Rispose Rui. “Sono informazioni che a me, che conosco il discorso di partenza, creano molti dubbi. Ma invece a qualcuno di esterno, che magari sta avanzando delle minacce… Possono risultare verosimili, insospettabili.” Le due sorelle annuirono, convinte da quell’ipotesi. Continuò: “Dobbiamo individuare le incongruenze nelle sue parole. Ad esempio, i musei alle sei di sera spesso vengono chiusi, oppure lo fanno di lì a poco: che senso ha invitarmi per un’uscita così breve? Dobbiamo capire che cosa significa questo numero.”

-“Per non parlare del fatto che qui in zona non ci sono musei che trattino autonomamente il tema delle ombre cinesi, al massimo sono mostre provvisorie all’interno di ambienti più grandi. Quindi dobbiamo ragionare anche su questo elemento.” Fece notare la sorella di mezzo.

-“Ci sono, ho capito.” Ai interruppe le altre con tono autoritario, attirando l’attenzione. “Ha usato la parola ombre per fare riferimento al Circolo: evidentemente ha capito chi sono i suoi rapitori e ha voluto comunicartelo.”

-“Sì, ha perfettamente senso. E il numero sei? Che sia un indizio sul luogo in cui l’hanno portato?” Rui scosse la testa verso Hitomi.

-“Jack è bravo, ma non penso che sapesse dove lo avrebbero recluso ancora prima di uscire di casa”, continuò subito dopo, “piuttosto credo che abbia a che fare con il numero di tirapiedi che sono venuti a prelevarlo." Ai sospirò.

-“Se fosse vero, sei uomini sono davvero tanti per neutralizzare una singola persona.”

-“Già, ma Jack non è un ragazzo qualunque, è il loro peggior incubo.” Ai e Hitomi non compresero del tutto quella frase, ma ricominciarono la ricerca di indizi: “Cercate di trovare possibili oggetti mancanti da questa casa, anche nello studio di registrazione qui adiacente. Io provo a capire dove possono averlo portato.”

 

Una secchiata d’acqua gelida gli arrivò in pieno viso e non poté far altro che tossire per liberare bocca e naso. Non poteva stropicciarsi gli occhi, arrossati dal getto violento, a causa delle mani legate dietro ad una sedia di legno.

-“Mettiamo subito le cose in chiaro, tu non mi piaci, e al mio capo neppure, quindi se rispondi alle nostre domande c’è qualche possibilità che tu possa tornare a casa sulle tue gambe.” Prese parola un omone stempiato dai capelli scuri e corti e corporatura robusta. Nei suoi occhi neri, segnati dalle occhiaie, si leggeva il piacere nel vedere il dolore altrui. La pelle pallida del suo viso dava l’impressione di preferire di gran lunga la notte al giorno.

-“Sei tu colui che guida questa operazione?” Chiese pacatamente Jack, senza scomporsi.

-“In carne ed ossa.” Rispose, arrogante, senza degnare di uno sguardo i propri sottoposti di guardia e dietro di lui.

-“Bene, prendi nota.”  Sorrise, illudendosi di star affrontando una facile missione. “Non ho. Niente. Da dirti.” Scandì, come in una dettatura da scuola elementare. Provocò una risata nervosa nel suo interlocutore, che si limitò a guardare un suo assistente a pochi passi da lui.

-“Nezumi.” Lo chiamò, e senza aver bisogno di impartire ordini, il ragazzo dai capelli castani ed il viso scavato tirò un pugno all’altezza dello zigomo del prigioniero. Le sue nocche, spigolose per via delle mani magre, lasciarono un segno ben visibile. L’agente si sforzò di non far rumore e incassò. Sentì il gusto del sangue all’interno della sua guancia. Cercò di tamponarla con la lingua.

-“Mhm… grazie, sentivo giusto un prurito, lì…”

-“Hai fegato, ragazzo, ma sei poco furbo a farti picchiare ancor prima che ti vengano poste delle domande, ne va della tua resistenza ai colpi. Dunque: abbiamo trovato numerosi registratori nascosti in alcuni scatoloni in casa tua, un mio uomo li sta ascoltando proprio ora. Anticipami quello che troveremo lì dentro e non ti faccio saltare subito in aria la testa: questa è solo una prova per capire quanto sei propenso a raccontare balle.” Indicò la Beretta che gli aveva sottratto al momento del sequestro.

-“Bene, sarò sincero al cento per cento, non vorrei mai che questo bel magazzino così ordinato si sporchi con il mio sangue.”

-“Fai poco lo spiritoso, ti conviene.” Non riusciva a trovare divertente quella che gli pareva solo folle e immotivata sicurezza.

-“Il tuo uomo troverà registratori nuovi, mai usati, dentro ad uno scatolone, e nell’altro qualche melodia improvvisata per canzoni che non sono ancora riuscito a scrivere. Sa, l’ispirazione arriva quando meno ce lo si aspetta, anche nei momenti meno opportuni.” Dopo un attimo di incredulità, il malvivente si mise a ridere sguaiatamente.

-“Non capisco proprio perché ai piani alti siano così preoccupati a causa tua, sei proprio uno stupido! Dai tuoi vocali scopriremo ugualmente tutto della tua indagine nei nostri confronti, quindi perché questa mossa suicida?” Afferrò la pistola appartenente all’agente e la puntò alla sua tempia. Si avvicinò alla sua faccia, fino a fargli sentire il suo cattivo odore. “Ritroveranno il tuo cadavere, un foro sulla tempia ed un giovane che proprio di suicidio è morto, il caso sarà chiuso in pochi giorni. Fai buon viaggio, piccola e insignificante spia.” Un altro sgherro, uscito da una sala adiacente, interruppe la discussione.

-“Signore.” Lo chiamò.

-“Che c’è?!” Sembrò seccato.

-“Nei registratori non c’è nulla, la maggior parte sono nuovi e ancora imballati, signor Bosu.” Lewis mostrò un sorriso soddisfatto e gli rivolse la parola.

-“Difficile chiederlo ad un criminale come te, ma se sei un uomo d’onore, manterrai la nostra promessa, dico bene?” Un verso grottesco uscì dalla gola di quel mastino.

-“Certo. Allora, partiamo dall’inizio: per quale Stato e agenzia lavori, spia?”

-“Lavoro per una casa discografica statunitense, con cui ho aperto uno studio indipendente di nome Hasu.” Lo guardava negli occhi mentre parlava e Bosu si innervosiva per quella presa in giro. “Che c’è? Non ti piace il nome? A me sembra ottimo per questa avventura in Giappone, fiore di loto... Poetico.”

-“Nezumi!” Un destro potente gli arrivò in pieno volto, e ancora una volta trattenne il grido di dolore.

-“Ragazzo, fattelo dire…” Biascicò al suo aguzzino più giovane. “Fossi in te pretenderei un appellativo migliore di ratto, fatti valere di più se vuoi far carriera**.”

-“Ignoralo, è lui il vero topo di fogna.” Ribatté, Bosu. “Piuttosto, prepara un altro secchio e lo straccio. Non sopporto questi finti duri americani.”

-“Peccato, invece voi veri e autentici giapponesi cominciavate ad essermi simpatici.”

-“Dei, quanto vorrei farlo fuori subito.” Sussurrò.  “Gokiburi!**” Alzò nuovamente la voce. “Prepara anche il TS04, nel caso il nostro eroe insista a fare tanto lo spiritoso.”

-“Santo cielo, gente, ribellatevi a questi nomignoli così brutti, per la vostra dignità!” Insisteva, tanto che quest’ultimo commento venne ignorato invece che punito.

-“Ora si comincia sul serio: che cosa sai del nostro gruppo?” Il tono si fece serio e freddo all’improvviso. Jack capì che il suo calvario sarebbe iniziato in quel momento.

-“Che siete solo dei ricchi e bastardi criminali senza dignità.” Rispose altrettanto secco, sollevando il mento a mo’ di sfida.

-“Risposta sbagliata.” Nezumi mise il telo sopra alla faccia del sequestrato e verso con tutta calma un grande secchio di acqua fredda lì dove si trovavano narici e bocca, impedendo a Jack di respirare. “E questo è solo l’inizio. Prossima domanda: che rapporto hai con la banda Occhi di Gatto?” Il ragazzo pensò per un istante, mentre gli veniva tolto lo straccio dal viso. Soffiò dal naso, per liberarsi dalle gocce che infastidivano le vie aeree.

-“A questa posso rispondere.” Questo sorprese Bosu. “Non ho nessun rapporto con loro, anche se mi è capitato di vederle all’opera, se così si può dire.” Aveva capito che era una domanda trabocchetto.

-“Loro dici, eh?” Sperava che gli scappasse un riferimento alla Gatta Nera: sarebbe stata una prova della loro complicità.

-“Sì, loro, o almeno così mi hanno detto, visto che quando hanno rubato il diamante nessuna di loro si è mostrata.”

-“Già, il diamante… Vedi, il fatto che tu tutto d’un tratto sia così loquace non mi convince affatto.” Sorrise maliziosamente e alzando un dito richiamò il suo subalterno. “Riempigli ancora un po’ i polmoni, non me la racconta giusta.”

-“Aspet-” Non fece in tempo a replicare, che fu colpito da un ulteriore getto, che stavolta riempì maggiormente il suo naso. Tossì con vigore.

-“Come hai detto? Non penso di aver capito bene.” Se la rideva sotto ai baffi. “Ha chiesto forse clemenza?” Domandò ironicamente ai suoi, che risposero con versi sguaiati. Lewis capì che doveva ritrovare il controllo psicologico di quella situazione. Abbassò la testa. Cominciò a ridere. Dapprima quasi sottovoce, divertito per quanto provato fisicamente, e poi con una risata piena e quasi esagerata. La parte razionale di Bosu credeva che non avrebbe resistito ancora a lungo, eppure dentro di sé si sentì turbato da quella reazione.

-“Ma che cazzo ridi? Che cosa ridi?” Strinse il pugno così forte che sembrava stesse per sferrare furiosamente un colpo.

-“Fallo, colpiscimi. Vedrai come ti sentirai meglio.” Quello dell’agente sembrava quasi un ghigno malevolo. Un invito provocatorio. Uno sgretolamento dell’autocontrollo. In risposta, l’omone allentò la presa e non cedette. “Sei un leader troppo indeciso, prima vuoi che io parli e poi ti lamenti se lo faccio…” Scosse la testa. “Non sei adatto ad occuparti di me, lo sai?” Quelle parole volevano far breccia non solo su di lui, ma anche sui suoi sottoposti. Bosu lo percepiva e si innervosiva ad ogni parola.

-“TS04, subito.” Ordinò, ignorando le ultime frasi e il giovane alle sue spalle gli passò una boccetta insieme ad una siringa. “Sai che cos’è? Tra poco ti scorrerà nelle vene talmente tanto tiopentale sodico che mi rivelerai anche i segreti scritti nel tuo diario delle elementari. Oh, dimenticavo: questo siero è sperimentale, non ho idea di quali siano gli effetti collaterali, ma lo scopriremo presto.” Con tranquillità olimpica, riempì il cilindrò trasparente tramite l’ago e abbondò nella dose. Jack scosse la testa.

-“Mhm, il siero della verità, eh? Fammi solo il favore di metterne meno, altrimenti nemmeno volendo potrei rispondere alle vostre domande.” In realtà era più preoccupato di come sarebbe stato ridotto.

-“Non mi sembra di averti chiesto un par-”

-“Mi… mi scusi.” Incredibilmente alle orecchie del capo arrivò la voce di Nezumi. Jack sorrise dentro di sé: aveva scatenato una minima reazione di dissenso nei malviventi. “Somministrare troppo siero vorrebbe dire anestetizzarlo totalmente, non risponderebbe più a nulla.” Seccato da quella interruzione, lo ammonì con lo sguardo, salvo poi assecondare quella implicita richiesta.

-“Sentirai giusto un pizzichino sulla pelle.” Affermò. Jack sapeva di non potersi ribellare, quindi scelse di rilassare i muscoli per limitare il dolore. In pochi secondi la vista si annebbiò, il respiro si fece più pesante. Fissò un punto indistinto del magazzino e gli parve, in un angolo in penombra, di scorgere una piccola luce, o forse un lieve riflesso.

“Finalmente.” Pensò.

 

 

 

 

 

* In Giappone è usanza consolidata togliere le scarpe prima di entrare in casa propria o altrui per indossare esclusivamente apposite ciabatte.

 

** Nezumi in giapponese significa “ratto”; Gokiburi significa invece “blatta”

 
   
 
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