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Autore: Milly_Sunshine    13/03/2023    0 recensioni
La A+ Series è una sorta di evoluzione distopica della Formula 1, in cui i risultati possono essere condizionati dall'alto per esigenze di spettacolo e in cui i piloti sono stati privati totalmente della loro personalità, al punto da dovere tenere segreto il proprio nome e a non potere mai mostrare il proprio volto, riconoscibili soltanto dal colore della vettura che guidano e dal loro numero di gara, oltre che dagli occhi nei rari momenti in cui vengono immortalati con la visiera del casco aperta. Noto sportivamente come Argento Quattro, Yannick è sempre stato l'eterno secondo ed è ben disposto a piegarsi al volere della dirigenza, se questo può portarlo alla vittoria dell'ambito titolo mondiale contro gli avversari Viola Cinque e Rosso Ventisette. Il suo incontro con Alysse, che con la dirigenza della A+ Series sembra avere un conto in sospeso, gli apre gli occhi, ma le nuove consapevolezze si scontrano duramente con le regole della serie: Argento Quattro e i suoi stessi avversari rischiano di ritrovarsi con le loro stesse vite appese a un filo. // Remake di una mia fan fiction sulla Formula 1 pubblicata anni fa su Wattpad.
Genere: Azione, Mistero, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Alcuni piloti sembravano nati per trascinare le folle, un concetto che poteva apparire la normalità in qualunque categoria motoristica, ma non nella A+ Series. Anche dall’altra parte dell’oceano, quando gareggiava con il suo vero nome, Ryuji Watanabe, Rosso Ventotto aveva visto quel tipo di attaccamento, ma aveva sempre ritenuto impossibile che un simile fenomeno potesse essere replicato laddove l’identità dei piloti rimaneva celata.
Dopo il suo passaggio in quella che comunque veniva considerata la massima categoria, si era dovuto ricredere e, ancora una volta, doveva ricredersi mentre il pubblico acclamava il suo compagno di squadra Rosso Ventisette, che svettava sul gradino più alto del podio. Era la prima vittoria, quantomeno con quel colore e con quel numero, per quel Ventisette e, chissà, forse sarebbe rimasta l’ultima.
Quegli ultimi due eventi non erano stati per niente facili per Ventotto. Era riuscito ad artigliare un’insperata seconda posizione in Sudafrica, mentre avrebbe lasciato la Malesia con una quarta posizione ottenuta a fatica, dopo un acceso duello con Rosso Ventuno che, ormai stanco di farsi notare soltanto le gare con reverse grid, nelle quali superava senza difficoltà la metà più lenta dello schieramento, dietro alla quale si apprestava a partire, risalendo fino alle posizioni di spessore, la domenica lottava senza alcun timore reverenziale contro piloti molto più altolocati di lui.
Nel frattempo Ventisette aveva lottato per la vittoria a Kyalami, prima di uscire di scena per una manovra controversa avvenuta tra lui e Argento Quattro - si erano accusati a vicenda dell’incidente, ma i commissari avevano deciso di lasciare correre, probabilmente sperando che la faccenda avesse risvolti polemici sui social media - mentre a Sepang era riuscito a imporsi davanti alle vetture argentate di Quattro e Tre. Sul podio appariva composto, ma faceva cenni al pubblico, mentre veniva acclamato. Sembrava sentisse di essere un eroe.
Quando la cerimonia di premiazione terminò, passò alle interviste insieme ai due colleghi in argento. Rosso Ventotto attese pazientemente che tutto fosse finito. Voleva complimentarsi con il compagno di squadra per la sua performance altisonante. Non gli faceva piacere essere andato molto più lento di lui per due gran premi consecutivi, ma aveva sempre saputo riconoscere il merito e il talento altrui. Non sapeva come l’avrebbe presa Ventisette, se gli avesse messo di fronte la verità, perciò aveva deciso di non esporsi troppo.
Attese di incontrarlo ed esordì, senza mostrare troppa emozione: «Sei stato fantastico. Oggi li hai messi in fila, quei due.»
Ventisette annuì.
«Sì, è andata bene, lo ammetto, anche se siamo stati fortunati che Viola Cinque e Viola Sei abbiano avuto dei problemi. Dove hanno finito?»
«Qualche posizione più indietro di me.»
«Tu, invece, avevi Ventuno attaccato al fondoschiena, mi hanno detto.»
«Già» borbottò Rosso Ventotto. «Quel ragazzino va davvero forte.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Come sai che è un ragazzino?»
«Si vede che è giovane.»
«Ti ricordo che corre nella A+ Series da molti anni, ormai.»
«Dipende quanti anni aveva quando ha debuttato» puntualizzò Rosso Ventotto. «Si dice che probabilmente sia stato il più giovane debuttante della storia della categoria.»
Ventisette gli ricordò: «Questo non lo sapremo mai. Si raccontano un sacco di storie, ma non è detto che siano vere. Conosci la leggenda metropolitana secondo cui sarebbe in realtà il figlio di un backmarker della vecchia Formula 1, addestrato fin dall’infanzia per divenire un campione e vendicare quindi i risultati non troppo esaltanti del padre?»
«Eccome se la conosco, ma non ho idea di chi abbia messo in giro questa voce» ammise Ventotto. «In ogni caso, è un pilota velocissimo. Ti assicuro che è uno dei migliori, tra quelli attualmente presenti sulla griglia. Se la giocano lui e Arancione Otto, anche se...» Esitò, ma poi decise di andare fino in fondo. «Anche se non sottovaluterei Verde Quindici.»
«Verde Quindici?» ripeté Rosso Ventisette.
«Non quello che ha disputato l’evento di Kyalami e questo» puntualizzò Rosso Ventotto, guardandolo negli occhi azzurri brillanti. «Era un altro pilota.»
«Ha ottenuto un podio, la scorsa volta.»
«Un podio che nessuno attribuirà mai a lui.»
«Così è la A+ Series.»
«È uno dei tester, ne sono sicuro» insisté Rosso Ventotto. «L’hanno messo al volante provvisoriamente, forse quello vero tornerà al proprio posto.»
«Sì, il vero Quindici tornerà al proprio posto» confermò Rosso Ventisette. «Ovunque sia ora, tornerà alla sua vettura verde e al suo sperare ogni volta che qualcuno dei piloti di testa sia un flop, in modo da potere puntare a qualche buona posizione vacante.»
Ventotto abbassò lo sguardo.
«Non deve essere una bella prospettiva.»
Ventisette azzardò: «Cosa, tornare a guidare invece di stare a piedi?»
«Non sono convinto che Quindici sia a piedi, adesso» replicò Rosso Ventotto. «So che potrei apparire scortese, ma credo di sapere dove...»
Rosso Ventisette lo interruppe: «Non importa dove sia il vero Quindici adesso. Tu non sei nella A+ Series da tanto, vero?»
«È la mia seconda stagione.»
«Allora forse non ti è ancora chiaro. Sei sempre stato Rosso Ventotto.»
«Cosa non mi è chiaro?»
«Che nessuno di noi è un vero o un finto numero o colore. A nessuno importa di chi siamo davvero, siamo solo il nostro involucro. Hai visto come mi acclamavano, prima, mentre stavo sul podio? Non acclamavano me, acclamavano solo la tuta che indosso e il numero che porto.»
«Non sarebbe stato diverso ai vecchi tempi, quelli della Formula 1. Siamo vestiti di rosso, come i piloti della Ferrari ai tempi. Anche loro venivano amati quasi solo ed esclusivamente perché erano piloti Ferrari, dai loro tifosi.»
«Una volta che lasciavano la Ferrari, però, venivano visti o come traditori o come vecchi bolliti che avrebbero dovuto ritirarsi. In alternativa, se erano stati disprezzati quando guidavano la Rossa perché non ritenuti abbastanza competitivi, poteva capitare che venissero apprezzati se passavano in qualche team di centro griglia che non dava disturbo alla Ferrari. Che cosa ne sarà di noi, invece? Quando non saremo più al volante di una vettura rossa, la gente faticherà a distinguerci dai nostri successori, così come fa fatica a distinguerci dai nostri predecessori. Non si ricorderà di noi, nemmeno per scaricarci addosso odio e frustrazione. La A+ Series significa questo: non essere più persone, ma soltanto dei manichini votati all’intrattenimento del pubblico. Per compiacere chi ci guarda dobbiamo gareggiare, vincere, o all’occorrenza morire. Non siamo niente di più.»
«Sei così drastico.»
«Solo solo realista.»
«Allora, senza offesa, perché rimani?»
«Perché la Formula 1 era il mio sogno, fin da quando ero bambino e vedevo Silberblitz vincere titoli mondiali. La A+ Series è ciò che le somiglia di più al mondo.»
Rosso Ventotto scosse la testa.
«No, non le somiglia, è quello che vogliono farci credere.»
«L’hanno trasformata nella A+ Series, di fatto» insisté Rosso Ventisette. «È la sua diretta discendente. So che esistono altre categorie e che un pilota saggio sarebbe già scappato a gambe levate verso nuovi orizzonti. Io, però, non sono un pilota saggio. Sono ancora quel bambino che sognava, un giorno, di guidare una monoposto rossa, come Silberblitz.»
«E adesso che la guidi» volle sapere Ventotto, «Per caso ti senti appagato? Non mi pare, da quello che hai detto.»
«La vita non è fatta solo di appagamento» sentenziò Ventisette. «Non sarò mai come Silberblitz, non vincerò mai tanti titoli quanto lui e non ne vincerò nemmeno uno in tuta rossa. Nessuno si ricorderà di me, nessuno saprà mai che faccia io abbia. Però è tutto quello che posso avere. Ho cercato di fare del mio meglio, sempre, fin dal primo giorno, anche quando ho capito che quella vecchia categoria che un tempo sognavo non esisteva più. Cosa importa, adesso, se quando ero ragazzino speravo un giorno di vincere a Monza e di essere acclamato dai tifosi della Ferrari? Anche se, lo ammetto, il top non sarebbe stato vincere a Monza con una Ferrari, ma con una squadra che nessuno prendeva in considerazione, da outsider. Me la immaginavo così, a volte, la mia prima vittoria: uno sconosciuto che, per uno strano scherzo del destino, si ritrova a vincere a Monza, un giorno in cui le Ferrari sono escluse dalla lotta per il primo posto. Un rivale che vince a casa della Ferrari verrebbe fischiato e screditato, un outsider no, almeno fintanto che viene considerato innocuo.»
C’era un che di poetico, in quello che Ventisette gli stava raccontando. Non importava il colore degli occhi, non importava che questo fosse più alto, Ventotto poteva comprendere perfettamente già dalla sua personalità e dalle sue parole di non essere di fronte al suo solito compagno di squadra. Il pilota che era stato al suo fianco, sull’altra monoposto di colore rosso, in Sudafrica e in Malesia era una persona molto diversa, oltre che un pilota molto più competitivo e dotato. Con tutto il rispetto per il Ventisette visto in pista nella prima parte della stagione, Ventotto era convinto di essere di fronte a un potenziale campione del mondo. Chissà, magari aveva già vinto un mondiale, anche se non poteva chiederglielo. Decise comunque di osare, di spingersi un po’ più in là di dove fosse tradizionalmente consentito.
«Tu eri Verde Quindici, vero?»
L’altro non tentò nemmeno di negare.
«Come l’hai capito?»
«Tu non sei il mio compagno di squadra e quel Verde Quindici che è andato a podio la scorsa volta non era il solito Verde Quindici. Non è stato difficile fare due più due. Certo, mi verrebbe da chiedermi che fine abbia fatto il Rosso Ventisette che era mio compagno di squadra fino a qualche tempo fa, ma dubito che tu conosca la risposta.»
«Tornerà.»
«Quindi, invece, conosci davvero la risposta. Wow, interessante.»
«No, non so dove sia l’altro Ventisette, adesso» chiarì Verde Quindici/ Rosso Ventisette. «Il CEO mi ha convocato prima del Gran Premio del Sudafrica, mi ha detto che sarei stato spostato in un altro team, per breve tempo. Immagino che l’altro Ventisette si sia infortunato in quell’incidente in Bahrein. Però, non preoccuparti, non deve essere niente di grave. Presto tornerà al suo posto.»
«Lo spero.»
Quindici/ Ventisette ridacchiò.
«Vuoi liberarti di me?»
«No, non voglio liberarmi di te, figurati» ribatté Ventotto. «Anzi, lo ammetto, mi sembri un tipo simpatico. È solo che, in fondo, ammetto di volere bene all’altro Ventisette.»
«Non sai nemmeno chi sia.»
«È Ventisette. Sono abituato a vederlo in tuta e casco, così come Ventisette vede me in tuta e casco. Una volta mi ha detto che immagina che io abbia i capelli sparati in aria con le punte tinte di blu. Io stesso, di tanto in tanto, cerco di immaginarmelo, di figurarmi come possa essere a partire dai suoi occhi. Però non ho la stessa fantasia che ha lui.»
«Anche tu sembri un tipo a posto. Anch’io ho un’ammissione da fare: mi piacerebbe restare qui, se potessi, invece di tornare a vestirmi di verde.»
«Ti sembro un tipo a posto e vorresti restare.» Rosso Ventotto rise. «Mi stai dicendo che vorresti restare qui per me?»
«Ma no, cos’hai capito!» ribatté l’altro. «Sono contento di averti potuto conoscere meglio, ma non perché sia tu nello specifico. Le interazioni che abbiamo con gli altri piloti sono limitate. Non sappiamo quasi nulla l’uno dell’altro. Temo che torneremo a comportarci da estranei.»
«Capisco cosa vuoi dire, scendiamo in pista tutti insieme e, una volta che siamo fuori dalla pista, le nostre strade si dividono. Io, da parte mia, ho sempre cercato, in qualche modo, di costruire un minimo di rapporto con chi mi capita a tiro. Purtroppo molti preferiscono rimanersene per conto loro, ormai ci hanno fatto l’abitudine.»
«Tu invece no. Vieni da una categoria in cui tutti si conoscono, immagino.»
«Adesso ti stai allargando troppo. Non posso dirti da dove vengo.»
«Nemmeno io avrei potuto dirti da dove vengo, però lo sai, sai che fino a poco tempo fa ero Verde Quindici e, molto probabilmente, già dal prossimo gran premio smetterò di essere l’eroe delle folle che ha vinto qui a Sepang.»
«Tu eri Verde Quindici, io ero un nome e un cognome. Non è la stessa cosa.»
Verde Quindici/ Rosso Ventisette sospirò.
«Già, non è la stessa cosa e, se devo essere sincero, penso che tu sia più pazzo di me. Io, almeno, sognavo la Formula 1 e ho fatto di tutto per gareggiare nella categoria che ne è derivata. Non ho mai conosciuto altre realtà, una volta uscito dalle formule minori. Tu, invece, hai avuto un’altra vita e un’altra carriera, in cui potevi essere te stesso. Non avresti dovuto rinunciarvi.»
«Anch’io sognavo la Formula 1» fu costretto ad ammettere Rosso Ventotto. «Temo sia questa la ragione per cui sono qui.»
Fu l’ultima considerazione di un certo spessore, prima che le loro strade si dividessero. Rosso Ventotto andò a spogliarsi dei suoi panni di pilota e a farsi una doccia, pronto per tornare a essere Ryuji Watanabe. Decise che presto si sarebbe tinto le punte dei capelli di blu, affinché il solito Rosso Ventisette potesse riconoscerlo. Da parte sua, un’idea assurda stava iniziando a ronzargli in testa.
“I fanboy maschilisti dei social” l’aveva informato tempo prima, quella volta del loro incidente, “dicevano che guidavi come una donna.”
“Perché, come guidano le donne?” aveva replicato il suo compagno di squadra.
Quelle parole gli rimbombavano in testa e tutti i pezzi sembravano andare a incastrarsi al posto giusto. E se Rosso Ventisette fosse davvero stato una donna?
Alysse Montanari era stata una kartista e, all’improvviso, sembrava non avere più avuto nulla a che fare con gli sport motoristici. Di recente, però, era ricomparsa come Alysse Mercier, nel paddock della A+ Series, con un ruolo imprecisato. Sembrava sparita nel nulla, il giorno in cui Rosso Ventisette era verosimilmente rimasto infortunato ad Al Sahkir. Il taglio e il colore dei suoi occhi, così come la sua statura, erano compatibili con quelli del pilota. In sintesi, cercando di dare un’identità al proprio compagno di squadra, Ryuji stava iniziando a prendere in seria considerazione l’idea che si trattasse proprio di Alysse.

   
 
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