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Autore: RainbowCar    14/03/2023    0 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era come cadere nel vuoto. Una strana sensazione allo stomaco, mai provata prima. Fino a quel momento, non avrei mai creduto che mi sarei lasciata andare così facilmente, ma non trovavo una ragione logica per resistere a quel piacere che ormai agognavo da tempo. Le sue mani scivolavano sulla mia schiena e le sue braccia mi cingevano in una stretta che ricambiavo avidamente, premendo il mio corpo contro il suo. Mi accorsi che tremavo. Ero turbata, sì, da quanto fosse tutto al di là delle mie aspettative, così bello che non riuscivo a smettere di baciarlo o a staccarmi da lui. Fu Feron a farlo.
“Andraste, sei sicura?”, mi chiese, mentre tenendolo per mano lo accompagnavo verso il letto.
Non ero mai stata così sicura. Mi rendevo conto che finalmente non ero più solo una spettatrice passiva, non era stato il mio primo bacio ma stavolta avevo preso io l’iniziativa.
“Tu e Deleric… io non voglio essere un ripiego”, aggiunse quasi in un sussurro.
Scossi la testa, in un movimento deciso.
“Non lo sei. E’ con te che voglio stare”
Avrei dovuto specificare “per stanotte” o “per tutta la vita”? Quello non lo sapevo nemmeno io. Sapevo invece che desideravo Feron con tutta me stessa, probabilmente dalla prima volta che lo avevo visto, solo che ci avevo messo troppo a capirlo.
Mi sdraiai sul letto, lasciandogli slacciare i pantaloni mentre sfilavo la mia camicia. Pochi istanti e sentii il suo corpo nudo avvinghiarsi al mio e le sue labbra infuocate indugiare sul mio collo, sul seno, sul ventre.
Le mie mani gli accarezzarono le spalle, per poi risalire e sciogliere la sua treccia. I capelli selvaggi profumavano di pioggia, di terra, e acqua. Era il lago Celestine, ero a casa. Chiusi gli occhi e affondai le dita in quei morbidi fili di seta.
I brividi, i gemiti, le mie cosce ricoperte di baci, la sua lingua inaspettatamente insinuata dove non avrei mai osato immaginare… non avevo mai provato nulla di simile. Mi sentivo diversa, ero davvero Andreste? Quella stessa ragazza cresciuta in una grotta, circondata solo da boschi e animali, il cui l’unico contatto umano era stata una madre che l’aveva sempre messa in guardia da tutti quei sentimenti che stava provando in quel momento? Perché non era solo mero piacere, no, per quanto intenso fosse.
Ne fui certa nel momento in cui lui entrò dentro di me, in quel mio sussulto mi sentii rinascere. Mi sentivo, per la prima volta, viva.

**********************

“Alistair! Aspetta!”
Lavriella alla fine aveva deciso di riconcorrere il suo Re, ma non era riuscita a fermarlo. Non si era voluto fermare, in realtà, perché sebbene avesse un bel po’ di vantaggio, l’aveva sentita, ne era sicura. Ma l’aveva ignorata. Le udienze stavano per iniziare, non avrebbe più avuto occasione di parlare in privato con lui, se non a fine giornata.
Fu raggiunta da una dama di corte che le annunciava di aver ricevuto l’ordine di scortarla nelle sue stanze, per essere visitata da un guaritore. Ma la Regina non ne volle sapere, non se ne sarebbe stata buona nelle sue stanze in attesa che il marito terminasse i suoi impegni. Voleva presenziare accanto a lui, come aveva sempre fatto, e non avrebbe certo iniziato quel giorno a cambiare le sue abitudini. Inoltre era preoccupata per tanti motivi: la probabile presenza in città della figlia di Morrigan -la figlia di Alistair, doveva iniziare a venire a patti con questa precisazione-, ciò che aveva visto suo marito poco prima e infine le sue condizioni… che non potevano essere trascurate o taciute ancora per molto.
Si cambiò velocemente d’abito e raggiunse la sala del Trono, dove il Re si era già seduto. Prese posto accanto a lui, ma non la degnò di uno sguardo. Sapeva che Alistair era testardo quando voleva, ma sembrava quasi crudele quella sua freddezza, stavolta. Era conscia che non le avrebbe tenuto il muso per sempre, tuttavia gli doveva una spiegazione, anzi, più di una… Si vergognò di aver pensato che fosse lui quello crudele. Se gli avesse davvero spiegato tutto, avrebbe avuto ragione a non guardarla in faccia mai più.
Senza proferire parola, abbassò lo sguardo e attese in silenzio lo svolgersi delle incombenze reali.

***************

Hawke era arrivata da qualche ora a Denerim, quando Fenris l’aveva raggiunta. Si erano dovuti fermare parecchi giorni per via della salute di Lavriella e il viaggio era durato più a lungo de previsto.
“Stanno bene, sono con Lanaya al campo Dalish” la riassicurò, senza che lei nemmeno dovesse chiedere.
Hawke annuì, rimirando il grande camino del salone che andava svuotandosi. Le ricordava quello di casa Amell, che era poi diventata casa sua, anche se per troppo poco tempo, in cui ora viveva Varric.
“Sentiranno un po’ la nostra mancanza, ma saranno anche felici di conoscere tante nuove persone e di poter giocare con altri ragazzini della loro età”. Sorrise al suo bell’elfo. “Inoltre potranno finalmente scorrazzare indisturbati senza che nessuno gli dica continuamente di stare attenti agli eretici pazzi”, lo canzonò scherzosamente.
I bambini non erano abituati a stare a lungo da soli, erano cresciuti coi loro genitori e le poche visite erano comunque sempre di altri adulti, a parte Maisie, e supervisionate da mamma e papà. Hawke immaginò che per loro dovesse essere una sorta di esperienza formativa, gli avrebbe fatto bene e li avrebbe aiutati ad abituarsi di più al mondo. Non sarebbero stati nascosti sulle montagne per sempre, avevano diritto a vivere la loro vita come meglio credevano, quando sarebbero stati abbastanza grandi da provvedere al loro stessi. Certo, Bethany non avrebbe avuto esattamente la strada spianata, dato il suo dono, ma sarebbe diventata una donna in gamba, aveva molta fiducia in lei, così come in Carver. Presto sarebbe cresciuto e sarebbe diventato anche lui un abile guerriero, come suo padre. Già molte volte Carver aveva mostrato interesse e aveva chiesto a Fenris di insegnargli a combattere e, seppur ancora con difficoltà, aveva iniziato a imparare le prime posizioni, mentre Bethany con Hawke si allenava a controllare la sua magia.
Non li avevano mai forzati, comunque, ad addestrarsi. Erano ancora piccoli, dopotutto, ma il loro interesse era genuino. Buon sangue non mente, si ripeteva sempre Hawke, guardandoli fare progressi. E un giorno avrebbero spiccato il volo anche loro. L’unica cosa che sperava era che fossero felici e liberi di scegliere che vita vivere.
“Mi sei mancata da morire”, le confessò Fenris. La guardava con quegli occhi grandi, intrisi di desiderio e dolcezza.
“Adoro quando mi guardi come un Mabari guarda un osso di agnello”, lo punzecchiò Liraya.
L’elfo incrociò le braccia, alzando un sopracciglio.
“No? Non è vero? Oh, Fenris, come puoi negarlo, suvvia, smettila di sbavare…”
C’era solo un modo per zittirla per quanto adorasse sentire tutte quelle sciocchezze -che non erano poi così lontane dalla realtà- e così passò all’azione: d’impeto, l’elfo la prese e la strinse tra le braccia, baciandola con foga. Lei riusciva a scatenare davvero il Mabari o forse il lupo che era in lui, un lupo che non bramava sangue o vendetta, un lupo che bramava solo le sue labbra, le sue carezze, soltanto le sue: lei era l’unica che potesse renderlo mansueto e tuttavia non aveva nulla a che fare con l’asservimento imposto da Danarius. Era stato lui a scegliere la sua “padrona”, eppure solo con lei si sentiva libero, divorandola di baci.
Mordicchiò le sue labbra e il suo collo, mentre le mani si insinuavano sotto la camicia fino a stringere quel seno florido, finché si rese conto che quella sala comune non offriva esattamente la giusta discrezione. Uno dei servitori aveva la mascella spalancata e se ne stava immobile ad assistere allo spettacolo, mentre un’altra si copriva il viso tutto rosso.
Erano ospiti della Regina e per tanto si trovavano al palazzo reale. Appena arrivati e già rischiavano d’essere cacciati.
“Dovremmo calmare i bollenti spiriti” ridacchiò Hawke, accortasi dello scalpore che avevano suscitato.
“I-io… hmmm, penso tu abbia ragione” rispose Fenris, facendo faticosamente un passo indietro.
“Dunque, io e te a Denerim… senza bambini… completamente soli. Non succedeva da anni, ci sono tante cose che potremmo fare, eri mai stato qui? Ovviamente no, certo che no, potremmo visitare la città” propose lei.
Fenris annuì visibilmente deluso, per poi ritrovarsi poco dopo con Hawke nella stanza che aveva assegnato loro la Regina, sudato e ansimante, soddisfatto per aver fatto l‘unica cosa a cui aveva pensato durante il tragitto tra la foresta di Brecillian e Denerim.
“Visitare la città…” Hawke scoppiò in una risata. “Ci avevi creduto davvero?”
“Per un attimo sì, ma ero sicuro che alla fine avremmo trovato qualcosa di più urgente da fare.” Le accarezzò i capelli, spostandole la solita ciocca irriverente dal viso.
“Ah, ma se vuoi possiamo davvero uscire di qui e andare a visitare il magnifico e sterrato cortile della chiesa, penso manchi giusto qualche altro schizzo di fango per adeguare finalmente i miei stivali alla raffinata moda della capitale”
Gli sorrise sorniona, riprendendo a baciarlo dappertutto, finché lui non fu di nuovo sopra di lei.
“Vista una chiesa, le hai viste tutte”, le rispose, sollevandole le gambe sulle sue spalle.
 
Era già mattino.
Avevano dormito poco, avevano sentito il bisogno di esserci l’uno per l’altra. Era passato molto tempo da quando erano stati in una stanza tanto spaziosa e sfarzosa, si erano abituati a una vita frugale ma non c’era nulla di male a godersi un po’ di lusso, in memoria dei vecchi tempi. Mentre si vestivano, si sentirono un po’ in colpa per non aver portato anche i bambini a godere di quelle stanze con tappeti morbidi e tende di velluto, e quel cibo ricco e disgustosamente buono.
“Se sapesse che abbiamo mangiato queste ciambelle senza di lei, Bethany ci darebbe fuoco”, affermò Hawke con aria abbastanza seria.
Stavolta fu Fenris a sdrammatizzare. “Stai forse ammettendo che non siamo bravi a cucinare?”  
Le sorrise e le baciò una guancia. “Torneremo presto da loro vedrai”
Sapeva che le mancavano i figli, era normale, per quanto fosse felice di stare per un po’ da sola con lui. Del resto, per Fenris era lo stesso.
Non sapevano ancora esattamente cosa li attendesse. Non avevano modo di prevederlo e l’attesa avrebbe potuto essere snervante, per fortuna avevano dimostrato di saperla ingannarla bene, finché era arrivato il momento di raggiungere Lavriella.
Fu detto loro che la Regina era nella sala del trono per le udienze, così la raggiunsero e si accomodarono sulla balconata, accanto a Goldanna, presentatale come la sorella del Re. Non aveva certo dimenticato che in teoria erano ricercati, godevano comunque della protezione dei sovrani, ma era meglio non suscitare inutile scalpore e presentarsi con nomi falsi. Per quanto fosse peculiare l’aspetto di Fenris, finché se ne stava avvolto in un mantello poteva facilmente passare inosservato, mentre lei ormai non corrispondeva più all’immagine scolpita nei ricordi di chi aveva visto il suo volto tanti anni prima, dopotutto era invecchiata, anche se, a sentire Fenris, era ancora stupenda come quando si erano conosciuti. E poi non aveva più l’abitudine di andarsene in giro coperta di sangue.

******************

Non avevo chiuso occhio. Il sole non era ancora sorto, ma entro poche ore sarei stata all’udienza.
Ero nervosa, sebbene la notte con Feron fosse stata la più bella della mia vita. Lo osservavo dormire, con la treccia finalmente sciolta, i capelli sparpagliati come piume di corvo, il petto statuario che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
La notte più bella della mia vita e anche la più spaventosa. Non sapevo cosa mi sarei dovuta aspettare l’indomani. Cosa avrebbe pensato mio padre di me? Avrei trovato le parole per dirgli che ero sua figlia? Di certo non ero un tipo troppo timido, ma non sarei stata da sola, ci sarebbero state decine di persone. E se ci fosse stata anche la Regina? Lei… lei che sapeva…
Immaginai che non la prendesse bene, che mi dicesse di sparire per sempre, e che mio padre ridesse voltandomi le spalle mentre il portone si richiudeva sulla mia faccia. Scivolai in un breve sonno tormentato, dove un’immensa rabbia si impadroniva di me e mi portava a distruggere il massiccio portone e uccidere chiunque mi si parasse davanti, per poi arrivare al trono e guardare negli occhi il Re e la Regina, così piccoli e insignificanti al mio cospetto, formiche, ecco cosa sembravano, prima che una zampa deforme e artigliata li calpestasse, mentre un ruggito riecheggiava dalle mie fauci.
Fui svegliata da Feron, che mi guardava con aria preoccupata.
“Stai bene?”
Ero ancora confusa, le emozioni del sogno faticavano a dissiparsi.
“Stavi urlando” mi spiegò con apprensione, asciugandomi con un lembo del lenzuolo il sudore che imperlava la mia fronte.
“Sì… sto bene, scusami se ti ho svegliato”
Mi sollevai in cerca della brocca d’acqua. Quando ebbi bevuto un paio di sorsi, tornai tra le braccia di Feron, stringendolo a me, mentre il battito del suo cuore calmava il mio respiro. Mi abbracciò con dolcezza, accarezzandomi i capelli. Solitamente non avevo bisogno di rassicurazioni, ma quel semplice gesto mi sembrò così necessario e così indispensabile da atterrirmi. Il suo abbraccio aveva davvero tanto potere su di me? E se gli fosse successo qualcosa? Ricordavo ancora bene cosa avevo fatto quando avevo creduto di averlo perso. Avevo di nuovo voglia di fare l’amore con lui, ma stavo perdendo il controllo. Probabilmente lo avevo già perso. Riflettei su quanto mi fossi svelata con lui, quanto gli avessi permesso di entrare a fondo nella mia intimità e quanto fossi stata fragile sotto quelle carezze. Non era solo il mio corpo ad essere nudo, lo era la mia anima, la mia persona, i miei pensieri. Spogliata di tutto ciò in cui avevo creduto fino a quel momento. Non potevo permetterlo. Aveva ragione mia madre, l’amore era un costrutto per sciocchi e illusi, dovevo smettere di affidarmi a quel sentimento.
Lo respinsi gentilmente, lasciando andare quella stretta rassicurante, e gli dissi che volevo restare sola. Sembrò sorpreso, se non sconcertato dalla mia richiesta, ma non disse nulla, si limitò a rivestirsi e andare in camera sua. Sarebbe fuggito anche lui come Deleric? A quel pensiero sentivo uno strano dolore nel petto, come se qualcuno vi avesse infilato la mano e lo stesse stringendo talmente forte da stritolarlo.
 
**************************

“Quella notte, con Morrigan, com’è stata?”
La domanda lo colse alla sprovvista. In una breve pausa in quella lunga mattinata, non avrebbe potuto mai immaginare di dover rievocare un così lontano ricordo, di cui, per altro, aveva evitato di parlare per quasi vent’ anni.
“Come…? Avevi detto che non me lo avresti mai chiesto e che non lo volevi sapere”
Lo sguardo confuso del Re le lacerò l’anima. Perché lo stava torturando così? Perché si stava torturando così? Cosa mai avrebbe cambiato sapere cosa aveva provato con lei? Forse, se gli fosse piaciuto, si sarebbe sentita meno in colpa? Avrebbe giustificato in qualche modo la sua tremenda bugia? Avrebbe segnato un punto su un immaginario tabellone per cui si sarebbero potuti dire pari? No. Era stata lei a convincerlo a farlo, tutto quello che era successo a partire da quella notte era soltanto colpa sua.
Alistair non aveva risposto alla domanda di Lavriella. Né ne aveva poste altre. Restò nel suo silenzio. Finché un pensiero si affacciò nella sua mente. Un pensiero tremendo, che avrebbe voluto cacciare via con tutte le sue forze, ma che ormai era impossibile da mandare via. Glielo aveva chiesto perché forse adesso aveva finalmente pareggiato i conti? Si era sentito in debito con lei per anni per quella notte. Aveva fatto di tutto per farsi perdonare anche se lei non glielo aveva mai fatto pesare, anzi si era sempre scusata per avergli chiesto di fare qualcosa di così sgradevole per lui e lo aveva sempre ringraziato per aver accettato e salvato le loro vite, seppur non avesse mai compreso bene in che modo fosse accaduto. Ma sapeva quanto lo amava e sapeva, come del resto era per lui, quanto fosse terribile il solo pensiero di immaginarlo tra le braccia di un’altra e si erano accordati sul non pensarci e non parlarne mai più. Si era adoperato affinché lei non avesse mai dubbi sul suo amore per lei, sul suo desiderio per l’unica donna che aveva mai voluto nel suo letto e avrebbe sempre scelto per tutta la vita, ma gli impegni dovuti alla Corona e all’Ordine dei Custodi Grigi lo avevano portato a starle spesso lontano, a trascurarla... Cos’era successo mentre era in viaggio con Zevran? No, non poteva dubitare il quel modo della sua Regina, non di nuovo*, anche se in quella occasione non aveva mai dato voce a quei pensieri, che erano sfumati rapidamente.
Eppure non aveva mai dubitato di lei quando erano due semplici Custodi Grigi: l’aveva sempre seguita ovunque e si era affidato a lei per ogni decisione. Ricordò quando aveva visto quella rosa a Lothering e aveva immediatamente pensato a lei. Era ancora la sua bella rosa, delicata ma allo stesso tempo così resistente, così perfetta, sbocciata in un mondo corrotto, tuttavia splendente e rigogliosa. E adesso non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, qualcosa in lei sembrava cambiato, sembrava urlargli che lei non lo amava più, che aveva finalmente ceduto a quell’amore passionale e così intenso che non aveva nessun paragone, consapevole di quanto Zevran anelasse ad ottenerlo. O forse stava semplicemente impazzendo, forse era la corruzione dei Prole Oscura, forse gli incubi delle ultime notti erano davvero il Richiamo.
Tornò a sedersi sul trono, la sua Regina accanto a lui, e le udienze ricominciarono.

****************

Pioveva. Quale novità. Mi recai all’udienza avvolta nella mia pesante mantella col cappuccio. Con mio immenso sollievo, Feron non mi aveva abbandonata, ma accadde comunque qualcosa di inaspettato: Deleric ci stava attendendo all’entrata del palazzo. La mia sorpresa si unì a quella degli altri, tutti iniziarono immediatamente a chiedergli dove fosse finito per tutto quel tempo e lui rispondeva vagamente, ma non sembrava più così arrabbiato, nemmeno nei miei confronti. Mi guardò e mi sorrise, per poi avvicinarsi ed abbracciarmi. Un breve abbraccio, che però mi fece capire che non provava risentimento.
“Come stai?” mi chiese dopo avermi lasciata andare.
“Ero preoccupata per te” mi limitai a rispondere.
“Ti devo delle scuse. Ero quasi al confine con Orlais, quando ho capito quanto stupido fossi stato e sono tornato indietro. Ci ho riflettuto a lungo e ho concluso che ti ho addossato aspettative e illusioni, prendendomela con te quando la realtà non ha corrisposto con la mia fantasia“.
Deglutì, come per mandare giù un boccone amaro. Mi prese leggermente da parte e abbassò la voce.
“Le tue parole mi hanno fatto male, la tua rivelazione è stata scioccante, ma sono stato davvero ingenuo e per nulla indulgente. Ti capisco… E ci tengo a dirti che quello che provo per te non è cambiato. Spero potrai perdonarmi”
“Sono io che ti devo delle scuse. Avrei dovuto farlo”, dissi di getto.
“Cosa?”
“Avrei dovuto salvare tuo fratello. Non importa a quale costo. Avrei dovuto farlo”
Mi ritrovai a trattenere le lacrime.
La sua espressione si addolcì. Mi strinse nuovamente a sé, stavolta più a lungo, come se non si aspettasse le mie parole, ma lo rincuorassero. Ricambiai l’abbraccio. Ero felice che Deleric fosse tornato e che mi avesse perdonata. Mi sentivo, almeno in parte, più leggera.
Presi le sue mani nelle mie.
“Devo dirti un’altra cosa…”
Mi presi un momento, poi gli sussurrai qualcosa all’orecchio. Feron ci guardava in silenzio, incrociai brevemente il suo sguardo e sentii una fitta al cuore. Era triste. Lo avevo confuso, forse deluso. Dovevo parlargli e spiegargli le mie ragioni, che nemmeno io capivo bene. Mi ero sempre proclamata così aperta nel parlare di sentimenti, ma in quel momento non avrei trovato le parole, a breve avrei visto mio padre e mi sentivo sopraffatta. Deleric per un attimo rimase in silenzio. Abbassò lo sguardo e infine annuì. Aveva capito. Lo ringraziai. Sarebbe comunque venuto all’udienza insieme a noi.
Mi avvicinai a Feron e quando stavo per dirgli come stavano le cose, sentii il mio nome. Mi stavano chiamando per entrare nella sala. Era giunto il momento tanto atteso.
Ci chiesero di lasciare le armi all’ingresso e così facemmo. Cosa avrei dovuto aspettarmi? Ogni passo verso la sala del trono mi sembrava più incerto e pesante, ogni mio pensiero era incentrato sulle parole che avrei dovuto usare o sulla possibile reazione del Re. Perché desideravo così tanto che mi accettasse? Non lo sapevo, eppure eccomi lì, in quell’immenso salone illuminato da decine di candelabri e finestroni in cima all’altissimo soffitto. Delle balconate laterali permettevano ai nobili di assistere alle udienze comodamente seduti, mentre i popolani si accalcavano in piedi nelle navate secondarie e vicino al portone. In fondo alla stanza vi era il trono, avvicinandomi lentamente iniziai a distinguere le due figure principali: Il Re e la Regina del Frelden, mio padre e sua moglie.
 

“Il mio nome è Andraste”
Un brusio si diffuse, lo capivo, il mio nome non era affatto usuale.
“Maestà, voi conoscete mia madre, si chiama Morrigan.”
Abbassai il cappuccio, rivelando chiaramente il mio volto e la palese somiglianza con la loro vecchia amica.
 Il Re parve seriamente sorpreso, mentre la Regina mi fissava con gli occhi spalancati.
“Vorrei chiedervi un’udienza privata, qualora fosse possibile…”
Mi prostrai in un goffo inchino.
E così quello era mio padre. Sollevai lo sguardo quel tanto che bastava per guardarlo bene, per la prima volta in vita mia. Non era tanto vicino, ma potevo distinguere bene i suoi lineamenti. Me li ero sempre immaginati più spigolosi, più duri, più segnati dal tempo e dalle preoccupazioni, mentre quel viso invece era gentile, deciso sì ma assai meno spaventoso di quanto avessi mai creduto.
“Non c’è niente che tu non possa dire qui in questa sala” intervenne bruscamente la Regina.
Forse voleva impedirmi di rivelare la mia identità, come potevo biasimarla, in fondo? Eppure mia madre l’aveva descritta come una persona dal cuore d’oro. Ero certa che sapesse chi ero ma mi guardava con disprezzo, o forse non era disprezzo, no… era paura. Era chiaro che non avesse mai trovato il coraggio di parlare a suo marito di me.
Comunque, se conosceva mia madre, avrebbe dovuto sapere che mi avrebbe insegnato a non starmene buona e zitta, indipendentemente dalla presenza altrui. Se voleva che parlassi davanti a tutti, l’avrei accontentata.
Si rese conto infatti quasi immediatamente del suo errore. La vidi mordersi le labbra ma ormai era troppo tardi, il Re aveva annuito alle sue parole quasi automaticamente, quindi non avevo scelta. Evitai di insistere e raccolsi tutto il mio coraggio, ignorando il cuore che mi martellava nel petto.
“Sono qui perché non ho mai conosciuto mio padre”.
La Regina scattò in piedi, posando una mano sulla spalla del marito, non saprei dire se per distoglierlo dal sentire il resto o semplicemente per reggersi in piedi.
“Oh… e tuo padre è a Denerim?” rispose lui, quasi divertito. “Per il Creatore, diamo un premio a quell’uomo che ha avuto il coraggio di fare una figlia con…” si interruppe sul finale della sua battuta, spegnendo l’iniziale sorriso che lo aveva portato a empatizzare col malcapitato caduto sotto le grinfie della bellissima ma insopportabile eretica. Per quanto lei lo avesse sempre insultato dandogli più o meno velatamente del babbeo, era stato capace di fare due più due, ma era troppo turbato per non necessitare di conferme.
Gliele diedi io.
“Mia madre mi ha detto che una notte di 19 anni fa, prima del vostro matrimonio, in seguito a un vostro fugace incontro, sono stata concepita io.”
Il vociare divenne molto più intenso, la gente era sconvolta dopo avermi udito pronunciare quelle parole. Ma la più sconvolta era la Regina che a stento sembrava reggersi in piedi, pallida come un cencio. Il Re sembrava ancora frastornato.
“State dicendo che siete m-mia figlia?”
Si alzò, abbandonando la stretta della moglie, e mi venne lentamente incontro, come per osservarmi da vicino e cercare una qualche somiglianza, ma non sapevo cogliere in quel volto incredulo un segnale di gioia o di rabbia.
“Dov’è tua madre?” Chiese infine con tono pacato, dando adito alla folla di bisbigliare che il Re non aveva in fondo negato di aver passato una notte 19 anni prima con la Strega delle Selve.
Goldanna aveva fatto due rapidi calcoli. Una figlia bastarda, l’unica figlia del Re. La successione dei suoi eredi era in pericolo, doveva assolutamente fare qualcosa.
“La figlia della Strega è venuta a reclamare il trono!” Urlò.
“Dobbiamo catturarla! Vuole uccidere il Re! Vuole usurpare il trono!”
Le sue urla ben presto si unirono ad altre, mentre il panico dilagava tra i nobili e i popolani presenti, creando un coro di ingiurianti e complottisti che avevano già fatto di me un pericoloso nemico, complici le leggende sulle Selve Krokari.
“A MORTE!” Tuonò Goldanna, quasi con la bava alla bocca, sostenuta da altre voci, tanto che le guardie mi si avvicinarono, pronte ad afferrarmi al minimo segnale del Re. E per un attimo anche io pensai che lo avrebbero fatto. Tutto si svolse in pochi istanti: Feron e Deleric accorsero al mio fianco, per quanto fossero sbalorditi dalla mia dichiarazione, mentre anche Gulliack e Altelha si rivolsero al Re in mia difesa, pregandolo di non farmi del male. Solo Sadine, che tra i miei compagni di viaggio era evidentemente la più furba, se ne stava in disparte ad assistere allo spettacolo.
“A morte!” Ripeté il coro.
Avrei dovuto fulminare tutti e scappare senza voltarmi indietro? La rabbia e la paura stavano prendendo il sopravvento su di me, mi sentivo messa alle strette. Sentii una scarica percorrermi l’intero corpo, un’energia pronta ad esplodere, ma che per fortuna si spense quando il coro si interruppe.
“Adesso Basta!” Sentenziò il sovrano. “Fate silenzio! Guardie, tornate immediatamente al vostro posto!” Sembrava furioso. Si rivolse alla voce che aveva dato inizio a quel putiferio. “Come osate voi, sorella, arrogarvi il diritto di richiedere la morte per una giovane ragazza che non ha commesso alcun crimine? Vi consiglio di pensarci bene prima di rifare simili scenate!”
Quello che ancora non sapevo era che fu proprio in seguito alla prima visita a sua sorella che mio padre, grazie alla sua amata Custode, capì che avrebbe dovuto essere più assertivo e deciso, cambiando atteggiamento e lavorando sul suo bisogno di approvazione. Ciò lo aveva reso più sicuro di sé e un Sovrano più volenteroso, cosa che inizialmente nemmeno egli stesso si aspettava, avverso com’era all’idea di salire al trono.
Uditi gli ordini, le guardie immediatamente fecero un passo indietro, così come anche i miei compagni.
“Ma Maestà! La somiglianza è innegabile, è vostra figlia bastarda! E sappiamo bene che i bastardi possono salire al trono facilmente nel Ferelden”.
Stavolta il vociare era contro Goldanna. Aveva rivolto un grave insulto allo stesso Re, che bastardo o meno che fosse, era comunque molto amato dal popolo e dalla sua corte, e che era salito al trono appoggiato e acclamato, dopo aver battuto a duello e giustiziato a ragione il traditore Loghain Mac Tir. Dunque la donna fece in fretta a rendersi conto dell’errore e tentò di correggere il tiro.
“Perdonatemi Maestà, intendevo dire che…” parve riflettere su una scusa plausibile, “Non possiamo essere certi che non voglia farvi del male, e non avendo voi dei figli, si rischierebbe di destabilizzare il Ferelden. Ricordate che anche la moglie di vostro fratello cospirò per uccidervi e usurpare il vostro trono?”
Non era un esempio calzante ma era vero, Anora, nonostante la clemenza di Alistair, dopo aver giurato che non avrebbe mai avuto alcuna pretesa, riuscì ad ordire un piano che per vendicarsi di suo padre, che per poco non portò a termine, anche a rischio di scatenare una guerra civile. Il tutto si concluse con l’esilio di Anora e dei pochi che l’avevano appoggiata. In seguito giunse la notizia che era morta a causa di una forte febbre e qualcuno sospettò che fosse stato il Re ad avvelenarla, ma i sospetti non furono mai supportati da prove e restò soltanto il vile pettegolezzo di qualche sciocco ubriacone.
Hawke, che per tutta la mattina aveva avuto modo di capire come fosse fatta la dolce cognatina di Lavriella, avendola udita ciarlare, spettegolare, criticare tra i denti tutti, sovrani compresi, e, al contrario esaltare costantemente i suoi pargoli, la interruppe, sarcastica. “Che c’è? Paura che vostro figlio non erediti il trono?” In fondo, più guardava Andraste e più le sembrava solo una ragazza innocente e priva di cattive intenzioni, anche se, avendo conosciuto Flemeth, sapeva che l’apparenza poteva ingannarla.
Messa alle strette, Goldanna si apprestò a moderare i toni, per non esporsi ulteriormente.
 “Maestà, indubbiamente non è il caso di decidere di condannare a morte la ragazza in questo momento, ma auspicando che questa faccenda sia chiarita al più presto, nel frattempo suggerisco umilmente di rinchiuderla nella torre.”
Nella torre? Volevano davvero imprigionarmi? O quella donna, la mia cara zia, voleva solo prendere tempo per farmi fuori in un secondo momento?
Guardai negli occhi mio padre, quel padre che stava esitando a rispondere. Ero sconcertata, ma mi prese una mano, il primo vero contatto con lui dopo 18 anni. La mano era calda, un po’ ruvida, ma la stretta era rassicurante, in un modo che non riuscivo a spiegarmi. Stava per trascinarmi di persona in prigione o voleva proteggermi? Sentivo, o forse speravo con tutto il cuore, che non mi avrebbe mai dato in pasto alla folla. Tuttavia non potevo averne ancora la certezza. Fece per parlare, quando una voce intervenne con decisione e fermezza.
 
Non si era sentita così spaventata nemmeno di fronte all’Arcidemone. Si sentiva svenire. Il sostegno di suo marito le venne a mancare dal momento che lui abbandonò il trono per guardare da vicino sua figlia.
 Si sentì per un momento sollevata dalla piega che stavano prendendo gli eventi: nulla sembrava presagire un pericolo imminente, Morrigan non era entrata in scena, e la corte era completamente contro la ragazza. Un’antipatia viscerale per quella giovane si era impossessata di lei, come un tarlo malvagio che le impediva di ragionare lucidamente. Stava forse desiderando davvero che fosse condannata a morte? Fino a che punto il suo egoismo avrebbe spinto le sue decisioni? Certamente non poteva in ogni caso dirsi salva da ripercussioni, perché suo marito avrebbe chiesto spiegazioni e probabilmente l’avrebbe odiata per sempre. Aveva già sbagliato, e tanto. In ogni caso il suo Re l’avrebbe biasimata. Ma quella era la figlia della sua cara amica, un’amica che le aveva salvato la vita, e di suo marito, l’uomo che amava di più al mondo e che di sicuro non si sarebbe mai ripreso da una tragedia simile, se fosse accaduto qualcosa al sangue del suo sangue. E, dopotutto, la ragazza per quanto ne sapeva era innocente, non aveva chiesto lei di venire al mondo, la responsabilità era soltanto sua. Per fortuna quel sollievo malevolo durò per un frangente molto breve. Sentì che doveva intervenire, non era nella sua natura restare a guardare davanti alle ingiustizie, o, peggio, avallarle. Lei non era così. Non era quella la donna di cui Alistair era innamorato.
“No! Nessuno rinchiuderà quella ragazza.”
La Regina aveva ripreso il suo colorito e non tremava più. Adesso parlava in modo perentorio, non tollerando più nessuna interruzione. Del resto, quando alle udienze parlava la Regina, non tanto spesso, in realtà, tutti pendevano dalle sue labbra e persino il Re non poteva fare a meno di appoggiare qualunque sua decisione.
“Lasciatela stare, la ragazza non ha fatto nulla di tanto grave. E che sia o meno la figlia del Re non ha nessuna importanza. Non è e non sarà comunque l’erede al trono. Sua maestà ha un altro figlio, un figlio legittimo. Sono incinta.”


*Riferimento alla FF di approfondimento "Quella volta che ho creduto di poterti dimenticare ma sono tornato da te"
  
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