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Autore: pampa98    15/03/2023    3 recensioni
[Questa storia partecipa alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” – aggiornamenti ogni 15 del mese]
What-if? 1x10 ~ Aegon/Jace, Aemond/Luke.
Quando Jace si presenta al cospetto di Borros Baratheon per ricordargli il giuramento fatto a sua madre, Aemond decide di sottrarre ai Neri ciò che hanno di più prezioso: il loro erede. Jace diventa prigioniero nella Fortezza Rossa, dove i Verdi sentono di avere la vittoria in pugno – purché lui accetti di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, che, da parte sua, è più propenso a rivedere in lui l’amico di infanzia che non il figlio della sua nemica.
La vicinanza forzata tra Aegon e Jace riuscirà a ricucire il loro rapporto? E che conseguenze avrà per il futuro del regno?
(Warning: Character death)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Aemond Targaryen, Jacaerys Velaryon, Lucerys Velaryon
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
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Prologo



 

Le nubi si addensavano intorno a lui e il rombo del vento minacciava una tempesta imminente. Jace non ne fu sorpreso: era anche a causa del tempo implacabile che colpiva le Terre della Tempesta che sua madre aveva scelto lui per conferire con Lord Borros, inviando invece suo fratello al più mite Nido dell’Aquila. 

Vermax si fece strada tra le nuvole senza difficoltà e la maestosità della torre centrale di Capo Tempesta, che si ergeva in alto come un grande pugno pronto a combattere le intemperie, gli permise di individuare facilmente la sua destinazione. Atterrò al centro del cortile antistante il cuore del castello, dove una mezza dozzina di guardie presidiava l’ingresso. Jace smontò dalla sella e accarezzò il dorso di Vermax, complimentandosi con lui per il volo compiuto prima di dirigersi verso gli uomini che erano rimasti immobili, in attesa.

Jace stava per presentarsi, quando udì un ruggito alle sue spalle. Era troppo profondo e distante perché provenisse da Vermax, ma non gli venne in mente nessun altro tipo di creatura in grado di emettere quel suono. 

Ma se apparteneva a un drago che non era partito insieme a lui da Roccia del Drago…

Il suo cuore perse un battito quando scorse il gigantesco profilo di Vhagar oltre le alte mura che circondavano il castello. Deglutì a vuoto, intimando al suo corpo di non tremare. Se la bestia centenaria era lì, il suo cavaliere non poteva essere lontano – anzi, probabilmente in quel momento si trovava alla presenza di Borros Baratheon e stava cercando di dirigere la sua lealtà verso i Verdi. 

Jace strinse le dita attorno alla pergamena che sua madre gli aveva consegnato e tornò a puntare gli occhi verso le guardie. 

«Sono il principe Jacaerys Velaryon» disse, fissandoli con il mento alzato – non avrebbe permesso che la minaccia di suo zio lo intimidisse. «Ho un messaggio per Lord Borros da parte della regina.»

Gli uomini annuirono e gli fecero cenno di seguirlo all’interno. 

Percorse un lungo corridoio affiancato dalle guardie fino a giungere davanti a una grande porta che conduceva nella Sala Circolare, un’ampia area spoglia se non per il trono di pietra che campeggiava sul lato opposto della stanza. Lord Borros lo fissava da là con un’espressione che Jace non riuscì a decifrare – ma che tuttavia non percepì come amichevole. Accanto a lui c’erano tre delle sue figlie e un ristretto numero di lord, probabilmente i suoi consiglieri. Ciò che più catturò la sua attenzione, però, fu la chioma bionda che ondeggiò alla sua sinistra mentre Aemond Targaryen distoglieva lo sguardo dalla sua interlocutrice per puntarlo dritto su di lui. 

Jace lo guardò solo per un secondo, poi tornò a concentrarsi sul motivo della sua visita. 

«Lord Borros» salutò l’uomo, che non aveva nemmeno accennato ad alzarsi in piedi per accoglierlo nella sua casa. «Sono latore di un messaggio da parte della regina Rhaenyra.»

Lord Borros inarcò un sopracciglio. 

«Oggi ho già ricevuto un emissario inviato dal re» rispose. Jace strinse le labbra, mentre i suoi occhi si spostarono d’istinto su Aemond. «E dunque? Re o regina?» incalzò, e il divertimento che avvertì nella sua voce gli fece serrare i pugni. «La dinastia del drago sembra non sapere chi la governa.» 

Borros rise come se quella situazione fosse un gioco, uno scherzo tra fratelli, e non un oltraggio – a sua madre, al defunto re Viserys – punibile con la morte. 

«Qual è il messaggio di tua madre?» chiese poi. Sembrava infastidito, ma il fatto che non lo stesse cacciando e gli concedesse il permesso di esporre la sua richiesta, rappresentava comunque una possibilità che Jace non intendeva lasciarsi sfuggire.

Porse la pergamena alla guardia alla sua sinistra, che prontamente la prese e la consegnò al suo signore. Il suo sguardo vagò di nuovo verso Aemond senza che potesse controllarlo – e avvertì un moto di rabbia crescere dentro di sé di fronte alla sua espressione compiaciuta. Credeva davvero di essere riuscito a comprare la lealtà dei Baratheon? Che non avessero onore e avrebbero liquidato il giuramento fatto a sua madre come si fa con un moscerino?

Borros chiamò il maestro perché gli riferisse il contenuto del messaggio. Jace osservò la sua reazione mentre l’uomo parlava, e ciò che vide non fu di buon auspicio: il volto del Lord di Capo Tempesta si faceva più livido e incredulo a ogni parola.

«Rammentare a me il giuramento di mio padre?» sibilò, stringendo le mani sui braccioli del trono. «Re Aegon mi ha fatto un’offerta: le mie spade e i miei vessilli per un patto di matrimonio. Se io facessi quello che tua madre mi chiede» aggiunse con il divertimento di poc’anzi, spostando lo sguardo sulle tre donne in piedi accanto a lui, «tu quale delle mie figlie sposeresti, ragazzo?»

Jace non sapeva per cosa sentirsi più offeso: se l’indignazione di Borros di fronte alla semplice richiesta di sua madre, la consapevolezza che i Verdi erano davvero riusciti a comprarlo o l’essere stato chiamato “ragazzo”, con un tono che lo faceva suonare come “bambino”. 

«Se sposerai una delle mie ragazze, potrei rivedere gli accordi presi in precedenza» disse, lanciando un’occhiata ad Aemond che il ragazzo non apprezzò, esattamente come Jace. 

Quell’uomo non ha un briciolo di onore, realizzò con amarezza. Era pronto a cambiare alleanze come cambia il vento. La variabilità del tempo in quelle zone probabilmente influiva anche sulla fermezza di spirito dei suoi abitanti. 

Tuttavia, esprimere quei pensieri ad alta voce sarebbe stato controproducente, così decise di limitarsi a rispondere alla sua domanda, per il momento.

«Mio signore, non sono libero di sposarmi» disse. «Sono già stato promesso a mia cugina Baela Targaryen.»

Il volto di Borros divenne di pietra. «E dunque sei venuto a mani vuote» concluse. 

«Avevate già giurato, non era necessario…» 

Ma Borros non lo ascoltò.

«Tornatene a casa, ragazzetto. E di’ a tua madre che il lord di Capo Tempesta non è un cane da chiamare quando ha bisogno che si lanci contro i suoi nemici.»

Jace strinse i pugni. Con la coda dell’occhio notò il sorrisetto divertito di Aemond e desiderò poterglielo strappare dalla faccia all’istante. 

“Andrete come messaggeri, non come guerrieri.”

«Le riferirò la vostra risposta, mio signore» disse. 

Si voltò per tornare da Vermax, ma l’oltraggio appena subito lo costrinse a dire un’ultima cosa. 

«E la informerò anche che il lord di Capo Tempesta svende il suo onore come se fosse un abito logoro. Non averlo come alleato sarà una benedizione per lei.»

«Come osi!» urlò l’uomo, scattando in piedi.

Era pronto alla rabbia di Borros, ma non alle sei lame puntate contro il suo volto. Portò d’istinto la mano all’elsa della spada, gesto che fece solo stringere la morsa attorno a lui.

«Sono venuto come messaggero» ricordò loro, pregando dentro di sé che abbassassero le spade e lo lasciassero andare. Non aveva detto niente che non fosse la verità – ma lui non era Daemon e avrebbe dovuto mordersi la lingua prima di insultare un lord nella sua stessa casa. 

«E questo sarebbe un buon motivo per rivolgerti a me in quel modo?» sbraitò Borros. «Cosa ne sai tu di onore, di giuramenti? Governo queste terre da prima che tu iniziassi a gattonare! So come tenere alto il nome della mia casata e far prosperare le mie terre. Forse tua madre avrebbe dovuto istruirti meglio prima di mandarti a conferire con gli adulti!»

Jace deglutì a vuoto. Spostò lo sguardo verso Aemond, che lo stava osservando in silenzio con un’espressione che non riuscì a decifrare. 

«Dovrei farti mozzare la lingua per il tuo affronto» decretò Borros, guardandolo con disprezzo dall’alto in basso.

Jace tremò. «Mio signore…» 

«È il nipote del re, mio lord» disse Aemond, avanzando verso di lui. «Fareste un affronto ancora più grave alla famiglia reale, versando il suo sangue.»

Borros strinse i pugni. Jace spostò lo sguardo tra i due, dubbioso. Aemond lo stava aiutando? Era ciò che sembrava, ma aveva imparato a non fidarsi di lui e di certo non aveva intenzione di essergli debitore della sua vita. 

Si sarebbe tolto da quella situazione ricorrendo alle sue sole forze.

«Mio signore» disse, raddrizzando le spalle. «Ho parlato a sproposito e non ne avevo il diritto. Vi chiedo perdono.»

Le guardie spostarono lo sguardo verso il loro signore, in attesa della sua sentenza. Borros lo fissò, riuscendo a stento a tenere a freno la rabbia.

Se avesse mantenuto la parola data, non saremmo in questa situazione, pensò Jace, ma stavolta ebbe il buonsenso di tacere. 

«Se non sapete cosa farvene di lui» intervenne ancora Aemond, «lasciate che me ne occupi io.»

Jace lo fissò con gli occhi sgranati. Aveva appena detto che sarebbe stato un affronto versare il suo sangue, ucciderlo sarebbe stata una vera follia. Doveva sapere che la sua morte avrebbe scatenato l’ira di Rhaenyra e Daemon contro di lui e tutta la sua famiglia.

Fortunamente, questa volta Borros si schierò dalla sua parte.

«Mio principe, la morte mi sembra una punizione eccessiva» disse, guardandolo con un rispetto che a Jace non aveva mai riservato – e Aemond aveva solo un anno in più del “ragazzetto”. 

«Non intendo ucciderlo» rispose suo zio. Sembrava sorpreso che una simile idea gli avesse anche solo sfiorato la mente. «Tuttavia, Jacaerys Strong rappresenta un’evidente minaccia per il benessere del regno.»

Jace si morse la lingua per impedirsi di aggredirlo per il modo in cui lo aveva chiamato – e avvertì una morsa stringergli il cuore, come ogni volta in cui doveva rinnegare il nome di un uomo che aveva amato e che, nonostante tutto, era orgoglioso di avere avuto come padre. 

«Lo condurrò con me al cospetto di re Aegon. Sarà lui a decidere la punizione più adatta da infliggere all’usurpatore» concluse Aemond.

«Tuo fratello è l’usurpatore» sibilò Jace tra i denti, ma non abbastanza piano perché Aemond non lo sentisse.

Il suo occhio brillò nella penombra della stanza. «Ah, sì? Eppure siede sul Trono di Spade e indossa la corona del Conquistatore. È più re lui di tua madre. O di te.» 

Jace strinse i pugni. 

Aegon non era un re. Aegon non voleva nemmeno essere un re – almeno, quello era ciò che gli aveva detto, l’ultima volta che si erano parlati con affetto. Ma il loro recente incontro gli aveva dimostrato che il ricordo del suo amico d’infanzia non combaciava con l’immagine dell’uomo che era diventato e, fin dal suo ritorno a casa, Jace si era chiesto se la sua memoria di bambino non gli avesse creato nella mente un ritratto più lusinghiero di Aegon, edulcorando i suoi difetti e amplificando i suoi pregi.

«Posso chiedere alle vostre guardie di scortare mio nipote fuori dalle mura?» disse Aemond, riscuotendolo dai suoi pensieri. I soldati intorno a lui avevano abbassato le loro lame, ma non aveva abbastanza spazio per fuggire prima che le puntassero di nuovo contro il suo corpo. «A meno che lui non decida di collaborare e seguirmi spontaneamente da Vhagar.»

Jace strinse le labbra. Avrebbe voluto urlargli che non sarebbe mai andato insieme a lui in quel covo di vipere che era diventato Approdo del Re, ma bastò quell’ultima parola per mettere a tacere la sua combattività.

Vhagar

Se anche fosse riuscito a lasciare quella sala indenne e raggiungere Vermax, come avrebbe fatto a sfuggire a quella bestia? Il drago di Aemond era tre volte più grande del suo, più esperto nel combattimento e più abile nel volare in climi avversi. Vermax non avrebbe avuto speranze contro di lui. Esattamente come Jace non avrebbe potuto battere Aemond se si fossero trovati spada contro spada. Ricordava bene l’abilità dimostrata contro Ser Criston, l’ammirazione che lui aveva provato nel credere che quello fosse Aegon e l’angoscia nel rendersi conto che si trattava del ragazzo che aveva deriso fino al giorno in cui suo fratello gli aveva cavato un occhio.

Da qualunque punto di vista la guardasse, quella situazione poteva risolversi solamente in due modi – e solo uno di questi lo avrebbe tenuto in vita, offrendogli forse l’occasione di evitare l’inizio di una guerra fatta di fuoco e sangue.

Portò le mani attorno alla vita e slacciò la spada dalla cintura. Il tintinnio dell’acciaio sul pavimento annunciò la sua resa.

   
 
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