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Autore: Milly_Sunshine    15/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PROPOSTA DI COLLABORAZIONE

Dalla finestra filtrava una luce fioca. C'era un lampione proprio là davanti, sulla strada altrimenti buia che arrivava fino alle ultime case isolate. Erano soli, isolati dal resto del mondo, ma a Giuseppe venne un terribile sospetto: era stata una bella serata, ma doveva essere ormai ora di mettervi fine. Scattò ad accendere la luce e, guardando la sveglia, esclamò: «Oh, cazzo, è tardissimo!»
Distesa accanto a lui, completamente nuda, Giovanna sobbalzò.
«Che ore sono?»
«Le undici e quaranta.»
«Merda.»
Erano entrambi adulti, e non da poco, ma sapevano di dovere rendere conto ad altri di quello che facevano. Non c'era da stupirsi che Giovanna si fosse lasciata andare a un'espressione che di rado trovava spazio sulla sua bocca.
A Giuseppe venne da sorridere.
«Da quando le donne educate come te dicono queste parole?»
«Non prendermi in giro» gli intimò Giovanna. «Sai benissimo che non possiamo fare quello che vogliamo.» Si alzò e iniziò a raccattare i propri indumenti sparsi sul pavimento. «Fatti venire in mente una scusa valida per spiegare dov'eravamo fino a questo momento.»
«Al lavoro.»
«È una scusa che puoi usare tu.»
«Stavamo cenando con i colleghi. Non ci siamo accorti che era così tardi, quindi non abbiamo avvisato.»
Giovanna parve accettare quella versione dei fatti, o almeno non contestò, mentre si rivestiva. Si stava già infilando la sottoveste e trafficava con le calze. Giuseppe si perse a contemplarla, mentre un pensiero che avrebbe fatto meglio a evitare gli si affacciava alla mente.
«Dovremmo stare insieme alla luce del sole.»
Giovanna si girò di scatto la guardarlo.
«Che razza di idea è questa?! E comunque faresti meglio a rimetterti le mutande, prima di pensare alla luce del sole.»
Giuseppe obbedì, ma la mezza proposta che le aveva appena esposto lo allettava come non mai.
«Siamo adulti e siamo entrambi liberi.»
«Io sono sempre stata libera, mentre tu avevi una moglie.»
«Infatti sono rimasto accanto a mia moglie fino al suo ultimo giorno» chiarì Giuseppe. «Però io sono ancora vivo e voglio stare con te. È giusto che tutti lo sappiano.»
«Non adesso.»
«È per quel bastardo che ha tentato di ucciderti, vero?»
Giovanna finì di tirarsi su le calze, mentre Giuseppe si infilava i pantaloni.
«È stato scarcerato.»
«Come lo sai?»
«Mi ha avvertita mia sorella.»
«Hai paura che ti trovi?»
«Spero non mi stia cercando, non sa dove sono. E comunque non c'entra niente con noi due. È che tutti penserebbero che io e te stavamo già insieme anche prima.»
«E ti interessa così tanto quello che dice la gente?»
Giovanna puntualizzò: «Siamo sempre stati così attenti, sarebbe ridicolo mandare tutto all'aria. Prima o poi succederà, tutti lo sapranno, ma non adesso. Lasciamo passare un po' di tempo, poi inizieremo a frequentarci in pubblico, inizialmente in amicizia, per far credere che tra noi stia nascendo qualcosa.»
Finirono di rivestirsi in silenzio. Giuseppe non contestò le parole di Giovanna: avevano molto senso. Erano stati amanti, in passato, e subito dopo la perdita della moglie Giuseppe era tornato tra le sue braccia senza esitare. Naturalmente non era opportuno che la verità venisse alla luce. Sarebbe stato molto più sensato, dato che fino a quel momento si erano sempre spacciati per semplici conoscenti, far credere di essersi avvicinati soltanto in un secondo momento. Giovanna aveva ragione, l'unica possibilità di uscire allo scoperto, un giorno, era non lasciare intendere di essersi nascosti fino a quel momento. Avrebbero dovuto recitare una parte, ma non sarebbe stato pesante tanto quanto dovere nascondere ogni singolo aspetto della loro relazione.
Solo mentre uscivano dalla stanza, Giovanna riprese a parlare: «Mi dispiace, davvero. So che vorresti qualcosa di più da me.»
Giuseppe scosse la testa.
«No, a me basta quello che c'è tra di noi adesso. Ho sempre saputo che sarebbe stato difficile... e non certo per causa tua.»
Giovanna sorrise.
«Non dire assurdità. In confronto a quello che ho fatto io...»
Giuseppe la interruppe: «Smettila di darti delle colpe che non hai. Quell'uomo ti ha fatto del male, ha cercato di ammazzarti e per nasconderti da lui hai dovuto cambiare città e prendere il cognome di tua madre.»
«Lo so, non è colpa mia» ammise Giovanna, «Ma sono stata io a non accorgermi di chi era davvero finché non è stato troppo tardi. Ho rischiato di mettere in pericolo anche altre persone, addirittura mia madre ha mollato tutto per seguirmi e non lasciarmi da sola. Ho rischiato di morire una volta e potrebbe accadere di nuovo. Non so che agganci abbia, non so se qualcuno mi stia tenendo d'occhio. Magari, mentre penso di essermene liberata, Alfredo sa perfettamente dove sono. La verità è che ho paura, una paura atroce. Non sono da sola. Ho paura anche per loro... e per te.»
Giuseppe non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto baciarla, ma non era solito a slanci di affetto. Tra loro non c'erano grandi contatti, a parte quelli di natura erotica. Si limitò a guardarla negli occhi, cercando di rassicurarla.
«Non ti troverà.»
«E se dovesse accadere?»
«Sei sempre stata più forte di lui.»
«È stata solo fortuna.» Giovanna si girò, sfuggendo al suo sguardo. Giuseppe si aspettava che cambiasse argomento e infatti fu quello che successe. «Andiamo. Devi andare a prendere Enrico. Potrebbe insospettirsi.»
«Ma no, figurati. Ha solo dodici anni, non è così malizioso.»
«I ragazzini sono tutti maliziosi.»
«Su quello che li riguarda da vicino. Figurati se Enrico ha dei sospetti su noi due!»
Quell'idea lo divertiva e, per fortuna, fu sufficiente per allentare la tensione. Giuseppe e Giovanna riuscirono a vivere qualche istante di serenità, nella speranza che potesse durare. Uscirono e salirono in macchina. Giuseppe fece ciò che doveva fare e appena dieci minuti più tardi rincasò insieme al figlio.
Enrico era abituato a quegli orari, ma Giuseppe gli ricordò che l'indomani era un giorno di scuola e che doveva subito prepararsi per andare a letto. Il ragazzino fece ciò che gli aveva ordinato e, come solito, non fece domande. Sembrava chiuso in un mondo tutto suo e Giuseppe non avrebbe saputo dire se fosse un bene o un male. Ogni tanto si chiedeva se ci fosse da preoccuparsi, se Enrico stesse reagendo in maniera normale alla prematura scomparsa della madre. Si domandava se lo stesse trascurando troppo, se suo figlio avesse bisogno di qualcosa che non gli stava dando.
Non riuscì a darsi risposta, ma dentro di lui continuò a crescere il sospetto che non fosse Enrico quello che viveva sospeso tra passato e presente. Giuseppe si sentiva colpevole, sia per non avere amato abbastanza la defunta moglie - non abbastanza per esserle sempre fedele quando ancora era in vita, almeno - sia per non essere certo di potere amare sinceramente almeno colei che in passato era stata la sua amante. A volte arrivava a chiedersi come avesse fatto a commettere così tanti errori, salvo poi, soltanto alla fine, rendersi conto che Giovanna non era mai stata un errore. 

Rivedere Olimpia non fu un'impresa semplice per Enrico. Gli capitò diverse volte di recarsi al bar e non trovarla e preferì non chiedere né a suo padre né a sua madre quali fossero i suoi orari, in quei giorni. L'incontro avvenne una sera tardi, a quasi due settimane di distanza dalla prima volta. Olimpia aveva già finito di lavare i pavimenti e stava per chiudere, quando Enrico entrò, temendo di essere cacciato.
«Scusa» esordì. «Non ce l'ho fatta ad arrivare prima.»
Olimpia non parve troppo dispiaciuta della sua presenza.
«Come sta andando il lavoro?»
«Bene, grazie.»
Olimpia ridacchiò.
«L'hai già incontrato, Occhi Viola?»
Enrico annuì.
«È tornato sabato scorso. Ci siamo incrociati all'albergo e non siamo riusciti a evitarci.»
Olimpia lo invitò a sedersi, facendo lo stesso.
«Voglio sapere tutto... anche se, ovviamente, l'altra volta abbiamo detto un sacco di cazzate. Non voglio che mi programmi un incontro con Occhi Viola, sia chiaro. Si dicono tante cose assurde e...»
Prendendo posto al tavolo, Enrico la interruppe: «Non abbiamo detto niente di assurdo. Comunque, lasciami spiegare. Come ti ho già detto, io e Vincenzo non avevamo più contatti da quando è capitata la storia di mio padre. Io non ho più cercato lui e Vincenzo non ha più cercato me. Prima, di tanto in tanto, continuavamo a sentirci, dopo ho voluto allontanarmi totalmente dalla famiglia Gottardi. Vincenzo deve avere preso una decisione simile. Non abbiamo parlato di questo. Non abbiamo quasi parlato, in generale. Mi ha detto solo che era contento che Carletti mi avesse assunto e anche che io, inizialmente, avessi preso in considerazione di lavorare per loro invece di rifiutare subito. Non sarebbe successo altro, se non ci avessi pensato io. Ovviamente non volevo dare nell'occhio. Qualche giorno fa ho avuto con lui quella che potrei definire una conversazione quasi normale. Non ha mai sospettato che avessi un secondo fine, ne sono sicuro.»
Olimpia aggrottò le sopracciglia.
«Un secondo fine, dici. Quale secondo fine?»
Enrico chiarì: «Non dicevo per dire, l'altra volta. Vorrei davvero che tu cercassi di avvicinarti a Vincenzo. Non sa che ci siamo rivisti e, a meno che tu non l'abbia raccontato in giro, nessun altro lo sa. Sa che ci conosciamo e che un tempo eravamo amici, ma sono stato lontano per tanti anni e sicuramente penserà che non siamo rimasti in contatto.»
«È proprio così» gli ricordò Olimpia. «Non eravamo in contatto.»
A Enrico non sfuggì il tono di rimprovero della sua voce, ma non era andato da lei per fare polemica a proposito del fatto di essere letteralmente sparito nel nulla. Puntualizzò, quindi: «È proprio questo che dobbiamo sfruttare a nostro vantaggio.»
Olimpia gli parve un po' riluttante, quando gli chiese: «Cosa devo fare?»
«Al sabato e alla domenica, l'albergo fa anche servizio ristorante, sia a pranzo sia a cena» le spiegò Enrico. «Dal mercoledì al venerdì è aperto solo alla sera, al grande pubblico. Gli altri giorni il servizio è riservato solo a chi ha una camera in affitto. In quei giorni, a meno che non ci siano grosse comitive - professionisti che vengono in città per dei convegni, o roba del genere - Vincenzo passa all'albergo soltanto alla sera.»
Olimpia non trovò molto illuminante quel racconto.
«E quindi? Perché sapere tutto ciò dovrebbe essermi utile in qualche modo?»
«Lasciami finire.»
«Oh, forse ho capito. Sai per caso dove va gli altri giorni?»
«Non te lo so dire con esattezza, ma in tarda mattinata va spesso a fare jogging nel parco della zona fiera ovest.»
«Oh, no!»
Quell'esclamazione contrariata sorprese Enrico, che immediatamente le domandò: «Qualcosa ti turba?»
«Al momento non ancora» ribatté Olimpia, «Ma so cosa stai per chiedermi. Vuoi che ci vada anch'io, che mi spacci per un'appassionata della corsa e che mi avvicini in qualche modo. Non se ne parla. Dopo pochi metri avrei già il fiatone.»
«Non sei obbligata a correre davvero» precisò Enrico. «Quello che conta è che tu sia credibile in quel ruolo, che Vincenzo non sospetti che stai appostata là solo per lui. Pensi di potercela fare?»
«Non mi piace questa idea.»
«Però ti piacciono gli occhi viola di Vincenzo.»
Olimpia ridacchiò.
«Quando ti fa comodo, ammetti che ha gli occhi viola?»
«Vincenzo non ha gli occhi viola, me ne sono accertato in questi giorni» rispose Enrico, «E comunque questo non ha importanza. Te la senti di fare quello che avevamo progettato?»
«Sì.»
Enrico rise.
«Non so mai cosa pensare, con te. Prima sembra che tu voglia tirarti indietro, poi all'improvviso accetti... sei difficile da capire, sai?»
«Non voglio essere capita» replicò Olimpia. «Sono solo stanca di sentire gente che parla di politica e di calcio, come dici tu,  oppure di pettegolezzi. Non fraintendermi, non ho niente contro i miei clienti, ma le loro chiacchiere rischiano spesso di diventare la mia più grande emozione. Ho voglia di fare nuove esperienze, se così si può dire.»
«E la tua "nuova esperienza" sarebbe avvicinare Vincenzo Gottardi?»
«Io non sono come te, che sei stato ovunque e hai conosciuto un sacco di gente. Per me parlare con Occhi Viola sarebbe già un buon modo per spezzare la monotonia.» Dopo una lieve esitazione, Olimpia gli scoccò un'occhiata di fuoco. «Posso immaginare che tu voglia chiedermi perché non ho mai fatto niente per cambiare le cose, dando per scontato che il tuo modo di vivere sia stato migliore del mio. Ammetto che non so cos'avrei fatto, se io e i miei genitori non avessimo avuto il bar. Però ce l'abbiamo e mi sono adattata alla vita che sembrava già scritta per me.»
Enrico obiettò: «Veramente non ho detto niente. Non giudico quello che hai fatto tu solo perché io, a un certo punto, me ne sono andato. Ciascuno fa le proprie scelte e a volte non sono scelte. Non c'è per forza qualcosa di giusto o di sbagliato. Se "Occhi Viola" è la svolta che vuoi per te, allora non posso fare altro che esserne felice, perché le tue esigenze vengono incontro alle mie. Almeno non dovrò darti niente in cambio.»
«Non ho mai preteso qualcosa.»
«Lo so, ma è sempre meglio essere chiari. Te lo ripeto, per me è qualcosa di molto importante.»
Olimpia annuì.
«Sì, me l'hai detto, e spero di poterti aiutare. Non sono sicura, però, di potere davvero ottenere qualcosa. E se Occhi Viola non sapesse niente?»
Enrico non voleva nemmeno prendere in considerazione quella possibilità.
«Vincenzo è il figlio di Roberto Gottardi, deve per forza sapere.»
Olimpia replicò: «Non sempre essere figli di qualcuno basta. Tu, per esempio, sei sicuro di conoscere tutta la verità su tuo padre? Non sulla sua vita di oggi, su quello che faceva esattamente quando abitava ancora qui.»
Enrico si irrigidì.
«Mi stai dicendo che mio padre potrebbe essere colpevole di ciò di cui lo accusano?»
«Non voglio entrare nel merito delle presunte accuse nei suoi confronti, ma comunque da qualcosa devono essere nate.»
«Quindi per te la possibilità che Gottardi volesse incastrarlo o sbarazzarsi di lui non esiste?»
«Non hai capito. O tuo padre ha commesso degli illeciti, oppure Roberto Gottardi ha fatto credere che fosse andata così. Le chiacchiere non sono nate dal nulla: o ha fatto qualcosa di male, oppure qualcuno ha voluto che lo si credesse.»
«Non è proprio la stessa cosa.»
Olimpia sospirò.
«Continui a non capire. Quello che voglio dire è semplicemente che i pettegolezzi non nascono dal nulla: o hanno un fondamento, oppure qualcuno ha fatto in modo che nascessero quegli specifici pettegolezzi. Nel caso delle ragioni che hanno portato al suo licenziamento è plausibile che ci sia dietro qualcuno. Non vedo, però, perché i pettegolezzi su una sua presunta relazione con una donna che sarebbe andata via con lui dovrebbero essere stati inventati. Se dovessi spargere ad arte delle voci per diffamare qualcuno, direi qualcosa di diffamante. Non ci sarebbe nulla di scandaloso se tuo padre si fosse messo insieme a quella fantomatica donna.»
Enrico comprese il suo ragionamento.
«Essenzialmente pensi che, se si parla del fatto che mio padre abbia una compagna, allora debba esserci qualcosa di vero. E che, di conseguenza, me l'abbia tenuto nascosto.»
«Non solo a te» puntualizzò Olimpia, «Ma non era questo il senso del mio discorso. Volevo solo dire che non possiamo essere sicuri di conoscere al cento per cento i nostri familiari. Proprio come a noi capita di mentire ai nostri genitori, i nostri genitori mentono a noi. Tu potresti non sapere nulla della vita privata di tuo padre e Occhi Viola potrebbe non sapere tutto sulle questioni di lavoro di Roberto Gottardi.»
«Non è detto che sia un successo, ti ho chiesto di provare a trovare delle risposte, non che devi inventartele per forza se non ci sono» mise in chiaro Enrico. «In ogni caso, venendo a mio padre, perché avrebbe dovuto nascondere una relazione? È molto più probabile che questa relazione non ci sia, o che sia qualcosa di poco importante, di conseguenza che nessuna donna sia partita insieme a lui.»
«Non è detto che sia partita insieme a lui, potrebbe averlo raggiunto in un secondo momento. Oppure potrebbe essere stato tuo padre a raggiungere lei.»
«Stai lavorando di fantasia.»
«Forse. Però l'altra sera, in seconda serata, ho visto un programma in cui parlavano di cronaca. Uno degli argomenti è stato l'omicidio di Alfredo Vitale. Hai mai sentito parlare di lui? Intendo, non al telegiornale o sui quotidiani.»
«No.»
Solo troppo tardi si rese conto di avere mentito, ma Olimpia non sospettò di nulla.
«Pensa, quel tale è rimasto sepolto per così tanti anni, mentre tutti erano convinti che se ne fosse andato e avesse fatto perdere le proprie tracce. Nessuno sembrava cercarlo davvero... certo, era un delinquente e aveva tentato di uccidere una sua ex fidanzata giovanile, ma è comunque molto triste essere ammazzato e sapere che a nessuno importa un cazzo.»
«Dopo che l'hanno ammazzato era morto» ribatté Enrico, «E non sapeva che a nessuno importasse di lui.»
«Dai, non fare il pignolo, hai capito cosa intendo. Comunque, davvero non ne sai niente di questa donna?»
«No, non ne so niente, te lo ripeto. Se hai sentito qualcuno che ne parlava, perché non gli chiedi chiarimenti? Magari sa anche darti un nome.»
Olimpia lo informò: «L'ho già fatto. Purtroppo quel tizio non sapeva granché. Pare che una sua parente gliene avesse parlato, in passato, ma non gli ha detto chi fosse questa donna. Se quel Vitale aveva cercato di ammazzarla, in passato, può darsi che tenesse un profilo basso proprio per evitare problemi.»
Enrico suggerì: «Quel tale potrebbe chiedere alla sua parente se ne sa qualcosa di più.»
Olimpia scosse la testa.
«Gliel'avevo proposto anch'io, ma è troppo tardi. Ha avuto un infarto un anno e mezzo fa. È morta sul colpo. Aveva solo settantadue anni ed era in perfetta salute, fino a quel momento. Era astemia, non fumava, non...»
Enrico la interruppe: «Non mi interessa se la buonanima fumasse. Non c'è più niente che possiamo scoprire, ormai.»
«Quindi ti stai convincendo che ci sia qualcosa da scoprire» osservò Olimpia. «È la prima volta che ti sento ammettere che forse questa donna potrebbe esistere.»
«Non ho detto questo» mise in chiaro Enrico, cercando di non svelarsi troppo. «Non penso che mio padre mi abbia tenuto nascosto qualcosa di così importante come una relazione o addirittura una specie di fuga d'amore con una donna. Però, se si fa il nome di questo Alfredo Vitale, ci deve essere una ragione, come hai detto tu. Vista la... mhm... storia personale turbolenta, se così si può dire, di questo individuo, mi incuriosisce che si parli di lui e di mio padre nella stessa frase. Vorrei saperne di più, ma non ho mezzo di mettermi in contatto con mio padre. Non ha nemmeno il mio attuale numero di telefono, anche se sa che sono tornato e in un modo o nell'altro potrebbe procurarselo. Dovrei aspettare comunque una sua chiamata e non penso mi darebbe spiegazioni.»
«Ti aiuterò» gli propose Olimpia. «Farò altre domande, tanto i clienti non ci fanno caso. Anzi, impazziscono dal desiderio di impicciarsi nei fatti degli altri, ne saranno felici.»
«Mi stai proponendo una collaborazione segreta?»
«Proprio così. E, secondo me, sarebbe meglio smettere di incontrarci al bar. Se mi lasci il tuo numero e il tuo indirizzo di casa, possiamo organizzarci meglio... e no, non devi spaventarti, non ci voglio provare con te.» Olimpia rise. «Dopotutto potrei puntare a Occhi Viola!»
Ancora una volta, Enrico ritenne saggio non parlarle dell'esistenza di una fidanzata con la quale Vicenzo Gottardi si sarebbe sposato entro pochi mesi. Non sapeva come l'avrebbe presa Olimpia e non voleva che lo scoprisse prima del tempo.

   
 
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