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Autore: Zikiki98    17/03/2023    0 recensioni
[Vi consiglio di leggere la prima parte: “The World Of Demons – Il Portale Dei Demoni”, che potete trovare sul mio profilo]
La missione di salvataggio mirata a recuperare Edward si è trasformata in un totale fallimento. Isabella e i Cullen sono ufficialmente prigionieri del Conclave, rinchiusi nelle più profonde e invalicabili segrete di Alicante. La vita della Cacciatrice comincia a riempirsi di ossimori, perdendosi nel limbo di chi non riesce più a riconoscersi: verità e bugie, amore e odio, vita e morte.
Come se non bastasse, eventi inspiegabili e terrificanti sono in continuo aumento. Diversi Nascosti e Cacciatori spariscono, improvvisamente e senza lasciare tracce, fino a che non vengono ritrovati morti ai piedi di qualche albero lungo i sentieri delle foreste o nei cassonetti delle grandi città, in tutto il mondo. Queste morti e queste sparizioni sono causate dai demoni, più forti che mai e pilotati da qualcuno di molto furbo e intelligente, ma chi? E soprattutto, perché?
Davanti a questa emergenza globale, shadowhunters, vampiri, stregoni, licantropi e fate, riusciranno a collaborare, uniti, superando le loro divergenze, per il bene e la sopravvivenza di tutti?
(Per leggere l'introduzione completa, aprite la storia, perché la descrizione intera non mi stava, grazie)
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clan Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Più libri/film, Contesto generale/vago
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 THE WORLD OF DEMONS
L'EREDE DELLE TENEBRE


2. Guilty For Love
 

Ripresi lentamente conoscenza. Sentivo il mio corpo come se fosse in una dimensione a sé. Capivo che potevo cautamente ricominciare a prenderne il controllo, ma allo stesso tempo sentivo di non averne, non totalmente. Era come se il mio cervello trasmettesse in ritardo, ai muscoli, i movimenti che pensavo di fare. Riuscii a muovere di un millimetro l’indice della mano destra, che era appoggiata al pavimento freddo della cella, ma appena lo feci, una scossa elettrica mi pervase nuovamente il corpo. Probabilmente, la scarica di energia emanata dalle sbarre era talmente potente, che il mio corpo ne era ancora pervaso, oppure era semplicemente sotto shock.
- Si sta svegliando – sentii Edward sussurrare, ma io non ero ancora pronta per aprire gli occhi.
Ero sdraiata a pancia in giù, con la mano sinistra sotto il viso e il braccio destro disteso per lungo. Ero parecchio scomoda, chissà per quante ore ero rimasta in quella posizione senza muovermi, ma l’idea di spostarmi mi faceva stare peggio. Se muovere un dito mi aveva procurato tutto quel dolore, chissà quanto poteva farmi male muovermi per intero.
Avevo le palpebre davvero pensanti, come se da un momento all’altro mi potessi riaddormentare. Sentivo gli angoli della bocca bagnati, probabilmente perché, mentre ero incosciente, dovevo aver perso della saliva. Inoltre, percepivo prurito alla cute, sicuramente perché ormai non lavavo i capelli da giorni. Insomma, ero proprio un bello spettacolo in quel momento.
- Bella? – quella era la voce preoccupata di Emmett – Bella, mi riesci a sentire? -.
- So che deve essere difficile cercare di aprire gli occhi – continuò Carlisle, in modo pacato e professionale – Ma se riuscissi a darci un segno per farci capire che ci puoi sentire, sarebbe un aiuto -.
Le loro voci, nonostante la situazione in cui eravamo e il dolore che provavo, mi tranquillizzarono. Era assurdo e un sentimento decisamente fuori luogo, eppure era così. Perciò decisi di provare. Mi concentrai sulle mie palpebre, che mi sembravano incollate, come se sopra di esse ci fosse appoggiato un macigno. Insistendo, lentamente, riuscii ad aprire gli occhi, anche se dovetti immediatamente richiuderli a causa della luce improvvisa, che mi accecò. Non ero più abituata a tutta quella luminosità, persino la via vecchia cella era più buia di questa, ma mi sforzai e pian piano riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo davanti.
Il primo che notai fu Edward, che si trovava in mezzo a Emmett e Carlisle, tutti e tre inginocchiati davanti alle sbarre, talmente vicini che, se solo le avessero sfiorate per sbaglio, sarebbero stati folgorati come era successo a me. Avevano il viso stravolto, le occhiaie marcate e gli occhi scuri. I loro vestiti non erano più ordinati e profumati come qualche giorno prima, eppure ai miei occhi risultavano comunque bellissimi. Chissà invece come dovevo sembrargli io.
Ma ne mancava uno.
- Jasper – sussurrai, con una voce che non potei subito riconoscere come mia.
La gola mi grattava, ogni tentativo di dire anche una sola parola, mi sembrava di avere degli aghi al posto delle corde vocali. Nonostante avessi cercato di far risultare la mia voce chiara e forte, era uscito un flebile suono, basso e a stento comprensibile.
Notando il mio sguardo confuso, Carlisle mi rassicurò immediatamente – Non temere, è solamente questione di qualche ora e poi la tua voce tornerà come nuova – fece una pausa, per poi aggiungere – Jasper sta bene… Ha solo qualche difficoltà a gestire la sete in questo momento -.
Feci roteare gli occhi sul resto della superfice della loro cella e, finalmente lo vidi, rannicchiato, tutto da solo, nell’angolo più remoto disponibile. Aveva le gambe al petto e nascondeva la testa sotto le braccia incrociate, appoggiate alle ginocchia. Vederlo in quello stato, mi spezzava il cuore. Anche gli altri sicuramente stavano soffrendo la sete, ma considerando la vita che aveva dovuto condurre prima di incontrare i Cullen, per Jasper era molto più difficile.
Annuii impercettibilmente, per poi concentrarmi sullo sguardo innamorato di Edward. Nonostante tutto, quello non era cambiato. Non me lo meritavo.
- Come stai? – chiese con voce roca – Senti dolore da qualche parte? -.
- No – risposi, cercando di sgranchire la voce ma senza grossi risultati – Mi sento intorpidita, ma sto bene -.
- Riesci a muoverti? – domandò Emmett, apprensivo.
Evitai di guardarlo dritto negli occhi, perché sapevo che sarei stata colta dall’imbarazzo e non volevo che ciò accadesse. Guardarlo, sentire la sua voce, con quello sguardo disperato e il tono supplicante di chi elemosinava la verità, mi faceva sentire tremendamente in colpa e non era il caso di dovermi preoccupare anche di quello adesso.
Feci cenno di sì con la testa, per rispondere alla domanda e poi, concentrandomi su Carlisle dissi – Faccio fatica, ma riesco -.
- È una buona cosa – rispose lui, mentre Emmett si allontanava rassegnato per avvicinarsi a Jasper – Vedrai che recuperai le forze alla svelta -.
Mi scappò una risata inquietante – Sempre se non mi uccidono prima -.
Avevo tutti gli occhi dei Cullen addosso, anche quelli di Alice, Esme e Rosalie, nonostante io non le potessi vedere. Sentivo che mi guardavano, esausti, eppure nessuno disse niente. Forse perché obiettivamente, cosa si poteva dire ad una condannata a morte?
- Non dirlo neanche per scherzo! – ruppe il silenzio la voce cristallina di Alice, dopo diversi considerevoli secondi – Non siamo arrivati fino a qui per morire! -.
In quel momento, volevo solamente riuscire ad alzarmi, o almeno mettermi seduta, per poter guardare in volto le persone con cui stavo parlando. Riuscii a spostare le mani sotto le spalle e con tutta la forza che avevo, cercai di sollevarmi, ma ricaddi a terra un secondo dopo averci provato, scatenando una serie di fitte in tutto il corpo. Ero ancora troppo debole.
- Fai attenzione, per favore – disse Edward preoccupato, ma soprattutto, mortificato per non potermi dare una mano.
Così, mi venne un’altra idea. Provai a trascinarmi fino alla parete di cemento armato, l’unica che c’era. Finalmente, dopo diverse pause la raggiunsi. Riuscii ad aggrapparmi ad una delle maniglie di metallo incastonate nel muro, utilizzate solitamente per attaccare alle catene i detenuti, e mi tirai su come meglio potei, riuscendo così a mettermi seduta. Avevo il fiatone, non ero comoda, ma sicuramente era meglio di prima.
Finalmente riuscivo a vedere anche i volti delle donne che alloggiavano nella cella davanti alla mia. Alice, nonostante tutta la situazione, sembrava essere l’unica pimpante che cercava di mantenere la positività del gruppo. Esme era seduta in un angolo, non riuscendo a nascondere la preoccupazione e la paura che la assillavano da giorni. Rosalie, beh… lei era straordinariamente incantevole, come sempre, ma anche visibilmente incazzata. Non potevo darle torto naturalmente, anzi, ero sicura che giustamente mi incolpasse per aver trascinato lei, l’amore della sua vita e tutta la sua famiglia, in contro a morte certa.
- A parte il fatto che non siamo arrivati qui di nostra spontanea volontà – corressi Alice, dopo diversi minuti di silenzio – Siamo qui perché ci hanno catturati. E imprigionati -.
- Sì, è vero – rispose, ma senza darsi per vinta – Ma dovevamo comunque raggiungere Idris in qualche modo e ce l’abbiamo fatta! -.
- Non era così che doveva proseguire il piano, Alice – intervenne Rosalie, palesemente scocciata dalla sorella, camminando avanti e indietro per la cella sui suoi tacchi a spillo ancora integri.
- Siamo in prigione – le ricordai, affaticata, cercando di essere gentile – Non c’è più niente che possiamo fare. È finita -.
Ma Alice era ostinata – No, non è vero. Siamo ancora tutti vivi, quindi una speranza per noi ci deve essere -.
- Hai avuto delle visioni a riguardo? – chiese Emmett, incrociando le braccia risoluto.
Ci fu qualche minuto di silenzio, come se il vampiro avesse toccato un tasto dolente per la veggente, tant’è che Esme guardò suo figlio con aria di rimprovero, ma lui la ignorò.
- Rispondi Alice – insistette.
- No – mormorò abbattuta – Questo posto blocca le mie visioni. Funzionano ad intermittenza e non sono comprensibili -.
- Anche io faccio davvero fatica a leggere nel pensiero – sussurrò Edward, sconsolato.
- Allora, fai un favore a tutti e non illuderci – si alterò Emmett, stringendo i pugni, lasciando tutti senza parole – C’è già abbastanza sofferenza in queste mura senza che peggiori la situazione -.
Edward si alzò in piedi e si avvicinò al fratello, come per calmarlo.
- Non c’è bisogno di reagire così, Emm – cercò di intermediare il rosso, per stemperare la situazione.
Carlisle intervenne immediatamente – Se discutiamo fra di noi, non ci resterà più niente. Siamo una famiglia, comportiamoci come tale -.
Di nuovo silenzio. Mi sentivo quasi a disagio. Avevano risolto in pochi passaggi e con poche parole, quello che poteva essere davvero un brutto litigio famigliare. Alice percepiva tutto il nostro nervosismo, anche lei sicuramente lo provava, eppure era l’unica a voler cercare di trasformarlo in speranza. Certamente, la speranza era una lama a doppio taglio, o ti salva o ti uccide, ma effettivamente, eravamo comunque bloccati in quella prigione. L’idea di avere una possibilità per evitare di crogiolarsi nel dolore e nella disperazione, tutto sommato, non era così male.
Emmett sospirò, passandosi le mani nei capelli corti e ricci – Mi dispiace, sorellina – fece qualche passo per avvicinarsi a lei, nonostante le sbarre li dividessero – Non volevo essere cattivo. Intendevo solamente dire che, purtroppo, conosco questi luoghi e conosco queste persone. Non c’è via di fuga, a meno che non siano loro a dartela e neanche in quel caso c’è da fidarsi totalmente -.
- Ha ragione – confermai, guardando la poca gioia rimasta il lei sgretolarsi.
Se fosse stata umana, ero sicura, sarebbe diventata rossa dalla rabbia. Non riusciva a smettere di crederci, nonostante tutti noi le stessimo consigliando di arrendersi, di non illudersi, lei non voleva mollare.
Un silenzio assordante fu nuovamente protagonista fra di noi. Si sentiva solamente il fracasso procurato dagli altri prigionieri.
Nessuno aveva la men che minima idea di quello che ci avrebbe riservato il futuro, sempre se potevamo considerare di averne ancora uno. Onestamente, non avevo paura né di morire né di provare dolore. Essendo una Cacciatrice, avevo già tenuto conto da un bel pezzo che c’erano alte possibilità che morissi prima di compiere i trent’anni. Nessuno Shadowhunters raggiungeva mai un’età considerevolmente alta, a meno che non facessero parte del Consiglio del Conclave, ma arrivavano comunque al massimo fino ai cinquant’anni. Quindi sì, potevo dire tranquillamente, di non aver mai visto una persona anziana, finché non avevo messo piede a Forks, nel mondo dei mondani.
Ad un certo punto, sentii un tintinnio di chiavi che attirò la mia attenzione. Istintivamente il mio cuore cominciò a battere più forte. Dopo quello che era successo giorno precedente, il mio corpo non riconosceva una bella esperienza a quel suono. Probabilmente, i Cullen sentirono il mio cuore accelerare, perché riuscivo a percepire i loro sguardi su di me. Dei passi leggeri cominciarono ad avvicinarsi nel corridoio della prigione, che mi fecero tranquillizzare. Una camminata del genere non poteva appartenere ad un uomo.
Dopo pochi secondi, si rivelò la forma di una ragazza, che mi sembrava di aver già visto. Non era molto alta, anzi, probabilmente era persino più bassa di me. Aveva una lunga chioma di capelli rossi e riccioluti, le sopracciglia lunghe che incorniciavano perfettamente i suoi occhi verdi, il naso piccolo e leggermente a punta, il tutto adornato da delle belle labbra carnose e un mento delicato. La sua pelle era bianchissima e abbellita da diverse lentiggini. Indossava la solita tenuta nera da combattimento che usavamo tutti e, tra le mani, aveva un vassoio con una ciotola fumante, un pezzo di pane e un grosso bicchiere di acqua. Era molto carina e minuta, anche dal viso sembrava molto dolce, per questo non riuscivo a capire come potesse lavorare qui.
- Ciao Isabella – mi sorrise cordialmente, facendo rivelare due fossette ai lati delle guance – Ti ho potato qualcosa di caldo da mangiare, immagino tu sia molto affamata. Posso entrare? -.
Riconobbi la voce. Era Clary, la ragazza che aveva permesso il mio trasferimento dalle celle di isolamento e l’unica che aveva tentato di aiutarmi dopo che quella guardia aveva provato a farmi del male.
- Certo – le risposi.
I Cullen erano sempre più confusi, ma non dissero niente. Restarono in silenzio ad osservare la scena, come se fossero degli spettatori.
Clary tentò di fare l’equilibrista, poggiando il vassoio su una mano sola, mentre con la mano momentaneamente libera, tentava di trovare la chiave giusta per aprire la porta della cella. Quando ci riuscì, entrò, lasciando la cella socchiusa, per poi avvicinarsi. Mi posò il vassoio a terra, vicino a me, in modo tale che mi potessi servire da sola senza fare troppa fatica.
Sul vassoio c’erano appunto un grosso bicchiere d’acqua, una ciotola bella piena di zuppa color marrone e un pezzo di pane, che probabilmente aveva già qualche giorno. Non sembrava invitante, anzi, non lo era per niente, eppure appena sentii il profumo della zuppa il mio stomaco brontolò. Non poteva andare diversamente, d’altro canto, erano giorni che non mangiavo e non bevevo nulla.
Con le mani che tremavano, mi avventai sulla ciotola, la portai alla bocca e, senza aggiungere altro, trangugiai il tutto in pochi secondi, nonostante il contenuto fosse bollente. Dopo poco, finii anche il bicchiere di acqua e il pezzo di pane duro che c’era sul vassoio.
In tutto quel tempo, la ragazza era rimasta lì in piedi, a guardarmi timidamente mentre mangiavo, aspettando tranquilla che finissi, anche se non ci volle molto tempo. Una volta terminato tutto, mi sentivo un po’ meglio e, onestamente, riuscivo a percepire il mio corpo leggermente più forte. Nonostante Clary non avesse abbandonato il suo sorriso cordiale, potevo notare che sul suo volto c’era una nota di tristezza che stonava, anche se si vedeva quanto si stesse sforzando per non mostrarlo.
Mi guardò per qualche secondo di sottecchi, mentre riprendeva da terra il vassoio con le stoviglie vuote che mi aveva portato. Sembrava incerta, come se volesse dirmi una cosa, ma non era sicura di farlo.
– Non dovrei dirtelo, perciò mantieni il segreto – sussurrò alla fine, mentre la sua bocca prese una piega preoccupata – Domani verrà eseguito il tuo processo -.
Non era certamente una buona notizia, eppure una piccola, anzi, piccolissima, parte di me, si sentì sollevata da quelle parole. Almeno potevo affrontare la realtà della situazione, invece di essere rinchiusa per chissà quanti altri giorni in una cella, senza sapere niente.
- Sarà aperto al pubblico? – chiesi istintivamente.
- Sì – rispose.
Ciò poteva significare che la mia “famiglia” avrebbe potuto esserci. I miei fratelli. Mi mancavano tutti tantissimo, ma soprattutto, sentivo la mancanza di Sebastian. Chissà cosa stava facendo, se pensava a me, se era preoccupato o se gli mancavo. Se solo gli avessi dato più retta, se solo gli fossi stata più vicino…
- Quali sono le accuse esattamente? -.
Clary sospirando, rispose, un po’ intimidita dalla silenziosa presenza dei Cullen nella conversazione – Il primo, più importante, è Tradimento – rivelò, quasi imbarazzata – Ma ce ne sono altri. Fuga. Resistenza. Aver tentato di entrare in patria senza permesso… -.
Annuii. Effettivamente non erano accuse infondate. Quelle cose le avevo fatte davvero. Dura Lex, Sed Lex. La legge è dura, ma è la legge.
- Come mai mi stai aiutando, Clary? – riflettei ad alta voce, guardandola negli occhi per verificare che non mi avrebbe detto una bugia.
Non c’erano tante possibilità per le quali lei fosse così gentile con me. O aveva veramente a cuore la mia situazione, soprattutto dopo lo “spiacevole inconveniente” che avevo avuto il giorno prima. Oppure, stava recitando una parte, sotto direttiva del Conclave, e tutta la sua gentilezza, in realtà, era una messa alla prova con l’obiettivo di fregarmi.
Lei, presa alla sprovvista, sembrava in difficoltà. Non che prima sembrasse sicura di sé, assolutamente. Però era tranquilla. Con quella domanda, potevo leggere nei suoi occhi chiari, ‘d’un tratto diventati lucidi, di quanto potesse essere scomoda per lei.
- Perché so cosa vuol dire essere discriminati per aver amato qualcuno che non dovevi amare – rivelò, con la voce piegata dalle emozioni che provava – Quando qualche mese fa ci hanno spedito in mezzo ai mondani, ho conosciuto un ragazzo, un essere umano. Ci siamo innamorati e, per la prima volta in tutta la mia vita, non sono riuscita a reprimere i miei sentimenti in favore della patria. Non riuscivo più a essere il soldatino programmato dal Conclave – fece una pausa, deglutendo a fatica – Mi sono lasciata andare. L’amore per lui, mi aveva fatto conoscere sentimenti che credevo non avrei mai provato nella mia vita, eppure sul lato da Cacciatrice mi aveva indebolito molto – sospirò – E i miei genitori se ne sono accorti. Così un giorno mi hanno seguita e mi hanno trovata insieme a lui, mentre io gli avevo detto che andavo in ricognizione. Ci hanno scoperti – a quel punto non riuscì più a trattenere le lacrime - Io però ho avuto la fortuna, se così si può chiamare, di essere stata beccata prima che potessi dire tutta la verità su chi sono a Simon, il ragazzo che amavo… che amo. In più, non è un Nascosto, ma un Mondano, quindi in automatico la sentenza è più bassa. In questo posto, lavorando, devo scontare tre anni, questa è la mia pena -.
Mi morsi il labbro, tentando disperatamente, in tutti i modi, di trattenermi per non impietosirmi a mia volta – Mi dispiace – riuscii a dire solamente – A Simon invece cosa è successo? -.
- Gli hanno cancellato la memoria – mormorò, mesta, con una smorfia di pieno risentimento – Per lui non sono mai esistita. Ho chiesto loro se potevano cancellarla anche a me, ma me l’hanno negato. Io devo vivere nel dolore e nel rimorso, in modo tale che mi serva da lezione per non ricadere mai più in un errore del genere – si asciugò le lacrime velocemente – Questo è quello che mi hanno detto -.
Non riuscii ad aggiungere altro, anche se comunque non esistevano parole sufficienti per consolare una cosa del genere.
- La tua situazione è decisamente più “grave” della mia – disse spostando l’attenzione su di me, cercando di scegliere le parole giuste – Siamo entrambe colpevoli di aver amato. Per questo voglio aiutarti, nel mio piccolo, come meglio riesco. Non posso cambiare i risultati del processo, ma posso portarti del cibo e riservarti qualche informazione, di nascosto ovviamente, o cambiarti di cella nel caso dovessi avere qualche… “problema” con qualcuno – a quelle parole vidi lo sguardo di Edward guizzare fra me e lei, confuso e allarmato – A patto che tu non dica niente a nessuno, altrimenti finisco in guai seri -.
- Manterrò il segreto, promesso – la rassicurai velocemente, infinitamente grata per il suo sostegno, ma terrorizzata dall’idea che Edward fosse riuscito a scorgere qualcosa nei suoi pensieri.
Lei in tutta risposta, tentò di sorridermi, ma con scarsi risultati. Tutto sommato il Conclave era stato clemente con lei. Le aveva permesso di sopravvivere, nonostante non avesse rispettato le leggi. Eppure, potevo leggere nei suoi occhi, quanto fosse difficile da sopportare la sentenza stipulata. Passare i prossimi anni nelle prigioni, occupandosi dei detenuti, senza poter mai uscire per incontrare le persone che ami… Se fosse stata una sentenza che sarebbe durata tutta la vita, forse io avrei scelto di morire, facendo un confronto.
Si voltò e, a grandi passi, uscì dalla mia cella, chiudendo la cancellata a chiave.
- Cerca di riposare – disse – Domani sarà una giornata molto difficile -.
_
 
Era notte fonda ed ero sdraiata sul pavimento gelido della mia cella, senza riuscire a prendere sonno, nonostante i mille tentativi di Edward per farmi addormentare mentre, sottovoce, mi canticchiava una ninna nanna che non conoscevo. Si era sdraiato a terra anche lui per farmi compagnia. Era esattamente nella mia stessa posizione, rivolto verso di me, ma dall’altra parte delle sbarre, ed eravamo talmente vicini da rischiare quasi di sfiorarle.
Quanto avrei voluto poterlo toccare. Eppure, non era possibile.
- Posso cantarti tutte le ninna nanne del mondo – disse ad un certo punto Edward, riportandomi alla realtà – Ma dovresti almeno provare a chiudere gli occhi per riuscire ad addormentarti -.
Gli altri, nel frattempo, stavano parlando di qualcosa, ma a voce bassa, quindi non riuscivo a sentirli.
- Non riesco, non ho sonno -.
- Devi essere al massimo delle tue possibilità domani – bisbigliò cercando di infondermi coraggio – Devi saperti difendere e per farlo devi essere lucida e riposata -.
Sogghignai, con un lieve sarcasmo – C’è poco da sapersi difendere nella mia situazione. Ho commesso tutti i reati per i quali sono stata accusata. Non si sono sbagliati -.
Edward restò per qualche secondo in silenzio, cercando di non perdere quel poco di buon umore che gli era rimasto, per me. Io, sicuramente, non gli rendevo la vita facile.
- Domani dovrai lottare per la tua vita – disse, cercando di farmi ragionare – Perché ho come l’impressione che tu ti consideri già morta?! -.
- Perché lo sono -.
- No, non lo sei! – esclamò Edward – Non voglio che ti arrendi. Voglio che prendi tutte le emozioni che provi e le usi nel processo di domani, per salvarti la vita! -.
- È questo il problema, Edward – sussurrai, senza alcuna emozione nella voce – In questo momento non provo niente. Sono troppo esausta, anche emotivamente -.
Restò in silenzio, soppesando il valore delle mie parole e per capire, probabilmente, se stare rinchiusa in quelle quattro mura mi aveva fatta uscire di senno, cosa molto probabile. Ma era la verità. Nei confronti dell’incertezza del mio imminente futuro, ero totalmente asettica. Era come se sapessi già come sarebbe andata, ne avessi preso atto e lo avessi accettato. Così sarebbe andata, perché così doveva essere.
- Non hai paura? – chiese ad un certo punto lui, il ragazzo che amavo, ma ancora non lo sapeva.
La paura effettivamente poteva essere una buona scarica di energia che mi avrebbe potuta aiutare.
Sospirai – Vuoi la verità? -.
- Sempre -.
- No, non ho paura – ammisi, sostenendo il suo sguardo color ossidiana – Non ho paura di provare dolore. Non ho paura di morire. Non provo agitazione al pensiero di dover affrontare il processo domani… L’unico pensiero che, ad essere onesta, mi inquieta un po’, è l’idea di non poterti più vedere, toccare… e baciare -.
Non ero molto abituata alle smancerie, ma non era decisamente il momento di essere timidi a riguardo. Sapevo che il resto della sua famiglia poteva tranquillamente ascoltare la nostra conversazione, ma non mi importava. Non ero sicura che l’indomani, dopo il processo, sarei riuscita a rivederlo. Potevano essere le ultime ore che avevo a disposizione per parlargli, annusare il suo profumo e memorizzare la sua immagine nella mia mente. Non avevo intenzione di sprecare neanche un secondo.
A Edward scappò un sorriso, a metà tra lo sprezzante e l’indignato – Non doveva finire così. Non volevo che ti succedesse niente di tutto questo. Non te lo meriti -.
Sollevai leggermente gli angoli della bocca, regalandogli un mezzo sorriso – Già. Neanche voi -.
 
 

 
Salve! Come state? Spero bene.
Eccoci qua con questo nuovo capitolo.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento.
Mi interessa tantissimo avere i vostri pareri.
Scusate immensamente per la lunga attesa, ma purtroppo ho avuto dei problemi con Word. Il simpaticone mi ha cancellato il capitolo e dopo si è disinstallato da solo : ) Chissà come, non ho perso la pazienza.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
Instagram: _.sunnyellow._
  
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