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Autore: RLandH    18/03/2023    0 recensioni
[ POST- ROW; FUTURE!FIC; OCs]
Favole del Mare Vero.
Nel quarantesimo anniversario dalla Dissoluzione della Faglia, Matthias Grimjer viaggia con sua madre, la Buona Regina Mila, a Ravka, forse in cerca di una moglie, forse in cerca di un'identità.
Nel ventottesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, Shu Han si preparava ad avere la sua regina, dopo una lunga guerra sociale, ma i figli del Drago di Ravka hanno i loro piani.
Nel ventiduesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, un gruppo di ragazzini grisha si ritrova costretto ad un viaggio desolante e mortale.
E gli equilibri si spostano ogni volta.
Dal 3 capitolo:
“Quando mi darete la parem?” aveva chiesto la materialki, appena aveva sentito il suono dell’interfono. Parlava nella lingua shu, il suo accento ravkiano era molto più morbido di quello di Elen, segno della sua origine meridionale, forse confinante con Shu da qualche parte. “Vuoi la parem?” aveva chiesto confuso Lu.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Genya Safin, Inej Ghafa, Nina Zenik, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Siamo tornati alla trama più ostica, quella del 22 DF – avevo scritto questo capitolo un po’ di tempo fa, ma diciamo che la visione della serie tv mi ha spinto a riprendere questa storia.

Tw. Esperimenti sulle persone, consumo di droga, consumo di droga non consensuale, morte, prigionia e conversazione su omicidi

LU-WAN

(22 anni dopo la Dissoluzione della Faglia)

 

Kebban’a, io ti amo, ti amo. Voglio che tu lo sappia, nulla di ciò che ho fatto e mai farò, non mi darà mai più orgoglio di quanto me ne dai tu” aveva sussurrato sua madre, baciando le sue palpebre.
L’aveva vista, tenersi la gola, come se una forza invisibile le avesse stretto il collo. Poi il mondo era esploso, bruciato.
E tutto, tutto si era fatto buio.
E freddo.
E senza contorni.

Così questa è la morte?

Lo aveva accompagnato, come pensiero, nell’obblio. Sentiva, lontano, il ricordo delle braccia di sua madre, del suo singulto. L’obblio era freddo, distante, aveva forzato gli occhi, aperti, ma la luce si era fatta sempre più lontana. Il mondo era ovattato, blu, freddo.
Intorno a lui, colavano a picco pezzi della Ji-Han squarciata dalla pancia come una bestia. Ma cadeva in silenzio, bruciata, nelle acque.
Perché era in acqua. L’irrazionale paura vinse sul resto e Lu apri la bocca per urlare, anziché nuotare. L’aria era schizzata via dal suo corpo e l’acqua l’aveva investito. Insidiandosi in ogni foro.
Cercò di recuperare l’aria, ma lo sapeva. Lo sapeva.
Sarebbe morto.

Lu-Wan stava leggendo un manuale di filosofia. Trovava la filosofia stupida e qualunquista. Sapeva fosse il linguaggio politico per eccellenza, anche più dell’economia, suo fedele compagno. Ma per comprendere la filosofia che muoveva il pensiero, gli uomini, le rivoluzioni; prima bisognava passare per quella classica, quella degli uomini e dei semi, dei carri nel cielo e nei dei distanti. Lu-Wan soffriva ogni parola vergata sulla carta come una pugnalata nel petto. Non era uomo da chiacchiere, ma da numeri e dati. Un tocco gentile lo aveva ripreso. Si era voltato, incontrando gli occhi attenti di sua madre. “La via dei Cento Pensieri?” aveva domandato sua madre, senza curiosità, “Si, me lo ha dato il maestro Ib Yul-Tau” aveva risposto celere lui, “Sì, sì, credo abbia costretto tutti gli abitanti di questo castello a leggerlo. Non voglio disturbarti, a modo suo, quel libro mi ha dato molti spunti” aveva considerato la donna, posandosi con il fianco sul tavolo. Lu le aveva sorriso, “A breve ritornerò in mare, lontano dagli occhi della Reggente Ehri” aveva dichiarato sua madre, che aveva sempre parteggiato per il partito di Mahki.
Lu aveva annuito, sua madre non restava mai troppo a lungo, le sue ambizioni e la sua diligenza aveva sempre bisogno di essere nutrita. “Certo, madre” le aveva detto, “Vorrei tu venissi con me” aveva detto la donna, facendo picchiettare le unghie sul tavolo di legno smaltato.


Le mani di sua madre erano calde, per quanto il mondo fosse ghiaccio intorno a lei, prima di sentire qualcosa di nuovo.
L’aria. Aveva sentito qualcosa, una lingua, non era Shu Han, prima che sentisse la sua bocca forzarsi, i suoi polmoni contrarsi ed aveva vomitato l’acqua, senza il suo controllo.
Vivrà” aveva stabilito una voce, la lingua era il ravkiano, così volgare, “Purtroppo” aveva risposto una voce più dura.
Aveva forzato gli occhi, l’intenso nero-blu dell’acqua lo aveva avvolto, ma non lo stava toccando. Lui era dentro una bolla, provò a divincolarsi, trovando due forti braccia a trattenerlo. Qualcuno, una voce famigliare, aveva urlato in ravkiano – Lu non aveva capito – e prima che potesse fare altro era stramazzato, nell’incoscienza.

“Vorrei che tu leggessi questo” aveva detto suo padre. Gli occhi dell’uomo erano lucidi, screziati di rosso, con lacrime incastrate nelle ciglia. Lu non aveva mai visto suo padre piangere, lo aveva visto triste, distrutto, quasi disposto ad annegarsi nella grappa e nel vino, ma mai piangere. Non avrebbe pianto neanche in quell’occasione, ma sembrava volesse farlo.
Lu aveva raccolto il piccolo libro che gli era stato porto. ‘Ni yu ye sesh’ aveva letto. Era piccolo e sottile, con una copertina in pelle. “Grazie, padre” aveva detto calmo. “Spero sempre che questa esperienza possa guidarti a prendere la strada della diplomazia” aveva ammesso tuo padre.
Sua madre aveva brontolato, “Sesh’a, al mondo esistono fin troppi chiacchieroni” lo aveva rimproverato lei, allungandosi per baciarlo sulle labbra. Sua madre era più alta di suo padre. Era snella, splendida ed ancora giovane in viso, rispetto suo padre, la cui età sembrava pesare su di lui mortalmente. “Ah, Sesh’a” aveva risposto lui, “Il mondo avrà bisogno di più chiacchieroni, presto, spero” aveva ammesso.
Sua madre aveva fatto oscillare il capo, “Padre, un mondo senza studiosi è un mondo morto” aveva detto lui, “Esatto bambino mio, di tutti gli studiosi, anche delle arti”.

 

Il cuore aveva ricominciato a battere, forte, e tutto in lui si era riacceso. Aveva schiuso gli occhi, sentendo per prima cosa il sole freddo sulla pelle, prima ancora di percepire la mano calda sul suo collo, non una presa, ma un tocco leggero. Aveva visto le particelle d’acqua che lo appesantivano sollevarsi da lui, una ad una, mentre formavano una coperta di liquido, che si era rinchiuso in una palla.
Aveva sentito la spiaggia ghiaiosa sotto la sua schiena ed il rumore del mare.
“Riesci a separare l’acqua dal sale?” la voce aveva parlato in uno shu quasi perfetto, delle zone del nord, musicale. “Sì, signora” aveva risposto una voce, anche quella in shu, ma tutt’altro che pulita, una voce maschile, greve che conosceva.
Si era sollevato, incontrando il viso stanco di Hati, era uno degli etherealki su cui sua madre aveva condotto degli esperimenti, era sotto parem; numero dodici. “Bene, metti l’acqua qui dentro ed il sale qui; invece” aveva sentito ancora la voce, riconosceva fosse quella di donna, aveva fatto roteare lo sguardo ed aveva visto la materialki lì. Era completamente asciutta, ma le gambe bianche erano esposte, aveva strappato l’orlo della gonna della vestaglia per fabbricare un sacchetto per il sale, quello dell’acqua lo aveva fatto con dei legni bianchi, come ossi.
Lu aveva provato a sollevarsi ma nel momento in cui aveva provato, la materialki lo aveva spinto di nuovo supino. “Non provarci” aveva stabilito, “Oh Anchel ti fermerà di nuovo il cuore” lo aveva avvertito.
“Il babinik si è svegliato?” aveva domandato una voce maschile, quella volta in ravikiano. Era Anchel il corporalki, era strano sentire la sua voce pronunciare qualcosa di diverso da litanie religiose.
“Da” aveva detto la materialki, “Su!” aveva impartito Anchel a Lu, in lingua shu, andando contro i precedenti ordini della sua compagna. Era stata una fatica abbissale per Lu sollevarsi anche solo con la schiena, restando seduto sulla nuda terra. Anchel aveva passato qualcosa alla Materialki, Lu non aveva visto cosa fosse, la ragazza era presto sparita alle sue spalle. Aveva provato a spiarla girando il capo, ma il suo corpo doleva tutto, aveva risolto l’arcano quando aveva sentito qualcosa di freddo ai suoi polsi; erano manette.  “Non ho trovato di meglio” aveva ammesso Anchel, con voce quasi spenta. “Va bene, è un otkazat’sya; se tieni il suo cuore calmo sarà rilassato e poco incline alla fuga” aveva risposto lei.
Lu aveva teso i polsi più possibile, lontani tra loro, realizzando di non avere manovra. Le sue manette erano fatte d’ossa. “Buon lavoro” aveva valutato Hati, in shu con sguardo spento, guardando i suoi polsi, avendo finito di dividere acqua e sale.
“Non diverso da un amplificatore” aveva spiegato sbrigativa la ragazzina, tirandosi in piedi, le ginocchia nude erano marchiati dai segni della ghiaia, su cui si era accovacciata. Parlava la lingua del trono celeste.
“Grazie! Se non avessi squarciato la nave non saremmo scappati” aveva aggiunto la materialki con un tono gentile, mettendosi prima una mano sul cuore e poi prendendo quella di Hati.  
Il ragazzo che era più vecchio di lei, più grosso e più alto si era sciolto in un sorriso gentile ed aveva ricambiato la stretta, mettendo la mano che aveva libera sul suo cuore.
“Grazie per avermi liberato ... e buon tempismo. Se avessi aspettato solo un’ora, non lo avrei fatto” aveva risposto sincero Hati, facendo scorrere il pollice sul dorso della mano della materialki in un gesto d’affetto.
“Parem, loro, dato te” non era stata una domandata quella di Anchel, aveva parlato in uno shu brutto e zoppicante. “Sì, da un paio di mesi. Mi avevano appena dato la dose giornaliera. Ero … soddisfatto” aveva spiegato Hati. Era strano, il suo viso era del colore della terra secca, aveva riccioli neri, che sfumavano quasi un castano rossiccio; gli occhi erano allungati, ma non come quelli degli shu e le sue iridi erano nerissime.
Lo avevano catturato a largo delle coste delle Colonie del Sud, mentre pescava – muovendo le acque stesse.
“Sei stato molto coraggioso. So che anche nel pieno dell’ebbrezza la parem è …” la materialki sembrava insicura delle sue parole.
“Sapevo non ci sarebbe stata una prossima dose” le aveva detto Hati, “Speravo solo di essere morto per quanto anche il mio corpo l’avrebbe realizzato” lo aveva comunicato con una leggerezza d’animo che aveva atterrito Lu e dal singulto della corporalki anche lei.

“Come vi siete liberati?” aveva chiesto Lu, mentre Anchel lo aiutava – lo speronava – a tirarsi su.
La grisha femmina lo aveva guardato, aveva un viso asciutto, l’incarnato chiaro ed occhi blu letali, il viso incorniciato da scuri capelli castani, arricciati dal sale e dall’area salmastra della costa. “Non volevo prendere la parem e non volevo che la prendesse Anchel” lo aveva detto piatta lei, prima di sollevare le dita, erano ancora nere e viola, ma dritte, “Le ossa sono ossa, vive o morte. Con il resto è stato più difficile” aveva replicato.
Lu si era lasciato sfuggire un vero di pura sorpresa.
Sapeva di grisha capaci di sfidare la materia, senza parem o magia, e dominare gli altri elementi del proprio dominio. Etheralki che potevano evocare fuoco ed acqua, corporalki – be, loro erano quasi la medesima cosa – che potevano guarire ed uccidere, materialki che potevano lavorare materia solida e liquida, ma la materialki aveva lavorato come una corporalki.

“Si è svegliato?” questa volta la voce era arrivata, urlante, in ravkiano.
Lu aveva fatto scattare la testa come gli altri tre; Elen li stava raggiungendo, a grandi falcate, il viso sembrava pienissimo, rispetto i giorni prima, non aveva più le costrizioni, doveva aver cominciato ad utilizzare nuovamente il suo potere.
La bolla d’aria!
Dietro di lei c’era l’impertinente inferno mutilato e poi una ragazza pallida come un fantasma, il soggetto quarantadue, una kerchiana, heartrender sotto parem; differentemente da Hati, lontana dalla sua prossima dose. Lei si guardava intorno con nervosismo ancestrale, continuando a grattarsi una spalla, per scaramanzia.
L’inferno aveva rovesciato un paio di pesanti vestiti per terra, ne aveva le braccia piene, non era il solo anche Elen ne aveva.
“Sei sicura che non possiamo affogarlo?” aveva chiesto Anchel in ravkiano, che teneva una mano sulla sua spalla, “Net” aveva risposto Elen, con sicurezza, rivolgendoli uno sguardo carico di rancore.
Era strano essere guardato così da lei, aveva pensato Lu. “Concordo, è un buon prigioniero” aveva detto la materialki, sorridendo verso l’altra – occhi blu scintillanti di affetto. Venivano dallo stesso lotto, erano presso chè coetanee, Lu pensava stupidamente: dovevano essere state amiche prima, militanti alla scuola del Piccolo Palazzo, forse erano in una città costiera per gioco.
Il kaelish aveva cominciato a distribuire quello che aveva racimolato: vestiti pesanti. Era ancora bella stagione, ma il clima era pungente e freddo, dovevano essere da qualche parte a nord.
“Siamo a Fjerda” aveva confermato Elen i suoi pensieri, ma si era rivolta alla materialki.
“Speriamo di non essere troppo a settentrione” aveva considerato la sua amica, morendosi l’unghia del pollice. “Non ne ho idea, non conosco il paese e non ho parlato con gli abitanti” aveva risposto Elen piena di timori, guardandosi intorno.
Fjerda Nord, vicino le terre degli hedjut, rimaneva in parte profana, legata ai propri modi e i propri dei. Se intorno a Djerholm, come una macchia d’olio, oltre Djel si veneravano i santi, e i grisha non erano più druje ed abominazioni. Nord non si vedeva tutta questa gioia.
Anchel lo aveva guardato, “Dove noi? Dove nave va?” aveva chiesto ferace, con gli occhi scuri scintillanti di rabbia. “Non so! Non ho mai guardato le mappe! So che siamo a Fjerda!” aveva mentito, sapeva in che direzione stavano andando, perché per quanto potente la Ji-Han doveva approdare. “No credo” aveva stabilito Anchel, stringendo le mani in un pugno, Lu aveva sentito il suo petto contrarsi, i suoi polmoni distendersi, come se non fosse stato più capace di respirare. Era crollato a terra, boccheggiando aria, ma non entrava, poi il corporalki lo aveva lasciato andare. “Dove?” aveva chiesto di nuovo lui.
Lu aveva tenuto la bocca chiusa ed ancora una volta aveva sentito il suo corpo tradirlo.
“Dove?” aveva chiesto di nuovo Anchel.
“Utsel” aveva sputato fuori Lu, con l’ultimo briciolo di aria, prima di poter respirare ancora, annaspando nell’aria. “Avevamo un accordo con il loro porto” aveva pianto.
Elen aveva guardato la Materialki, lei si era morsa l’interno della guancia, pensierosa, “Nel terzo crostone, nel golfo infestato a settentrione della regione dell’Avenjfall, su a nord, ma non nelle terre dei Hetqualcosa” aveva spiegato in Ravkiano la materialki.
Il kaelish aveva ringhiato qualcosa, la loro lingua era piena di r dure e  striscianti, non conosceva bene le loro parole, ma sospettava fosse un lamento nel non comprendere la loro lingua. O forse si stava chiedendo perché non Lu respirasse ancora.
“Dottore” lo aveva chiamato Elen, nel suo shu imbastardito, “Che altra lingua parli? Il ravkiano? Il kaelish? Il kerch?” aveva domandato esigente.
“Il kerch” aveva risposto lui, mentendo.
La materialki aveva assestato un colpo sul fianco di Lu, con il polpaccio della sua gamba, facendolo gemere. “Mente, questo beznako[1], almeno in parte. Sicuramente capisce il ravkiano” aveva avvertita perentoria la ragazza.
Lu si era voltato verso di lei, sprezzante.
“Capisci il kerch?” Elen lo aveva chiesto al kaelish, quello aveva sputato per terra, “Quanto basta” aveva risposto poi, non aveva guardato la ragazza bionda muta, ma aveva guardato Hati, “Sono delle Colonie del Sud” aveva risposto lui, “La nostra lingua ufficiale è una variante di Kerch” aveva detto, recitando bene le parole. “Ma presto non capirò più una parola” aveva ammesso sconfitto Hati.
Elen aveva guardato i suoi amici, “Lo sai, no” aveva replicato Anchel, grattandosi una guancia color rame scuro; “Odio quella lingua” aveva ammesso con un leggero fastidio la materialki.

Elen aveva sorriso nervosa, poi si era voltata verso il kaelish, “Dovremmo cercare di arrivare djerholm, non importa cosa abbiano fatto il Re e la buona Regina Mila per Fjerda, certe tradizioni non muoiono mai” aveva parlato in maniera diplomatica.
“Perché dovremmo seguire te?” aveva chiesto il kaelish.
“Perché senza di noi sareste ancora su quella barca, perché la mia amica è una brava cartografa, perché noi faremo così” aveva risposto pragmatica Elen.
Aveva voltato lo sguardo verso Hati, “Non sono sicuro di poter arrivare fino a lì, che non morirò o impazzirò prima” aveva spiegato quello calmo, osservando la sua mano, dritta, nessun tremore, non ancora. “A Ravka, David Kostyk aveva sintetizzato un antidoto, non importa quanto raffinata si questa parem, anche le soluzioni di Ravka sono sempre più sottili” aveva detto Elen con certezza bruciante.
“Moriremo prima” aveva pianto la kerchiana, “Io già non riesco a pensare ad altro. Avrei avuto la mia dose domani, non potevate aspettare domani?” aveva pianto la corporalki.
“No” aveva risposto l’amica di Elen, “Abbiamo aspettato anche troppo” aveva detto velenosa, piena di rabbia.
Forse avevano aspettato, quanto tempo ci avesse impiegato a capire come riparare le sue ossa, le sue dita, per tornare ad avere tutte le sue sensazioni, con l’anestetico al gambo, che la rallentava ed intontiva.
“Vorrei che veniste con noi” aveva ripreso Elen con voce cheta, “Sulla nave c’erano più di settanta grisha prigionieri e noi siamo gli unici. Spero che altrove siano approdati altri” aveva detto colma di tristezza.
“Va bene, aveva detto il Kaelish, ma posso ucciderlo?” aveva domandato, riferendosi a Lu, la cui schiena era diventata dritta, “No, è un buon prigioniero, una buona merce di scambio” aveva risposto Elen, lanciandoli uno sguardo al vetriolo, “Un buon … soggetto?” aveva chiesto retorica, guardandolo.
Lu aveva sentito la nausea salire nella sua gola, con la bile, e i brividi lungo la schiena. Ed anche un altro sentimento, a cui non voleva dare nome.
“E se dovessimo essere inseguiti da un orso potremmo lanciarglielo in pasto” aveva scherzato la materialki.
Per un secondo erano rimasti tutti in silenzio, poi una risata si era aperta sulle loro labbra, perfino nella kerchana che stava in piedi a fatica.
Era una battuta, ovviamente, ma Lu sapeva, sapeva davvero, che in una situazione del genere lo avrebbero fatto, senza esitazione.

“Avremmo bisogno di fermarci, comunque, in qualche villaggio, prendere altri vestiti, del cibo, abbiamo l’acqua da bere, non tanta ed il sale per conservare il cibo, sia sotto-sale che con la salamoia” stava spiegando la materialki didascalica. “Così mi fai rimpiangere gli schiavisti” era stata la risposta di Elen, con una risata stanca, quasi nervosa. “Io quello l’avevo già fatto!” aveva scherzato Anchel.
Lu si era fatto rigido, come una stecca di legno, quando aveva sentito quel termine, schiavisti. Loro non lo erano, non lo erano affatto, lavoravano per un proposito futuro. Aveva sentito l’impulso di dirlo ad alta voce, ma poi la consapevolezza che il kaelish non desiderasse altro che avere una scusa per colpirlo ed ucciderlo, lo aveva fatto tacere.
La materialki aveva ripreso: “Inoltre, ci serviranno delle scarpe migliori di quelle che abbiamo, o almeno qualcosa con cui possa fabbricarle. Se abbiamo deciso di tagliare per obliquo non passeremo per molti villaggi e dubito fortemente troveremo vere strade.”
La sua voce era sicura, certa, non quella di una persona che era stat rapita, venduta e tenuta in prigionia per settimane e sopravvissuta ad un nubifragio. Gli altri, Lu riusciva a vederlo, erano ancora spossati, anche Elen che si impuntava di rimanere dritta e fiera, era curva e distrutta.

La materialki guidava la fila, a passo rallentato sì, dando il ritmo alla coda; si era messa il braccio della kerchiana intorno alle spalle, con una mano le sorreggeva il polso e con il braccio destro, libero, invece, abbracciava la vita sottile della grisha corporalki.
La sosteneva, anzi la trascinava.
“Va bene” aveva affermato piccato il kaelish, “Probabilmente gheobhaidh muid go léir bás[2] di freddo o mangiati dai lupo di cazzo[3]” aveva aggiunto rabbioso. La sua lingua non era sciolta, era piena di imperfezioni, eccentricità ed accenti sbagliati, ogni parola più che pronunciata, sembrava tirata via con delle ganasce dalla sua bocca. Suoni sporchi ed orribili, anche in una lingua inzaccherata come quella di Ghezen.
Neanche Lu-Wan sembrava un poeta quando parlava la lingua del denaro, ma immaginava che l’educazione di un signorotto Shu-Han e quella di un kaelish venduto sulla Via-delle-Ossa non dovesse essere paragonabile. Gli altri avevano ignorato le lamentele dell’Inferno.

Avevano marciato per altro tempo, fortunati che non fossero finiti a Fjerda nel periodo più freddo, ma se le sue nozioni di geografia erano mai valse a qualcosa, l’entroterra era rialzato, era più freddo e probabilmente avrebbero trovato della neve e la materialki aveva ragione, avrebbero avuto bisogno di scarpe più resistenti. L’unico ad averle in cuoio era lui, ma sospettava non sarebbe rimasto così a lungo; Lu era magro, basso rispetto i suoi compagni, con piedi insospettabilmente piccoli, probabilmente le sue scarpe non sarebbero mai state a nessuno degli uomini, ma immaginava che a una delle ragazze potessero andare.

 

“Dovremmo anche approfittare delle capacità di Caitlyn per plasmarci, per essere più fjerdiani. Siamo un gruppo decisamente eterogeneo e variopinto; in compenso possiamo imputare i capelli corti al culto di Djel” aveva valutato la materialki burrascosa. Lu aveva schiuso le labbra, confuso da quel nome, prima di realizzare che stesse parlando della corporalki kerchiana, Non aveva mai saputo il suo nome, era stato uno dei soggetti restii a parlare ed alla fine non aveva indagato oltre. Però, loro si erano presentati, si erano parlati, forse mentre lui era svenuto sulla sabbia.
La materialki aveva ragione però, davano nell’occhio; Elen aveva un incarnato olivastro che poteva passare per una discendenza hedjut, ma le mancavano i denotati, Hati … era una combinazione di chi sa quali stirpi, Anchel aveva la pelle scura che tradiva una sangue zemeni, il kaelish sfoggiava troppe mutilazioni per passare inosservato, la kerchiana era di un pallore malaticcio e lui era uno Shu, in manette d’osso. L’unica che forse non avrebbe dato nell’occhio era la materialki, che era chiara di carnagione, ma era inequivocabilmente ravkiana.
“Si, desideravo proprio rasarmi i capelli per sembrare un’adepta di Djel” aveva replicato Elen con una voce spenta, riducendo le labbra piene in una linea dritta, come un taglio.  
“Mi … mi dispiace; io non sono una… tailor” aveva commentato a faticata Caitlyn, come se ogni parola pronunciata fosse un’agonia bruciante, “So ritoccare qualcosa, colori, pienezze … fermavo … cuori” aveva aggiunto. La kerchiana aveva quasi avuto una caduta, mentre tentava di parlare e camminare insieme, ma l’altra l’aveva sostenuta.
“Anchel ti può insegnare. Come sarto fa schifo, ma ha imparato qualcosina da Genya Saffin” aveva esplicitato la materialki, rassicurante. Caitlyn aveva provato a dire qualcosa, “Inoltre, è brutto quello che sto per dire, ma dobbiamo approfittare della parem nel tuo sangue. In questo stato noi grisha siamo … al di là di ogni comprensione” aveva considerato la ravkiana, c’era quasi ammirazione nella sua voce.
“Morirò” aveva risposto la kerchiana, stanca.
“Posso raccontarti la storia di Nina Zenik?” aveva domandato con più gentilezza la ravkiana, “Chi?” aveva chiesto pavida Caitlyn.
Lu aveva smesso di ascoltare.
Le due ragazze guidavano la fila, costringendo tutti ad un’andatura più lenta, come i lupi, dietro c’era Malcom, seguito da Hati ancora in forze, ma che presto avrebbe sperimentato gli effetti della lontananza.
C’era lui, che camminava con le mani dietro la schiena, Elen a pochi passi, pensierosa con le labbra ancora strette in un taglio, in ultimo chiudeva la fila Anchel.
“Pensi … pensi che siano morti tutti sulla nave?” era stata la prima volta in almeno un paio d’ore che aveva parlato. Aveva pensato a sua madre, non riusciva a ricordarsi, aveva memorie frammentate, pensava al loro incontro sulle scale, le sue parole, le sue carezze. Sua madre non era mai stata inclina alla gentilezza, all’amore, ma continuava a ricordare quella dolcezza.
Sua madre era morta? Sua madre sapeva che sarebbe morta? Era stata gentile per questo? Gli aveva concesso un ultimo atto d’amore.
Lo chiamava sempre Kebban’a, però, mio caro, di solito lo usavano i kebban, i gemelli, un’anima in due corpi … ‘Ma esiste una relazione più stretta di una madre con un figlio?’, forse era quello.
Elen lo aveva guardato con i suoi grandi occhi, “Spero di no” aveva ammesso la grisha, la sua voce era pregna di senso di colpa, tormento, “C’erano centinaia di persone sulla nave” aveva aggiunto la ragazza.
Lu era rimasto scosso, prima, quando aveva parlato con l’Inferno e con Caitlyn aveva parlato di grisha, si era riferita solo a loro, aveva pensato solo a loro. Ai suoi simili.
Ma quella volta si era riferita a tutti, ai dottori, i marinai, gli inservienti. I suoi nemici.
Elen aveva ripreso a guardare la strada, dando a Lu la visione del suo profilo; tormentata, chiusa, imprigionata, Elen pareva ancora fiero.
“Stavi pensando a tua madre?” aveva chiesto Elen, senza guardalo. Lu era diventato rigido. “Lo ha ipotizzato” aveva aggiunto, ammiccando alla sua amica che guidava la fila.
Ebbe la netta impressione che se la materialki avesse detto ad Elen che il cielo era verde, l’altra ci avrebbe creduto. “Ha un ottimo intuito ed è un’osservatrice capacissima, spesso più di me” aveva considerato la grisha etherealki, ma sicuramente si sapeva destreggiare meno.
Lu si era morso il labro, “Non era mia madre, ma pensavo a lei” aveva mentito – almeno in parte.
La grisha aveva annuito, continuando a guardare la strada davanti a lei, “Bene” aveva considerato, poi si era voltato di nuovo, i suoi occhi non avevano più dolcezza, erano pozzi neri senza fondo, l’espressione tatuata sul viso era priva di dolcezza, di accondiscendenza, “Lei no” aveva detto Elen, con un tono quasi rassicurante, “Lei non è sopravvissuta. Ce ne siamo accertate.”

Linea temporale:

-          Nascita di Igor, Vlad -5

-          Nascita di Shioban -3

-          Ekaterina e Anastasjia Rorik-1

-          S&b 0

-          SoC 2

-          Nascita di Yuliana Van Eck 3

-          Fine KoS/RoW 4

-          Nascita di Lu-Wan, Magnus e Trattato Fjerda-Ravka 5

-          Nascilta di Hati 6

-          Nascita di Drina, Anchel 7

-          Nascita di Elen, Caitlyn, Malcom, Ilsebelle 8

-          Nascita di Jordie; Concordato dei Tre Stati 10

-          Nascita di Dominik 11

-          Nascita di Merissa Nassau Kir-Taban 12

-          Raccolta dei bambini di Kerazin, 16

-          Nascita di Vassilissa e Mesha Effimovich 20

-          Nascita di Matthias Grimjor 21

-          Distruzione della Ji-Han 22

-          Nascita della principessa Alina 23

-          Principe Dominik incontra la Principessa della Jurda 28

-          Nascita del principe Juris Nazyalensky 35

-          Nascita del Piccolo Nikolai Nazyalensky 39

-          Festa dei 40 anni della Riunificazione; Il Principe Matthias “cerca” moglie 40



[1] Causa persa

[2] Moriremo tutti, in irlandese

[3] Una volta una mia amica che sa parlare quelle comode sei lingue, mi disse che la cosa che le dava più problemi erano gli articoli e le desinenze plurali/singolari. Il Kaelish ha detto che parlava Kerch “quanto basta” quindi sì, non bene.

   
 
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