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Autore: Nina Ninetta    20/03/2023    3 recensioni
Un mondo flagellato da un gelo senza precedenti che gli abitanti hanno ribattezzato IV Era Glaciale. Eppure, qualcuno sostiene che non sia un fenomeno naturale, ma che ci sia qualcosa di oscuro dietro...
Cinque giovani, ognuno con il proprio passato ingombrante, dovranno unire le forze e affrontare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Finora...
"Seconda classificata al contest “D&D Mania” indetto da Ghostro sul forum di Efp"
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO
ETTIMO

 
Appena prima di perdere i sensi, Garni udì la voce di Stella che lo chiamava. Mani e piedi gli erano stati legati all’altare a forma di croce al centro della sala, nel Tempio di Vhulchanius, sotto di lui si agitavano le Fiamme Sacre della dea. Una vestale di Ve’Rah, cavalcioni sul giovane, impugnava uno stiletto dorato, mormorando una preghiera incomprensibile, mentre gli tagliava in due la blusa. Garni pensò che avrebbe anche potuto provare soddisfazione in una posizione del genere, se non stesse rischiando di morire. Era frastornato, a causa dell’infuso che gli avevano fatto bere. Oramai riusciva a distinguere solo sagome indistinte, ma sapeva che l’uomo vestito di bordeaux sulla balconata superiore era il Gran Sacerdote e che teneva davanti a sé la Pergamena del Drago.
Poi sentì Stella urlare il suo nome e si voltò verso la fonte da cui era provenuta la voce. Gli parve di scorgere la Leonid, e forse c’erano anche gli altri… ma la vista si offuscava sempre più.
La lama sottile del pugnale gli si conficcò proprio al centro del petto, trafiggendo il muso del lupo che teneva tatuato. Fu un dolore acuto, profondo, lacerante. Svenne quasi subito, mentre il sangue scorreva da entrambi i lati del torace e gocciolava nelle fiamme sottostanti. Il Sommo Sacerdote sollevò i palmi e intonò una specie di litania, un mantra antichissimo e potentissimo. Le fiamme, dapprima dormienti, divamparono e avvolsero la giovane Vestale, la quale stava spingendo sempre più a fondo la lama nel petto del Figlio della dea. Ma quando la raggiunsero, dapprima gridò di dolore, poi la incenerirono. Garni invece non bruciò, sebbene il fuoco lo avesse ormai avviluppato tutto.
Sulle due rampe di scale, che circondavano l’altare sacrificale e che portavano alla balconata superiore occupata dal Gran Sacerdote, c’erano una decina di altri seguaci della dea, cinque per parte, inginocchiati in preghiera.
«Garni! Garni!» Stella fece un paio di passi per raggiungerlo, ma una lingua di fuoco le serrò la strada. Era stato uno dei sacerdoti, i quali presero a scendere le scale in ordine, senza scomporsi. Con le mani giunte invocarono esseri di fuoco grossi quanto querce e dalla pelle coriacea come le pareti del vulcano.
«Cosa sono?» Chiese Damien.
«Golem di Ve’Rah» rispose Emeryl stringendosi al suo bastone e Kewst la imitò, sguainando il martello.
«Stella» la chiamò quest’ultimo. «Tu pensa a Garni. Damien, va con lei. Questi lasciateli a noi.» 
La principessa di Iberia si tramutò in una donna-leone e prese a correre a quattro zampe, facendosi largo tra i nemici con l’agilità tipica dei felini. Il mago la seguì, defilandosi il più possibile per evitare di essere colpito. Uno dei golem, però, fece per atterrare la sua enorme mano sul ragazzo, ma Kewst lo bloccò con l’elsa del martello, spingendolo indietro. Quindi diede ordine a Damien di sbrigarsi.
Le Fiamme Sacre avevano quasi raggiunto la balconata superiore, sembravano letteralmente abbeverarsi del sangue di Garni. Stella lo chiamò, ma quello era del tutto privo di sensi – o quantomeno sperò che fosse solo svenuto. Invocò un incantesimo di protezione per difendersi dalle fiamme e con un balzo atterrò sull’altare, lacerando a morsi i lacci che tenevano immobilizzato l’amico, poi con un ultimo sforzo se lo issò sulla spalla e saltò dall’altra parte. Le fiamme le avevano bruciato la pelle, nonostante lo scudo magico, e Damien innanzitutto soccorse lei.
«Lascia perdere me» disse la ragazza. «Pensa a lui!» Le lacrime si facevano largo sul viso sporco di fuliggine. Teneva la testa di Garni adagiata sulle proprie cosce e lo fissava mentre gli accarezzava la testa. «Pensa a lui» ripeté, e il giovane mago lo fece.
Il Sommo Sacerdote urlò di frustrazione, le Sacre Fiamme si ritirarono nuovamente nel ventre del vulcano e la Pergamena si dissolse divenendo cenere.
«Folli! Cosa avete fatto?! Pazzi!» Urlò il primo seguace di Ve’Rah. «Così facendo avete alimentato il Grande Gelo!» Giunse le mani davanti al volto e invocò il proprio Golem di Ve’Rah: un essere ancor più grosso dei suoi simili, più potente.
Kewst ne aveva appena colpito uno alla gamba, lo vide cadere carponi, ma lo afferrò per una caviglia scaraventandolo lontano. Il guerriero si rimise in piedi, puntellandosi sul martello che usava in battaglia, scuotendo la testa per riprendersi dalla botta subita, sentì il sangue scorrergli lungo la guancia. Poi una di quelle creature magiche lo afferrò per il collo, sollevandolo diversi metri da terra.
Emeryl se ne accorse, fece per muoversi nella sua direzione intenta ad aiutarlo, ma un altro di quegli esseri la colpì in pieno stomaco e lei rimase senza fiato. Tossì ginocchioni, sputando saliva e sangue, sentiva i passi di quello stesso golem che si avvicinava, cercò a tentoni il bastone e si rese conto si averlo perso. Sollevò lo sguardo: Kewst stava lottando contro uno di loro, scalciando e dimenandosi; Damien aveva avvolto Garni di una luce azzurrognola e aveva la fronte imperlata di sudore, segno evidente che la situazione era critica. Stella, invece, stava fronteggiando il golem del Sommo, ma anche lì la lotta era impari, inoltre teneva le braccia scottate distese lungo il corpo e l’unica sua preoccupazione pareva quella di distrarre l’avversario, di tenerlo lontano da Garni e Damien. No, così non poteva andare. I passi del gigante di fuoco erano sempre più vicini, l’avrebbe spiaccicata al suolo con un solo piede. Chiuse gli occhi, richiamando tutto il potere che albergava in lei e per il quale era stata bandita dal suo stesso Paese. Il golem era ormai vicinissimo, allungò un braccio e le sfiorò il viso un attimo primo che lei riaprisse gli occhi – completamente bianchi – e lo fulminasse con una sola scossa. Del golem non rimase che un mucchietto di cenere.
Emeryl si mise in piedi, allargò le braccia e voltò il capo all’indietro. Sulla bocca del vulcano si addensarono nubi scure, mentre in lontananza si udirono i boati dei tuoni, poi una scarica di saette si abbatté all’interno del tempio, colpendo tutti i golem presenti, compreso quello del Gran Sacerdote. Kewst cadde a terra, cercando di far entrare quanta più aria possibile nei polmoni, mentre si guardava intorno: i golem erano diventati polvere. La Din Nadair tornò in sé, reggendosi a stento su gambe tremanti tentò di raggiungere Kewst che già le stava andando incontro, quindi si accasciò fra le sue braccia.
I golem erano stati annientati, ma i sacerdoti di Ve’Rah erano ancora vivi e vegeti e senza alcun graffio. Li videro unire di nuovo le mani, pronti a invocare nuovi mostri e questa volta non avrebbero avuto scampo, avevano esaurito ogni briciolo di energia, lo stesso Damien sembrava esausto.
D’un tratto, si udì un gran brusio provenire dal tunnel e la figura imponente di Dun’Gar ne fece capolino, seguito da un folto gruppo di Lupi di Niihel. Ai suoi piedi, Màs ululò.
I membri della gilda furono più scaltri dei sacerdoti e in breve li circondarono puntandogli pugnali alla gola, deridendoli e esultando come chi ha appena conquistato un villaggio. Dun’Gar raggiunse suo figlio e lo prese in braccio, sfiorandogli la fronte con la sua si scusò.
«Dun’Gar, questa tua azione scellerata si ripercuoterà sul mondo intero» tuonò il Sommo Sacerdote dall’alto.
Il capo dei Lupi di Niihel sollevò lo sguardo solo per squadrarlo, non rispose, gli diede le spalle e uscì.

 
  
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Trascorsero ore, giorni e settimane prima che Garni si risvegliasse. Quando lo fece, fuori era buio e lui era da solo. Lì per lì non si rese conto di dove fosse, né di cosa fosse accaduto. Gli ci vollero diversi minuti per ricordare l’ultima cosa che aveva vissuto: lui legato sopra un altare, una vestale che lo pugnalava, la voce di Stella. Tuttavia, ricordava anche altre cose, flash all’apparenza sconnessi. Durante quei dormiveglia, gli era sembrato di sentire suo padre implorarlo di combattere; la voce dei suoi compagni Lupi; Kewst chiedergli perdono; Emeryl domandare a Damien se ci fossero buone notizie; le lacrime silenziose di Stella. Il pelo caldo e morbido di Màs. E fu proprio quest’ultima a dargli il ben svegliato, leccandogli una guancia. Garni la strinse a sé, come non aveva mai fatto. Sentiva dolore ovunque, soprattutto al centro del petto, dove si apriva una profonda cicatrice che aveva reciso il tatuaggio del lupo in due. Si mise seduto sul letto, la stanza vorticò spaventosamente, perciò attese qualche istante prima di alzarsi. Non si udiva nulla, a parte il fischio del vento, ma aveva capito dove si trovava: alla Tana dei Lupi. Màs lo teneva d’occhio, scodinzolando felice. Anche sostenendosi a lei si issò, barcollò, infine riuscì a trovare l’equilibrio. Aveva una gran fame, perciò decise di scendere al piano di sotto con la speranza di trovare qualche avanzo della cena. Non gli andava di svegliare gli altri, desiderava restare da solo, per ora.
Dabbasso trovò del pane ancora morbido, del formaggio di capra e una caraffa di legno piena di vino di melograno: il preferito di Dun’Gar. Masticando, guardò fuori dalla finestra e notò una figura avvolta in una pelliccia di leone che se ne stava seduta sugli scalini della veranda, con la testa rivolta verso il cielo.
Stella.
Il giovane finì di mangiare, bevve un altro sorso di vino e raggiunse la principessa fuggiasca. Lei quasi urlò quando lo vide lì, in piedi.
Vivo, era vivo!
Saltò sul posto e lo abbracciò forte, piangendo di gioia e liberazione.
«Grazie a O’Shu-Tal!» Esclamò, ma quando la stretta divenne troppo confidenziale si allontanò, imbarazzata. Gli chiese scusa, tornando a sedersi sul primo scalino. Garni la imitò, senza smettere di osservarla con quel suo sorriso sornione. «Non farti strane idee! Ero solo preoccupata.» Lanciò un’occhiata all’interno della locanda, vuota e buia, fatta eccezione per Màs che si era sdraiata ai loro piedi e già sonnecchiava.
«Dormono» disse Garni.
Stella lo osservò: era sciupato, la carnagione abbronzata tendeva al grigio, ma era normale. Aveva perso tanto di quel sangue e… abbassò lo sguardo sulla cicatrice a forma di X, proprio dove un tempo teneva il tatuaggio. Allungò le dita per sfiorarla.
«Provi dolore?»
«Fastidio» Garni allora notò che le mani e le braccia di lei erano fasciate fino ai gomiti. Adagiò il palmo sopra le sue dita. «Ti sei bruciata? Sono stato io?»
Stella chinò il capo e lo scosse con vigore.
«Non avremmo mai dovuto lasciarti andare, è stato un errore.»
«Ho scelto io di andare. Voi non c’entrate nulla.»
La ragazza ritirò la mano e tornò a osservare le stelle.
«Non ho mai visto un cielo più bello.»
«Hai ragione» ammise lui, ma stava guardando lei che se ne accorse e lo colpì docilmente. Si sorrisero, poi Stella gli porse il ciondolo di ametista che le aveva dato.
«Dun’Gar ha detto che saresti tornato a prendertelo» Garni lasciò che glielo infilasse al collo. «Adesso è di nuovo tuo…» Lo studiò, mentre lui giocherellava con il gioiello, provando una fitta al cuore. Era bello come nessuno prima: i capelli mossi dalla brezza; la ciocca colorata che pareva disegnata sul petto messo in risalto dalla blusa aperta; i lineamenti delicati e lo sguardo felino gli donavano un’aura affascinante, tenebrosa. Il giovane sollevò lo sguardo e si accorse che Stella stava piangendo. Le sorrise accarezzandole il tatuaggio sulla guancia e lei inclinò la testa per bearsi di quel tocco. Aveva fallito, si era fatta poche promesse nella sua vita e le stava mancando tutte.
«Sono qui, vivo. Ho anche questa nuova cicatrice che mi dona un’aria da duro. Non che ne avessi bisogno, ma sai: le donne impazziscono per storie come queste» le strizzò l’occhio.
«Che idiota!» Disse lei, in un sorriso bagnato di lacrime. Si asciugò il volto. «Lo so che sei qui, ti vedo, ti sento» aggiunse, stringendogli la mano con la propria.
«Ma…?»
Stella sospirò.
«Ho giurato a me stessa che non avrei più aperto il mio cuore a nessuno. Ogni volta che mi sono concessa questo lusso, quelli intorno a me sono morti. I miei genitori, i Leonid che mi aiutarono a fuggire…» prese fiato, ripensare a quella notte era ancora dannatamente doloroso.
«Non sapevi avresti incontrato uno come me» nuovo occhiolino accompagnato dall’ennesimo sorriso.
«Non è questo» Stella scosse il capo e voltò il viso dall’altra parte. Forse aveva preteso troppo da lui, il fardello che portava non poteva dividerlo con nessun altro. Era suo e suo soltanto.
«Ehi…» Gar si inginocchiò davanti a lei, tenendo le sue mani fasciate nelle proprie. Lei lo guardò negli occhi, era serio. «Non puoi reprimere i sentimenti, nessuno ci riesce.» Accennò un sorrisetto sghembo. «Io no di certo.»
«Non è solo questo…» Stella mosse il capo in senso di diniego.
«E allora spiegami, cos’è?»
«Io sono stata addestrata per sedere sul trono di Iberia, un giorno! Per liberare il mio popolo dalla tirannia di mio fratello Globo, e cosa ho fatto finora?» Stella allargò le braccia, di nuovo sull’orlo delle lacrime, ma di rabbia. «Assolutamente nulla!»
Garni le prese mani e gliele riportò in grembo, parlandole a una spanna dal viso:
«Lo faremo insieme. Ti aiuterò io.»
«Tu?»
«Sì, io. Non mi ritieni capace?»
Stella trattenne un risolino:
«Tu non fai mai niente per senza niente.»
Lui annuì sornione:
«In effetti, potrei chiederti un pegno…»
«Ad esemp-»
Garni la baciò sulle labbra, socchiudendo gli occhi e premendo la bocca sulla sua. Le labbra di Stella erano morbide, calde e umide a causa delle tante lacrime. Quando si staccò da lei, il giovane si rese conto che l’altra era rimasta impietrita, non se lo aspettava, oppure…:
«Era il tuo primo bacio?»
«Certo, idiota! Sono una principessa, io!» Stella scattò in piedi, facendolo cadere con il sedere al suolo. Màs guaì. Era divertito e non lo sopportava. Gli diede le spalle e fece per tornare nella taverna, ma si arrestò sentendogli dire:
«Non stavo scherzando, principessa. Ti aiuterò a riconquistare il tuo regno e di sicuro saranno d’accordo anche gli altri. In fondo, è da lì che nasce il Grande Gelo, no? Anche Damien lo sostiene…»
Stella si voltò indietro, Garni era tornato in piedi e stava avanzando verso di lei, forse solo per tornare a dormire. Doveva essere esausto, il colorito pallido non smentiva il suo stato di salute.
Ripensò a quando lo avevano portato lì, esamine, senza quasi speranza di sopravvivenza. Damien aveva dato tutto se stesso per aiutarlo, senza dormire per ore intere. Anche Emeryl e Kewst si erano messi a disposizione, cercando erbe medicinali per preparare gli unguenti che erano perlopiù serviti a lei e alle sue bruciature. Cavolo, si era letteralmente buttata nel fuoco per salvarlo! Gli aveva dormito accanto nelle notti di maggior freddo, quando la febbre lo aveva quasi ammazzato e i brividi scosso come il vento percuote le fronde degli alberi. E ora che era lì, di fronte a sé, non sapeva neanche che cosa dirgli?
«Quindi lo fai per fermare il freddo?»
«Lo faccio perché mi va.» Gar la fissò negli occhi, arricciando gli angoli delle labbra. «Hai ragione quando dici che non faccio mai nulla senza ricevere niente indietro, ma ti svelerò un segreto che pochi conoscono…» si chinò in avanti per sussurrale: «Soprattutto, non faccio mai niente che non voglia» pausa. «Buonanotte, principessa.» Questa volta fu lei ad afferrarsi al suo collo per baciarlo sulle labbra. Garni le cinse la schiena e, avvertendo la sua bocca schiudersi, non esitò a lasciare che le lingue si incontrassero. Il bacio, lungo e appassionato, li lasciò entrambi con il respiro affannoso, denso di passione. In altri casi, il giovane avrebbe tentato un approccio ancora più arduo, ma quella ragazza che stringeva a sé e che stava guardando dritto negli occhi non era una fanciulla qualunque. Era una principessa, cavolo! E, fattore non da meno, provava per lei un sentimento che non aveva mai sperimentato prima.
«Preparati, si parte fra qualche giorno» cominciò lui. «Ho sentito Kewst parlarne con Emeryl.»
«Lo sapevi già?» Stella gli sfiorò il braccio con un pugnetto. «L’hai fatto apposta!»
«A volte mi svegliavo, ma ero così stanco che non riuscivo neanche ad aprire gli occhi, così mi limitavo a origliare.»
«Ti sei a-anche accorto che…»
«Che di notte sgattaiolavi nella mia stanza e ti sdraiavi vicino a me?!» Stella arrossì. «Sì.» Le accarezzò i capelli argentati. «Grazie» bisbigliò infine, lasciandole un ultimo bacio a fior di labbra.
 

 
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