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Autore: Orso Scrive    20/03/2023    1 recensioni
Alan Knight, agente dell’Interpol, prosegue l’inseguimento dei due ladri d’antichità, Smith e Fournier, che era quasi riuscito ad acciuffare in Egitto. La sua caccia lo conduce tra le cupe foreste dell’Africa Nera, luoghi selvaggi e inesplorati, che celano insidie misteriose…
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO NONO

 

 

Non fu per nulla difficile rintracciare la pista seguita dalle scimmie nella foresta, poiché le bestie si sentivano tanto sicure di sé, ormai, da non aver fatto proprio nulla per mascherare i segni del proprio passaggio. Erbe schiacciate, rami spezzati, cespugli sradicati, indicavano chiaramente l’itinerario percorso dalla colonna di aguzzini e prigionieri.

Mentre avanzavano, Knight fece segno a Mugambi di avvicinarglisi.

«Hai saputo da qualcuno quante fossero le scimmie giganti?» chiese.

«Uno dei guerrieri dice che, secondo lui, erano almeno una cinquantina, ma che avrebbero anche potute essere di più, perché si muovevano tanto rapidamente che era una cosa quasi impossibile riuscire a contarle.»

Il poliziotto scosse il capo: «In ogni caso, parecchie. Dovremo riuscire a coglierle di sorpresa, altrimenti non avremo alcuna possibilità. Bah! Sono uscito vivo dalle trincee della Grande Guerra ed ho affrontato un manipolo di pazzi egiziani invasati, scamperò anche a questo incontro con primati troppo cresciuti.»

Continuarono a camminare in silenzio, seguendo il medesimo percorso delle scimmie e dei loro prigionieri; la strada sembrava non terminare mai e, ad un certo punto, dopo quasi quattro ore di cammino, Knight ordinò di fare una pausa per riposarsi. Sedettero in terra e, mentre le tre donne cercavano in giro qualche frutto commestibile da mangiare, un guerriero disse qualcosa a Mugambi, che tradusse per il poliziotto.

«Nessuno di loro si è mai avventurato così tanto, nel fitto della foresta, almeno non negli ultimi anni. Siamo, ormai, nel pieno del regno di quei mostri.»

«Prudenza, allora» bofonchiò Knight. «Potremmo essere sorvegliati.»

Sollevò gli occhi alla volta frondosa della foresta, tendendo l’orecchio ad ogni minimo rumore. Il suo istinto gli suggeriva che quella di essere controllati da qualcosa o da qualcuno, in questo momento, non era affatto una semplice possibilità. C’era davvero qualcuno nascosto nell’ombra delle fronde a tenerli d’occhio, e già da un bel po’, inoltre. Si chiese chi potesse essere: se fossero state le scimmie, ad averli scoperti, sarebbero già stati attaccati in massa, non avrebbero di sicuro avuto occasione di fermarsi per riprendersi dalla fatica. Con apprensione, rivolse uno sguardo alle tre donne che stavano cercando la frutta, ma le tre giovani si mantenevano in vista ed erano decisamente tranquille.

Fece un cenno a Mugambi e gli confidò i propri sospetti. Il congolese annuì.

«Me ne sono reso conto pure io» rispose. «Qualcuno ci sta seguendo. Qualcuno di molto silenzioso, non una scimmia.»

«Un uomo?» replicò Knight, con sorpresa.

«Sì, signore. È un uomo, quello che ci sta venendo appresso.»

Il poliziotto si alzò in piedi, sempre guardando verso l’alto, in direzione delle frondose cime degli alti arbusti, dove anni ed anni di addestramenti, indagini e affinamento dei sensi gli suggerivano essere celato il suo bersaglio; ma che fosse un amico od un nemico, questo non poteva saperlo.

«Non possiamo continuare a camminare nella foresta, che si fa via via più fitta, senza sapere chi sia a seguirci. Dobbiamo fare in maniera di attirare allo scoperto il nostro misterioso persecutore.»

Mugambi fu d’accordo con lui.

«Appena avremo mangiato qualcosa, dirò ai guerrieri di arrampicarsi velocemente sugli alberi. Chiunque ci sia lassù, sarà costretto o a scendere od a fuggire, per non farsi scoprire.»

Le donne, poco dopo, ritornarono con la frutta ed ognuno di essi ne ebbe una buona razione: c’erano banane, bacche di tamarindi e frutti del baobab, i quali rinvigorirono completamente gli undici membri della spedizione, restituendo loro ogni singola briciola di energia perduta; una delle donne, poi, trovò anche una sorgente d’acqua fresca, nelle vicinanze, dove poterono bere e riempire le proprie borracce. Dopo quel pranzo vegetariano ma sostanzioso, Mugambi radunò gli uomini attorno a sé e comunicò loro il piano, piuttosto semplice, certo, ma comunque l’unico che avrebbero potuto mettere in pratica in quelle condizioni. I guerrieri, peraltro, non ebbero nulla da ribattere e, come se nulla fosse, s’inerpicarono immediatamente lungo i fusti delle piante, guadagnandone in breve tempo le cime, mentre il congolese, il poliziotto e le tre donne li osservavano dal basso, in attesa.

Per alcuni minuti, non accadde assolutamente nulla. All’improvviso, tuttavia, si levò un grido acuto ed un corpo umano cadde dall’alto delle fronde, rialzandosi poi con estrema agilità e cercando di slanciarsi verso la folta vegetazione circostante per far perdere le proprie tracce. Mugambi, nonostante ciò, non glielo permise e, con un balzo prodigioso, si buttò contro l’uomo, afferrandolo per le spalle e tentando di tenerlo fermo. Quello, però, si agitò così forte da riuscire quasi a liberarsi dalla presa del possente congolese, e ci sarebbe molto probabilmente riuscito se Knight, all’ultimo istante, non glielo avesse impedito bloccandogli le braccia in una stretta degna di una tenaglia.

I guerrieri, scesi velocemente dagli alberi, vennero con le donne a dar loro man forte e l’uomo, vedendosi ormai inesorabilmente prigioniero, abbassò il capo, con aria sconfitta.

Con una certo sbalordimento, Knight l’osservò bene. L’uomo, vestito solamente di un corto gonnellino di foglie intrecciate, doveva essere un mulatto, a giudicare dal colore della sua pelle e dai lineamenti del suo volto; i capelli, lunghissimi, gli arrivavano fin quasi a metà schiena, mentre una barba arricciata gli copriva le guance ed il mento in maniera difforme. Era estremamente magro, ma le gambe e le braccia apparivano enormemente muscolose ed allenate, come se per anni quel tale non avesse fatto altro che arrampicarsi lungo le piante della foresta; molto probabilmente, per quanto incredibile, era veramente così. Nonostante l’aspetto selvaggio, la sua età si poteva facilmente quantificare attorno ai vent’anni o poco più.

«Che mi prenda un colpo!» esclamò Knight. «Un uomo scimmia! I naturalisti europei hanno sempre parlato della possibilità dell’esistenza di tali esseri ma, personalmente, credevo che queste storie fossero solo delle leggende!»

L’uomo sollevò il capo e fissò i propri occhi neri e lucenti in quelli di Knight. Poi, sorprendendo tutti, ma soprattutto il poliziotto, disse, in un buon inglese: «Da tanto tempo non udivo parlare questa lingua, signore.»

«Tu… tu conosci l’inglese?» si stupì Knight. «Ma com’è possibile?»

«Fu mio padre ad insegnarmi questa lingua, signore» replicò l’altro. «E non solo questa; posso parlarti, se lo preferisci, in italiano, in francese, in tedesco, in spagnolo ed in latino. Stavo cominciando ad apprendere anche l’antica lingua dei greci, ma fui costretto ad abbandonare i miei studi, quindi mi devi scusare se non potrò conferire con te attraverso tale idioma…»

In quel momento, uno dei guerrieri, che era più anziano degli altri, mandò un’esclamazione e cadde in ginocchio, in lacrime, alzando le mani verso il giovane come se lo stesse benedicendo.

«Iye Tumbili! Iye Tumbili!» urlò il guerriero, riconoscendo nell’uomo ormai adulto le fattezze del povero bambino. Knight non ebbe bisogno, questa volta, che Mugambi intervenisse a tradurre la frase.

«Davvero tu sei Tumbili?» disse con enfasi, senza riuscire a credere ai propri occhi, al culmine del proprio sbigottimento. «Tu sei il bambino che venne rapito dalle scimmie?»

Il giovane annuì: «Sono io. Non credevo che la mia storia fosse conosciuta da qualcuno.»

Knight lasciò andare le braccia di Tumbili, ma fece segno a Mugambi di continuare a mantenere la presa sulle sue spalle, affinché al giovane non venisse la tentazione di provare a darsi alla fuga.

«I guerrieri della foresta si ricordano ancora benissimo di te» spiegò Knight. «Il loro re, Wamkulu, era tuo amico, un tempo.»

«Wamkulu…» mormorò il giovane selvatico. «Me lo ricordo… lui ti ha parlato di me?»

«Non ne ebbe il cuore, poiché la tua triste storia risveglia in lui atroci ricordi. È stato Nagwazi, il fratello di tua madre, a raccontarmi quello che accadde, del tuo rapimento. Tutti, ormai, ti piangevano come morto da tanti anni.»

Udire i nomi di Wamkulu e di Nagwazi riempì di lacrime gli occhi di Tumbili. I suoi muscoli si rilassarono e, promettendo che non sarebbe fuggito, chiese che Mugambi lo lasciasse libero. Knight annuì ed il giovane andò a sedersi ai piedi di uno degli alberi. Gli altri gli si fecero tutt’attorno per ascoltarlo. Egli iniziò a parlare, sempre in inglese, e Mugambi, questa volta, fece da interprete a favore delle donne e dei guerrieri.

«Nonostante fossi molto piccolo, ho un ricordo indelebile di quella notte. Ero in casa, con mio padre, mia madre e mia nonna, oltre ad alcuni lavoratori che erano impiegati presso di noi. Stavamo cenando quando, improvvisamente, venimmo assaliti da quegli animali. Immagini atroci, come lampi, si susseguono nella mia mente, a proposito. Io solo fui risparmiato, ma venni strappato a forza dalle rovine della mia casa e condotto nella foresta, presso il luogo in cui le scimmie giganti comandavano sulle altre scimmie. Le scimmie, gli scimpanzé della foresta, sono sottoposte ad una sorta d’incantesimo, che le rende schiave delle scimmie giganti, asservendole al loro volere. Ma alcune, proprio in quel periodo, si ribellarono: e, fuggendo, mi presero con sé. Fui allevato dalle scimmie libere e, col tempo, sono divenuto amico intimo dei leoni e degli altri animali della foresta e della savana. Questo non mi ha fatto dimenticare le mie origini, anche se la paura d’imbattermi nuovamente nelle scimmie giganti mi ha sempre impedito di lasciare la compagnia delle mie salvatrici per tornare presso il popolo di mia madre. Io sono Tumbili, il figlio della foresta, e non l’abbandonerò mai.»

Knight, scosso da quelle parole, domandò: «Perché ci seguivi?»

«Perché ho assistito al rapimento degli abitanti del villaggio, poi ho visto arrivare voi ed ho capito che stavate andando in loro soccorso. Voglio aiutarvi. Dimmi: anche mio zio Nagwazi ed il mio vecchio amico Wamkulu sono tra quei prigionieri?»

«Wamkulu è tra di loro» rispose il poliziotto. «Nagwazi, purtroppo, non è sopravvissuto all’attacco.»

Tumbili chinò tristemente il capo e rimase in silenzio.

In quanto a Mugambi, una domanda l’assillava e, dopo qualche istante di attesa, non riuscì più a trattenersi.

«Hai detto che le scimmie della foresta sono sottoposte ad un incantesimo delle scimmie giganti. Ma, allora, questo sortilegio può essere in qualche maniera spezzato?»

Tumbili annuì: «Avendo imparato a comunicare con le scimmie che mi hanno cresciuto, ho appreso la verità.»

«Cosa?» sbottò il poliziotto. «Tu parli la lingua delle scimmie? Non sapevo nemmeno che ne avessero una!»

«Gli animali sono più intelligenti ed evoluti di quanto possa apparentemente sembrare» spiegò Tumbili. «E le scimmie che mi hanno allevato lo sono in maniera particolare. Esse mi hanno narrato la storia vera, riguardo alle scimmie giganti, nonché il modo di sconfiggerle definitivamente.»

Knight non riusciva a credere alle proprie orecchie; del resto, però, incontrare un uomo selvaggio, nel mezzo delle selve dell’Africa equatoriale, che fosse anche in grado di parlare correttamente l’inglese e svariate altre lingue, dopo essere sopravvissuto a due attacchi di primati guidati da uno scimmione in grado d’impartire ordini come un comandante militare, lo stava facendo ricredere su parecchie delle sue convinzioni. Perché, allora, non dare credito anche a questa faccenda? D’altra parte, al suo fianco, Mugambi sembrava essere profondamente attratto dalle parole del giovane. Se poteva prestargli fede il congolese, perché lui avrebbe dovuto essere da meno? Ascoltare il racconto non gli avrebbe fatto alcun male; avrebbe deciso dopo, semmai, se ritenerlo credibile oppure no.

«Va bene» bofonchiò. «Se conosci una qualsiasi maniera per aiutarci, allora dilla. Ti ascolto.»

Tumbili annuì una seconda volta, poi riprese a parlare: «Diversi secoli fa, visse in questi luoghi un esperto e potentissimo mago, chiamato Wamatsengal, un uomo capace di compiere qualsiasi artifizio desiderasse. Egli era buono e si prodigava per gli altri, ricorrendo ai propri poteri per fare il bene di chiunque ne avesse avuto bisogno. Ma, come tutti gli uomini, anche’egli, un giorno, venne vinto dalla passione: quella per una bellissima fanciulla, chiamata Matisikana, la figlia di un grande capo di una delle tribù della savana, un uomo per cui Wamatsengal aveva già compiuto decine e decine d’incantesimi prodigiosi. Egli, come compenso per i tanti servigi resi, domandò Matisikana come propria sposa, ma il grande capo gliela rifiutò e, dopo averlo fatto umiliare e battere dai propri sgherri, lo scacciò dal villaggio, imponendogli di non rimettervi piede mai più, pena la morte. Ciò che maggiormente fece soffrire Wamatsengal, però, non furono né le percosse né le umiliazioni ricevute, no, bensì il fatto che la stessa Matisikana avesse riso di lui, vedendolo gettato nel fango. Da questo momento, il suo amore si tramutò prima in immenso dolore e, poi, in odio, un odio profondo che, dapprima rivolto ad una sola persona, finì coll’avvelenare il sangue del mago verso qualunque altro essere umano. Lui stesso, vergognandosi di quella forma, perpetrò sopra di sé una potente magia, la quale lo tramutò in una gigantesca scimmia. In queste nuove vesti, schiavizzò i primati della foresta e li utilizzò per attaccare il villaggio di Matisikana: lo distrusse completamente ed ella sola sopravvisse al massacro. Trattala nella sua grotta, nascosta nelle interiorità della foresta, Wamatsengal la tramutò in una scimmia gigante come lui, e con ella generò una prole di scimmie giganti, non grosse quanto erano loro, ma decisamente più imponenti rispetto a qualsiasi altro primate. Egli, col tempo, creò il terrore presso le foreste e le savane, fino a quando un grande re del Sud…»

«Sì, sì, questa parte la conosciamo già» l’interruppe Knight, che aveva ascoltato con impazienza il racconto. «Ma dicci, invece, in quale maniera si possano sconfiggere queste scimmie e come mai tu, se lo sai, non hai mai agito?»

«Come potevo agire, io, da solo? Le scimmie con cui vivo sono troppo impaurite per seguirmi! Esse credono che, se si avventurassero troppo vicino ai luoghi abitati da Wamatsengal, finirebbero nuovamente vittima dell’incantesimo, a cui si sottrassero con fatica tempo fa!»

«Va bene, va bene» brontolò il poliziotto.

«E in quale maniera potremo sconfiggere questo mago divenuto scimmia?» chiese Mugambi.

Tumbili chiuse gli occhi: «C’è un solo modo per riuscire. Wamatsengal possiede una pietra magica, dalla quale derivano tutti i suoi poteri. Egli la tiene sempre con sé, nella grotta in cui vive ancora con la sua consorte Matisikana. Bisogna riuscire ad impadronirsi di quella pietra e distruggerla: solo così ogni magia operata da Wamatsengal sarà annientata, ed egli stesso riacquisterà la sua forma umana, privo, ormai, di ogni potere. A quel punto, le scimmie giganti, trovandosi in estrema minoranza, saranno costrette ad andarsene e le foreste saranno finalmente libere.»

«M’immagino quante ne dirà al povero Wamatsengal la sua cara mogliettina, quando riprenderà a parlare» commentò con ironia Knight. «Ma quanti anni possono avere, poi? Se egli è divenuto una scimmia secoli or sono…»

«Fintanto che saranno in quella forma, né Wamatsengal né Matisikana potranno morire, al contrario dei loro figli, i quali non hanno mai ricevuto il dono dell’immortalità. Se la tua intenzione è quella di rompere l’incantesimo, io ti seguirò. Dobbiamo fare attenzione, però, perché il mago e sua moglie difenderanno strenuamente la pietra magica e non sarà certo facile arrivare fino a loro, poiché dovremo affrontare tutti i loro schiavi.»

Il poliziotto ghignò, mostrando il proprio fucile all’uomo selvaggio.

«Con questi arnesi, non sarà difficile spianarci la strada» spiegò. «Ed ora, affrettiamoci!»

Con un cenno, segnalò ai suoi compagni che era giunto il momento di rimettersi in marcia. Anche Tumbili s’alzò in piedi e s’incamminò al suo fianco. Knight non sapeva se credere davvero alla storia di quel figlio della foresta; d’altra parte, però, ne aveva già vedute abbastanza, tra lì e l’Egitto, da poter essere pronto a qualsiasi cosa. Del resto, poi, non gl’importava più di tanto quale fosse la verità: che quelle scimmie fossero incantate, molto intelligenti o semplicemente impazzite, per lui non avrebbe fatto alcuna differenza. Ciò che contava, invece, era liberare il re Wamkulu, il suo popolo e, soprattutto, Smith e Fournier i quali, ne era certo, si trovavano saldamente nelle mani di quegli animali. Sperò solamente di arrivare in tempo: perché, se Wamkulu e gli altri guerrieri non avrebbero subito danni mentali dall’incontro con le scimmie giganti, abituati com’erano a scontrarsi con esse, non sarebbe stato lo stesso per i due ladroni. Non voleva certo rischiare di vederli fare la fine di Robert Park prima di aver ascoltato la propria sentenza di condanna.

Seguirono la pista aperta nella foresta per quasi due ore; ad un certo punto, tuttavia, Tumbili alzò un braccio per bloccare il gruppo.

«Che cosa c’è?» domandò Knight.

«Se proseguiamo lungo questa strada, ci ritroveremo in una vasta radura, dove i nostri nemici avranno gioco facile nell’individuarci.»

«Conosci una via alternativa?» chiese Mugambi.

«Sì. Entreremo nella foresta e, facendo un giro più lungo, seguendo un piccolo corso d’acqua, potremo giungere alle spalle della grotta di Wamatsengal senza correre il rischio di venire scoperti.»

«Quanto più lungo?» bofonchiò l’agente dell’Interpol. «Guarda che non ho molto tempo, a mia disposizione, se voglio riuscire a riprendere i miei due amici ancora sani di mente.»

«Non sarà una deviazione esagerata, rispetto alla strada che, comunque, dovremmo compiere» spiegò Tumbili. «Seguitemi.»

A fatica, il gruppo s’inoltrò tra gli alberi ed i cespugli, incuneandosi tra la vegetazione ancora intatta, mai toccata prima dalla mano dell’uomo, costruendosi, su quel suolo quasi impraticabile, una via che, nel giro di poche settimane solamente, sarebbe stata nuovamente riconquistata dalla foresta.

 

   
 
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