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Autore: Milly_Sunshine    24/03/2023    1 recensioni
Non importa se siamo bambini, adolescenti, adulti, persone tranquille oppure tormentate, angeli della morte, aspiranti killer, creazioni di laboratorio, animali domestici, fenomeni atmosferici o addirittura automobili: abbiamo il sacrosanto diritto di vedere le cose dalla nostra prospettiva e di narrare la nostra storia. /// Una raccolta disomogenea di racconti scritti a vent'anni e dintorni (o anche poco venti e molto dintorni), alcuni pubblicati nella loro forma originale, altri a seguito di una piccola revisione. La maggior parte risalgono all'epoca dei forum, qualcuno ha partecipato a contest di scrittura sul forum Scrittori della Notte o su altri forum simili. I rating variano dal verde all'arancione e la maggior parte dei racconti hanno lunghezza da one-shot, alcuni tuttavia secondo EFP sarebbero da considerarsi flashfic.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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LA VIGILIA DEL CENTESIMO COMPLEANNO

Nessuno spera di dover portare la dentiera, un giorno, ma nessuno vuole morire quando è ancora abbastanza giovane da non averne bisogno.
Nonna Eva, come tutti la chiamavamo, aveva uno strano senso dell’humour. Tra i suoi grandi classici, quello era senza ombra di dubbio il mio preferito. Declamava le sue massime ogni volta in cui ce n’era l’occasione e, Nonna Eva lo sapeva bene, creare occasioni è un’arte.
Oltre alle sue perle di saggezza era solita raccontare storie, e la maggior parte di queste storie parlavano di morte.
«D’altronde» ripeteva sempre, «Chi ha la fortuna di vivere abbastanza a lungo ha modo di vedere morire parecchia gente, intorno a sé.»
Qualcuno, in paese, sosteneva che narrando aneddoti a proposito della macabra signora vestita di nero, riusciva a esorcizzarla. Forse era per questo che stava per spegnere cento candeline - spegnere in senso metaforico, sia chiaro, perché a una certa età bisogna evitare cibi che possono fare male e che gusto c’è a spegnere candele senza una torta?
Era la sera del 2 Settembre, la vigilia del suo centesimo compleanno, quando ebbi modo di incontrarla per l’ultima volta, per un motivo molto banale.
Mi aprì la porta uno dei suoi pronipoti, che stava andando a casa dopo una visita.
«Mia madre sta per andare a dormire» m’informò, «Perciò si sbrighi.»
Lo rassicurai immediatamente.
«È proprio quello che farò.»
Raggiunsi Nonna Eva nella sua stanza da letto e le comunicai che con tutta probabilità le tubature dell’acqua si erano rotte, dal momento che, io che abitavo al piano di sotto, notavo macchie sospette sul soffitto del bagno.
Mi suggerì di tornare il giorno successivo, al pomeriggio, perché ci sarebbe stato suo figlio, che se ne intendeva più di lei.
«Anzi, no, volevo dire mio nipote» si corresse immediatamente, «I miei figli sono tutti morti.»
«Va bene, tornerò domani e parlerò con lui» le garantii, mentre lei si infilava sotto le coperte.
Guardò la sveglia.
«Non è tardi, sono appena le otto» osservò. «Sono convinta che il momento in cui chiuderò gli occhi per sempre sia ormai vicino anche per me, perciò ritengo opportuno lasciare un mio testamento spirituale.»
Testamento spirituale? Di che cosa parlava?
Non mi volle molto per scoprirlo, dal momento che Nonna Eva specificò: «Ci sono fatti che mi riguardano che orecchio umano non ha mai avuto modo di udire. Vorrei lasciare a lei la mia più grande eredità.»
Mi ritrovai ad annuire.
«Va bene, sono lieta di ascoltarla.»
Nonna Eva mi guardò con aria soddisfatta, sempre ammesso che ci vedesse anche senza quegli occhiali dalla montatura di tartaruga, con lenti grosse come fondi di bottiglia, che le avevo visto indosso in numerose occasioni e che mi sembravano un reperto degli anni Sessanta. Probabilmente lo erano davvero.
«Qui in paese c’è chi dice che io sia immortale» mi comunicò, «E devo ammettere che talvolta ho creduto che avessero ragione. Sono tante le occasioni in cui avrei potuto morire, ma mi sono sempre ritrovata in vita e in buona salute.»
«Buon per lei» osservai. «Sono sicura che riuscirà a vivere ancora per molti anni.»
Era un po’ esagerato, ma d’altronde Nonna Eva era un record vivente, perché non avrebbe potuto entrare nel Guinnes World Record come donna più anziana al mondo?
«Credo di avere già vissuto abbastanza» si affrettò a rispondere. Non parlava lentamente, come avevo sentito fare a molte persone di quell’età - o meglio, un po’ più giovani di quell’età, dal momento che erano pochi i centenari con cui avevo avuto a che fare - forse perché temeva che la morte la stroncasse nel bel mezzo di una frase. «In fondo il 3 Settembre del 1913, il giorno in cui venni alla luce, rischiai la vita per la prima volta. Forse avrei dovuto morire allora.»
«Non dica sciocchezze» replicai. «La sua è stata una vita lunga ed è valsa sicuramente la pena di vivere.»
«Perché parla al passato?» ribatté lei, con un sorriso. «Dà per scontato che io sia già morta?»
«Oh, niente affatto...»
«Meglio così. Il giorno in cui nacqui, nessuno credeva che avrei avuto speranze di sopravvivere. Fu un parto molto difficile e mia madre se ne andò.»
«Che cosa triste...»
«Ha ragione. Si figuri che molta gente, quando ha appreso la storia della mia nascita, mi ha accusata di portare sfortuna. C’è chi si ostina a dire che la mia aura conduca le persone alla morte. Chissà, forse hanno ragione: quello che accadde il giorno della mia nascita è una delle tante prove.»
Scossi la testa con fermezza.
«Certo che no. All’epoca la morti di parto non erano poi così rare o improbabili.»
Nonna Eva annuì.
«Le morti di parto no, ma una volta uscita da casa la levatrice inciampò sul ghiaccio e si ruppe un femore. Sostenne che era colpa mia.»
Aggrottai le sopracciglia, pensierosa.
«La levatrice inciampò sul ghiaccio?»
«Sì. Era una signora che abitava a nemmeno un chilometro dalla casa in cui...»
La interruppi: «Non parlavo della levatrice e del suo femore, ma del ghiaccio! Lei è nata all’inizio di settembre! Come poteva esserci il ghiaccio per terra?»
Nonna Eva sogghignò.
«Come può immaginare, io non ho alcun ricordo relativo al giorno della mia nascita. Devo accontentarmi di ciò che mi riferì mio padre... e lui aveva l’abitudine di alzare il gomito molto spesso, il che non garantiva l’accuratezza dei suoi resoconti.»
Annuii.
«Ora mi è tutto molto chiaro.»
«È un piacere, per me, sentirle dire che non ha più dubbi circa la verosimiglianza di quanto le ho riferito. A questo punto direi che possiamo passare oltre. Sa, io stessa, diversi anni dopo, rischiai di morire di parto.»
Alzai gli occhi al cielo. Allora era vero: Nonna Eva era la personificazione di tutte le disgrazie.
«Era il 1929 e avevo l’abitudine di trascorrere le serate proprio insieme al figlio della levatrice» mi riferì. «Di solito rincasavo molto presto, ma una sera tornai con un certo ritardo e nove mesi dopo venne alla luce il primo dei miei figli. Nacque morto. Non mi scoraggiai e, prima di essere troppo vecchia per mettere al mondo un altro erede, decisi che io e il figlio della levatrice - che era divenuto mio marito - dovevamo fare un altro tentativo. La mia prima figlia vivente nacque nel 1931 e ne fui soddisfatta: sebbene l’età avanzasse ero riuscita a portare a termine una gravidanza senza problemi.»
«Aveva diciotto anni» calcolai. «Non mi sembra che fosse un’età poi così avanzata.»
Nonna Eva scosse la testa, quasi offesa.
«No, non ero così vecchia! Mia figlia Annalisa nacque ben due mesi prima del mio diciottesimo compleanno. Negli anni che seguirono altri eredi vennero alla luce. Ho avuto in totale sette figli, di cui sei nati vivi, una cosa che sarebbe inconcepibile, al giorno d’oggi, quando grazie al digitale terrestre le coppie hanno a disposizione una vasta scelta di canali.»
«Da me ce ne sono alcuni che saltano...»
Nonna Eva non si preoccupò della mia constatazione - ero certa che il mio decoder non fosse un argomento di conversazione degno di essere preso in considerazione - e riprese: «Prima dei televisori tutto era diverso, in qualche modo dovevamo pur passarlo il tempo, no?»
Annuii con aria distratta.
«Suppongo di sì.»
Nonna Eva si fece più seria.
«La mia povera Annalisa se ne andò nel 1971, poco prima di compiere quarant’anni, in un incidente stradale.»
«Mi spiace molto. Deve essere stato un duro colpo per lei.»
«Già: un colpo alla testa. Ero seduta accanto a lei, sulla sua Cinquecento gialla, quando ci schiantammo contro un’auto che veniva dal senso opposto. Andai a sbattere contro il parabrezza. Svenni, se non ricordo male.»
«E sua figlia?» le chiesi, timidamente.
«Morì subito dopo l’impatto.»
«Lei, invece? Si fece molto male nell’incidente?»
Nonna Eva scosse la testa.
«No, anche se quelli che mi vollero caricare sull’ambulanza non erano d’accordo con il mio parere. Tra l’altro c’era la strada tutta ghiacciata... Stavolta non era settembre. L’ambulanza uscì di strada lungo la via che portava all’ospedale.»
Alzai gli occhi al cielo.
“Questa donna è una disgrazia vivente!”
Nonna Eva rincarò la dose: «L’autista morì. Da quel momento in poi la gente iniziò a fare gesti scaramantici ogni volta in cui mi vedeva. E non solo gli estranei, ma anche i miei stessi familiari. Perfino mio marito. Non durò molto a lungo, comunque: nemmeno un anno più tardi ebbe un attacco cardiaco durante la cena, mentre festeggiavamo il nostro anniversario di matrimonio e se ne andò. Non ebbe nemmeno il tempo di arrivare al dolce... con tutto l’impegno che ci avevo messo! ...Ma che ore sono?»
Guardai l’orologio e le comunicai l’orario.
«Inizio ad essere un po’ stanca» osservò Nonna Eva. «Le andrebbe di tornare domani sera?»
«Per le tubature?»
«No, per ascoltare la seconda parte del mio testamento spirituale. Tra l’altro sarà il mio compleanno. È l’unico modo che ho, a quest’età, per festeggiarlo.»
Annuii.
«Va bene.»
Nonna Eva mi guardò con aria soddisfatta.
La salutai, la guardai chiudere gli occhi e la lasciai sola. Non li riaprì mai più.
La notizia fu accolta con un certo stupore, l’indomani.
«Ma come?» diceva qualcuno. «Nonna Eva sembrava immortale, è impossibile che si sia spenta per sempre!»
A volte anche l’impossibile diviene possibile, specie quando l’età avanza. Il mio più grande rammarico è quello di non avere chiesto a quell’amabile nonnina, che sempre parlava di dentiere, a che età avesse dovuto iniziare a portarla.
Presenziai naturalmente al suo funerale, che si tenne due giorni più tardi.
In chiesa, seduta accanto a me, c’era proprio la pettegola del paese. Mi spiego meglio: intendo la più pettegola di tutte, perché il paese pullulava di pettegole.
Secondo lei Nonna Eva portava sfortuna.
«Chiunque abbia avuto a che fare con lei è morto prematuramente» declamò, convinta di ciò che diceva. «Adesso che è morta lei, tutti potranno vivere molto più sereni!»
Tutti, infatti, vissero molto più sereni e sicuri. O meglio: tutti, tranne il prete che stava celebrando il funerale. Fu stroncato da un infarto a metà della cerimonia... ma questa è un’altra storia.

   
 
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