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Autore: Capo Rouge    24/03/2023    14 recensioni
André Grandier visto dalla Sensei Ikeda, così come raccontava nel manga e altrove, anche se non ricordo dove
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quinto
CANZONE I

Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna, non vi vid’io
poi che in me conosceste il gran desio
ch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra.

Mentr’io portava i be’ pensier’ celati,
ch’ànno la mente desïando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch’Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l’amoroso sguardo in sé raccolto.
Quel ch’i’ piú desïava in voi m’è tolto:
sí mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gielo,
de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra.

Francesco Petrarca
Quinto-3
Quinto
Nel buio appena sporcato dagli aloni grevi dei lampioni a olio che scorrevano, via via distanziati e persi nella nebbia crescente della notte, i passi avanzavano un poco cauti, in ascolto dei suoni tutt’intorno, foglie morte di pioggia pesante, gatti randagi in zuffe d’amore, colpi di porte sbattute, ossequi irriverenti da bocche bagasce.

Avanzavano adagio, i passi, come in cerca d’un appiglio per fermarsi e tornare indietro, nella speranza d’un qualsivoglia ostacolo che avesse impedito d’imboccare il sentiero immaginato, inducendo a ricomporre la via di casa, e i pensieri erranti a rinchiudersi di nuovo entro i solidi mattoni della spoglia camera, a nascondere al mondo l’orrendo destino, la stigma fissa, astuto tarlo a distorcere l’equilibrio e a minare l’intelletto.

Nel buio, ascoltava quasi il cuore uscire dal petto, che pure esso batteva piano, dopo furiosa battaglia, come acquietato dalla decisione, come se, una volta raggiunto l’accordo con se stesso, l’uomo avesse ammesso d’essere turpe e diabolico e, come a non poterci far nulla, accettava di cedere l’anima alla proprio distruttiva natura, abdicava alla ragione, immolava se stesso al destino che gli era toccato in sorte, sgravando da sé il peso, attribuendo al vincolo d’un amore impossibile, l’idea che liberarsi da esso sarebbe stata la soluzione migliore, non l’unica, ma di certo la migliore.

Nel buio, gli scorreva sotto le dita quella stretta acuta, quell’abbraccio insulso ove era esploso unicamente il possesso, legaccio di lana infeltrita, di nessun altro effetto se non stringere la sua gola e i suoi polsi e rivelarle l’idiota e ridicolo Amore, che non era Amore, gridato alla vita dell’altra, appena sfiorata, quasi distrutta, lei viva ma di fatto morta.

Dio perdonami…

Lo schiocco d’un ceppo corroso dal fuoco, l’aria pregna di fumo misto a sentore di pane e carne arrostita…

S’era a Fabourg Saint Antoine.
Povero quartiere di spietata vivezza.
La gente lagnosa scansata da quelli che pestavano il suolo zozzo solo per scovare coloro che arrotavano coltelli e pugnali.
Per una vendetta o una Rivoluzione.

La gente sontuosa accolta bene, ma solo nelle male ore della notte, per scomparire entro voltoni che sapevano di piscio e rantoli tisici.

Ci aveva messo un po’ per trovare l’appiglio, la mente sospinta e sbattuta tra l’insulsa follia, rifiutata di giorno, e l’insana e inevitabile ammissione, accolta di notte, per colpa delle insane e inevitabili ore del giorno.

Idea assurda e infernale che aveva preso a fargli visita, via via sempre più spesso, come una puttana che dapprima si rifiuta sdegnati, perché ci si crede capaci di farne a meno - d’esser devoti all’amore più alto - ma poi, quando se ne assaggia il bieco stordimento, d’un amplesso che squarcia il cervello, senza toccare né anima, né coscienza – che dunque ne escono lucide e indenni - allora s’ammette che forse potrebbe aver senso morirci davvero tra le cosce di quella puttana, infernale calibro capace di scacciare la malinconica resa alla vita mai vissuta.

Dunque non stava più a Versailles da qualche tempo, dopo che lei se n’era andata, per finire a comandare una risma di avanzi di galera, a Parigi, in Rue de la Chaussèe d’Antin, dove alloggiava la Compagnia B dei Soldati della Guardia Metropolitana, e dove alla fine s’era ritrovato anche lui, vuoi perché il padre di lei gliel’aveva chiesto, d’esser sua ombra e dunque continuare a vegliare su di lei – perché…Dio…perché non avrebbe dovuto farlo? Quale ragione l’avrebbe mai indotto a separarsi da lei, se non la ragione stessa per cui lui, ora, era lì, nella pozza più nera della sciagurata Parigi, in cerca dell’appiglio appunto che avesse avuto pregio di unire per sempre le loro esistenze, che mai sarebbero vissute unite? – e vuoi perché appunto non c’era stato verso di dimenticarla, d’immaginarsi in balia di se stesso e di lei, ma senza più averla accanto.

Lei era pungolo feroce.
Chiodo che arrugginiva nella testa e induceva pazzia.
Marciva tutto di sé.

Così alla fine s’era arruolato, anche lui, nella stessa compagnia di avanzi di galera.
Uno più, uno meno…

Non era servito a nulla, nulla sarebbe stato più come prima.
Né lei, né lui stesso.

Vuoi perché indietro non si torna, vuoi perché s’era scontrato con la visione che lei non era suo proprio e solo pungolo feroce, esclusivo e beffardo.
Lo era anche d’altri.

Di un altro, in effetti.

S’affacciava dunque un nuovo sfacelo, che finché lei fosse rimasta libera, finché fosse stata comandata d’essere un soldato, lui l’avrebbe pensata tale, non sua, che lei non lo sarebbe mai stata, ma nemmeno di altri.

Che poi, quando mai lei sarebbe stata di qualcuno?

Era stato proprio in una di quelle ronde, di sera, poco tempo prima, che s’era imbattuto in quella strana vicenda, il capannello di gente disperso a forza e quel bellimbusto discretamente ben vestito, pizzo sobrio e impolverato, come avesse lottato contro un innominato Cerbero, ritrovato seduto a terra, appoggiato alla parete scrostata d’una vecchia casa ammuffita, il corpo come morto, che però quello era morto davvero.

Una vendetta, una via di fuga, l’unico modo per porre fine alla propria sofferenza?!
Essere ammazzati o ammazzarsi.

Il disgraziato era stato fatto sparire in silenzio, forse l’abito deponeva per un nobile caduto in disgrazia, qualcuno che nessuno avrebbe pianto, qualcuno ch’era stato bene dimenticare in fretta.

Lui no, lui non voleva essere dimenticato.
Ma soprattutto…

Non riusciva a dimenticare.

Sulle prime s’era detto che non aveva senso, che non ne sarebbe valsa la pena.
Sulle prime era inorridito, non appena il pertugio sconnesso s’era aperto, lo squarcio nella testa dilatato come voragine, come se un demonio qualunque avesse forzato la porta e fosse riuscito a entrare, facendosi strada entro la coscienza pulita.
Sulle prime era ammutolito.

Poi quel pensiero, quel demonio aveva inspiegabilmente lusingato e dettato una sorta di pace, una resa al destino.

Quel tarlo dunque gli era finito nella testa e l’appiglio s’era fatto strada, pungolo feroce e fisso, come lo era lei, quasi lei stessa fosse stata veleno e antidoto alla stessa sofferenza.

In caserma aveva detto che quella sera sarebbe rientrato a casa.
A sua nonna aveva detto che sarebbe rimasto in caserma.

Escamotage inutile, oramai lui era libero, e nella libertà risiede la sottile schiavitù dell’essere tutto e dell’essere niente.

Insisteva addosso la smania di non sapere che fare e al tempo stesso l’acuta risolutezza della scelta.

Lo sguardo scorse al portone.
Non v’erano numeri o insegne che lo marcassero, ma il segno convenuto, ch’era quello il luogo cercato, era proprio un mazzetto d’erbe di campo rinsecchite, appeso fuori, corroso dal tempo e dalle intemperie.

Così gli era stato detto, che da quando quel tarlo gli era finito nella testa, da quando aveva veduto quel giovane che ormai aveva varcato i cancelli del regno dell’Ade, ci aveva provato e riprovato a cavarlo – quel tarlo - col vino, con le ronde che sfinivano, con quel che da sempre gli era valso a colmare l’attesa, quel tempo che scorreva da quando l’aveva veduta l’ultima volta fino a quando - chissà quando – l’avrebbe rivista.

Accadeva sempre più di rado, sempre più di sfuggita e le poche parole tra loro scorrevano come ordini generici, senza inflessione o alcuna nota nella voce che gli rammentassero l’antico distaccato affetto.

Adesso non sarebbe più accaduto, adesso sarebbe stato anche peggio.

La perdeva dunque, per sempre.

Non sarebbe stata più sua, anche se non lo era mai stata.

Bussò una volta…

Dall’alto dell’edificio si schiuse una persiana.

Bussò una seconda volta, il freddo pungeva il respiro, lo sguardo dell’altra continuava a scorrere diabolico di fronte a sé, e poi bello e incantevole, a tratti feroce, dell’inaudita ferocia dettata dalla paura e dal disprezzo, ficcato lì a battere nella mente sempre più distratta dal buio che incombeva, agonizzate, che presto quello sguardo non l’avrebbe veduto mai più.

Si chiudeva la luce e lei se ne sarebbe andata, che lei era luce.

Dunque doveva marchiare quel viso nella testa, e proprio per quello l’anima si dannava, che lui l’avrebbe voluta dimenticare.

Si diede del pazzo.
Se tutto fosse rimasto com’era, se lei fosse rimasta sua, anche distante, anche lontana…

No, nanny, quand’era venuta a trovarlo in caserma, gli aveva spiegato che s’era fatta avanti una persona.
Gliel’aveva detto, casomai fosse tornato a casa e si fosse ritrovato davanti qualcun altro, perché il Maggiore Victor Girodel – quello era l’altro - aveva iniziato a frequentare la casa, l’uomo aveva ufficialmente chiesto la mano di Oscar François de Jarjayes, al Generale Jarjayes.

Idiota…
Non l’avevi previsto quel passo, da parte del damerino bellimbusto!

Idiota…
O forse sì, forse l’avevi veduto ogni tanto, il dannato bellimbusto, quando eri a Versailles, assieme a lei, scorgerlo da lontano a osservarla, ma avevi pensato che fosse come per te.
Tu la osservavi e potevi fare solo quello, e così avevi pensato che anche l’altro facesse altrettanto.

Idiota…
Eri geloso, ma lei era libera, e la sua libertà era la miglior difesa contro chiunque avesse tentato d’avvicinarla.

Idiota…
Lui è nobile, tu no.
Lui la sua libertà poteva prendersela in ogni istante, mentre tu no, tu non potevi.

Dunque la sua libertà era tale solo per te, perché davvero solo per te per te la sua libertà sarebbe stata unico sacro vincolo, suggello capace di tenervi legati per sempre.

Il portone scricchiolò polveroso, un gemito di ruggine antica disturbò la caduta entro la violenta percussione del destino.

Il portone fece per aprirsi, d’un tratto un’ombra avanzò radendo il muro.

Non v’era luce sufficiente, era da un pezzo che lui aveva preso a faticare a distinguere le facce…

Due gli si presentarono innanzi.

La prima faceva capolino dal portone, guardinga e rugosa.
L’altra l’aveva raggiunto, più in fretta, come per anticipare il senso stesso della visita, giungendo ad appoggiargli la mano sul braccio.

La prima si stringeva uno scialle addosso, lo scrutava muta, in attesa, che l’uomo era giunto lì per lei, la seconda aveva lasciato scivolare la stoffa un poco giù, scoprendo le spalle nude, che la camiciola era abbassata, sin a metà del busto.

La figuretta infreddolita fu lesta a parlare, per prima.
L’uomo non era giunto lì per lei, dunque doveva afferrare l’occasione, carpire l’attenzione..

Una domanda…

“Amore…” – chiese infantile – “O Morte?”

La figura che s’era affacciata dal portone rimase muta, né stizza o risentimento, per via che la fugace e debole comparsa aveva rubato la scena.

Poco male, già sapeva - ch’era già accaduto - che prima o poi, colui s’era avventurato sin lì, avrebbe fatto la sua scelta.
Forse l’aveva già fatta, ma si doleva del fatto di non aver sufficiente forza per scansare da sé l’idea dell’Amore, che sarebbe bastato dar retta alla Morte e la gloriosa conclusione sarebbe giunta da sé.

La tranciante domanda s’incise nella testa, entro il vago olezzo di commistione tra le due realtà.

André Grandier si ritrovò sospeso nell’indecisione, seppur ammettendo che in fondo, anche se nette e agli antipodi, le due realtà erano mescolate da sempre, perché non tanto diverse tra loro.

Forse erano come l’olio che cade nell’acqua bollente. Ne resta diviso, all’inizio, poi via via le gocce prendono ad aggregarsi, si cercano, si rincorrono, per divenire un’unica massa e poi scomparire, inghiottite e trascinate via dall’acqueo vapore.

Prima o poi lui e l’altra avrebbero fatto lo stesso, ingoiandosi reciprocamente e scomparendo assieme.

André Grandier si mosse, avvinto dal fascino della Morte che l’avvolgeva, ove voleva perdersi per tentare di distogliersi dal folle proposito.

La giovane puttana esultò stancamente, se l’uomo era giunto sin lì, sino alla porta di quella vecchia rugosa che s’era affacciata e che aveva fama d’essere una sorta di strega che curava i mali e annientava gli avversari in amore, doveva ben godere di denaro sufficiente, da spendere per una notte d’amore piuttosto che per un veleno capace d’annientarlo.

Che però il veleno o tarlo o pungolo era lì, insinuato nella testa.
Era Amore ed era Morte al tempo stesso.

Ubriaco d’un sorso di malevolo vino, l’uomo ammise che sì, erano lo stesso, Amore e Morte, fatti della stessa tiepida carezza sublimemente racchiusa nelle tenere mani della giovane donna, sconosciuta eppure esperta, che lo sottraeva, chissà per quanto, all’intento blasfemo.

Sarebbe stato semplice recidere il folle disegno, alzarsi e andarsene, che però il cuore sarebbe finito sconfitto dall’inedia, dall’inerzia dei sensi che oramai non temevano più alcun disprezzo.

E quando un uomo non prova più neppure disprezzo di sé, allora forse è il tempo ove giunge il sordo richiamo d’una Storia che finisce per sempre.

André Grandier pensò al volto dell’altra, solo per un esiguo istante, permettendosi d’averla con sé nel becero affondo della carne, come se lei gli fosse davanti, come se lei l’osservasse, e lui si prendesse l’amara rivincita di sbatterle in faccia chi era lui, davvero, e quel che lei perdeva, e poi la propria dannata libertà, e lui stesso, che lei aveva rifiutato.

Disgraziato ego…
Gettato così, tra le braccia d’una sconosciuta puttana.

Nell’esiguo istante osò disprezzarla, lei che non era lì, per giungere in fondo a disprezzare se stesso, che perdeva la sua battaglia, tra le braccia d’una donna qualunque, senza nome, il volto presto dimenticato nella nebbia che l’avrebbe avvolto appena uscito da lì, perduto nello squarcio azzurro degli occhi di colei che non era lì e che mai sarebbe riuscito a dimenticare, e che sarebbero tornati prepotenti a scrutarlo, così come quel nauseante senso di colpa, a stringere e soffocare ogni respiro, annientare ogni residua stima di sé.

Nell’esiguo istante si ritrovò a disprezzare la vita, la propria, solo la propria, che la propria senza di lei sarebbe stata niente.

Così mentre perdeva il lume della ragione, mentre si perdeva, desiderando perdersi, piano dapprima, e poi entro passi rozzi, blasfemi e idioti, della pochezza idiota della resa, che Amore era sconfitto e distrutto, lui – André Grandier – ammise che della propria vita non sapeva e non avrebbe saputo che farsene.

Lo sguardo chiuso, il brivido lungo la schiena.
Era freddo di fuori, era inverno, seppure non era ancora nevicato.

André Grandier rammentò le altre volte in cui era accaduto ancora, qualche anno prima, quando s’era attardato a Parigi, dalle parti di Palace Royale, sotto il porticato dove erano soliti rifugiarsi quelli ch’erano in cerca di calore, e allora le si trovava lì, giovani puttane che offrivano quello, così che il pensiero era tolto, la merce contrattata in fretta, ci si poteva ripensare e andarsene oppure no, magari attardarsi, tanto sarebbe bastato pagare quel ch’era dovuto.

Una via semplice, utile in fondo a colmare la solitudine, acquietare la smania, col vago senso di disprezzo che aleggiava nell’aria, quando si rivestiva, l’odore dell’orgasmo addosso, il senso d’abbandono, il vuoto nero avanti a sé per averla uccisa.

Che ogni volta che abbandonava il suo volto, in fondo, era come ucciderla.

Quinto…

Lei non lo amava…

Dunque…

Si rivestì lentamente.
La giovane con cui s’era scaldato era lì, lo sguardo aperto, un poco persa e sprezzante dell’altro che le aveva riservato poche carezze e l’aveva presa in fretta, che ci aveva pensato allora che quello fosse giunto sin lì davvero per ottenere altro, altro che fosse Amore appunto, che invero solo la Morte avrebbe avuto pregio d’acquietare la sofferenza.

Nessuna parola.

Le monete caddero sul lenzuolo ruvido.
Molte più del prezzo d’una banale scopata.

La giovane non fece rimostranze. Sarebbe stato scortese rifiutare il compenso, che forse ricompensava per altro da quel ch’era occorso.

André Grandier si alzò.
L’altra si mise seduta – “Monsieur…se v’aggrada…io sarò qui…”.

“Sì…” – respirò piano l’altro, la mente un poco assonnata del sonno bieco della resa – “Lo so”.

Col denaro si compra quasi tutto…

Il tempo di riguadagnare il sentiero che riconduceva alla prima destinazione.
André Grandier bussò di nuovo al portone, era notte fonda.

Il corpo un poco intirizzito, le membra sgualcite dalla stupida foga, il disprezzo di sé che sorgeva finalmente e di nuovo a colmare il vuoto, quel nulla capace di disgregare l’esistenza.

Come l’avesse atteso, la vecchia megera spuntò dalla fessura della porta dischiusa.

La Morte non era bastata dunque.
Amore aveva vinto la sua battaglia.
***
L’alone delle candele a mala pena rischiarava l’esiguo lembo di coscienza, tutta quanta nera e marcia di rancido rancore.

Si scompigliò i capelli, così che la turpe cicatrice che minava l’occhio sinistro scomparisse, almeno per il tempo necessario a scorgere l’effige allo specchio, pulita e libera dal peso greve del buio, la poca luce ricamata sugl’intarsi d’oro, di seta e d’argento che spiccavano sulla giacca di buona fattura, broccato nobile, seppur recuperato da antichi scampoli d’una vita altrui.

Da sotto giungeva la eco dei richiami di sua nonna che dettava ordini e richieste.
C’erano da sbrigare diverse faccende, che si doveva ripulire e preparare la sala degli ospiti in onore del nuovo pretendente.

Nessuna delle altre figlie del generale aveva ricevuto tali onori, mescolati a tali grezze e stucchevoli maniere, che Victor Girodel aveva preferito prima chiedere la mano della figlia al padre e solo dopo, la figlia era stata messa al corrente, ma quella non aveva accettato, non subito insomma, e allora s’era deciso di accogliere il pretendente e trattarlo con il rispetto dettato dal suo egregio rango.

Dunque lei, Oscar François de Jarjayes, forse non riusciva a decidersi, ed era stato lì, in quella che però non era dato sapere s’era una mera strategia di corteggiamento o una vera e netta avversione all’idea di ritrovarsi sposata e dunque sottomessa al volere d’un marito - e che non era dato sapere se sarebbe stato migliore o peggiore di quello d’un padre - lì, dunque, nella muta indecisione dell’altra, che s’era annidato il tarlo della scelta, che sfuggente e diabolico sarebbe servito a porre fine alla sofferenza.

Di chi?

Sulle prime s’era illuso, s’era detto, che sarebbe stato necessario farlo per lei.

Doppiamente idiota…
Lei sarebbe stata capace di orientare le proprie scelte, lo aveva sempre fatto.
E semmai fosse stata costretta ad accettare la proposta di matrimonio del Maggiore Girodel…

No…

Dio, perdonami!

André osservò i due bicchieri sul tavolo, già colmi di vino.

Quella mattina era rientrato tardi, anche se non era ancora l’alba.
S’era spogliato e così, con l’odore addosso d’una notte di solitario disprezzo di sé, di mistico abbandono, di nuovo s’era ritrovato i pensieri aggrovigliati e neri, tranciati dal solo filo di lana del barlume d’una candela.

Dio perdonami…abbi pietà di me…io che sto per fare una scelta che non mi permetterà di legarmi al mio amore, né sulla terra, né tanto meno in cielo.*

L’amo e l’amerò fino alla fine. E allora…Dio perdonami…abbi pietà di me, che mi preparo a commettere questo crimine atroce.

Quinto…

Questo è un Amore che non può realizzarsi nemmeno dopo la Morte ma…

Lo sguardo si sollevò al vuoto nero, di fronte a sé.

Perché allora sono vissuto fino ad ora? Per quale motivo ho continuato a vivere?

Dio…mi hai lasciato questo unico occhio per farmi assistere a questa beffa straziante?
Per vederla andar via tra le braccia di un altro uomo?

La domanda posta a lei, a se stesso.
Amore via via agonizzava entro l’abbraccio del risentimento cullato dalla Morte.

Ho vissuto con te da quando eravamo bambini, senza che ci separassimo nemmeno per un attimo!

Amore e Morte erano lo stesso.

Vuoi morire con me e per me? Mi perdonerai?

Le domande poste a Dio, a lei, e persino quelle a se stesso, non ebbero risposta.

Chiedo perdono a te e a Dio…

Non ti farò soffrire. Ti terrò sempre stretta, fino all’attimo in cui si spegne la Vita. La mia e la tua.

Ti convincerò che possiamo morire di un Amore infinito…

Perdonami…

Oscar perdonami…Dio perdonami…Padre Nostro mandami all’Inferno e accogli in Paradiso la persona che io amo.

In Vita non potremo mai restare assieme e così nella Morte. Solo nell’istante in cui morirai e io morirò potremo essere vicini.

Amore e Morte erano lo stesso.
***
Bussò piano, come avesse timore d’entrare, come avesse timore d’avvicinarsi troppo alla fine, fiamma capace di bruciare la sua anima, ma anche quella dell’altra.
L’abito sontuoso, diverso dalla solita giacca, l’infastidiva ora.

Perché mai l’aveva indossato?

Per fingersi un altro, per somigliare a un nobile cicisbeo che giungeva all’assassinio pur di non perdere ciò che riteneva suo?
O forse per onorarla quella Morte, come uomo diverso da colui che era stato?

La osservò, Oscar leggeva, l’aveva udito entrare ma non aveva sollevato gli occhi dal testo.

La voce sorse piano, mentre le dita andavano a carezzare la carta, come leggesse a se stessa e a lui, proprio il repentino passaggio.

“Mi sono illusa a lungo. Quell’illusione mi fu salutare; dilegua nel momento in cui non ne ho più bisogno. Mi avete creduta guarita, anch’io ho creduto di esserlo.
Ringraziamo colui che fece durare quest’errore fin che è stato utile.
Sì, ho avuto un bel voler soffocare il primo sentimento che mi ha fatto vivere: è concentrato nel mio cuore. Ecco che si risveglia nel momento in cui non è più pericoloso; mi sostiene ora che le forze mi abbandonano; mi rianima mentre muoio.
Amico mio, lo confesso senza vergogna; questo sentimento rimasto in me mio malgrado non ha toccato la mia innocenza; tutto ciò che dipende dalla mia volontà fu consacrato al mio dovere.
Se il cuore, che non ne dipende, fu consacrato a voi, quello fu il mio tormento, non la mia colpa.
Ho fatto ciò che dovevo; la mia virtù rimane intatta, l’amore m’è rimasto senza rimorso.
Addio, addio dolce mio amico…
Ahimè! Termino la vita come l’ho cominciata. Forse dico troppo, in questo momento in cui il cuore non dissimula più nulla…
Ah, perché dovrei temere di esprimere ciò che provo? Non sono più io che ti parlo; sono già tra le braccia della morte.
Quando vedrai questa lettera, i vermi roderanno il volto della tua amante, e il suo cuore dove tu non sarai più. Ma la mia anima esisterebbe forse senza di te? Senza di te che felicità potrei gustare?
No, non ti lascio, vado ad aspettarti.
La virtù che ci ha separati sulla terra ci unirà nell’eterno soggiorno.
Muoio in questa dolce speranza. Troppo contenta di acquistare a prezzo della mia vita il diritto di sempre amarti senza colpa, e dirtelo una volta ancora”.

La voce si spense.

Addio mio dolce amico…

André andò ad appoggiare il vassoio sul tavolo, lo stesso ove ora riposava il libro chiuso che l’altra aveva abbandonato, gli occhi parimenti chiusi, forse a trattenere la eco delle parole appena pronunciate, forse a contenere lacrime nuove, per via d’una storia già conosciuta, che però d’improvviso, o forse per via di chissà quale accidente, non era più estranea, forse perché lei stessa non era più estranea alla storia e all’Amore, come lo era stata un tempo, quando l’Amore non era, perché non era vissuto.

André scorse con fatica al titolo del racconto.

La Nouvelle Eloisa…

La conosceva, quella storia, anche lui aveva provato a scorrere al testo, con sempre più fatica, anche a lui erano sorte lacrime di rabbia, per via che il destino non ha pietà e ancor peggio, perché in fondo è l’essere umano a non avere pietà di se stesso, incapace di ribellarsi al primo, contraddicendo la regola, fuggendo dalla storia imposta da altri.

Inutile incolpare il destino…

Sorprendeva intuirla così arresa, non nascondere le lacrime, neppure innanzi a lui.

“Non riesco a…smettere…” – la voce interrotta dalle lacrime ingoiate in fretta – “L’altra volta non mi aveva lasciato questa impressione. Allora perché…da quando ho ripreso a leggere queste lettere, non riesco a smettere di piangere…sento una stretta al petto…”.

Perché?
Che cosa temi di più Oscar? Cos’è che stringe il tuo petto? L’Amore o la Morte?

Perché non ti ribelli?
Accetterai di sposare un uomo dopo che per tutta la via sei stata un soldato?
Accetterai di sposare un uomo senza nemmeno sapere se davvero lo ami?

Saprai amarlo ugualmente?

“Ti ho portato del vino…”.
“Grazie”.

E io?
Accetterò di vederti andare via dopo che per tutta la vita ti sono rimasto accanto?

Oscar non ti fa paura questo?
Non temi nulla per noi due?
Chi siamo noi due?

Nel fremito del silenzio crescente, André faticò a scacciare il pungolo della notte appena trascorsa, il freddo della nebbia, il calore della giovane donna, il bacio asciutto, le dita strette ai capelli.

Tutto inutile.
Era inutile prendersela col destino, con gli dei e con lei…

Il volto bello era sorto come lama di luce che perfora il buio e la Morte…

“Posso bere con te?” – s’annientava…

Oscar si voltò finalmente - “Che cosa ti è preso?” – sorrise debole, asciugandosi le lacrime, la mano passata sulla faccia, gli occhi riaperti a scrutare l’altro che distoglieva lo sguardo – “Come mai proprio oggi?”.

Gli era dinnanzi, non aveva timore di mostrarsi commossa.
Intuiva dunque il misterioso legame con le lettere di Julie.  

Nessuna risposta, nessun ripensamento.

André non concesse spiegazioni alla propria richiesta, in fondo quello era un giorno come un altro, uguale a tutti gli altri eppure…

Quella sera lei non sarebbe stata più.

Anche se…

Ora era viva…

“Oscar, hai già recitato le preghiere della sera?”.

Un’altra domanda un poco sorprendente…

“Si” – ammise lei, il cuore batteva lento, come acquietata sulla debole risorsa d’una preghiera.

“Meglio così” – netto…

Dio perdonami…

Nessuna preghiera potrà mai redimere il mio gesto, ma lei almeno sarà salva, la sua bocca ha pronunciato il Tuo nome, così lei è perdonata dell’unica colpa d’essere amata da codesto demone stolto.
Una colpa che giunge da me e di cui lei è innocente…

André afferrò il calice, lo porse all’altra che lo guardò e poi lo sguardo lucido d’inconsapevole compassione, non ne comprendeva il motivo, lambì il liquido vermiglio, quasi nero, come sangue addensato, del colore di quello del giovane uomo ritrovato morto, qualche giorno prima, in una notte d’inverno, fredda e senza speranza.

Anche lei lo aveva osservato, mentre i soldati lo issavano s’un carretto, un lenzuolo a coprire il corpo, portato via in fretta, che le ragioni della Morte non avessero imposto d’indugiare troppo sull’inutile essenza della vita.

Attinse forza dal profumo esotico, quasi caldo del vino, il timbro della terra e il sentore del vento disciolti ad abbracciarla.

Come fosse grata del pensiero, sorrise debole, lo sguardo tornò verso André.

D’un tratto, come fosse incisa nella testa, seppure era passato del tempo, scorse nella mente, fugace e diabolica, la stretta dell’altro, acuta, i polsi chiusi, ove era esploso il possesso, unica traccia tangibile ed evidente del sentimento, come legaccio di lana infeltrita, che per qualche istante aveva impietrito la voce, chiuso la bocca e strappato il silenzio, come la veste strappata, come a zittire, pietrificare ogni reazione, ogni ribellione, in forza d’un male peggiore, assoluto e senza scampo.

Che quella stretta spense il sorriso.

Il calice si sollevò, lo sguardo si fece cupo, di nuovo.

André perse il respiro, pensò che lei avesse compreso, che avesse intuito che il vino era veleno, era Morte, la sua Morte, sarebbe bastato avvicinare le labbra, baciandola piano, quella Morte, inghiottendola in un lieve e repentino sorso.

Avrebbe voluto esser lui allora a baciarle, le sue labbra, come lui stesso fosse veleno, e così lei avrebbe bevuto la Morte dalle sue stesse labbra, così come lo era stata lei – veleno - per sé, in tutti gli anni ch’erano trascorsi.

Vino antico mescolato al veleno di primavera.

La mia Oscar…
Non dici niente?

E tu…
Tu cosa le dirai nell’istante in cui lei comprenderà che sei tu a ucciderla?

Nell’istante in cui l’unico volto che vedrà dinnanzi a sé, sarà il tuo, quello del suo assassino?

E neppure saprà che anche tu berrai lo stesso vino, e morirai accanto a lei?

Dio…

Non ci avevi pensato!

Che farai, idiota?
Glielo dirai?
Glielo dirai che la uccidi perché la ami?

Non è forse Amore questo?
E che anche tu morirai con lei, dopo di lei, subito dopo?
Che sarai così vile da assistere alla sua morte?
E ancor più vile che, dicendoglielo, lei morirà sapendo che anche tu morirai per sua causa?

La ucciderai due volte…
O forse…

Forse ne sarà sollevata?

Però adesso lei l’osservava, era come se lei gli avesse letto nella testa, e i pensieri oscuri e le domande senza risposta si fossero rovesciate a terra, come vino avvelenato.

“Si dice che quando il momento della morte si avvicina…” – esordì lei…

Mia Oscar…
No, non parlare della Morte…

André si sentì punto sul vivo, scoperto, scorticato dalle innocenti parole…

Ti amo…
Non è forse Amore questo?
Disperato e assoluto?

“La memoria ritorna all’infanzia. Allora ripenso a quando eravamo bambini”.

Dio…
No! Perdonami…

Lei ha davvero udito il suono della Morte?
Se così non fosse, perché tornare a quando eravamo bambini, proprio adesso…

Ha davvero compreso che tu e lei state per morire?

“A quando, pur essendo giovane, cercavo con tutta me stessa di essere adulta e convincermi che lo ero”.

Le parole incidevano la coscienza e la mente.

André si ritrovò senz’aria, inghiottito dalla insondabile profondità del peso lieve del tempo passato.

Riemergeva il frammento sepolto, bolla d’aria, promessa del passato, e come in un processo inverso, tornavano a dividersi l’acqua e la stilla d’olio, per separarsi e così – separati – distanziarsi e perdersi.

Erano di nuovo divisi e allora, solo divisi, sarebbero esistiti.

“Ricordo quando, non ancora terminata l’Accademia Militare, il re mi aveva permesso di entrare a far parte della Guardia Reale. Ero felice d’essere stata scelta per proteggere la Delfina, a costo della mia stessa vita, colei che un giorno sarebbe divenuta la Regina di Francia, così come aveva detto mio padre. La Delfina, una giovane d’incomparabile bellezza…”.

Dio, perdonami…
Oscar fermati! Dove vorresti arrivare? Che cosa vorresti dirmi?

Per salvare la Delfina, ch’era caduta da cavallo…

Per salvare il suo servo responsabile dell’incidente…

“Certo, se ho solo questi ricordi, significa che non mi resta molto da vivere!” – rise Oscar, perduta nei frammenti che vorticavano come petali di rosa sospinti dal vento.

Un giorno sacrificherò la mia vita per te…

Esattamente come oggi tu non hai esitato a rischiare la tua vita per me.

Per sempre te ne sarò riconoscente e ti dedicherò tutta la mia esistenza.

Il bicchiere alle labbra…

Lo scatto…
Lo schiaffo alla Morte…

“Non bere!” – scagliato addosso, come avesse voluto prendere a pugni un avversario immaginato, demone avvelenato, che poi era lui stesso, ora divenuto nemico di sé – “Non devi berlo!”.

Il bicchiere strappato e scagliato via…

Quando vedrai questa lettera, i vermi roderanno il volto della tua amante, e il suo cuore dove tu non sarai più.
Ma la mia anima esisterebbe forse senza di te? Senza di te che felicità potrei gustare?
No, non ti lascio, vado ad aspettarti.

Lo schianto piccolo, il cristallo in frantumi e lì, poco distante lo schianto dei corpi, grande, caduti nella contrapposta foga, come lui avesse voluto proteggerla dall’avversario immaginato, ch’era lui stesso, demone avvelenato d’improvviso rinsavito, che non si era dimenticato della sua promessa, ma davvero aveva pensato ch’essa non valesse tutta la sofferenza di vederla andare via – lei - con un altro uomo.

Lui le aveva dedicato la vita e adesso non avrebbe potuto far più neppure quello.

Come avrebbe mantenuto la sua promessa?

Era questo che aveva avvelenato il sangue.

No, Oscar, non aspettarmi…

Non v’era nulla da mettere s’una diabolica bilancia.
Non v’era peso, la promessa era lieve come piuma, come la sua anima, non era nulla, non pesava niente, al confronto del peso di ucciderla lì e per sua stessa mano.

Ma una promessa, una volta spesa, finisce per appartenere a colui o a colei a cui è rivolta, dunque la promessa apparteneva a lei, solo lei avrebbe potuto reciderla.

Quinto…

Lo sguardo sgranato a tentare di comprendere, lei rimase lì, muta, sospesa, André lì, sopra di lei, vicinissimo ma distante, come fosse tornato dall’Ade, come l’avesse trascinata con sé, fuori dagli Inferi, oltre un limitare boscoso e nero di pioggia fitta e buia, ove lei nemmeno comprendeva d’esser finita.

“Grazie al cielo” – piangeva André, non era mai accaduto di fronte a lei, nemmeno lei l’aveva mai fatto di fronte all’altro.

Forse anche lui allora, aveva ripensato a loro, quand’erano bambini e senza neppure saperlo, s’erano giurati di amarsi e proteggere la vita - la propria e quella dell’altro - anche se quella vita non fosse stata più dedicata a loro stessi?

Quanto sono stato arrogante! Quanto sono stato egoista! Che razza di uomo sono? Che diritto ho di prendere la tua vita?

Domande mute, esibite a Dio, a lei, a se stesso.

Si scansò André, il corpo sovrastava l’altra, l’aveva lì, la stretta infame galleggiava e straziava l’intento ancora più atroce - “Scusami. Non avvicinarti, ti potresti ferire”.

Si mise a raccogliere i cocci…

Prendere la sua vita…

Dio perdona quest’uomo immondo...
Scansa dalla sua bocca questo veleno…

Allontanami da lei…

Il vetro scorse beffardo, tagliò la pelle e la carne…

Allontanami da lei…
 
“André, la tua mano!” – che Oscar fece per avvicinarsi, d’istinto, forse per distogliere la mano dai cocci, forse per raccogliere il tremore d’una ferita inutile.

“Non avvicinarti!” – rovesciato addosso, l’avversario era ancora lì, subdolo e diabolico.

André aveva paura che lei s’intromettesse nella battaglia ch’era solo sua, contro se stesso, e che lei finisse davvero per scontrarsi con l’uomo che era, e che lei aveva già conosciuto, in una diabolica accezione.

Rimase ferma Oscar, il cervello soggiogato dai gesti assurdi dell’altro, alla ricerca d’una spiegazione.

Oscar, sei viva…sei viva…
Solo adesso mi rendo conto di come tu, così, sia ancora più bella…

Le parlò senza guardarla, perché ora la vedeva, lei, viva - “Ti porto subito dell’altro vino”.

Sento il battito del tuo cuore, dove scorre il tuo sangue vermiglio…

Le tue dita color di rosa…

I capelli biondi…sole dell’Olimpo che sorge brillante…

Oscar s’avvicinò sul serio questa volta, il tono fermo, la mente d’incendio e terrore, l’affondo inevitabile - “Non importa, berrò dall’altro bicchiere”.

André si voltò fulmineo, la mano corse al bicchiere integro, come per colpirlo, come per schiantarlo contro la parete, che però la mano cedette alla logica e all’incolpevole intelligenza dell’altra.

Tutta quella rabbia sarebbe stata compresa esattamente per ciò che era. Solo rabbia…

Così la mano ferita trattenne la foga e s’aprì andando ad afferrare delicatamente il bicchiere, per sottrarlo all’intento dell’altra.

Le parole di giustificazione incespicarono nelle lacrime…

“Dio, perdonami” – disse piano questa volta, un sussurro, inconsapevole che lei fosse ancora lì e l’avrebbe udito.

Ti proteggerò sì! Ti proteggerò finché mi resterà anche un solo respiro di vita…

Oscar s’avvicinò lenta e severa, appoggiando la mano alla mano dell’altro, sfilando di colpo il bicchiere.

André non fece in tempo a chiudere le dita, che il vetro sgusciò freddo…

“No!”

Un istante, si voltò intuendo l’affondo della mano…

Anche l’altro vetro schizzò fulmineo contro il muro…

Esplose, frantumandosi in mille schegge.

Oscar guardò André scorgendo il demone che invocava Dio…

La mascella serrata, il respiro troncato, gli occhi tornarono alla pozza profumata di Morte.

“Credo che nanny abbia necessità del tuo aiuto. Ci sono ospiti per la cena. E’ bene che tu vada” – riprese calma, che però la voce era un poco tremante – “Io…mia madre è nella sua stanza. Vado da lei”.

Un passo, le spalle voltate, poi no, si volse di nuovo ad ascoltare il silenzio e a osservarlo.

“Se ti avessi permesso di bere senza di me” - disse piano Oscar, il volto vicino al volto – “Anch’io avrei dovuto chiedere perdono a Dio”.

Quinto…

Non uccidere.

* Dialoghi tratti dal manga Versailles no Bara

  
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