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Autore: Demy77    25/03/2023    2 recensioni
Sequel di “Finché morte non ci separi”. Una breve carrellata sulla vita di Ross, Demelza ed i loro figli quindici anni dopo la conclusione della storia precedente.
AVVERTIMENTI: per chi non avesse ancora letto “Finché morte non ci separi”, Valentine e Julia qui NON sono fratelli, in quanto Julia non è figlia di Ross. La cronologia inoltre, volutamente, non rispecchia fedelmente quella della saga di Graham.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era l’antivigilia di Natale, ed una fitta coltre di neve aveva ricoperto la collina su cui sorgeva Nampara. Uno dei ragazzi Carter si era offerto di spalare il cortile, ma prima che ultimasse il lavoro il piccolo Henry aveva preteso di coinvolgerlo in una battaglia con le palle di neve. Le sue risatine infantili risuonavano fin dentro il salotto, dove Julia e Clowance intrecciavano addobbi natalizi con rametti di vischio e bacche di agrifoglio.
Bella intanto strimpellava alla spinetta, accompagnando le melodie con la sua voce squillante.
Al piano di sopra Demelza era seduta in poltrona, in prossimità della finestra, con uno scialle sulle spalle ed una coperta sulle gambe. Prudie l’aveva convinta ad alzarsi dal letto e le stava spazzolando i capelli con dolcezza.
Erano trascorsi due mesi da quando aveva perso il bambino, ma la moglie di Ross non aveva ancora messo piede fuori della camera da letto. All’inizio era stata molto debole ed aveva faticato a riprendersi fisicamente, perché la ferita le doleva e la febbre l’aveva accompagnata per giorni. Il morale aveva faticato ancora di più del fisico a risollevarsi, e non solo per la perdita del bambino. Demelza sapeva bene di non essere la prima madre a soffrire la stessa sorte; come avrebbe detto l’amica Caroline con il suo consueto cinismo, tanti bambini ogni giorno non vedevano la luce, oppure morivano di stenti. Il fatto che quel bambino fosse il proprio rendeva il dolore più vivo, ma non mutava quella crudele realtà. Del resto, Ross e Demelza avevano sempre saputo che quella gravidanza presentava notevoli rischi e piangersi addosso non era certo un atteggiamento da Demelza.
Dopo quel tragico parto la moglie di Ross non avrebbe potuto avere altri figli; ma a quarant’anni, dopo aver gustato le gioie della maternità più e più volte, non era poi una limitazione così grave, ed era certa che neanche il marito glielo avrebbe fatto pesare. Benché poi stesse invecchiando, Ross le dimostrava in mille modi quanto la trovasse ancora bella e desiderabile.
Il vero motivo per cui ella appariva solo l’ombra della donna di prima era un altro. Durante tutta la sua vita, anche nei momenti peggiori, Demelza era stata sorretta da un’unica, incrollabile fede: quella nell’amore per Ross, amore ricambiato, grazie al quale anche nei peggiori momenti di sconforto non aveva vacillato e si era sentita invincibile. A dispetto delle varie contrarietà che avevano dovuto affrontare prima e dopo il loro matrimonio erano stati sempre uniti ed affiatati.
Ora Demelza si sentiva come se tutto quello in cui aveva creduto e per cui aveva lottato fosse un enorme inganno.
Gli eventi degli ultimi mesi – l’innamoramento di Valentine e Julia, la partenza del ragazzo per Londra, la morte del piccolo che portava in grembo, le cicatrici che portava sul corpo– avevano fatto seriamente pensare a Demelza che quell’amore non fosse sufficiente a risolvere tutti i problemi. Lei e Ross avevano vissuto in quello stato di grazia per sedici anni, come se il loro fosse un amore da favola, capace di generare felicità coinvolgendo tutti coloro che li circondavano.
Amava Ross, ed era certa che anche lui l’amava ancora, ma all’improvviso Demelza si chiedeva se non fosse stato tutto un errore, riunire due persone così diverse, pretendere di educare i loro figli come fratelli in un’unica grande famiglia, salvo poi scoprire  che i due maggiori, non uniti da vincoli di sangue, si erano innamorati e non avevano neppure avuto il coraggio di confidarsi con i genitori, sentendoli come estranei.
La donna si sentiva completamente inutile: non era stata capace di comprendere i sentimenti di Julia, non era stata in grado di aiutarla e l’unica soluzione che aveva trovato nell’immediato era stata allontanare il problema, cioè Valentine. Aveva sacrificato l’unione della famiglia per godere, egoisticamente, di una situazione più serena durante quella gravidanza difficile. E a cosa era servito? A nulla. Non era morta a causa del tumore, è vero, ma continuava a tormentarsi e a chiedersi se c’era qualcosa che avrebbe potuto fare, e che non aveva fatto, per tutelare di più il bambino.
Trascorreva i giorni tra le lenzuola, alternando il sonno e la veglia, lei che era sempre stata così attiva. Nulla pareva avere più senso, neppure Ross e neppure i ragazzi.
Solo grazie all’insistenza di Prudie alla fine Demelza aveva ceduto ed abbandonato il letto, spostandosi in poltrona per alcune ore del giorno.
La cosa più strana era che neppure Ross aveva cercato di combattere l’apatia della moglie; le era stato vicino con discrezione e tenerezza, era stato in apprensione per lei ma poi, non ricevendo in cambio che silenzi e malumore, aveva ritenuto opportuno non forzarla e lasciare che vivesse il dolore a modo suo. Le aveva fatto percepire in mille modi il suo affetto, ma era difficile smuovere il muro di gelo ed indifferenza in cui Demelza era piombata.
Prudie era seriamente preoccupata. Aveva vissuto l’epoca infelice del primo matrimonio di Ross, aveva assistito in prima persona alla frustrazione derivante dall’incomunicabilità tra il suo padrone e la signora Elizabeth. Ora le sembrava di rivedere quelle stesse scene: un uomo cupo, scuro in volto, che preferiva trascorrere ore ed ore in miniera pur di non affrontare i problemi di casa. Prudie era sicura che se non fosse stato inverno padron Ross avrebbe sistemato un giaciglio di fortuna alla Leisure e non sarebbe tornato a casa neppure per dormire. Che senso aveva dividere il talamo con una donna sempre triste, che non gli parlava più, che pareva non avere intenzione di tornare alla vita di tutti i giorni, che non si curava neppure più degli amati figli?
I ragazzi andavano a trovarla in camera ogni giorno; Demelza cercava di sorridere e di rassicurarli sul suo stato di salute, ma tutti sapevano che la mamma non era quella di sempre. C’erano momenti in cui all’improvviso si incupiva e preferiva restare sola; i figli avevano imparato quel linguaggio silenzioso, e quando la mamma diceva di essere stanca e voler riposare abbandonavano giochi, libri e conversazioni e la lasciavano stare.
Dwight e Caroline avevano cercato ripetutamente di invitarla a Killewarren, ma nulla pareva utile a scuotere Demelza. Il medico era tornato spesso a visitarla , le aveva detto che poteva riprendere ad uscire e a camminare senza stancarsi. Demelza continuava a rispondere che si sentiva debole e che sarebbe uscita appena si fosse sentita meglio. Nei primi tempi lo stesso Dwight l’aveva assecondata ed aveva suggerito a Ross di avere pazienza con lei, ma intanto il tempo trascorreva e le cose non cambiavano.
L’unica che non aveva voglia di rassegnarsi era Prudie. Non riteneva giusto che la padrona si lasciasse andare così, e non riusciva francamente neanche a comprenderne il motivo. Ogni giorno cercava di scambiare con lei qualche parola, le raccontava episodi buffi che riguardavano Bella ed Henry, cercava di suscitare in lei il desiderio di tornare a tavola con loro, ma nulla. Era riuscita ad ottenere che si alzasse almeno dal letto e muovesse qualche passo nella camera, dal letto alla poltrona. Così quel giorno Demelza si era vestita, Prudie l’aveva convinta a lavare i capelli e la stava pettinando, come a volerle ricordare quanto fosse ancora bella. Tanti anni prima, quando la signora Elizabeth pretendeva di essere pettinata, Prudie odiava quei momenti, ma adesso sentiva di doverlo fare per una giusta causa.
Mentre la spazzola scorreva tra le chiome rosse, impreziosite appena da qualche filo  bianco alle tempie, la domestica pensò che si fosse creata la situazione adatta per fare delle confidenze alla padrona.
“Anch’io avrei voluto chiamarlo William, sapete” – sussurrò.
Demelza si voltò verso di lei con fare interrogativo e Prudie proseguì.  
“Avevo 19 anni; ero sposata da circa un anno ed io e Jud eravamo entrambi al servizio dei signori Poldark, i genitori di padron Ross. Fui molto felice quando scoprii di essere incinta, anche se non sapevo come avrei fatto a portare avanti il lavoro. La signora Grace, che Dio l’abbia in gloria, fu un angelo: mi diceva di non angustiarmi, che avrei cresciuto insieme i figli miei e suoi; padron Ross infatti era già grandicello e la signora era in attesa del povero signorino Claude. Un giorno però - era il mese di aprile, mi ricordo – mi svegliai in un lago di sangue. I padroni chiamarono il dottor Choake padre – quello che conoscete voi, il figlio, era molto giovane, appena laureato – che mi disse che il bambino era morto. Me lo disse senza mezzi termini, con queste stesse parole, come lo sto dicendo ora a voi. Non ebbi neppure il tempo di piangere; il medico mi disse che non c’era tempo di aspettare che mi venissero i dolori del parto, rischiavo di morire, e così decisero di aprirmi la pancia per evitare che morissi”.
“Oh, Prudie!” – esclamò Demelza stringendole le mani fra le sue.
La domestica si asciugò una lacrima con il grembiule. “Quando mi risvegliai – continuò – mi dissero solo che era un maschio e che era nato morto. Fu la signora Grace a dirmi la verità, che non avrei mai più potuto avere figli; quei due vigliacchi di uomini, il medico e mio marito, non ne ebbero il coraggio. Rimasi a letto per giorni senza mangiare, non riuscivo neppure a chiudere occhio la notte. La signora Grace aveva paura che avrei sofferto troppo a veder nascere il suo bambino e così, appena ebbi la forza di rimettermi in piedi, mi mandò a servizio da una sua cugina a Looe. Alla fine però mi feci coraggio, mi dissi che il destino non aveva voluto che diventassi madre, ma non era colpa di nessuno, e soprattutto di chi di figli ne aveva.  Decisi che il mio posto era a Nampara: tornai qui, amai il signorino Claude come se si fosse trattato del mio William… e padron Ross, avreste dovuto vedere le feste che fece nel rivedermi! Ricominciai ad essere grata di essere viva, di avere un tetto sulla testa, dei bambini di cui occuparmi, di avere a fianco quel testone di Jud, che non mi ha abbandonata nonostante quello che mi era capitato… nessuno più di me può capire come vi sentite, signora  Demelza … ma avete cinque figli meravigliosi, un marito che vi adora, degli amici sinceri che vi vogliono bene… tornate in voi, ve ne prego! Nampara non è più la stessa da quando vi siete confinata in questa stanza!”
Demelza le sorrise. Prudie aveva sempre avuto il pregio di parlare in maniera diretta, era una donna di cuore e i Poldark non erano per lei solo datori di lavoro, ma persone di famiglia. La governante non poteva intuire che il dolore di Demelza non era legato solo alla perdita del bambino, ma il suo interessamento sincero scaldò il cuore della padrona che, non trovando più valide obiezioni, assentì con un timido sorriso alla proposta di aiuto per sistemarsi e scendere di sotto.
“Mamma!” – esclamarono in coro le tre figlie appena videro Demelza scendere le scale, sorretta da Prudie. Lasciarono immediatamente quello cui erano intente, le furono intorno, la abbracciarono e la subissarono di baci, ben presto imitate dai due fratelli maschi, richiamati in casa dall’accavallarsi delle voci festose del salotto.
“Che gioia sarà per papà, quando ti vedrà qui di sotto con noi!” – esclamò Bella battendo le mani, e tanto era il suo entusiasmo che trascinò la madre alla spinetta per cantare e suonare insieme a lei.
“Non la stancare troppo…” – la rimproverò Prudie, pentendosi forse per l’insistenza con cui aveva convinto la padrona a ritornare alla vita di tutti i giorni. Eppure Demelza, anche se provata, sembrava felice, per la prima volta dopo mesi.
Ma le sorprese per quel giorno non erano finite. Una mezz’ora dopo si sentì bussare alla porta. Julia andò ad aprire e si trovò dinanzi Valentine, sacca in spalla e tricorno in testa, con i capelli bruni al vento. Per un attimo, Demelza ebbe l’impressione di rivedere Ross ragazzo, il reduce dalla guerra d’indipendenza americana di cui si era innamorata a prima vista, tanto erano somiglianti.
“Salve a tutti!” – esclamò, lasciando cadere in terra il borsone con un tonfo.
“Come mai sei tornato?” – gli domandò il fratello più piccolo.
“Non è forse Natale dopodomani, moccioso? – gli disse prendendolo in braccio e stampandogli un grosso bacio sulla guancia – pretendevi che me ne stessi tutto solo a Londra durante le feste?”
“E’ solo che non ti aspettavamo, Val – aggiunse Clowance – avresti potuto scrivere…”
Il primogenito di Ross fece una smorfia. “Chi ti dice che non lo abbia fatto? Solo che ho atteso fino all’ultimo giorno per spedirla, per essere certo di terminare il lavoro in tempo… alla fine sono arrivato prima io!”
Demelza si alzò dalla spinetta per andargli incontro, mentre Henry gli spiegava che era il primo giorno che la mamma si alzava dal letto e scendeva nel salotto. Valentine strinse la matrigna forte a sé e chinò il capo sulla sua spalla, commosso. La donna comprese che il dispiacere del ragazzo nasceva dal ricordo ancora bruciante di ciò che era accaduto a sua madre Elizabeth dopo la perdita di un figlio.
I due restarono per un po’ a conversare sulle poltrone accanto al camino e Demelza lo trovò più maturo e responsabile. Un’altra cosa che Demelza notò subito fu che Valentine cercava ogni tanto lo sguardo di Julia, mentre lei appariva imbarazzata e cercava di fare l’indifferente. Prima o poi però, pensò la donna, un confronto i ragazzi avrebbero dovuto averlo…forse, a dispetto della lontananza, nessuno dei due era riuscito a dimenticare l’altro.
Valentine, stanco del viaggio, infreddolito per la neve trovata sul cammino, fu spedito a fare un bagno caldo e a cambiarsi, mentre le ragazze e Demelza apparecchiavano in tavola, calcolando due commensali in più rispetto al previsto.
Mentre il salotto si animava di voci e rumori di piatti e stoviglie Jeremy si allontanò alla chetichella, andò in  camera di Valentine e lo attese, disteso sul letto con le gambe incrociate e i gomiti piegati dietro la testa.
Il ragazzo bruno tornò dal bagno coi fianchi avvolti da un asciugamano e si sorprese di quella intrusione del fratello minore, il quale motivò la sua scarsa discrezione con la voglia di fare due chiacchiere senza avere troppa gente intorno.
“Che mi dici di Londra, allora?” – gli chiese.
“Umida, nebbiosa, caotica. Ma offre tanti diversivi. E devo dire che il lavoro mi piace. Il mio principale, il sig. Thompson, è un tipo a posto. Le vendite vanno alla grande, e sto imparando tante cose sulla moda femminile, che finirò per diventare più esperto di Clowance!” – disse Valentine ridendo, mentre si frizionava i capelli. “Qui, invece?”
“Non bene, fratello, come puoi immaginare – rispose Jeremy – da quando mamma ha perso il bambino è stato sempre peggio. Henry ha detto il vero, è la prima volta oggi che la vediamo dabbasso dopo due mesi”.
“E’ stata così male?”
“Ha sofferto tanto, ma soprattutto ha perduto ogni vitalità, ogni interesse per le cose. Anche quando salivamo su a trovarla, non so come spiegarti, era come un fantasma, era spenta. Con Bella e con Henry cercava di controllarsi, ma con noi grandi era veramente taciturna, chiusa come un’ostrica. Non so come abbia fatto Prudie a convincerla oggi a scendere, davvero. Persino lo zio Dwight, che la mamma di solito ascolta come se fosse Dio sceso in terra, non era riuscito a tirarla su di morale.”
“Mi dispiace tanto. Immagino che anche papà sia stato in difficoltà con lei”.
“Ah! – sospirò Jeremy – Papà è quello che mi preoccupa di più. Lo vedo così disorientato, angustiato… Ti confesso che per un attimo ho temuto che se ne sarebbe andato via di casa!”
“Come via di casa? Ma che dici?” – esclamò Valentine.
“Sì, via di casa! Ho temuto che i nostri genitori si separassero, insomma!”
Valentine obiettò che non aveva mai visto due sposi più uniti e innamorati di Demelza e Ross. Jeremy fu d’accordo con lui, ma replicò che dopo quello che era successo al bambino tutti avevano avuto la sensazione che tra Demelza e il marito si fosse creata una frattura: che lei non lo volesse più accanto e che lui si fosse scoraggiato al punto da andarsene davvero.
“È nervoso, taciturno, al mattino va via presto e torna la sera quando è buio… si trattiene molto in salotto dopo cena, soprattutto con Henry, a volte lo accompagna in camera sua e vi resta finché non si addormenta… come se volesse ritardare il momento di salire in camera sua, con la mamma!”
“Forse vuole semplicemente fare sentire di più la sua presenza ai figli piccoli, data la situazione di Demelza…” - osservò Valentine. Jeremy rispose che ciò era possibile, ma che le cose non andassero bene tra di loro era palese.
“Nostro padre e mia madre, la sua prima moglie, non andavano d’accordo – ricordò Valentine – io ero molto piccolo all’epoca, ma tra i miei genitori non ho mai sentito scorrere quel calore che c’è tra Ross e Demelza. Tra due persone che si amano credo possa accadere un momento di tensione, ma questo non vuol dire che l’amore finisca … almeno credo! Papà non andrebbe mai via, lo sai. Se anche non provasse dei sentimenti per lei, il suo senso di responsabilità gli impedirebbe di abbandonarla.”
“Comunque sia, di questo clima in casa abbiamo risentito tutti. I bambini innanzitutto, ma anche io e Clo. E Julia, ovviamente.”
“Come sta?” – domandò distrattamente Valentine.
Jeremy scrutò il fratello. “La conosci. Tiene tutto dentro, ma è saggia. Poche parole dette al momento giusto, questa è Julia. Ha cercato di tenere un po’ le redini della situazione, essendo la più grande. Ha fatto la vice Demelza, in sostanza. E tu? – chiese Jeremy, dopo una pausa – tu come stai? Pensi sempre a lei… in quel senso?”
Valentine rifletté: “E’ difficile rispondere a questa domanda. Le voglio bene e non potevo certo smettere di volergliene in appena due mesi… a Londra ho conosciuto altre ragazze, se vuoi saperlo, ma non ho mai pensato di potermi innamorare di una di loro… nessuna mi interessava veramente. Tornando a Julia, non ti so dire se la amo. Quando sono partito per Londra ero convinto di amarla alla follia e di non poter vivere senza di lei; dopo aver discusso con papà e Demelza ho pensato che forse ero io ad aver equivocato, che la cosa migliore da fare era dimenticare, e ci ho provato, sul serio… per adesso posso dirti che non ci sono riuscito! Magari lei ha avuto più fortuna…”
Jeremy fece spallucce. Julia era riservata e non era in gran confidenza con lui. Non aveva idea di cosa le passasse per la testa. La malattia e convalescenza della mamma avevano assorbito le energie di tutti… forse la ragazza non aveva avuto neppure il tempo di pensare all’amore. L’unica cosa certa era che con il trascorrere dei mesi anche la rabbia di Jeremy nei confronti di Valentine si era affievolita, e quella relazione con la sorella, che gli sembrava inizialmente un abominio, adesso non gli faceva più tanto ribrezzo.
Alla Wheal Grace, intanto, Ross stava esaminando alcuni pregiati campioni di rame rosso di ottima qualità. Per sua fortuna, gli affari stavano andando a gonfie vele e gli consentivano di allontanare la mente dalle pene domestiche.
Non era mai stato il tipo da arrendersi di fronte alle difficoltà, ma questa volta non sapeva davvero che cosa fare con Demelza. Aveva cercato di starle vicino, di farle sentire quanto l’amava, ma era stato tenuto a debita distanza. La rossa di Illugan non aveva mai avuto la personalità algida ed anaffettiva di Elizabeth, e non riuscire a comunicare con lei come al solito rischiava di far diventare matto Ross. C’erano stati molti momenti di scontro tra di loro in passato, ma Demelza aveva combattuto per far valere le sue opinioni, ed ogni scontro si era tramutato in occasione di confronto. Ross non era più abituato ad una vita coniugale di finzione, ad una farsa in cui ognuno dei due sposi faceva la sua vita cercando di non incrociare la propria strada con quella dell’altro. Lui era stato costretto a vivere così per tre anni ed aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai più ripetuto.
La cosa peggiore era che non riusciva a capire quale fosse la sua colpa, se aveva commesso qualche sbaglio che aveva ferito Demelza e come poteva rimediarvi. E se invece non aveva fatto nulla, perché lei non si appoggiava a lui come aveva sempre fatto in quegli oltre sedici anni d’amore, ma lo trattava come un estraneo?
Scosse la testa, sforzando di concentrarsi sul lavoro, quando venne distolto da una voce femminile che lo chiamava. Come sempre accadeva nei piccoli centri, le voci correvano rapide e qualcuno doveva aver riconosciuto Valentine lungo il sentiero dalla fermata della diligenza a Nampara; così la moglie di uno dei suoi operai era venuta ad informarlo che suo figlio maggiore doveva essere ormai arrivato a casa.
La gioia di poter rivedere il figlio scacciò via gli altri fantasmi ed indusse Ross a mettersi in cammino prima del previsto verso casa. La presenza della neve sui sentieri, del resto, impediva di caricare troppo l’andatura del cavallo. Occorreva prudenza, se non voleva rimetterci l’osso del collo come era avvenuto a suo padre molti anni prima. Confidò che almeno i dintorni di Nampara e le vie più frequentate fossero state spalate da qualcuno di buona volontà, ipotesi che trovò conferma man mano che si avvicinava a casa.  
Quando Ross aprì la porta venne accolto da un’atmosfera briosa legata alla duplice novità del rientro di Valentine e del ritorno alla vita di Demelza. Valentine gli corse incontro e lo abbracciò. Solo in un secondo momento Ross notò la presenza di sua moglie, in piedi davanti a lui.
“Buongiorno, Ross” – gli disse soltanto, con la sua consueta semplicità, rivolgendogli un sorriso. Ross non sapeva cosa dire, era sorpreso ma anche emozionato; poi l’istinto prese il sopravvento, le sue labbra mormorarono “Demelza”, e poi quello stesso nome venne ripetuto a tono più alto, più e più volte, mentre le si avvicinava, la stringeva fra le braccia e la baciava fra i capelli. Demelza appoggiò la testa sul suo petto e si lasciò avvolgere dall’abbraccio, mentre tutti i ragazzi applaudivano e urlavano festosi la loro esultanza.
Prudie, osservando la scena, sorrise soddisfatta, e si sarebbe commossa se non avesse avuto in mano una zuppiera fumante da servire in tavola.
Mentre tutti prendevano posto, Ross lasciò scivolare Demelza dal suo abbraccio, anche se avrebbe voluto continuare a tenerla stretta sul cuore. C’era ancora tanto da chiarire, e lo sapevano entrambi. Per il momento, decise che si sarebbe fatto bastare quell’abbraccio ed il sorriso con cui lo aveva accolto.  

Angolo autrice: vorrei chiedervi scusa per l'attesa, ma in questi ultimi mesi sono stata subissata dagli impegni, oltre ad avere il classico "blocco dello scrittore"! Credevo che questo capitolo sarebbe stato l'ultimo, ma le cose da dire erano troppe e così dovrò scriverne ancora un altro! Grazie sempre a chi mi segue e commenta, ed anche a chi si limita a leggere! A presto (spero!)
  
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