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Autore: Nao Yoshikawa    25/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Buongiorno, amore mio. Come ti senti stamattina?»
Tatsuki non era conosciuta per essere un tipo dolce o affettuoso, ma facevano eccezione i suoi figli e suo marito. Grazie ad alcuni farmaci, Uryu stava ricominciando a dormire la notte, anche se la mattina era sempre faticoso svegliarsi. Ma Tatsuki allora si avvicinava e lo accarezzava con dolcezza.
«Ho solo un leggero ma di testa» biascicò Uryu, godendosi le sue carezze. Dire che stava bene sarebbe stata una bugia, ma pian piano stava avanzando verso la via dea guarigione. Alcuni giorni erano terribile e aveva l’impressione di cadere e di non far nessun progresso. Alcuni giorni andava molto meglio. Da quando lui e Yuichi si erano chiariti le cose erano migliorate ancora. Tatsuki sorrise, accarezzandogli la testa. C’era stato un momento in cui aveva visto suo marito così fragile che aveva temuto non si rialzasse più. Invece Uryu, pian piano e a volte arrancando, continuava ad avanzare sostenuto dalla gente che lo amava.
«Capisco» rispose Tatsuki, fermandosi con la mano sul suo viso. Alle volte, se si soffermava a pensare al dolore de suo amato, le veniva voglia di spaccare il mondo, e magari anche la faccia del maledetto che lo aveva fatto soffrire. Altre volte invece le veniva da piangere e basta, ma poi puntualmente si diceva che voleva essere un sostegno per lui, non un ulteriore peso. Uryu lo sapeva: conosceva da una vita sua moglie, ne conosceva il carattere forte e le fragilità. Strinse la mano poggiata sulla sua guancia e la guardò negli occhi.
«Dimmi, Tatsuki. Hai mai provato compassione per me?» domandò Uryu. Orgoglioso per com’era, sarebbe stato per lui un grave affronto, tuttavia sentiva il bisogno di conoscere la verità. Tatsuki corrugò a fronte.
«No! Ma cosa ti viene in mente? Non proverei mai compassione per te. Solo che… mi dispiace» abbassò la testa e lo sguardo.
«E perché ti scusi? Non sei stata tu a farmi del male.»
«Mi scuso perché non posso fare niente per guarirti» ammise. Soffrire era terribile, ma esisteva un altro tipo di dolore: vedere a persona che amavi in preda alla disperazione. Uryu allora l’abbracciò. Lui la capiva. Le era stato accanto durante il periodo di depressione post-parto quando avevano avuto Yuichi. L’aveva quasi persa e poi si erano ritrovati. Avevano avuto una bellissima bambina e ancora, dopo moti anni, continuavano ad amarsi. Nessuno meglio di lui poteva capirla.
«Tu mi guarisci già ogni giorno» le confessò. Tatsuki spalancò gli occhi e avvertì un certo vigore nel suo abbraccio. Ma non solo. Sentì la voglia e il bisogno che Uryu aveva di stringerla. Lo stesso bisogno che aveva lei. Era da un po’ che non facevano l’amore, non c’era stato il modo, né il tempo. Ma ora, avvolti ne silenzio della loro casa appena dopo il risveglio, lo volevano entrambi.
«Uryu» gemette il suo nome e poggiò la fronte sulla sua. E poi si baciarono. Forse avrebbero fatto entrambi tardi al lavoro, ma andava bene così. Non esisteva modo migliore di guarirsi e consolarsi che quello.
 
Yuichi si era svegliato presto. Quasi intuendo la sacralità del momento tra i suoi genitori, non aveva fatto domande né li aveva cercati. Piuttosto si era occupato di Yoshiko, svegliandola e preparandole da mangiare.
«Pecché mamma e papà non mangiano con noi?» domandò Yoshiko.
«Credo stiano riposando. Non ti piace mangiare con me?» chiese Yuichi.
«Siii. Yuichi, allora tu sei fidanzato con Masato? Quando vi sposate?»
Yuichi arrossì davanti a quelle domande così dirette e innocenti. Yoshiko adorava Masato, gli girava sempre attorno quando veniva a trovarlo.
«Non lo so, siamo ancora giovani. A te piacerebbe se ci sposassimo?»
Yoshiko annuì, gonfiando le guance mentre mangiava.
«Sì. E anche a mamma e papà. Loro sono contenti, io lo so, perché io li ho sentiti pallare. Anche io mi voglio fidanzare.»
Yuichi sorrise e accarezzò la testa di sua sorella.
«Un giorno anche tu troverai una persona che ti ami.»
Yoshiko arrossì e sorrise. Yuichi tornò a prepararsi per la sua mattinata a scuola, quando ricevette un’inaspettata visita dai suoi nonni. Sia Ryuken che Kanae erano rimasti accanto al figlio con discrezione, senza soffocarlo e con anche la paura che Uryu ce l’avesse a morte con loro per non aver saputo gestire la cosa nel modo migliore. Anche se ancora si chiedevano quale avrebbe potuto essere il modo migliore per evitargli dolore.
«Nonnooo, nonnnaa! Ma siete qui presto, non c’è una festa oggi» gridò Yoshiko correndo incontro ai due. Kanae la prese in braccio e a spupazzò per bene.
«Yuichi, tesoro. I tuoi non sono già usciti, vero?»
«A dire il vero sono ancora chiusi in camera» si limitò a rispondere mentre finiva di pulire l‘ultimo piatto. Dovette passare qualche minuto prima che Uryu e Tatsuki uscissero dalla loro camera da letto, con il viso un po’ arrossato e gli occhi lucidi e brillanti, come quelli di tutte e persone che si amano.
«Mamma, papà» disse Uryu guardandoli. «Non vi aspettavo.»
Ryuken dissimulò l’imbarazzo tossendo e intuendo di essere arrivato in un momento un po’ particolare.
«Scusate l’improvvisata. Volevamo sapere come stavi.»
Uryu, da che sorrideva stretto a sua moglie, divenne un po’ più serio.
«Oggi è uno di quei giorni buoni.»
Calò il silenzio, mentre Yuichi prendeva Yoshiko per mano e la portava con sé nella sua cameretta per aiutarla a vestirsi. Kanae si avvicinò a suo figlio, al bambino che non aveva protetto e che era oramai diventato uomo.
«Uryu. Tu pensi che riuscirai mai a perdonarci?»
Uryu aveva provato tante emozioni in quegli ultimi mesi. La rabbia per ciò che gli era capitato e per esserne stato tenuto all’oscuro per tutti quegli anni. Il dolore quando poi aveva iniziato a ricordare. Il senso di sconfitta. Poi si era posto tante domande: come avrebbe reagito lui al posto dei suoi genitori? Esisteva davvero il modo giusto e il modo sbagliato per approcciarsi a certe situazioni? E quindi, anche se in parte ce l’aveva con loro, non riusciva comunque a odiarli.
«Avrei preferito rendermi conto prima di ciò che mi stava accadendo. Ma non ce l’ho troppo con voi. Anche se la mia fiducia non è più totale come prima, per ovvi motivi.»
Si sistemò gli occhiali sul naso e per un attimo sembrò tornato l’Uryu di sempre, quello sempre razionale e che affrontava tutto senza mai scomparsi. Ryuken annuì, socchiudendo gli occhi.
«Mi sembra il minimo.»
Kanae singhiozzò. Non era triste, era solo fiera. Perché in fondo, quel bambino tanto traumatizzato era riuscito a diventare un uomo di cui essere fieri. Il dolore a volte non si superava, lasciava cicatrici indelebili. Ma non per questo era impossibile andare avanti.
«Mamma, non piangere. Non miravo certo a questo» sospirò. Lei si asciugò una lacrima.
«Mi dispiace. Pensavo solo che… insomma, eccoti qua. Sei diventato un uomo estremamente forte.»
Uryu avrebbe voluto dire che lui forte non ci si sentiva per niente. Che anzi si sentiva molto fragile, in un modo che non aveva creduto possibile. Che la sua forza la trovava nella gente di cui si circondava tutti i giorni. Tatsuki strinse il suo braccio e poggiò la testa sulla sua spalla.
«Non conosco nessuno più forte di te» gli sussurrò. Forse lei al suo posto sarebbe crollata senza mai rialzarsi, chissà. Lui invece era lì, che arrancava ma non molava. Uryu chiuse gli occhi e si lasciò stringere. Era proprio quella la forza di cui aveva bisogno.
 
Al St. Luke era una giornata piuttosto tranquilla. Questo se si escludeva la squillante voce di Natsumi, che aveva poggiato le mani sulla schiena de suo fidanzato.
«Avanti, Hanataro. Non fare il codardo e va a parlare con lui. Cosa vuoi che succeda?»
Hanataro Yamada non aveva certo smesso di essere timido. Di solito era bravo a scusarsi per tutti, anche quando non aveva colpa. Ma ora si sentiva proprio un cretino per avercela avuto con Akon per tutto quel tempo e senza motivo.
«V-va bene, ho capito, ora vado! Sei davvero terribile, a volte»
«Modestamente lo so. Avanti, su» fece dandogli una spintarella. Hanataro deglutì pesantemente e si avvicinò al collega, intento a parlare con Ichigo.
«E-ehi» salutò.
«Ciao, Yamada senpai. Come sei rigido, stai bene?»
Hanataro annuì e guardò Akon. Non sembrava avercela con lui, in realtà Akon gi sembrava incapace di portare rancore a chicchessia. Questo però non faceva che peggiorare la situazione. Hanataro si inchinò.
«Perdonami, Higarashi! Non avrei mai dovuto farti quella scenata solo perché ero invidioso e insicuro! È vero, tu sei talentuoso pur essere più giovane, la realtà dei fatti è questa. Sono desolato.»
Ichigo si portò una mano tra i capelli, un po’ in imbarazzo. Un discorso davvero pieno di passione. Ma imbarazzante, soprattutto per Natsumi che faceva il tifo da lontano. L’unico a non essersi scomposto era proprio Akon.
«Per favore, senpai. Non c’è bisogno di inchinarsi in questo modo. Io non ce l’ho con te. Però avevo il presentimento che non mi sopportassi, quindi cercavo di non infastidirti.»
Hanataro gli afferrò e mani.
«È vero, non ti sopportavo a causa della tua bravura. Ma ora ho capito che possiamo essere bravi entrambi. Magari potremmo essere amici. Sono così contento che tu non mi serba rancore» e poi prese a piagnucolare com’era solito a fare.
Una scenetta davvero deliziosa, che divertì Ichigo. E fu anche uno dei pochi a farci caso. Il dottor Kurotsuchi stava parlando in modo fitto con sua moglie. Quei due sembravano due fidanzatini a giudicare dal modo in cui si parlavano. Qualsiasi momento di crisi avessero attraversato, era stato superato. Senjumaru Shutara non si mostrava da un po’ (da quando Nemu l’aveva affrontata), ma quel giorno si era presentata in reparto lasciando da parte e cattive intenzioni. Questo ovviamente non potevano saperlo né Mayuri né Nemu, i quali la guardarono con una certa diffidenza quando la videro entrare.
«Che sguardo omicida, vengo in pace.»
«Certo, come no. Cosa sei venuta a fare qui?» domandò Mayuri, al quale bruciava ancora un pochino nell’orgoglio il fatto di non essersi difeso da solo. Senjumaru aveva però uno sguardo diverso, non c’era malizia né voglia di creare conflitti. Sembrava davvero intenzionata solo a parlare e Nemu non si sentiva minacciata.
«Beh, devo dire che sono rimasta sorpresa da te, Nemu. In pochi trovano il coraggio di affrontarmi, dicono sempre che li metto in soggezione, e come dar loro torto?» mi passai una mano tra i capelli. «Devo ammetterlo, quando mi hanno trasferita in quest’ospedale, ho pensato che sarebbe stato interessante rincontrarci, Mayuri.»
Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo.
«Ti prego. Mi hai tradito anni fa. Non mi dire che dopo tutto questo tempo hai cambiato idea.»
«Oh, no. Non ho cambiato idea. Ma mi sono chiesta come sarebbero andate le cose in circostanze diverse. Ovviamente sapevo che eri sposato, ma non contavo sul fatto che fossi così innamorato.»
Mayuri arrossì, colto ne vivo. Non era un segreto che amasse sua moglie, ma che la sua ex lo dicesse così ad alta voce…
«Quindi in pratica eri venuta qui per diventare la mia amante? E da quando ti abbassi a tanto?» domandò Mayuri. Nemu invece non parlava, si limitava ad ascoltare. Nemu che aveva capito molto bene quella donna: Senjumaru amava conquistare e sentirsi invincibile. Riconquistare un uomo come Mayuri, diffidente e poco incline ai sentimentalismi, sarebbe stata una vittoria.
«Amante? Ho sempre pensato che noi due fossimo molto simili. Ed è vero. Siamo geniali, intraprendenti, non ci fermiamo davanti a niente. Però…» e dicendo ciò guardò Nemu negli occhi. «Forse una persona come noi ha bisogno di qualcuno di diverso accanto che ci equilibri.»
Nemu arrossì e strinse la mano di suo marito.
«Io e Mayuri stiamo insieme perché ci amiamo, a prescindere dal nostro carattere e ambizioni.»
E Senjumaru dovette constatare che sì, quei due si amavano eccome. Anche le persone più geniale e che si diceva incline ai sentimenti, poteva innamorarsi. Mayuri si schiarì la voce, in imbarazzo.
«Già, per l’appunto, ma ora che abbiamo chiarito questo, che succede?»
Senjumaru fece spallucce.
«Nulla, ero venuta solo per chiarire che non ho più intenzione di arrecare disturbo. Come ho detto, Mayuri è fin troppo innamorato di te. È proprio vero che per uno come lui ci vuole proprio una donna come te.»
Quello di Senjumaru sembrava voler essere un complimento, ma Nemu non fece domande. All’improvviso quella donna non le sembrava più minacciosa o irraggiungibile. Era un essere umano come tutti. Mayuri tossì ancora per dissimulare l’imbarazzo.
«D’accordo, ma questo vuol dire che non lavorerai più con noi? Il tuo cervello ci è utile.»
Senjumaru sorrise e poi diede loro le spalle.
«Ma certo che lavorerò con voi. Non sarei professionale se vi mollassi così, non credi?»
«Sono sicura che sarete un’ottima squadra» commentò Nemu, tranquilla e soddisfatta. Non aveva più niente da temere. In realtà non aveva mai avut niente da temere.
Guardò suo marito e gli sorrise. E anche lui le concesse uno di quei suoi rari sorrisi.
 
«Yoruichi, ma sei proprio sicura che vuoi che venga anche io?»
«Eh? Ma dai, hai fatto tante storie e adesso hai paura? Kisuke si è dimenticato il pranzo e lo sai che se non mangia poi non riesce a connettere. Dobbiamo solo portarglielo insieme.»
Yoruichi trovava Soi Fon davvero carina quando era impaurita. Piccoli passi erano i più importanti in una reazione, specie in una come la loro. La gente avrebbe posto domande? Avrebbe chiesto chi era quella ragazza che si accompagnava ai due coniugi? E Yoruichi e Kisuke l’avrebbero davvero presentata come loro compagnia? Quasi non le sembrava possibile, ma Yoruichi a stava spingendo verso l’ascensore. Quando e porte di quest’ultimo si aprirono, Yoruichi salutò tutti e Soi Fon si accodò timidamente a lei. Kisuke sorrise con gli occhi luminosi quando vide le sue due donne.
«Oh, mi avete portato il pranzo. Non era necessario.»
«E saperti mangiare schifezze? No grazie, hai bisogno di energie. E poi lo abbiamo preparato io e Soi Fon insieme.»
Dicendo ciò diete una gomitata alla ragazza.
«Eh? Ah, sì.»
«Oh, giuro che vi riempirei di baci, ma siamo in un luogo poco consono!» rise Kisuke. E poi fece segno a Mayuri e Nemu di avvicinarsi. «Ehi, voi due! Venite qui un momento.»
Soi Fon si irrigidì. Conosceva quei due, erano i migliori amici di Yoruichi e Kisuke. Sarebbero stati anche suoi amici?
«Oh, ciao» salutò Nemu. Mayuri guardò Soi Fon, che aveva già visto, ma con cui non aveva ancora mai parlato.
«La vostra convivenza è diventata permanente?» domandò Nemu, che invece non immaginava cosa ci fosse dietro.
«A dire il vero, Soi Fon è la nostra compagna. Volevamo foste i primi a saperlo.»
Soi Fon arrossì dalla testa ai piedi. Oh, era proprio successo, aveva ufficializzato la loro relazione. Nemu sgranò gli occhi.
«Cioè… tutti e tre insieme? Una relazione poliamorosa.»
«Eh già» disse Yoruichi. «Vi sembra strano?»
«Tsk, esistono cose ben più strane di queste» Mayuri guardò Soi Fon. «Buona fortuna, non sono due tipi facili. Kisuke soprattutto.»
Quest’ultimo si mise a ridere.
Era stata una bella sensazione, quella di uscire allo scoperto. Poco importasse che la loro non fosse una relazione convenzionale. Si amavano e avrebbero provato a costruire qualcosa di bello insieme.
 
 
«E così adesso tu e il ragazzino andate d’accordo? D’accordo completamente?»
Hiyori stava pulendo la sua batteria, mentre Shinji la guardava e sorrideva.
«D’accordo completamente. È come se fosse cresciuto. E sono cresciuto anche io. Adoro quel ragazzino. E adoro la nostra Miyo. Diventerà una ragazza e poi una donna meravigliosa» sussurrò, cercando di non commuoversi.
Hiyori fece una smorfia.
«Oh, non piagnucolare. Che dici? Pensi che abbia già un fidanzato? O una fidanzata?»
«Non che io sappia. Ma non corriamo troppo, ti prego» disse esasperato. Non era ancora pronto a questo, ma sapeva che prima o poi sarebbe successo. Miyo era bella, intelligente e sensibile, praticamente impossibile non amare. Sentì dei rumori fuori a porta e pensò si trattasse di Sosuke che era venuto a prenderlo. Invece si sorprese quando vide Toshiro fare capolino insieme a Momo.
«Voi due?» chiese Shinji. «È tutto a posto? Hayato non è scappato di nuovo, vero?»
«Cosa? No, non è scappato. In verità eravamo venuti qui per ringraziarti. Cioè…Momo lo ha già fatto, ma io volevo ringraziare te, ecco» borbottò arrossendo. «Se non fosse stato per te, io e Hayato non ci saremmo mai trovati.»
Momo annuì.
«Sei una brava persona, Shinji. Capisco perché Sosuke si sia innamorato di te.»
Shinji arrossì, distogliendo lo sguardo. Troppi complimenti tutti in una volta.
«A-Andiamo, ora non esagerare. Hayato aveva solo bisogno di lasciarsi andare. È pur sempre figlio di suo padre, sono abituato» disse alzando gli occhi al cielo. Momo si mise a ridere.
«Dovremmo uscire, qualche volta. Sì, so che è strano perché sei sposato con il mio ex marito… ma la nostra situazione normale non lo è mai stata e visto che condividiamo dei figli, allora…»
Certo, sarebbe stato interessante e divertente un’ipotetica uscita a quattro. Ma oramai Shinji credeva non ci fosse più niente di impossibile.
«Sì, si può anche fare.»
«Oh» disse ad un tratto Hiyori. «Shinji è cresciuto veramente. All’alba dei suoi trentatré anni, ma ce l’ha fatta.»
«Oh, sta zitta tu» borbottò lui. Toshiro sorrise a strinsi le spalle di Momo, abbassando lo sguardo sul suo ventre. Non vedeva l’ora di conoscere il bambino che di lì a qualche mese sarebbe arrivato. Di sicuro in una famiglia come la loro non ci si annoiava mai.
 
Byakuya era andato a trovare sua sorella al lavoro. Non era una cosa che faceva spesso, però era bello e malinconico vedere quei bambini adorabili, che si erano dimostrati un po’ intimoriti dalla sua presenza. Quando Yumichika l’aveva saputo era voluto venire anche lui, perché non aveva certo abbandonato l’idea di adottare un bambino. E Natsumi era stata ben felice di presentargli tutti i piccoli che vivevano in quella casa-famiglia. Nel mentre, Byakuya stava parlando con sua sorella.
«Così tra te e Ichigo…» disse, senza continuare a frase. Era ovvio che le cose andassero moto meglio. Rukia arrossì, sembrava una ragazzina.
«Abbiamo fatto pace, sì. Non so, mi sento come se ci fossimo ritrovati. Questo è bello… meraviglioso. E giuro, non voglio più sprecare tempo ad avere paura o a nascondere. Ho capito che perfino il dolore deve essere vissuto fino in fondo e che può essere meno doloroso quando hai accanto qualcuno che ami.»
Byakuya si ritrovò d’accordo. Lui e Rukia avevano avuto la fortuna di trovare le loro anime gemelle. Erano molto più simil di quanto potesse sembrare.
«Ne sono davvero felice. Io e siamo diversi Rukia. Almeno ad un primo sguardo. Perché poi, in realtà, risultiamo molto simili.»
Rukia sorrise e poi fece qualcosa che aveva sempre fatto raramente. Abbracciò suo fratello. Sorpreso, Byakuya arrossì, ma si lasciò abbracciare e ricambiò la stretta. Poi sentì qualcosa aggrapparsi alla sua gamba. Abbassò lo sguardo e si accorse che si trattava di una bambina, doveva avere quattro o cinque anni.
«Oh, Mirai» sospirò Rukia. «Ecco dove ti eri cacciata.»
La bimba però era del tutto rapita da Byakuya.
«Chi sei tu?» domandò indicandolo con il dito.
Byakuya si schiarì la voce.
«Sono Byakuya… il fratello di Rukia» disse, sorprendendosi di scoprirsi timido. Sua sorella era bravissima con i bambini, non era un caso che facesse quel lavoro. A lui piacevano anche, ma era molto più impacciato.
«Oh, Mirai è una delle bambine più vivaci, qui dentro. Ed è un vero tesorino» disse dolcemente Rukia. Mirai arrossì e arricciò il naso.
«Io non sono un tesorino, io sono tostissima. Non ho paura di niente io, nemmeno del buio. E l’altro giorno sono caduta dal muretto e mi sono fatta male al ginocchio. Ma non ho pianto nemmeno un po’. Solo un pochino, ma di nascosto!»
Byakuya sgranò gi occhi e poi si ritrovò a sorridere.
«Devi avere un certo caratterino… Mirai. È un bellissimo nome.»
La bimba sorrise.
«Grazie, anche il tuo è piuttosto carino.»
Rukia rimase in silenzio e sentì in cuor suo di stare assistendo a qualcosa di straordinario. Byakuya guardò ancora una volta la bambina e poi si sforzò di tornare alla realtà.
«Adesso farò meglio a tornare da Renji. E magari mi porto dietro anche Yumichika, altrimenti potrebbe rapire qualche bambino.»
Rukia rise e, prima che potesse parlare, Mirai si fece avanti.
«Mi verrai a trovare di nuovo, Byakuya?»
Lui poggiò la mano sulla sua testa.
«Sì, Mirai. Credo proprio di sì.»
Anzi, stava già progettando di tornare presto. E magari anche in compagnia.
 
Dopo aver trascinato via Yumichika da lì (il suo amico era entrato in brodo di giuggiole davanti a quegli adorabili bambini), Byakuya era passato dall’officina da Renji e, senza troppe cerimonie, gli aveva detto stasera ceniamo fuori.
Renji non aveva fatto domande, era anzi stato felicissimo di prendersi una pausa dai preparativi per il matrimonio. Così, dopo una doccia, si era legato i lunghi capelli, si era ben vestito e poi era uscito con il suo futuro marito. Alle dita di entrambi luccicavano le fedi che si erano regalati l’un l’altro. Renji trovava che il suo fidanzato fosse strano quella sera. Una certa luce era nei suoi occhi, come se avesse acquisito una consapevolezza nuova.  Il fatto era che le parole di Rukia avevano sortito un certo effetto. Non voler perdere tempo ad avere paura e nascondere. Certo, lui aveva perso Hisana. Questo non voleva dire che era destinato a perdere anche Renji. E poiché era tutto un’incognita nella vita, tanto valeva essere del tutto onesti. Fu mentre Renji parlava, seduto davanti a lui davanti ad un piatto di tartare, che Byakuya prese la sua mano all’improvviso.
«Renji.»
«E-eh?» mormorò lui, un po’ in imbarazzo. Byakuya sospirò.
«Mi dispiace se come al solito ti ho reso tutto più difficile. Ho un carattere tutt’altro che facile.»
«Dai, ma cosa sono questi discorsi? È vero, non hai un carattere facile, ma questo lo sapevo già. Posso assicurarti che ogni sforzo ne vale la pena.»
«Sono felice che lo pensi. E grazie per aver accettato di sposarmi. E per avermi amato ancora prima che io fossi capace di amare te.»
Le loro dita si strinsero le une alle altre e all’improvviso sembrò che tutta la gente attorno a loro fosse sparita. Esistevano solo loro due e nulla più.
«Amarti è stato facile. Però, stasera sei loquace. È successo qualcosa di diverso, oggi?»
Byakuya alzò gli occhi al cielo e pensò alla piccola Mirai.
«Direi di sì. C’è una persona di cui vorrei parlarti.»
 
 
 
Rukia e Ichigo tornarono a casa insieme quella sera. Era nata una nuova complicità ed erano tornati un po’ i ragazzini di vent’anni prima. Innamorati. Non che avessero mai smesso, ma ora avevano una consapevolezza diversa. Forse non si finiva mai di conoscere una persona, ma Rukia in quel momenti si sentiva totalmente esposta e non ne aveva paura. I loro figli avevano notato quel cambiamento in positivo, e ne erano felici. Quei giorni di tensione erano stati duri, sia per Masato che per Yuichi. Il primo adesso ridacchiava davanti agli sguardi innamorati dei suoi genitori, Kaien invece distoglieva lo sguardo in imbarazzo. Ichigo e Rukia avevano preso una decisione importante: pensavano che loro figlio meritasse di conoscere il vero motivo che si celava dietro al nome. Rukia aveva tenuto tutto nascosto per così tanto tempo, che ora sentiva di volersi liberare di tutto. Ichigo si era ritrovato d’accordo e stava oramai venendo a patti col fatto che Rukia aveva amato un altro uomo, una volta. Ma anche che la loro fiducia poteva essere ricostruita, bastava partire dalla base.
«Kaien, sai perché ti abbiamo dato il tuo nome?» domandò Rukia quella sera a cena. Ichigo guardò sua moglie, conosceva lo sforzo che le portava quel gesto.
«Un cugino di papà si chiamava Kaien, no? È morto giovane» rispose il ragazzino. Masato ascoltò interessato.
«Vero» confermò Ichigo. «Quello che non sai, è che Kaien e tua madre sono stati insieme, tanti anni fa, prima che noi due ci conoscessimo»
Aveva deciso di dirlo ad alta voce perché quando si diceva qualcosa ad alta voce, faceva un po’ meno paura. E meno male. Fu vero anche in quel caso. Kaien inarcò le sopracciglia. Era sorpreso ma neanche tanto. Anzi, ora che sapeva ciò, tutto iniziava ad avere più senso.
«Sei stata assieme al cugino di papà? E mi hai chiamato come lui? Allora… lo amavi molto?»
Porse quella domanda con discrezione e timore. Sembrava di fare un torto a suo padre, ma Ichigo era sereno.
«È vero, l’ho molto amato. Ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto dare il suo nome al mio eventuale figlio. Così ti ho chiamato come una persona a cui tenevo, in suo onore.»
Masato gonfiò le guance.
«Il mio nome non ha una storia così incredibile, dietro.»
«Ehi, ma se l’ho scelto io» borbottò Ichigo offeso. Kaien sembrò molto interessato. Chissà com’era questa persona da cui aveva preso il nome?
«Lui com’era? Cioè, spero fosse un tipo forte, ecco»
Rukia sorrise.
«Lo era molto. E anche di buon cuore e coraggioso.»
La sensazione che provava era dolce e amara. Lo erano i suoi ricordi, ma era anche bello poter parlare liberamente. Ichigo strinse la sua mano. E pensò che alla fine lui e suo cugino erano stati simili anche in un’altra cosa: si erano innamorati di una donna magnifica.
   
 
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