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Autore: Glenda    26/03/2023    2 recensioni
Firenze, primi duemila.
Artin ha trent'anni e già sa di vivere in un mondo ostile: padre in galera, madre in ospedale, lavoro intermittente e tre fratelli da mantenere, barcamenandosi ogni giorno tra assistenti sociali, bollette e microcriminalità dei quartieri popolari. Finché, il giorno in cui pensa di non farcela proprio più, un misterioso uomo che gli somiglia come un gemello gli propone un patto terrificante...
Questa è una storia d'ambientazione realistica ma dal tono magico-fiabesco, che riprende il filone tradizionale del principe e il povero e degli scambi di identità: ci sono protagonisti eroici, ottimismo, redenzioni inaspettate, gentilezza come se piovesse, e i miracoli accadono. Anche se lo sfondo è cupo. Anche se il mondo è pieno di falsità, macchinazioni, apparenze e ferocia nascosta.
Dunque astenersi i non amanti dei buoni sentimenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disteso sul letto di una camera che non era sua, dopo sei giorni di accertamenti, analisi e colloqui, e con una fila di confezioni di farmaci sul comodino da prendere ad orari diversi, Artin pensò che anche per un uomo ricco e potente come Elia Avanzini quella appena trascorsa potesse definirsi una terribile settimana. E di terribili settimane forse ne aveva avute, se era arrivato a mettersi nella condizione di fuggire dalla sua casa, da un lavoro di prestigio, dalla sua stessa vita. Perché qualcuno doveva aver pur lasciato, in quella vita, e quelle persone ora lo credevano lì, nel suo appartamento, a imbottirsi di quelle pillole colorate.

Chi erano? Chi erano gli amici che Elia aveva abbandonato? Aveva legami, rapporti, odi, un sogno, un amore, da qualche parte?

Le sue mani lisciavano, senza riuscire a fermarsi, il copriletto: doveva essere di seta, o di qualche altro tessuto pregiato, che scivolava sotto i polpastrelli in modo piacevolissimo. Era una sensazione sconosciuta, e trasmetteva alle sue dita un solletico gradevole che allontanava almeno un po’ i pensieri.

In un’altra circostanza avrebbe pagato per passare anche solo una notte in una stanza così.

Voltò la testa: il comodino era vuoto, c’erano solo la sveglia, un libro e un agenda piena di impegni - roba di lavoro, niente di personale o di affettivo.

Si alzò dal letto a fatica e curiosò nei cassetti del comò: vi regnava un ordine sterile, i calzini ripiegati, gli oggetti personali quasi catalogati a seconda della propria funzione. Le ciabatte erano state lasciate ai piedi del letto, perfettamente allineate, l’armadio era pieno di completi da lavoro e di abiti eleganti, sobrie cravatte facevano mostra di sé appese ad un sostegno apposito sull’anta interna. Se avesse dovuto dare un colore a quella camera, avrebbe scelto il grigio, benché le tende fossero di un bel bianco panna e il pavimento d’un caloroso ocra opaco: ci mancava la vita, odorava di freddo e tuttavia, nel complesso, la stanza era estremamente ariosa.

Sul lato sinistro del letto si apriva un enorme porta finestra, che dava su un balcone da cui si poteva vedere Porta al Prato, illuminata nel traffico serale.

Non aveva ancora dato un’occhiata al resto della casa, se non di sfuggita. Del resto, era lì da nemmeno un’ora.

L’appartamento era al quarto piano di un lussuoso palazzo, ed era composta di sei stanze - chissà quanto poteva costare un posto così, a due passi dal centro! - la camera da letto, una camera per gli ospiti, un enorme salotto, uno studio asettico, la cucina, la sala da pranzo, ed un ingresso in cui si sarebbe potuto allestire un ballo!

Passeggiò in giro: quel posto non aveva l’aria di essere stato abbandonato… Era tutto lì, come se il proprietario dovesse tornare da un momento all’altro. Ma come poteva vivere una persona, in una casa così grande, da sola? L'idea gli dava quasi un senso di agorafobia.

L’occhio gli cadde sul telefono: la segreteria telefonica lampeggiava.

«C'è un nuovo messaggio. Per ascoltare, premere il tasto 1.»

Dal registratore emerse la voce angosciata di una ragazza.

“Elia, ti prego, chiamami! Il signor De Nistri mi ha impedito di venire a parlarti, ha detto che non volevi vedere nessuno. Elia, ma che hai fatto? Come hai potuto pensare di… ” a quel punto, le parole erano interrotte dai singhiozzi “Ti prego, chiamami!”

Rimandò indietro la registrazione, la ascoltò attentamente.

Si sforzò di ricollegare la voce a qualcuno che poteva avere anche solo incrociato in quel dannato mattino da sosia.

Poi gli tornarono in mente le istruzioni di Elia.

“Linda Dini, la mia segretaria privata, ha un debole per me. Poiché avrebbe potuto metterti in difficoltà ho fatto in modo che si prendesse una settimana. Ma potrebbe chiamarti, non si sa mai. Se possibile, evita di rispondere. È un po' ossessiva.”

Beh, quella chiamata dimostrava ben più di un debole - pensò Artin. Aveva abbandonato anche lei senza spiegare? Una donna che piange non è come un appartamento: Elia Avanzini cominciava a piacergli sempre meno.

Dovette fare un bello sforzo di volontà per non lasciarsi tentare dal desiderio di richiamarla - anche solo due parole, telegrafiche, magari un sms - per rassicurare quella poveretta.

Ma Vittorio De Nistri era stato tassativo.

“Fa’ come se nulla fosse. Se hai ingannato me per l’intera giornata non sarà troppo difficile farlo con l’autista. Fatti portare a casa, e non rispondere a nessuno. Domattina presto sarò da te. Le chiavi le hai?”

Sì, le aveva. Come aveva documenti, carte di credito - scoperte, presumibilmente - tessere varie, persino il telefono cellulare.

Il diavolo non tralascia niente.

Artin si affacciò sul terrazzo: la vista era veramente fantastica, il sole appena tramontato si era lasciato dietro una balza rosata, l'odore di pioggia era nell'aria, grosse nuvole avevano le stesse sfumature corallo del cielo. Grigio e rosa erano due colori che stavano così bene, insieme!

“Sotto macerie, e sopra colori.” pensò “I colori restano comunque. Per lo sguardo, almeno, c’è sempre una via d’uscita. Forse ci sarà anche per me. Staremo a vedere… ”

Respirò a pieni polmoni.

Quella corrente da qualche parte lo avrebbe portato. Nel male o nel bene, era ancora vivo.

Arriverà la fine, ma non sarà la fine.

 

Pensava che non avrebbe dormito, invece il sonno lo aveva colto di sorpresa, mentre le voci di un vecchio Law and Order alla TV gli tenevano compagnia.

Lo svegliò il campanello: erano le nove; Artin si alzò, cercò di raddrizzare alla meno peggio le pieghe della camicia e dei pantaloni che non si era neppure tolto, e si avviò all‘ingresso.

Sulla porta c'era De Nistri.

- Buongiorno! - esclamò – Scusi se l'ho fatta aspettare -

- Dovresti chiedere “chi è”, prima di aprire. E magari dare uno sguardo al video citofono, c'è apposta. -

- Immaginavo fosse lei, così… -

Lui lo guardò senza interesse.

- D'accordo. Ma Elia non avrebbe mai aperto senza chiedere, dunque dovrai abituarti a non farlo neanche tu. -

Quella allusione era troppo mattutina perché Artin potesse cogliere il messaggio tra le righe.

- Perché? - chiese, ingenuamente.

- Entra. - fece Vittorio - Ne parliamo. -

L’ospite lo precedette con la disinvoltura di chi conosce quel luogo come le proprie tasche: fu lui a incamminarsi nel salotto e fargli strada, pregandolo poi di accomodarsi. Era una situazione piuttosto buffa, in verità! Artin sedette sul bordo della poltrona, con le braccia appoggiate sulle ginocchia, proteso verso l’altro. Vittorio, invece, si accasciò tranquillamente tra i cuscini del divano e si accese un sigaro.

- Fumi? -

- No, grazie. -

Nella stanza si diffuse un odore pregnante, ma non sgradevole.

- Ti vedo testo. Dunque, andiamo subito al nocciolo. -

Il fumo saliva in delicate spirali verso il tetto, le tende non lasciavano passare il sole del mattino.

- Non so se tu abbia dormito. Lo spero, dato che forse ne avevi bisogno. Per quel che riguarda me e i miei più stretti collaboratori, siamo rimasti svegli tutta la notte per cercare di venire a capo di questa spinosa questione. Hai qualche competenza di economia? -

Lui scosse la testa: coi soldi, per forza di cose, non aveva mai avuto molto a che fare.

- Capisco. Quindi non ti illustrerò la faccenda nei dettagli. Del resto, non ti è necessario conoscerli, né a me è conveniente o piacevole rivelarteli. Lo stretto necessario perché tu comprenda la situazione in cui ci troviamo è che Elia Avanzini ha combinato un disastro finanziario senza precedenti. Ma prima che la questione venisse a galla, ha ben pensato di metter su niente meno che il proprio suicidio. Inutile che ti spieghi che in questa truffa tu sei suo complice, ed al momento anche l‘unico imputato, dato che chi l’ha organizzata è fuggito chissà dove e tutto ciò che resta di lui sono i soldi che ha versato alla tua famiglia. -

La naturalezza con cui quell’uomo illustrava il suo coinvolgimento in quella faccenda tanto grande lo agghiacciava.

- Se io non ti avessi scoperto, e tu fossi morto… -

Artin sentì la pelle d'oca formarsi lungo le sue braccia.

- … se tu fossi morto, dicevo, ora penseremmo che il povero Elia, devastato dal senso di colpa e terrorizzato dall’idea della bancarotta, ha preferito ammazzarsi. E noi tutti avremmo dovuto semplicemente rimboccarci le maniche e far fronte al problema. Mi segui? -

Il ragionamento non faceva una grinza. Ma dove voleva arrivare quell’uomo, adesso? Perché gli raccontava tutto questo?

- Come ben sai, però, le cose non sono andate così. Perché Elia Avanzini, ufficialmente, non è morto. Elia Avanzini ha avuto un esaurimento nervoso ed ha tentato di uccidersi, ma è stato salvato e probabilmente avrà solo bisogno di un po’ di cure per rimettersi in sesto. Al tempo stesso, dunque, Elia Avanzini non ha neppure devastato le finanze della banca, perché se questo si venisse a sapere, tutti i correntisti vorrebbero ritirare i propri soldi, non avremmo più investimenti, e per noi sarebbe la catastrofe. -

Artin si sentiva a disagio: gli pareva di cominciare a capire, ma la cosa gli sembrava così inverosimile che ancora una volta non interruppe, sperando di sbagliarsi.

- Oltre a me e a tre fidati soci, sei il solo a conoscere cosa è successo al vero Elia. E nessun altro deve aggiungersi a questa lista. Nessuno. La posizione in cui ti sei messo accettando quell'assurda offerta non ti dà altra scelta. -

Silenzio. Breve, tesissimo.

- Mi sta chiedendo di fingermi Elia Avanzini? -

La voce di De Nistri aveva un che di tranquilla constatazione.

- Non te lo sto chiedendo. Ti sto obbligando. Del resto, lo hai già fatto. -

- Ma io non… -

- Tu non puoi fare altro. - c’era un tono di pacata minaccia in quella frase - Non ti si offrono alternative. Pensi sia preferibile che io divulghi al mondo la verità? Mi ci vorrebbe un attimo, e all’improvviso ti ritroveresti davanti alla cattedra di un tribunale. Per non parlare dei familiari a cui dici di tenere tanto: non potrebbero neppure godere del prezzo del sacrificio che eri disposto a fare per loro. -

Spense il sigaro e lo fissò tranquillamente negli occhi.

- Ti sto offrendo un’ottima opportunità. Tu interpreterai il tuo ruolo, la banca terrà nascosto lo scandalo, e la tua famiglia godrà di ciò che resta del fondo generosamente offerto dallo scomparso Elia Avanzini. Devi soltanto dire addio alla tua vita precedente. Dopotutto, sei stato già disposto a farlo una volta. -

Lo guardava come si guarda il più folle dei folli: ora cominciava a capire come lui e il suo socio potessero fare affari insieme! Le proposte assurde erano un loro gusto comune. E assurdo era lui, che le accettava così, che non si sentiva folle altrettanto.

- Quando verrà a saperlo, il vero Elia mi farà ammazzare - esclamò - e la mia famiglia sarà in pericolo! -

De Nistri diede in una mezza risata.

- Tu proprio non conosci come funziona, ragazzo! Elia non penserà mai di farti del male: tu gli fornisci una copertura coi fiocchi! Nessuno lo cercherà mai più. Inoltre, se la cosa ti rassicura, metterò a tua disposizione i servizi di sicurezza della banca e Elia li conosce fin troppo bene per pensare di fare un passo falso. Quanto alla tua famiglia, se questa garanzia deve farti dormire sonni migliori, posso assicurarle una sorveglianza speciale di grande discrezione. -

- Dice… davvero? -

- Posso mettertelo per scritto. -

Artin abbassò il capo, serio - … quella corrente continuava a scorrere impetuosa, e lui, barchetta libera, sarebbe riuscito a non farsi divorare? - poi alzò gli occhi a cercare lo sguardo di Vittorio De Nistri.

- Come pensa che ce la faremo? Io non sono Elia Avanzini. E non sono nemmeno un grande attore. -

- Questo è il problema minore. Per quanto posso, col pretesto dell‘esaurimento, cercherò di farti avere il minor numero possibile di contatti con la gente. Inoltre, avrai qualche mese di permesso per malattia, ed in questo lasso di tempo io ed i miei collaboratori provvederemo ad istruirti su tutto ciò che è necessario tu sappia. Ricorda che la tua sarà fondamentalmente un’immagine di copertura, e in questo la tua somiglianza sorprendente con Elia ci basta. -

- … Ma la banca… io … so a stento di cosa vi occupate! -

- Oh, non ti verrà richiesto di intenderti realmente di finanza. Penseremo a tutto noi. Tu avrai già fin troppo da fare nello svolgere bene la tua parte. Ci facciamo un caffè? -

Artin era spiazzato: così, a tavolino, in pochi accordi sommari, la sua vita si era appena dissolta.

Fumo. Vapore. Svanita.

Da quel momento, quella era la sua casa, quello era il suo salotto, quello il suo socio d’affari, e la stanza dove egli si avviava era la sua cucina: la cucina dove non sapeva neppure preparare un caffè.

- La macchina da espresso, non so proprio come si usa… -

Vittorio De Nistri aveva già scartato una cialda, e il nero liquido caldo stava scivolando in due linde tazzine, riempiendo l’ambiente del suo aroma intenso.

- Sembra facile. - abbozzò un sorriso.

L’altro gli porse la tazza, era calda e profumatissima.

- Hai molto da imparare. - disse - A volte morire è troppo semplice. E’ molto più difficile vivere. -

Quel gradevole sapore sulle labbra permise ad Artin di continuare a sorridere.

- Beh, se mi permette, questa è una frase fatta, signor De Nistri. Non esiste un criterio per dire cosa sia facile e cosa difficile. Se vuole credermi, per me era difficilissimo morire, perché desideravo vivere. Per chi ha poche cose per cui vivere, morire sarà più semplice. Ogni uomo ha la sua scala di valori: la vita e la morte non sono che imprese fra le tante, al pari di amare, o rubare, uccidere, mettere al mondo un figlio. -

Pensò a sua madre, alla gratuità dei sorrisi, alla bellezza negli occhi e ai colori che non se ne vanno mai - anche in mezzo alla corrente. A quel tramonto rosa, dannatamente rosa.

- Non sarà facile, è vero. Ma va bene lo stesso, sa? Sono qui, ce la metterò tutta. Credo di dover solo ringraziare di essere ancora vivo. E dopotutto, me lo sono meritato. Chi fa provare agli altri il dolore della perdita, o anche solo la paura della perdita, una punizione se la merita. -

Finì il caffè, il cucchiaino tintinnò con un suono allegro.

- Spero di essere all’altezza. -

Vittorio De Nistri gli rivolse un’occhiata fonda.

- Ben venuto a bordo. - disse - Tu mi piaci. -

 

  
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