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Autore: Saekki    26/03/2023    2 recensioni
"...Qualcosa di antico aveva deciso di muoversi, strisciare tra le ombre per reclamare il compiersi di un'antica vendetta. I tempi erano maturi, i venti di tempesta soffiavano forti, il grande disegno si sarebbe compiuto." Calatevi insieme ad Ilyria, la protagonista di questa storia, nel selvaggio mondo di Ophiria. Tra misteri ed antichi rancori, un passato da svelare ed un mondo che scivola sempre più verso il nero abisso, riuscirà la ragazza dai capelli corvini a trovare la propria strada?
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Cap.3- A te, diciotto anni nel futuro.

 

 

Un debole vagito segnò la fine di una notte senza fine di travaglio, dolori ed urla, una flebile vita era nata all'alba di un tiepido giorno primaverile nel continente australe, nelle soleggiate lande delle terre dei ciliegi. Il vento soffiava placido su una casa di campagna nei pressi della capitale del Regno Celeste del sud, Hirakimachi, che da oltre duecento anni aveva portato pace e la prosperità in quelle lande, nonostante le prime avvisaglie di una nuova guerra con l'Impero minacciassero quella tranquillità come nuvole di tempesta all'orizzonte.

Ma la gioia di un padre che sente il primo respiro di una nuova vita si tramutò rapidamente in orrore quando l'anziana levatrice con il suo lento incedere uscì da quella stanza con un'espressione mesta in volto e le mani dipinte di rosso scarlatto mentre teneva in mano un fagotto che a stento si lamentava. Scosse la testa, sollevando lo sguardo dalle iridi nere verso l'uomo che ancora si aggrappava ad una flebile speranza che scivolava via di secondo in secondo. La donna porse in sua direzione l'infante avvolta tra le fasce sporche di sangue mentre la voce gracchiante risuonava nell'umile dimora.


< Ha perso troppo sangue e la bambina... il suo cuore non reggerà, mi dispiace Hito. >

L'anziana deglutì con forza come nel tentativo di sciogliere quel nodo alla gola che l'attanagliava. Non era sicuramente la prima volta che assisteva un parto difficile, ma la prospettiva di perdere sia la madre che la bambina era aberrante e poteva solo lontanamente immaginare il dolore che l'uomo poteva provare in quel momento.
Dal suo punto di vista Hito, in pochi istanti, aveva visto il mondo crollargli addosso, non solo aveva perso la moglie dopo una notte di travaglio, non solo l'amore della sua vita lo aveva lasciato per sempre, ma adesso quel fagotto che stringeva tra le mani e che a fatica respirava, dal colore cianotico e sofferente invece che roseo, implorava il suo aiuto. Lacrime iniziarono a rigargli il volto, cadde in ginocchio stringendo al petto la piccola creatura destinata ad un destino infausto, singhiozzando mentre le prime luci dorate dell'alba filtravano dalle finestre, prendendosi beffe del dolore altrui.
La levatrice si mise in ginocchio davanti all'uomo, il volto contratto in una smorfia di dolore mentre una mano scivolava sulla spalla di lui, le dita ossute e tremanti che in un vano tentativo cercavano di placare quel dolore. Un raggio di sole le si posò sul volto, mettendone in risalto le rughe profonde ed in quel momento qualcosa le venne in mente, un'idea, un'ultima speranza.


< Prendi il tuo cavallo Hito, portala con te. Cavalca nel cuore della foresta fino ai piedi della Grande Montagna, lì un'antica divinità è addormentata, implora il suo aiuto, chiedi che la bambina abbia salva la vita, è la tua sola speranza. >


Lentamente l'uomo sollevò la testa, le proprie iridi che incontrarono quelle dell'anziana, gli occhi lucidi mentre con il volto ancora contratto e mosso da quel flebile ed ultimo miraggio, si costrinse ad alzarsi, le gambe tremanti, il corpo fiaccato, ma lo spirito che rifiutava di arrendersi. Senza proferire parola e portandosi il pesante mantello in lana sulle spalle l'uomo, con ancora in braccio la neonata uscì dalla casupola. La luce dorata del mattino investì i due, così come il tepore che questa portava. Muovendosi a passo svelto in direzione della stalla si sbrigò a sellare la giumenta che per mesi li aveva aiutati ad arare i campi, montandole in groppa mentre con una mano continuava a tenere stretta la piccola al petto, i movimenti e i vagiti di fame che di minuto in minuto si facevano più deboli. Chinandosi in avanti Hito si portò vicino alle orecchie della propria montatura mentre con la mano libera ne accarezzava il manto pezzato.

< Non tradirmi adesso, Haru. >

Bisbigliò prima di lanciare il cavallo al galoppo con uno schiocco di redini. Cavallo e cavaliere sfrecciarono lungo la strada sterrata in direzione della foresta che riempiva la vallata ad Est, dove il profilo della Grande Montagna si stagliava in tutta la sua magnificenza. La levatrice rimase sull'uscio della porta, ad osservare quella scena mentre Hito cavalcava in direzione del sole nascente.
La Grande Montagna era un'enorme monolito in basalto, la più alta montagna del continente a Sud, la vasta base conica si ergeva assottigliandosi per migliaia di metri verso il cielo, oltre le nuvole, le pendici più alte perennemente innevate, coperte da un tappeto candido, facevano capolino al di sotto dello strato di nubi, si scioglievano dando origine ad innumerevoli ruscelli e rigagnoli che confluivano in torrenti e poi fiumi che solcando le pendici del monte con cascate e rapide giungevano poi placide a valle, irrorando la foresta secolare che era cresciuta tutt'intorno, alberi centenari, se non millenari, dai fusti alti ed enormi che come pilastri in legno si ergevano verso l'alto a sorreggere una verde volta composta di foglie e rami, lasciando solo pochi sprazzi di luce a filtrare verso il basso, lasciando il sottobosco in una pallida penombra il cui silenzio era interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e dagli zoccoli di Haru che, senza un attimo di sosta, fendevano la terra lasciando profonde impronte, il cuore della povera bestia giunto quasi al proprio limite mentre Hito, disperato, tentava di spronarla ancora di più per recuperare secondi che sarebbero potuti essere fondamentali.
Più si avvicinavano alla base della montagna più la vegetazione si faceva fitta, quasi a costituire una barriera naturale per visitatori non ben accetti. Smontando dalla propria cavalcatura oramai stremata il contadino non si prese neppure la briga di legarla ad un albero, sciolse le briglie e la sella, lasciandolo libero di pascolare. Sapeva che in qualsiasi modo sarebbe andata, che le anziana levatrice avesse avuto ragione o meno, lui non avrebbe mai lasciato quella foresta, avrebbe cercato un modo per salvare sua figlia o sarebbero morti entrambi nel tentativo.


Gettò uno sguardo al fagotto che ancora teneva stretto tra le braccia, mentre continuando a piedi si faceva strada tra gli arbusti e la vegetazione, la colorazione bluastra era peggiorata e l'infante sembrava sempre più sofferente e debole ad ogni respiro. Ancora con le lacrime agli occhi Hito non si fermò, ma con più convinzione prese ad avanzare.


Passarono minuti, poi ore, il sole era giunto alla fine del proprio arco nel cielo azzurro che ora si tingeva di rosso gettando lunghe ombre ed una tinta dorata sulla foresta che a perdifiato l'uomo aveva attraversato, senza pause, senza interruzioni, solo la speranza come carburante per i muscoli indolenziti.


La disperazione aveva quasi preso del tutto il sopravvento quanto, giunto finalmente nei pressi delle pendici della Grande Montagna, nel muovere l'ennesimo passo il piede poggiò su qualcosa di più duro del semplice terreno. Chinandosi e tenendo la bambina stretta a sé una mano venne portata sulla superficie insolita, spostando muschio e foglie, solo per scoprire quella che era la pietra di una strada lastricata oramai sommersa dalla natura. Hito trasalì, rimettendosi in marcia, con le ultime luci del giorno e dopo circa un'ora di cammino si trovò davanti a quella che con tutte le sue forze pregò essere la propria destinazione.


Su di un'enorme parete scoscesa in granito nero sembrava essere stata scolpita dalla nuda roccia l'immensa entrata di un tempio, immense colonne in pietra nera finemente levigata si ergevano per decine di metri in altezza a sorreggere un'architrave dalle proporzioni mastodontiche. La differenza di dimensioni davanti ad un monumento tanto immenso scolpito da mani ignote probabilmente all'alba dei tempi fece rabbrividire Hito, la vegetazione non sembrava voler crescere nei pressi della nera costruzione creando una sorta di alcova dove solo della rada erbetta di colore verde brillante faceva da tappeto. La nera roccia basaltica screziata di venature bronzee, un materiale mai visto prima dagli occhi dell'agricoltore, risplendeva alle luci di quel sole morente, mentre un brivido di paura, un terrore arcaico percorse la schiena dell'uomo mentre i propri occhi scrutavano quel nero abisso non illuminato. Cadde in ginocchio, la bambina ancora in braccio stringendola forte al petto, i muscoli stremati, le gambe tremanti ed il respiro affannato, ma nonostante la sensazione di paura che lo attanagliava qualcosa gli diceva che quello era il posto giusto, sapeva in qualche modo di essere al cospetto di qualcosa di antico che nonostante non si fosse ancora palesato già era ben conscio della propria presenza.

< Dio della foresta, imploro il tuo aiuto, salva questa bambina, permettile di vivere! >

A quelle parole urlate con l'ultimo fiato che aveva in corpo e che riecheggiarono nel vuoto abisso che aveva di fronte seguì un rombo, il terreno prese a tremare, gli uccelli che fino a quel momento avevano cinguettato si acquietarono e volarono via in stormi, riempiendo l'aria dei loro versi e del frusciare di ali. La terra continuò a tremare sempre più forte, il rumore di passi pesanti, talmente pesanti da scuotere le colonne di basalto, in quelle tenebre dense un paio di occhi enormi, le iridi color sangue spezzate da una pupilla verticale, splendenti di luce propria ed ardenti come tizzoni sembravano scrutare l'anima stessa dell'uomo, straziandone lo spirito. Un ruggito improvviso interruppe quel climax di terrore, talmente potente da scuotere la roccia, talmente assordante che Hito credette che la sua testa stesse per esplodere, un ruggito capace di scuotere la terra stessa, arcaico e primitivo, antico quanto il tempo.

---

Ilyria aprì gli occhi di scatto, lo sguardo violetto sbarrato, madida di sudore mentre il corpo non sembrava voler rispondere ai propri ordini, i muscoli irrigiditi mentre Damien l'aveva afferrata per le spalle tentando di scuoterla vigorosamente, il volto contratto in una smorfia preoccupata dell'altro mentre, nel freddo della notte passata in quel granaio tentava di non fare troppo rumore per non svegliare gli altri rifugiati.

< Ria forza, rispondimi Ria! >

Bisbigliò a denti stretti, continuando a scuotere la ragazza che lentamente sentì i propri muscoli sciogliersi seppure ancora intorpiditi, la sensibilità tornare lentamente alle punte delle dita per poi risalire lungo le braccia e le gambe, il petto che finalmente tornava ad alzarsi ed abbassarsi in maniera più regolare. Damien poggiò una mano sulla fronte di lei, ritirandola quasi istantaneamente. Ilyria scottava, anzi, bruciava quasi, sembrava avesse una febbre paurosa ma sotto i propri occhi il ragazzo dai capelli biondi la vide rilassarsi, tornare alla normalità da quello stato di catatonia rigida che lo aveva destato dal proprio sonno.
Lentamente si mise a sedere, portando una mano alla fronte, come a voler tamponare un crescente mal di testa mentre anche Damine si mise a sedere, tirando quasi un sospiro di sollievo.

< Si può sapere che ti è successo? Sono morto dalla paura! >

E seppure il sibilo poteva apparire quasi arrabbiato era ben evidente la vena apprensiva nella voce del ragazzo destato nel cuore della notte dall'improvviso irrigidirsi della ragazza e dal respiro affannoso. Quella mano poggiata sulla fronte scivolò lentamente tra le ciocche corvine, accarezzandole e riportandole all'indietro, sollevando la testa verso l'altro ad osservare il soffitto di travi logore appena illuminato dalla luce della luna che filtrava dalle finestre.

< Torna a dormire Damien, è tutto apposto, ho solo avuto un brutto sogno. >

Si sforzò di dire lei, la bocca impastata dall'assenza di saliva e la voce resa graffiante dalla gola secca mentre riportò il proprio sguardo sull'altro. Stringendo nelle proprie mani l'orlo della coperta che gli era stata data in cambio della precedente oramai ridotta ad uno straccio il biondo si limitò ad annuire, girandosi sul fianco e dando le spalle ad Ilyria. La sentì sdraiarsi dopo poco nel proprio giaciglio, in maniera speculare alla propria, ma un brivido continuava a corrergli lungo la schiena, a fargli vibrare le ossa dalla paura. Aveva visto quegli occhi viola brillare oppure era solo il riflesso della luce?

 

 


-- Ecco qui il terzo capitolo, credo che mi limiterò a pubblicare la domenica d'ora in poi, così da dare una cadenza settimanale alla storia ed avere più tempo per scrivere e correggere, anyway spero vi piaccia, bye! <3

   
 
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