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Autore: Puffardella    28/03/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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ADRIAN
Kayden e Adrian camminavano fianco a fianco sul sentiero di casa, in assoluto silenzio.
Adrian non riusciva a smettere di pensare al Germano, al forte impatto che aveva avuto su di lui nonostante lo disprezzasse. Ciò che maggiormente lo aveva colpito erano stati i suoi occhi, chiari e taglienti come ghiaccio trasparente, il cui sguardo penetrante non era riuscito a sostenere per più di pochi secondi.
Era la prima volta che lo incontrava, sebbene anche lui, come tutti gli abitanti di Trimontium e, probabilmente, dell’intera Grande Isola, conoscesse la sua fama. Veniva chiamato in molti modi, ma per Adrian era il Traditore e basta.
Sapeva, come tutti del resto, che lui e il Re Orso erano cugini, e si chiedeva se si somigliassero, se anche il re avesse sul corpo gli stessi tatuaggi e fosse alto e muscoloso e imponente come era apparso ai suoi occhi il Traditore.
Avrebbe voluto parlarne col fratello, ma dopo che lo aveva aggredito, quel pomeriggio al fortino, Adrian aveva rinunciato a rivolgergli la parola.
Ultimamente Kayden si comportava in maniera più strana del solito. La notte, qualche volta, sgattaiolava fuori dal capanno per andare nel bosco, a insaputa della madre. Una volta Adrian gli aveva chiesto cosa ci andasse a fare, ma lui gli aveva risposto che non avrebbe capito, scoraggiando ulteriori domande. E lui, che rispettava la sua natura riservata, aveva smesso di indagare.
Per quanto più strano e taciturno del solito, tuttavia, non era mai successo che lo aggredisse, né fisicamente né verbalmente.
Sapeva che qualcosa lo preoccupava, ma cavargli qualcosa dalla bocca era semplicemente impossibile se lui stesso non era disposto a parlarne.
Mentre si faceva tutte quelle considerazioni, quando la luce del sole si era quasi totalmente spenta dietro l’orizzonte, arrivarono al capanno. A pochi passi dall’uscio, udirono distintamente le urla di Fionn.
Entrambi si fermarono dinanzi alla porta socchiusa, sorpresi e preoccupati. Adrian si voltò a guardare il fratello e lo trovò che tremava come una foglia. Era pallido come un cencio, aveva gli occhi lucidi e il fiato corto. Sembrava terrorizzato, e Adrian ebbe l’impressione che stesse per svenire.
«Kayden…» lo chiamò a bassa voce preoccupato, ma quello non gli rispose.
«Se non glielo dici tu, lo farò io!» stava dicendo Fionn in quel momento, e Adrian sentì il cuore schizzargli in gola. Sapeva che stava parlando di lui e una rabbia repressa iniziò a farsi strada nel suo cuore.
«Non è come pensi tu, Fionn. Perché ti rifiuti di credermi?» ribatté la madre.
«Quei due si sono scambiati un bacio, oggi. Tu devi impedire che si spingano oltre, maledizione!» continuò Fionn.
A quel punto, Adrian si sentì in dovere di entrare nel capanno. Spalancò la porta ed entrambi si voltarono verso di lui. 
«Non facevamo niente di male, Fionn! Enya mi insegnava a leggere, e il bacio che mi ha dato era un bacio fraterno. Madre, credimi, non è successo altro!» si giustificò Adrian con acredine, stanco di essere bistrattato da tutti e accusato ingiustamente di cose che non aveva fatto.
Leanna lo guardò con affetto. «Piccolo mio…» alitò. «Mi dispiace così tanto, Adrian…»
«Diglielo!» intervenne Fionn, ma Leanna scosse la testa, mentre grosse lacrimone le bagnavano le guance.
«Dirmi cosa? Madre, di cosa parla Fionn? Che cos’è che dovrei sapere?» la esortò, ma di nuovo la madre tacque, combattuta.
Adrian si voltò verso Fionn. «Di cosa parli Fionn? Che cos’è che dovrei sapere?»
«Diglielo, Leanna, o lo faccio io» insistette l’uomo.
Fu a quel punto che Kayden si decise ad entrare nel capanno. Trascinando i piedi, come se fosse costretto a portare sulle spalle un carico pesante, si fermò dinanzi alla madre e le afferrò le mani.
«Daglielo, madre…» disse guardando la madre con occhi supplichevoli, lasciando tutti stupiti. Leanna strabuzzò gli occhi e annaspò, come se fosse rimasta improvvisamente a corto d’aria.
«Cosa…? Kayden, tu come…?» balbettò confusa.
«Lo sai come, madre, sai che sono come te, come tuo padre… Per questo ti dico che non c’è più tempo: devi darglielo ora.»
Leanna, a quelle parole, si accasciò sul pavimento, nascose la testa tra le mani e prese a singhiozzare forte, sotto lo sguardo allibito di Adrian, il quale rimase immobile, stordito, incapace di dare una spiegazione logica a quanto stava accadendo.
«Di che parli, ragazzo?» intervenne Fionn, anche lui visibilmente frastornato.
Kayden sollevò su di lui uno sguardo stanco. Non sembrava un ragazzino di tredici anni, ma un vecchio di ottanta.
«Tu hai ragione, Fionn, ma solo a metà. Sei mio padre, ma non il suo…» svelò quindi indicando Adrian, usando un tono di voce fermo, privo di emozioni, come se qualcun altro avesse parlato al posto suo.
Adrian scosse la testa, incredulo e sconvolto. Non poteva crederci, non voleva crederci, era tutto assurdo, come in un sogno. Ma forse, realizzò, era davvero solo un sogno, un brutto incubo dal quale si sarebbe svegliato presto.
«Madre, ma di che parla? Che significa? Io non capisco…» farfugliò.
«È vero, donna?» le chiese Fionn.
Leanna sollevò lo sguardo su Adrian e, dopo un breve istante, annuì. «Ti amo come un figlio mio, ma non lo sei…» gli confessò debolmente, dopodiché si sollevò in piedi e si diresse in un angolo della stanza. Dalla parete sulla quale era addossato il suo materasso estrasse un sasso, infilò la mano nel foro e ne prelevò un involucro dalle piccole dimensioni. Si avvicinò quindi a lui e glielo mise sotto gli occhi.
«La notte in cui ti affidarono a me mi lasciarono questo da consegnarti quando saresti stato abbastanza grande, grande forse per poterti mettere in cerca dei tuoi veri genitori…» disse, scoprendo un pugnale con il manico in osso sul quale erano stati incisi simboli tribali e rune.
«Non so altro di te, figlio mio. So solo che fu un druido a consegnarti a me, uno stregone caledone. Ma è davvero tutto quello che so, a parte che ti amo infinitamente e che non m’importa di non averti partorito: tu sei mio figlio, e io tua madre.»
Adrian guardò inorridito il pugnale, e poi lei. «No…» protestò con un filo di voce. «No!» ripeté urlando, afferrando il pugnale e scaraventandolo lontano, per poi correre fuori dal capanno, nel folto della foresta, lontano da tutto e da tutti.

Il cielo si era annuvolato, l’aria si era caricata di umidità. Si sentivano in lontananza cupi brontolii che annunciavano pioggia.
Appoggiato su un masso ai piedi del ruscello, Adrian se ne stava seduto con le ginocchia sollevate in alto e i gomiti poggiati sopra.
Aveva smesso di piangere da un po’ e ora si sentiva svuotato e debole, come dopo aver affrontato una lunga giornata di faticoso lavoro.
I pensieri non gli davano tregua, continuavano ad affastellarglisi nel cuore.
Aveva appena scoperto che tutta la sua vita era stata un inganno ed era una cosa terribile da accettare. Tutto ciò che aveva creduto di essere fino a quel giorno non era vero. Non era Adrian, il figlio bastardo di Leanna e fratello gemello di Kayden, e nemmeno il Maledetto dagli Dei.
Assurdamente, anche questa ultima nuova consapevolezza, anziché procurargli sollievo, lo faceva stare male.
Ci aveva messo molto tempo a rassegnarsi al disprezzo della gente, perfino alle percosse, ma alla fine ce l’aveva fatta. Erano stati l’amore e il coraggio di sua madre a sostenerlo in tutti quegli anni difficili, da quelle virtù aveva tratto il conforto e la forza di affrontare qualsiasi avversità. E ora veniva a scoprire che lei non era sua madre, che era tutta una menzogna.
Era uscito dal capanno deciso a fuggire lontano, ma subito si era detto che non aveva alcun posto dove andare. Così, appena attraversato il ruscello, si era accasciato al suolo e aveva iniziato a piangere e a gridare forte.
E poi, dopo aveva dato sfogo alla disperazione, se ne era rimasto così, senza più un briciolo di energia, a fissare il vuoto per molte ore.
Il rumore di passi gentili sopra le foglie secche lo avvisarono del sopraggiungere di qualcuno. Dopo un po’, Kayden sbucò dal buio della notte e sedette al suo fianco, senza proferire una parola. Rimasero così a lungo, ciascuno immerso nei propri pensieri e nel proprio dolore.
Fu Adrian a parlare per primo.
«Da quanto tempo lo sapevi?»
Kayden respirava faticosamente, Adrian non aveva dubbi che stesse soffrendo almeno quanto lui. «Sapevo di Fionn, non ho mai avuto dubbi che fosse nostro padre… mio padre. Era una cosa talmente ovvia che non ho mai sentito il bisogno di parlartene, credevo che anche tu lo sapessi. Di te, invece, l’ho scoperto da poco» rispose.
«Come?»
«L’ho sognato.»
Adrian aveva smesso da tempo di stupirsi della capacità del fratello di vedere cose celate ai comuni mortali, per questo non si sorprese della sua risposta, né mise in dubbio la sua asserzione.
«Hai sognato anche il pugnale?»
«Sì.»
«E sai chi sono i miei genitori?»
«No. Ci ho provato, ma l’intendimento mi viene occultato. Credo che gli dei non desiderino che tu lo venga a scoprire da me…»
Adrian abbassò le spalle, deluso.
«Però, sai, ho pensato che forse tua madre potrebbe essere la donna dei tuoi sogni, quella dai capelli rossi» aggiunse dopo un po’ Kayden, e Adrian, dopo averci riflettuto un istante, stabilì che poteva avere ragione.
Per un po’, la sua mente si soffermò sull’immagine della donna - che ormai gli era divenuta familiare - dai capelli rosso fuoco e il sorriso dolce e triste allo stesso tempo.
Poi, però, ne fu infastidito e se la strappò dalla testa. «Non mi importa niente di lei, né di mio padre. Chiunque siano si sono liberati di me ed io li odio per questo, lo farò sempre» disse risentito.
«Io penso che siano stati costretti a farlo» intervenne Kayden.
«Non m’importa! La gente pensa che porti sulla pelle il segno di una maledizione. Per tutta la vita sono stato odiato, insultato, picchiato a sangue, e anche voi avete subito terribili umiliazioni e sofferenze, e tutto per colpa loro! Non m’importa quale sia la causa che li abbia spinti ad abbandonarmi. Lo hanno fatto, per me conta solo questo!»
Kayden sollevò un lembo della casacca e dalla cintola dei pantaloni tirò fuori il pugnale. «Invece dovrebbe importarti. Credo che tua madre abbia voluto farti sentire la sua presenza apparendoti in quei sogni proprio per farti sapere che non ti ha mai abbandonato del tutto» disse, porgendoglielo.
Adrian fissò a lungo il manico in osso, col cuore in gola. Vi erano incisi dei segni molto simili a quelli che aveva visto sulle braccia del Traditore e su molti altri Germani.
Suo malgrado, se lo prese tra le mani e seguì i contorni dei simboli arcani con le dita. Rifletté amaramente che altri lo avevano toccato prima di lui, suo padre o sua madre o entrambi, e a quel pensiero fu nuovamente preso dallo sconforto.
Incrociò le braccia sulle ginocchia, vi nascose la testa e tornò a piangere a dirotto.
Dopo un po’, piombò esausto in un sonno agitato, popolato di ombre e figure minacciose che lo deridevano e lo scuotevano inveendo. Ma poi arretrarono spaventati da qualcosa, sibilando e soffiando con rabbia, e all’improvviso, da una fitta nebbia che copriva ogni cosa, comparve lei: la donna dai capelli rossi. Gli porse la mano per invitarlo ad avvicinarsi a lei, sorridendogli con amore. Ma proprio mentre Adrian si decise a muovere i primi passi, il sogno si interruppe bruscamente.  
Fu il rumore dei cavalli al trotto a svegliarlo. Adrian aprì lentamente gli occhi, per un po’ ebbe difficoltà a ricordare perché si trovasse sdraiato a terra nella foresta anziché sul suo letto nel capanno. Ma poi, all’improvviso, tutto gli tornò alla mente e una fitta lacerante gli straziò il cuore.
Il cielo coperto da spessi nuvoloni grigi rendeva difficile stabilire in che punto del giorno ci si trovasse, ma Adrian si era svegliato riposato e in forze, e questo voleva dire che aveva dormito a lungo, perciò ne dedusse che fosse tardo mattino.
Kayden dormiva al suo fianco, sdraiato sul terreno coperto di foglie che la calda e sottile pioggerella aveva reso fangoso.
Adrian si stropicciò gli occhi e mise a fuoco gli uomini che, al di là del torrente, procedevano sui cavalli con andatura moderata.
Aggrottò le sopracciglia. Era già piuttosto strano che qualcuno avesse trovato il coraggio di avventurarsi in quella parte della foresta ritenuta da tutti stregata, ma quegli uomini si dirigevano verso la capanna e questo non era solo strano, ma preoccupante.
Adrian si sdraiò a pancia in giù per non essere notato e continuò ad osservare i cavalieri. Erano in tre: due di loro avevano i capelli lunghi, mentre uno, quello in testa, li aveva corti. Il cuore di Adrian gli balzò in gola quando si rese conto dell’identità dell’uomo. 
«Kayden…» bisbigliò scuotendo il fratello. «Kayden, svegliati. Svegliati, per la Dea Madre, svegliati fratello…»
Kayden si portò a sedere brontolando qualcosa di incomprensibile.
«Che c’è?» chiese infine, la voce impastata ancora dal sonno.
«Sta’ giù!» gli intimò Adrian afferrandolo per le spalle e costringendolo ad abbassarsi.
«Ma che fai, Adrian?» protestò stizzito Kayden, liberandosi dalla sua presa.
«Il Traditore è qui, insieme ad un paio di altri uomini. Vanno in direzione della capanna» lo informò Adrian agitato. Kayden impallidì, e nei suoi occhi scese una luce di terrore.
«Dobbiamo andare da nostra madre, Kayden, avvisarla…» iniziò a dire, ma Kayden lo afferrò per le braccia e lo guardò con disperazione.
«No!» gridò.
Adrian boccheggiò, sorpreso e disorientato dalla reazione del fratello. «Perché no? Sei impazzito? Si stanno recando proprio lì, Kayden!»
Ma Kayden scosse di nuovo la testa. Grossi lacrimoni gli scesero giù per le guance.
«Ti prego, no…» ripeté, in tono implorante.
   
 
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