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Autore: ThorinOakenshield    28/03/2023    0 recensioni
Tutto procede per il meglio nel magico mondo di Majestia, fino all'arrivo degli esseri umani...
Così, la fatina Ambra e i suoi amici, dovranno fronteggiare questi nuovi nemici - ma sono per davvero tutti nemici o c'è ancora speranza per madre terra e la razza umana?
Fanfiction scritta a quattro mani con Emmastory:)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso prima di iniziare la lettura: purtroppo abbiamo dei seri problemi con la formattazione del testo. Ho modificato su Efp, ma non so perché, il testo continua a risultare tutto attaccato. Ci scusiamo per il disagio e speriamo che la lettura risulti ugualmente piacevole 😬 Hummingbird-Fairy
 
 
We are one: Siamo un’unica realtà

Sin dal principio, come narravano le leggende, per creare la vita erano sempre stati necessari solo tre ingredienti. Una goccia di pioggia, una di sole, e un pizzico di polvere magica. Uniti in una mistura indissolubile, i tre avevano agito indisturbati, e da nuda, spoglia e arida, la terra a Majestia era lentamente diventata sempre più verde e rigogliosa. Felice, anzi, grata di essere stata creata, donava i suoi frutti in abbondanza, non vi erano dolore, guerra o sofferenza, e tutti i suoi minuscoli abitanti vivevano in armonia con la natura stessa. Venuti al mondo insieme agli animali, fate, folletti e gnomi avevano subito stabilito un legame con e fra loro, e né Ambra, né Marcie, né i rispettivi compagni Riven ed Erran, facevano eccezione. Lavorando duramente, ognuno si era costruito una propria casa e una propria vita, sicuro, in una comunità come quella, di poter contare sempre su una mano amica nel momento del bisogno. Era stato così che i quattro si erano conosciuti, rendendo con il tempo le loro amicizie sempre più solide, finchè queste, mature abbastanza, non erano sbocciate in amore. Che dire? Tutto stava procedendo a meraviglia nel paradisiaco mondo di Majestia, finché non arrivarono gli umani... Gli umani, coloro che abbattevano gli alberi per costruire case. Umani, coloro che uccidevano gli animali per cibarsi e proteggersi dal freddo con le pellicce. Gli abitanti di Majestia rispettavano la natura e gli animali, soprattutto i loro animali, quindi potete ben capire che non erano affatto contenti dei nuovi ospiti. Bisognava trovare un modo per fermarli, e in fretta. Più propensi alla pace che al conflitto, i Majestiani non avrebbero mai immaginato di dover arrivare a tanto, e se qualcuno avesse provato ad avvertirli, non ci avrebbero creduto. A che scopo? Nel loro mondo la pace regnava sovrana da anni, e stando ai loro ricordi non era mai stata disturbata, o almeno non fino ad allora. Se prima gli unici litigi si basavano sui motivi più futili, come la caduta di una mela nel giardino di un vicino, o la nascita di un fiore all’esatto confine fra due proprietà, e venivano sempre risolti in nome della collaborazione e dell’amicizia, ora il buio, il freddo e la negatività, tutti metaforici ma crudamente reali, avevano iniziato a insinuarsi anche in quella sorta di paradiso. Lentamente, gli animali avevano smesso di fidarsi delle creature magiche, restando nascoste nelle loro tane e rifiutando di uscirne, le corolle dei fiori restavano chiuse, tremando nel vento freddo come timorose di sbocciarsi e aprirsi davvero, e perfino i frutti sembravano sforzarsi di restare acerbi, sicuri che se così fosse stato, gli umani si sarebbero rifiutati di coglierli. Tutti modi come altri di difendersi, per la povera natura, con la quale sia Ambra che Marcie riuscivano a comunicare perfettamente. Più piccola dell’amica di soli pochi anni, quest’ultima tendeva spesso ad esagerare in ciò che raccontava, ed era in momenti come quelli che desiderava essere presa sul serio. In fin dei conti era stata proprio lei ad avvertire le genti quando il primo fiore aveva tremato al suo tocco, ma nessuno le aveva creduto. “Forse non era pronto, Marcie, non dire idiozie come al solito.” L’aveva apostrofata la stessa Ambra, prendendola bonariamente in giro. Sorridendo appena, Marcie l’aveva lasciata fare, ma nonostante questo, non aveva certo dimenticato quel dettaglio tanto piccolo quanto importante. In altre parole, era più che sicura di ciò che aveva visto, seppur come gli altri, neanche lei riusciva a crederci a sua volta. Ad ogni modo, gli umani avevano un’influenza negativa su tutto e su tutti, come se le loro energie basse influenzassero tutte le altre, spingendo le creature magiche all'aggressività e al pessimismo. Persino la natura ne stava risentendo. “Hai rubato l’erba del mio giardino!” Uno gnomo accusò l'altro, scuotendo il pugno con aria minacciosa. “Non sono stato io!” ribatté il secondo gnomo, sul piede di guerra. In verità nessuno aveva rubato niente, semplicemente l'erba aveva smesso di crescere rigogliosa. Che fare allora? Come comportarsi? La situazione sarebbe mai migliorata? Nessuno lì a Majestia aveva modo di saperlo, e più il tempo passava, più la situazione peggiorava. In breve, dalle liti fra gnomi si passò a quelle fra folletti, con una che rimase impressa negli occhi e nella mente di Ambra, che si ritrovò a passare per la loro stessa strada per puro caso. I due stavano semplicemente camminando, e se uno portava con sé una scatola chiusa con un fiocco, probabile regalo per una fidanzata o forse una semplice amica, l’altro teneva lo sguardo basso, stando ben attento a non inciampare e ad evitare le pozzanghere, finchè una distrazione non gli fece perdere l’equilibrio, e il pacco regalo non finì nel fango. Sconvolto, il folletto si bloccò, e in un istante il suo volto fu una maschera di rabbia. “Ehi, sta più attento! Come ti permetti? Era un regalo importante!” si lamentò, chinandosi a terra per raccoglierlo. In quel mentre, però, e a giudicare dall’aspetto del pacco, si accorse che ormai non c’era più nulla da fare. Quel dono tanto prezioso aveva perso ogni valore. “A far cosa? Stavo solo camminando! Impara tu a non scaldarti tanto, piuttosto!” replicò l’altro, svelto a difendersi da quell’accusa così ingiusta. Innervosita, Ambra non riuscì a restare in disparte, e velocissima, si avvicinò per dividere i due litiganti. “Ragazzi, basta! Non è successo poi nulla di così grave, no? Andate a casa, sono sicura che andrà tutto bene. Sì, c’è stato uno scivolone e a te è caduto qualcosa di mano, ma non capita a tutti?” spiegò semplicemente, calma e tranquilla. Guardandola, i due folletti si fermarono a pensare, e poi, studiandosi, si strinsero la mano. “Ha ragione. Che ci è preso? Noi folletti non siamo così.” Commentò uno dei due, pieno di vergogna. “Esatto…” si limitò a rispondere l’altro, aiutando il primo a ripulirsi i vestiti come meglio poteva. “Ecco, visto?” finì per loro Ambra, sorridendo. Imitandola, i due annuirono, e ben presto, ognuno andò per la propria strada. Felice di aver sedato quel diverbio, Ambra era tornata indietro a sua volta, distratta durante il tragitto da un canto che avrebbe riconosciuto fra mille. Con un sorriso a illuminarle il volto, alzò lo sguardo al cielo, e fu allora che lo vide. Era un colibrì molto più grande di lei, circa tre volte la sua taglia, e aveva delle piume stupende, tutte tinte di toni che andavano dal verde all’azzurro, mentre quelle della coda invece erano rosa, proprio come i suoi capelli. Una coincidenza, ne era sicura, ma non per questo meno interessante, che aveva contribuito a solidificare il loro rapporto, dando loro qualcosa in comune. Il becco lungo e sottile, poi, gli permetteva di nutrirsi del nettare dei fiori, cosa che faceva regolarmente e con gusto ma mai con ingordigia, facendosi da parte se un altro simile piumato avvertiva i morsi della fame, e impollinando qualunque pianta gli capitasse a tiro ogni volta che poteva. Un gesto semplice e che a lui non costava nulla, nonché il modo perfetto di ripagare la natura per la dolcezza di quel nettare. “Lyric!” chiamò, felicissima. “Amico mio!” per tutta risposta, il colibrì cinguettò contento, e scendendo in picchiata, si fermò proprio davanti a lei, sistemandosi le piume prima di riportare al cielo gli occhioni scuri. Fra tanti, il suo personale modo di chiederle di fare un giro, di fronte al quale la giovane fata annuì con convinzione. “Sì, salgo subito, non preoccuparti.” Gli disse infatti, salendogli subito in groppa. Piano, come le aveva insegnato il suo Riven, che lei considerava un vero mago con gli animali. Fra i due, lei era l’unica a saperci comunicare davvero grazie ai suoi poteri, mentre Riven, che ne possedeva di propri e simili ai suoi, preferiva dedicarsi alla comunità in altri modi, spesso aiutando gli gnomi più anziani a costruire nuove case o i folletti e i boccioli, ossia i piccoli di ninfe e satiri, ad aggiustare i loro giocattoli. A quel pensiero, Ambra sorrise ancora. Lei e Riven stavano insieme da tanto, e ormai aveva perso il conto di quante fate anziane si fossero offerte di cucinargli dei biscotti, offrirgli il pranzo, la cena o altri doni come ringraziamento per il suo aiuto. Poco dopo però, scosse la testa, sicura di non poter pensare ad altro che al volo, se davvero voleva evitare incidenti. Quanti ne aveva avuti, all’inizio! Grazie al cielo nulla di grave, ma ciò non toglieva che si fosse sentita in tremendo imbarazzo, specie la volta in cui, cadendo, era finita in un cespuglio di spine proprio davanti a Riven e Marcie, lì con lei per accompagnarla. Per sua fortuna, era il caso di dirlo, tutte le ferite si erano rimarginate, e la sua chioma rosea era priva di spine. Finalmente pronta, strinse leggermente le piume attorno al collo dell’amico, che iniziando a sbattere le ali, subito spiccò il volo. E volare era bellissimo. Raggiungere altezze per lei incredibili, sentire il vento accarezzarle il viso e i capelli, sentire il profumo di mille fiori diversi trasportato dalle correnti d’aria… semplicemente mozzafiato. A occhi chiusi, la fata si godeva il viaggio, sicura che Lyric, ormai adulto, sapesse come evitare ostacoli e pericoli, finchè improvvisamente un suono la distrasse. Preoccupata, riaprì gli occhi, e la scena fu agghiacciante. Due leprecauni in lotta l’uno contro l’altro, con le livree verdi sgualcite e i nodosi bastoni di legno già in mano. Distante com’era, Ambra non potè dirlo con certezza, ma sembrava che la baruffa fosse iniziata già da tempo. Era strano a vedersi, specie considerando che tipi fossero i leprecauni, sempre gentili e sì, gelosi del loro oro, ma solo se qualcuno si abbassava a rubarne anche solo una moneta. Poteva essere? Ambra rimase a guardare allibita. “Dannatissimi umani…” pensò, tutto questo era cominciato proprio per causa loro. Quindi Ambra si ritrovò costretta a scendere a terra, calmando gli ennesimi litiganti della giornata. “Suvvia, basta.” Disse scendendo dal colibrì, per poi raggiungere i due leprecauni, ormai stufa marcia degli umani e di tutte le loro diavolerie. I leprecauni la guardarono ostinati, non intenzionati a calmarsi. “Lui mi ha rubato la pentola d'oro!” “Ah, e così sarei stato io?! Semmai tu l’hai rubata a me!” Senza paura, la fata si mise in mezzo ai due litiganti, prima che potessero farsi del male davvero. “Sentite, perché non dividete il bottino? È vero che voi leprecauni siete sempre stati gelosi del vostro oro, ma allo stesso tempo vi siete sempre aiutati fra di voi.” Quei due si guardarono, come se fosse appena sceso Dio sulla terra a risolvere ogni disputa. Ma certo! Era così semplice! I leprecauni, talvolta, condividevano l’oro gli uni con gli altri, in maniera equa. Perché non farlo anche questa volta? Evidentemente la presenza degli esseri umani aveva avuto lo stesso effetto su tutti, mandando in cortocircuito i loro cervelli. Finalmente concordi, i leprecauni lasciarono andare i bastoni, e anziché azzuffarsi ancora, si abbracciarono. Ancora una volta, Ambra aveva salvato la giornata. Gli amici, accorsi anche loro dopo tanto baccano, si avvicinarono. “Però! È tutto il giorno che fai da mediatrice, vero?” commentò Riven, sorridendole e attirandola a sé per un abbraccio. Lasciandolo fare, lei non proferì parola, lasciando che fossero i suoi sentimenti a farlo per lei. Sorpresa da un leggero rossore emotivo, si erse sulle punte per un bacio, e per qualche istante, il tempo sembrò smettere di muoversi, mentre dentro di sé non sentiva che pace. Godendosi quel momento, non osò interromperlo, desiderando mutamente che non finisse mai. I loro cuori battevano forte, ma il tempo fu tiranno, e bisognosi d’aria, furono costretti a staccarsi. “Così sembra, non credi?” Rispose appena, soffiandogli quelle parole sulle labbra. Colpito, il folletto la strinse di nuovo a sé, nel preludio di un secondo bacio ancor più dolce, caldo e tenero. Un contatto che non durò molto, chiaro, ma non per questo privo di significato. Non appena ebbe fine, sentì le guance bruciare, segno che si era di nuovo emozionata, e riaprendo gli occhi che neanche ricordava di aver chiuso, respirò a fondo, portandosi una mano al petto e avvertendo il battito del suo cuore ancora furioso. Le succedeva sempre quando stava con Riven, quasi fosse una ragazzina alla prima cotta. Simili eppure diversi da lei, Erran e Marcie non erano da meno, nonostante preferissero tenere i loro momenti il più privati possibile. “Majestia chiama Ambra.” Scherzò proprio Marcie, ridacchiando e distraendola da quel momento. “Come? C-Cosa?” balbettò, colta alla sprovvista. Divertito, perfino Lyric sembrò ridacchiare, battendo una zampa a terra e nascondendo il becco fra le piume. Seppur imbarazzata, Ambra non si fece abbattere, e quando i due leprecauni furono lontani, ebbe l’idea perfetta. Fare da intermediaria era un duro lavoro, e qualcuno doveva pur farlo, ma dopo tanti sforzi, sentiva di meritarsi del tempo per sé stessa. Ma cos’era il relax senza la compagnia degli amici? Pensandoci bene, una vera perdita di tempo. Decisa, indicò con lo sguardo l’amico colibrì, poi attese, volendo sincerarsi della sua disponibilità a volare ancora. Si conosceva, sapeva bene che non lo avrebbe mai forzato a far nulla che non volesse, men che meno volare se non se la sentiva. Regalandole a suo modo un sorriso, Lyric parve annuire, così lei si voltò verso i due amici. “Allora? Chi vuole farsi un giro?” propose, già entusiasta alla sola idea. In genere volava da sola, sia con le proprie ali che in groppa al suo fido colibrì, ma stavolta sentiva di voler condividere quel momento anche con gli amici. “Ma… ne sei sicura? Non so se posso, insomma…” esitò Marcie, timida come al solito. “Marcie, ma certo che puoi!” le rispose subito il suo Erran, incoraggiandola. “Vieni, saliremo insieme.” Aggiunse poco dopo, prendendola per mano. Annuendo, la fata decise di fidarsi, e in breve, quel secondo viaggio ebbe inizio. Se da un lato Ambra chiuse gli occhi per goderselo al meglio, Marcie li tenne chiusi per tutt’altro motivo, spaventatissima. Grazie al cielo non urlava, o se ne sarebbero accorti tutti, e nonostante non dicesse una parola, riuscendo a malapena a respirare, pregava di ritornare a terra sana e salva il prima possibile. Dal canto loro, invece, Anche Riven ed Erran si godevano la vista, con il primo che ne approfittò per rubare l’ennesimo bacio alla fidanzata, sussurrandole nel frattempo quanto la amasse. Innamorata, lei abbandonò le mani in quelle dell’amato, ma all’improvviso, la magia si spezzò. Un violento spostamento d’aria rischiò di farle perdere l’equilibrio, ma svelta, si aggrappò al collo piumato dell’uccellino con tutte le sue forze. “Ehi, ehi! Ma che ti è preso?” non potè evitare di chiedere, confusa. Silenzioso, il colibrì non osò cinguettare, concentrato su qualcosa che gli amici non vedevano. Nonostante la distanza, la fata sforzò gli occhi, ma non riuscì a vedere nulla, o quantomeno nulla d’insolito. Soltanto i soliti uccelli dalle piume variopinte, ogni tanto qualche farfalla, ma nulla di preoccupante. Poco dopo, un altro scossone al quale non fu preparata, e che come prima rischiò di sbalzarla chissà dove. Perfino più vigile di prima, Ambra strinse i denti, e solo allora, ciò che non avrebbe mai voluto sentire né vedere. Un terzo colpo, stavolta un tonfo, e lì nell’aria con loro, un rivolo di sangue. Inorridita, la fata prese a tremare, poi vide che nonostante gli sforzi dell’amico, che coraggiosamente neanche si lamentava, iniziavano a perdere quota. “Tirati su Lyric, tirati su!” gli gridò, accarezzandogli le piume per incoraggiarlo. Ma invano. Il colibrì, colpito in pieno, era già troppo stanco, e come anche Riven e gli altri poterono vedere, ferito. Sforzandosi di mantenere la calma, Ambra chiuse gli occhi e provò a usare la sua magia per calmare il vento e provare ad atterrare, ma purtroppo senza successo. Provava emozioni troppo forti perché funzionassero, e per di più negative, ma valeva la pena tentare. Nervosa, si rifiutò di darsi per vinta provando di nuovo, ma anche quel tentativo andò a vuoto. Così il colibrì cadde e cadde per un tempo che parve infinito, schiantandosi infine al suolo come una meteora. Ancora stretta a lui, Ambra fu la prima a sentire il dolore della caduta, ma rialzandosi subito in piedi, zoppicò verso l’amico ferito e disteso sul fianco. Qualcosa, quello che gli umani avrebbero chiamato proiettile, lo aveva colpito proprio ad un’ala, quasi spezzandola. Così il poverino non riusciva a muoversi, disteso lì in terra e con gli occhi appena aperti. “Lyric?” chiamò, con voce rotta dall’emozione. Da parte sua, purtroppo, nessuna risposta. “Lyric?” riprovò la fata, sentendo le prime lacrime riempirle gli occhi e farli bruciare. Ancora una volta, solo silenzio. Proprio allora, il dolore a una gamba fu più forte del suo carattere, e pur crollando in ginocchio, gli rimase accanto, scuotendolo lievemente e sperando, pregando che si svegliasse. Quando i suoi occhi si chiusero completamente, Ambra sentì il tempo e il mondo fermarsi, e nel mezzo di quella tragedia, restare a guardare. “Lyric!” gridò, consegnando al vento e al cielo, e forse per sempre, il nome dell’amico. Scesi a terra con lei e poco distanti, anche gli amici avevano visto tutto, e provando pena per lei, Riven fu il primo ad avvicinarsi, guardando prima lei e poi il povero colibrì. Immobile, esanime e ad occhi chiusi, sembrava dormire, per Ambra un’unica e seppur magrissima consolazione. “Mi dispiace così tanto…” le sussurrò il suo Riven, attirandola a sé per un nuovo abbraccio. Lasciandolo fare, Ambra si abbandonò a quella stretta, e in silenzio, pianse. Piccole lacrime le solcarono il volto, in quel momento una maschera di dolore e rabbia. Silenziosa, anche Marcie si fece più vicina, mentre Erran, rimasto indietro di qualche passo, si accovacciò sul corpo dell’animale. Lento, posò due dita sul collo piumato in corrispondenza della ferita, e dopo pochi istanti di silenzio, pronunciò la sua sentenza. Non avrebbe voluto, anche lui come gli altri conservava una segreta speranza, ma nonostante questo, il presente parlava chiaro. “Se n’è andato, Ambra. Mi dispiace molto…” disse appena, tenendo bassa la voce in segno di rispetto. A quelle parole, la fata sentì gli occhi e le guance bruciare, e i muscoli farsi subito rigidi. Succedeva sempre quando si arrabbiava, e quel momento non faceva alcuna eccezione. Più ci pensava, più dolore sentiva, con la sua mente che intanto continuava a replicare quella scena. Con il nastro che continuava a riavvolgersi e ricominciare, chiudere gli occhi non serviva, e pur provandoci, non vide e rivide altro che quello. Il primo colpo e la paura del suo amico, il secondo evitato per miracolo, e alla fine, solo alla fine, il terzo. Distrutta, cadde in ginocchio, e quando, notandola, Riven le offrì una mano perché si rialzasse, lei rifiutò. “Voglio restare con lui.” Disse appena, esprimendo un desiderio che nessuno osò negarle. Annuendo, i tre amici si fecero da parte, e lì, china sul corpo dell’amico, gli accarezzò le piume per un’ultima volta. Un nodo alla gola le impedì di respirare, e sforzandosi di scioglierlo, provò anche a sorridere. Fu allora che, sfidando quel presente tanto cupo come un fiore deciso a nascere farebbe con il freddo della bianca neve, ricordò davvero ogni cosa. Il giorno in cui, passeggiando per la foresta aveva trovato il suo uovo caduto fuori dal nido, le notti che aveva passato a tenerlo al caldo sotto a una lampada nella sua stanza, e finalmente, quella in cui si era schiuso. A quello, di ricordo, il suo sorriso si fece più largo, seguito subito da altre lietissime memorie. Il primo cinguettio, il primo canto, il primo volo, perfino le volte in cui, testardo e incapace di separarsi da lei, le offriva rametti, bacche e altra frutta, così che pur allontanandosi potesse ricordarlo. Per sua sfortuna, l’unica cosa che ora potesse fare, e perché? Semplice. La colpa era tutta degli umani, e per lei era inaccettabile. Prima avevano finto di tenere, alla natura attorno a loro, poi avevano causato scompiglio al villaggio infettando tutti con la loro negatività. Ambra si conosceva, sapeva di essere buona e dolce, ma anche dura e forte, quando e con chi serviva, e in istanti come quelli, solo qualcuno più in alto di lei sapeva cosa davvero avrebbe voluto fare a quei dannati esseri. Sempre in silenzio, ne condannò uno per ogni misfatto a cui aveva assistito, e all’ennesima replica nella sua mente di quello sparo prima e della caduta dal cielo poi, il sangue parve ribollirle nelle vene. Capace solo di parlare con gli animali, non possedeva i poteri del fuoco, altrimenti, ne era sicura, avrebbe arrostito il colpevole senza esitare. All’improvviso, però, scosse la testa. Che stava facendo? Che pensieri erano quelli? Lyric era ancora lì, e il suo corpo era sempre più freddo, segno che, se davvero volevano salvarlo, toccava agire subito, pena la scomparsa dell’ultimo granello di sabbia dalla clessidra della sua vita. Erran aveva detto che ormai non c’era più nulla da fare, ma lei, sempre lì vicina, avrebbe potuto giurare di averlo visto muovere un’ala, e se una speranza c’era, valeva la pena coltivarla. Sforzandosi per tenere aperti gli occhi scuri, il povero colibrì si guardava intorno come poteva alla ricerca di aiuto, e all’improvviso, fra le ombre che gli oscuravano la vista e le figure quasi evanescenti degli amici sempre a poca distanza, la conferma delle sue speranze. Una voce gli giunse ovattata, e non riuscendo a muoversi, attese. “Oh! Povero piccolo! Che ti hanno fatto?” esclamò notandolo, con il cuore subito stretto in una morsa di dolore. Veloci, i quattro si nascosero immediatamente: era appena arrivata un'umana, quindi furono costretti a lasciare l’uccello da solo. Farlo era un gran rischio, lo sapevano, ma essere scoperti ne rappresentava uno ancora più grande, e memori di quanto scritto nei libri di magia delle fate anziane da cui avevano appreso ogni cosa sul loro mondo, facevano sempre del loro meglio per evitare quel pericolo, pena il dissolversi, ognuno indistintamente, nella stessa polvere magica che conferiva ad ognuno i propri poteri. La giovane nuova arrivata non aveva l’aria minacciosa, anzi sembrava pure ben disposta nei confronti di Lyric, ma si trattava pur sempre di un’umana, e se c’era una cosa che Ambra, Marcie e gli altri avevano imparato, quella era che non c’era assolutamente da fidarsi degli umani. Così, nascosti dietro il tronco di un albero, continuarono ad assistere alla scena, carpendo nel mentre ogni suono e parola. “Per tua fortuna sono una veterinaria.” Udirono, e a quel lemma, il cuore di Ambra si fece più leggero. Non aveva mai sentito nessuno chiamare in quel modo dei guaritori, ma la cultura umana era diversa dalla loro, e in più sorrideva, il che significava che forse, si ripeté, forse non aveva intenzioni nefaste. Sporgendosi, poi, continuò a guardare, scoprendo che la donna, ormai, si era accucciata vicino al corpo del povero animale, e aveva avuto modo di esaminarlo abbastanza. “Non temere, piccolino, ti porto un attimo con me. So come aiutarti.” disse, sollevandolo con tutte le sue forze. Era sola, ma sembrava non vergognarsi di stare parlando con un animale, né di starsi sforzando tanto per portarlo con sé e al sicuro. Per affrontare meglio la fatica, infatti, immaginò di star tenendo in braccio un neonato. In altre parole era una di quegli umani in sintonia con la natura e i suoi abitanti, un'umana più unica che rara. Ambra, nonostante la situazione critica, non poté fare a meno di sorridere lievemente: a quanto pareva, c’era davvero ancora speranza, non tutti gli esseri umani erano tossici e malvagi. Quindi la protagonista e i suoi amici non poterono fare altro che fidarsi di quella sconosciuta, seguendola di nascosto: non avrebbero mai abbandonato Lyric, per niente al mondo. Fra un passo e l’altro, furtivi e guardinghi, arrivarono a una casa di mattoni poco fuori dal bosco, non vedendo poi altro che la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi. Dal suo nuovo nascondiglio in mezzo a dei cespugli, Marcie tremava. “Povero Lyric, chissà cos’ha intenzione di fargli…” mormorò, tenendo bassa la voce per non farsi sentire dall’amica, ma invano. Lì accanto a lei, Ambra la sentì perfettamente, e guardandola, rispose quasi subito. “Non hai visto? Sta cercando di aiutarlo. È buona, me lo sento.” Commentò, per poi ridursi al silenzio e restare in attesa, e nel mentre, acquattata a pregare. Poco dopo, poi, la voce di Riven disturbò la quiete calata fra di loro. “Già, ma Marcie non ha tutti i torti. Alcuni umani non si servono degli animali solo per mangiare e coprirsi, sapete?” osservò, vago ed enigmatico. Confusa, Marcie non seppe cosa dire, e per un attimo si pentì di aver ripreso in mano l’argomento, ma quando aprì la bocca per parlare e scusarsi, non ne uscì alcun suono. Erran, invece, la precedette. “È vero. Ne ho sentito parlare, si chiamano esperimenti.” Breve e conciso, l’intervento dell’amico gelò il sangue nelle vene di Ambra, che pur spaventata, e inorridita al solo pensiero di quelle atrocità, si rifiutò di cedere. “No, non lei. Non è possibile, ragazzi, lei vuole salvarlo, lo so.” Insistette infatti, di nuovo fiduciosa. Rimasto ad ascoltare fino a quel momento, Riven pensò d’intervenire a sua volta, ma vedendo quant’era felice, nonché determinata, desistette. Passarono così secondi, minuti e poi ore intere, finchè al tramonto, quella stessa porta non si riaprì, e lì sull’uscio comparve proprio la veterinaria. Per fortuna era arrivata in tempo ed era riuscita a guarirlo, dopodiché l’aveva invitato a seguirla guardandolo zampettare fuori, così che, lentamente ma in totale sicurezza, ne era certa, tornasse, di nuovo libero, proprio dove l’aveva trovato. Vicini abbastanza da vederla, ma troppo lontani perché lei potesse sentirli, Ambra e i suoi amici la ringraziarono tacitamente, facendo lo stesso anche con il cielo al pensiero che esistessero degli umani come quella donna, capaci di portare luce in un mondo sempre più buio e ostile, e che sembravano quasi eletti di Madre Natura, incaricati di salvarla in maniera quasi inconsapevole, aiutando quel piccolo popolo. In quanto al cacciatore che aveva sparato a Lyric… Secondo le leggi delle fate, fu vittima di un incantesimo: si ritrovò costretto a danzare per una notte intera attorno a un albero, fino ad un completo esaurimento. Chi lo sapeva, magari in futuro ci avrebbe pensato due volte, prima di uscire di casa con un fucile… E il resto del bosco, invece? Da quel giorno in poi, con il perfetto equilibrio di Majestia ora ristabilito, creature di tutte le razze tornarono a vivere in pace e armonia, così com’era sempre stato. Fra i quattro amici, Ambra decise di radunare altri amici e altre fate per una e mille campagne di attivismo per il trattamento etico degli animali, Riven continuò nelle sue conosciutissime opere di volontariato, e se Erran decise di combinare scienza umana e magia fatata in nome di un progresso sempre corretto, virtuoso e mai immorale, Marcie si dedicò all’alchimia, sicura di riuscire a creare, unendo l’amore per la conoscenza al piacere per la lettura, pozioni magiche a scopo medico per animali e creature magiche in egual modo, così che tragedie come quella vissuta dall’amico Lyric potessero essere evitate e stroncate sul nascere. Giorni dopo, poi, sano, guarito, e felice, il colibrì ne approfittò per solcare di nuovo i cieli e riempirli del suo cinguettio, dentro il quale era nascosta una canzone in onore dell’umana che lo aveva salvato. In breve, tutto il villaggio venne a conoscenza del suo gesto, e volendo ringraziarla, ogni abitante insistette perché il suo nome e il suo buon cuore fossero ricordati in eterno, fra canti, danze, riti e cerimonie. Spirando lento e lieve, inoltre, il vento non mancò di portare tutte queste voci proprio all’umana, che seppur lusingata da tanto sfarzo, non osò accettare nulla se non proprio i ringraziamenti di ogni più piccola creatura, promettendo di mantenere e custodire il segreto della loro esistenza, e presenziando, in un bel giorno di primavera, alla costruzione di un vero e proprio campo di forza intorno alle mura di tutta Majestia, che accettava la presenza delle creature magiche lasciandole passare liberamente e diventando a tale scopo molle come gelatina, ma rifiutava invece quella degli umani dissimili da lei, a meno che non dimostrassero, come poi le anziane verificavano chiudendo gli occhi e toccando loro il petto, di avere il cuore buono, puro e leggero almeno tanto quanto quello dell’umana divenuta da allora in poi, insieme alla bellissima Majestia, un’unica entità con la natura stessa.

 
 
   
 
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