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Autore: BabaYagaIsBack    28/03/2023    0 recensioni
In un' Europa dalle atmosfere steampunk e in cui la Chiesa ha tutt'altre connotazioni, un ordine di esorcisti si dedica alla creazione di vânător, cacciatori del sovrannaturale. E' da loro che Katarina impara i rudimenti per affrontare tutti i mostri che popolano la notte più scura, prefiggendosi come obbiettivo ultimo quello di uccidere Dracul, il Re di tutti i Vampiri.
Districandosi tra personaggi bizzarri e situazioni estreme, Miss Bahun cerca di mettere fine alla linea di sangue creata dai fratelli Corvinus, ergendosi al di sopra di tutti gli altri suoi compagni. Eppure qualcosa non torna, una nuova minaccia sembra voler sovvertire tutto ciò che lei conosce e, improvvisamente, gli amici diventano nemici. Di chi fidarsi,quindi, quando il genere umano è in pericolo?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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XV (2)

Già, a cosa era abituata?
Mentre la carrozza con a bordo Julius e Suzu si allontanava e lei restava ferma sotto la pioggerellina lieve torturandosi il labbro, la risposta a quella domanda montò d'un fiato. Era abituata a tutto ciò che per loro sembrava così estraneo. Era abituata alla violenza subita e procurata, al sangue, alla sensazione d'estasi derivata dalle percosse. Era abituata a cacciare come un animale, stando sveglia per giorni e notti negli habitat più avversi; alle ferite che faticavano a rimarginarsi perché non dava loro tempo per farlo, al freddo che entrava nelle ossa e alle corse che piegavano in due. Era abituata agli incubi e ai demoni, reali o meno, che la perseguitavano senza tregua, ma dubitava che quei due potessero realmente capirlo. Sì, avevano perso qualche compagno più del solito, ma cosa c'era di strano? Era parte del loro mestiere, sin dal giorno in cui le loro dannate famiglie li abbandonavano di fronte alle porte dell'Ordine sapevano a che destino potevano andare in contro - per questo, se avevano un cuore, era meglio fingere che non esistesse.

I denti affondarono con più forza nella carne secca delle labbra e qualcosa di tiepido le scivolò lungo la curva di quello inferiore, sfiorandole il mento prima di cascare a terra. Katarina seguì con gli occhi quella goccia, la vide macchiare il selciato e risvegliarla da una sorta di trance.
Aveva bisogno di bere, davvero stavolta. E come un segnale mandatole dal destino, un rintocco lugubre le fece alzare il capo. Lì, stagliato contro il cielo di un grigio accecante, il campanile dell'Istituto le fece venire una strana idea. C'era una parte di quel luogo dedicata all'insegnamento, ma di certo ci doveva essere anche una piccola cappella nascosta in qualche area non troppo lontana. Le Sorelle Velate, a parte la Madre Superiora, non potevano uscire da lì se non per cerimonie ufficiali o commissioni di vitale importanza, quindi, la messa del Quinto Giorno doveva per forza essere celebrata all'interno - e questo significava che doveva sempre esserci almeno una bottiglia di spirito alla salvia a portata di mano.

Un ghigno malizioso le riempì il viso.

Con il dorso della mano guantata si levò dal viso i segni del rivolo di sangue che le era sfuggito dalle pieghe del labbro e con nuovo slancio avanzò verso l'ingresso dell'Istituto. Tirò lo stesso catenaccio dei giorni precedenti,  facendo scivolare le dita sino al pendente con la Voglia della Vergine e attese: uno, due, cinque, dieci secondi. La punta del piede a battere il tempo in attesa di qualcuno. Ora che quella consapevolezza le aveva avvelenato la mente non riusciva a pensare ad altro che al retrogusto amaro dello spirito, al bruciore dell'alcol lungo la gola e sul fondo dello stomaco. Quanto ci stavano mettendo ad aprirle?
I secondi divennero minuti e uno sbuffo le si riversò fuori dalla bocca.

Rahat!, pensò mentre la pioggia alle sue spalle si faceva più forte, impedendole di carpire qualsiasi rumore oltre il portone dell'edificio - e possibile che ogni volta che arrivava di fronte a quell'anta di legno e ferro il meteo le giocasse lo stesso scherzo?

D'un tratto lo spioncino si aprì con il consueto, fastidioso cigolio e gli occhietti scuri della solita novizia la salutarono: «Oh, siete voi Miss Bahun!» aggiunse, richiudendo il tutto velocemente e iniziando subito a far girare i chiavistelli. Prima da una parte, poi dall'altra, in basso e in alto fino a quando l'ultimo non fece scattare la serratura. «Siete rientrata presto, pensavo non vi avrei rivista fino al tardo pomeriggio» e sul suo viso un sorriso timido fece capolino, allontanando lo sguardo e generando in Katarina una sorta di tenerezza. Per quanto la divisa e l'innocenza di quell'aspirante suora suscitassero in lei battute e pensieri non proprio leciti, più tempo passava all'Istituto più si rendeva conto essere solo una bambina - e non avrebbe mai osato fare qualcosa di inappropriato quando a disposizione c'erano tutte le sue Sorelle. O una meraviglia come Sylvia Goldchild.
Le pizzicò il mento come una zia farebbe con la propria nipotina: «Già ti mancavo, Niamh?»
Lei sussultò, fu evidente che il groppo di saliva fece fatica ad andarle giù: «N-no! No, semplicemente...»
Miss Bahun tese le labbra e l'oltrepassò, ignorando l'imbarazzo che aveva generato in lei per mettersi subito sulle tracce della propria preda, anche se doveva farlo con una certa circospezione, assicurandosi di non destare troppi sospetti. Congiungendo le mani dietro la schiena si mise a scrutare il pavimento ornato. Seguendo per qualche metro la trama floreale uscì dal corridoio e lì, poi, i suoi occhi salirono lungo gli archi a sesto acuto lanceolato che davano su uno dei cortili interni, quello su cui si affacciavano buona parte degli alloggi delle Sorelle Velate, le stanze comuni e quelle dedicate alla loro vita privata. A dividerlo dall'altro, dove si trovava la serra della Superiora, una parte di edificio rettangolare che si sviluppava verso l'alto, accogliendo anche la torre campanaria. Era in quell'angolo di Istituto che doveva arrivare, ma sperava vivamente che per farlo non fosse necessario passare tra i corridoi dove si svolgevano le lezioni per quei pochi spocchiosi figli di famiglie benestanti.

«Niamh, tu sai la storia di questo posto?» Glielo chiese allargando il sorriso, lanciandole un'occhiata falsamente amichevole da sopra la spalla. Chiederle direttamente l'informazione che le interessava sarebbe stato un passo falso, parlando con le altre suore quella mocciosa avrebbe potuto involontariamente tradirla, così Miss Bahun optò per un giro di boa più lungo, in modo da prevenire.

La novizia si morse il labbro spostando dietro l'orecchio, come se fosse una ciocca di capelli, il velo che le copriva il capo. Il suo doveva essere un riflesso involontario, un ricordo corporeo rimasto impresso nelle dita. Quando si iniziava il percorso per diventare una Sorella Velata, di cui restavano davvero pochi Istituti in Europa, la prima cosa che veniva richiesta come sacrificio alla Vergine era la propria chioma - e poi ogni altra cosa. Solo una volta presi i voti si poteva tornare a sfoggiare qualche ciocca o treccia.
«Beh... in parte, Miss. S-so che l'edificio è stato costruito circa... trecentoventi anni fa e che ha subìto alcune modifiche nel tempo.»
«Di che tipo?» Katarina mosse ancora un paio di passi, continuando a prestare alla giovane il proprio orecchio sinistro. Sapeva già da sola quali parti fossero state aggiunte dopo, lo si notava dall'usura delle mura, dai punti in cui le strutture si univano, dove lo sbalzo di colore catturava subito l'occhio, ma doveva attendere e mostrarsi ingenua, incuriosita.
L'altra le si fece vicina, mantenendo comunque un rispettoso e timoroso distacco. Ancora non si era abituata alla sua presenza, oppure l'idea che con le stesse mani che Katarina stringeva dietro la schiena avesse ucciso chissà quali mostruosità sotto sotto la spaventava. Non sarebbe stata la prima a trovarla riluttante.

«Vedete, prima c'era... c'era solo questa parte di Istituto, collegata direttamente a quella sul lato opposto, dove avete conosciuto...» prese un respiro e Miss Bahun la guardò con più intensità; sul viso della piccola una smorfia serafica, trasognante: «Madre Goldchild» concluse infine, buttando fuori l'aria raccolta nei polmoni. C'era adorazione in lei, una sorta di referenza che prese Katarina alla sprovvista. Quello sguardo, il mezzo sorriso disegnato dalle labbra... quante volte aveva visto la medesima espressione sui visi dei ragazzini rinchiusi con lei a Bistria, quando durante le investiture devolvevano le loro vite, le proprie anime, a due entità che tanto salvifiche e benevole non erano? Troppe. Ma quantomeno Sylvia era reale, se quella bambina avesse voluto allungare la mano, aggrapparsi a lei, avrebbe potuto farlo; i suoi compagni dell'Ordine invece non avevano altro che il nulla.
Si morse la lingua.
«Quindi l'Istituto aveva una pianta rettangolare?»
Niamh annuì: «Sì, ma poi la Santa Sede ha voluto che gli Istituti... diventassero utili, quindi ha imposto delle modifiche. Dovevano portare... profitti, sì, così che le spese per il loro mantenimento non gravassero su Roma.»
A Miss Bahun venne da ridere. Quelle donne, la loro decisione di essere tanto stupide da sacrificare la propria vita e tutte le cose belle che ne conseguivano non doveva gravare sugli introiti di quegli avidi e lussuriosi dei Vescovi, Arcivescovi e annessi. Dubitava anche che tutti i guadagni di quella sottospecie di scuola venissero davvero devoluti alle Sorelle vista l'austerità di quel posto; non un arazzo di pregiata fattura o un quadro, men che meno ornamenti d'oro o d'argento. Solo ferro battuto, legno e pietra. E nell'aria l'odore nostalgico delle cose perse.

«Per questo ora ha una pianta a croce commissa...» finse di valutare tra sé e sé ad alta voce. «E prima di questa modifica c'era una cappella per la messa del Quinto Giorno? O è arrivata dopo?»
«Oh...» la novizia parve riflettere, incerta. La sua istruzione in merito a quel posto non sembrava essere poi tanto approfondita: «A dire il vero è stata quasi dismessa dopo l'ampliamento.»
Katarina per poco non sussultò. Come era possibile?
«Sapete, Miss Bahun... siamo rimaste in poche all'Istituto, a-all'incirca una decina e... beh, Madre Goldchild trova triste celebrare il Quinto Giorno in una cappella vuota...»
«E la torre campanaria?»
«Beh, è autonoma.» Disse quella frase con un fare innocente, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «La campana viene suonata grazie a meccanismi e ingranaggi che si muovono per mezzo dell'acqua. Sotto all'Istituto passa... un canale direttamente collegato con il Tamigi.»

Ah!, questa le giungeva nuova. Alla Santa Sede, nonostante il Tevere che attraversava la città, non avevano nulla di simile - ecco un altro dei motivi per cui Londinium era la destinazione ultima per coloro che aspiravano a compiere grandi innovazioni. Non erano solamente più comprensivi nei confronti del Mundi, avevano anche un'apertura mentale da far invidia a tutte le proprietà della Chiesa.
«E quindi non celebrate il Quinto Giorno?» Allargò il sorriso, stranamente divertita. Una decisione del genere sarebbe potuta costare cara a tutte loro, soprattutto a Sylvia che, in quell'istante, prendendo consapevolezza di quel suo atto di ribellione, le parve ancora più eccitante. Davvero una donna come lei poteva compiere una simile trasgressione? E quante altre ne avrebbe attuate?

«No! No, Miss! Cosa vi salta in mente?» La piccola balzò dritta, gli occhi grandi di stupore, le gote rosse e le mani strette sulla gonna della tunica come a trattenere un misto di agitazione e rabbia. «Il Quinto Giorno è sacro, la Vergine non ci accoglierebbe nel suo giardino se osassimo compiere un simile tradimento!»
Il sorriso di Katarina si spense e quella sorta di formicolio che le aveva sfiorato il basso ventre e la mente si chetò. Peccato.

«Non comprendo, allora.»
«N-noi celebriamo il Quinto Giorno nel refettorio. Madre Goldchild ha trasferito lì... tutto il necessario. E'... più intimo e ci sentiamo a casa.»

Il refettorio... Katarina ricordava bene quel posto, c'era stata quella stessa mattina - o quantomeno ci aveva provato. La strada dalla sua stanza era abbastanza semplice e se si fosse mossa con scaltrezza, stavolta, sarebbe riuscita a entrarvi senza problemi. Mancavano ancora un paio d'ore all'inizio dei preparativi per la cena e, visto che lei sarebbe rimasta relegata nella propria cella durante il pasto, poteva farci un salto quasi immediatamente, prima che le suore potessero scoprirla.


Si umettò le labbra. Era fatta.

«Comprendo le vostre ragioni, dunque. Fate bene a trovare un luogo familiare in cui svolgere i vostri doveri di credenti» e mentre le parole le uscivano di bocca, in gola sentiva la nausea montare. Nemmeno con tutta la forza di volontà riusciva a sopportare simili cavolate: «la devozione deve essere qualcosa di naturale e piacevole, non un'imposizione.» Si volse meglio, sorridendole: «E in fatto di doveri,» tirò fuori dalla tasca il proprio orologio d'argento, vi posò sopra gli occhi senza realmente guardare: «credo sia per me giunta l'ora del riposo. Ho una ronda che mi aspetta, stasera. A questo compito purtroppo non posso sottrarmi.» E le strizzò l'occhio con complicità, come se le avesse rivelato un segreto.
Le gote della novizia s'infiammarono e la posa si fece tanto tesa da tradire ogni tentativo di restare impassibile al suo cospetto - e a Katarina quasi dispiacque. In quella ragazzina c'era una tale fiducia verso di lei che le sembrava davvero da stronza usarla per i propri riprovevoli scopi, eppure le bastò volgere il capo e togliersela dalla vista per dimenticare quella sensazione; in fin dei conti Niamh non era nulla se non l'ennesima persona con cui avrebbe di sfuggita incrociato il cammino, ferirla o riconfermare la sua brutta reputazione anche lì poco le importava.
Senza aggiungere altro, Katarina avanzò svelta lungo i corridoi dell'Istituto. I suoi stivaletti calpestarono mosaici di fiori senza alcuna remora, schiacciandoli sotto le suole come se stesse avanzando sui resti di un campo di battaglia - non fosse che l'unica guerra che stava avendo luogo era quella dentro di lei. In un'anticamera delle mente udiva ancora rimbombare le domande di Lord Terry e Whiteman, le sentiva muoversi nel tentativo di raggiungere la parte cosciente per piantarle uno stiletto nelle tempie - e non doveva permetterglielo. Accelerò. Con i sensi in allerta si fece strada sino alla propria cella, salutando con un sorriso di circostanza e un cenno del capo le poche Sorelle che incrociò lungo la marcia. Tentò in tutti i modi di apparire il più tranquilla possibile, ma sentiva il desiderio di bruciarsi le interiora con l'alcol urgere.

Quanto le mancava?  Meno di quanto ricordasse, ma più di quanto sperasse. Dal mosaico di un albero in fiore riconobbe il corridoio che aveva percorso ore prima. Tre porte sulla destra e avrebbe raggiunto la sua cella, poi altrettante e si sarebbe immessa nella seconda area vecchia, lì dove i bagni e il refettorio la stavano attendendo.
 


 

 

Perché in questo World Building viene usato lo Spirito alla Salvia al posto del vino?
Ebbene, ogni pianta citata all'interno di questa storia porta sempre con sé un significato - si è visto nelle incisioni sulla porta un paio di capitoli fa e nel pugnale di Katarina molto prima - quindi anche in questo caso non potevo scegliere qualcosa di banale.
La Salvia è una pianta officinale molto comune (antibatterica e antinfiammatoria), ma il suo significato esoterico è legato alla purificazione. Nell'antica Roma era usata per purificare gli altari dove si facevano sacrifici, mentre i Celti la utilizzavano per sfregare i cadaveri prima di cremarli, in modo che venissero privati di ogni male e accettati nell'aldilà. Leggenda narra anche che il "letto d'amore" del dio Bel insieme alla Dea fanciulla (wiccan) fosse fatto di salvia e, quindi, ho voluto prendere di ispirazione questo dettaglio per legare la grappa usata nelle cerimonie alle due divinità che governano il mondo di Miss Bahun.

La spiegazione può essere tranquillamente approfondita, ma per ora preferisco non ammorbarvi più del dovuto. In ogni caso sono a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti.

 

   
 
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