Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    29/03/2023    4 recensioni
Tre fratelli.
E una tecnica segreta che rappresenta la summa, lo stadio ultimo di una disciplina millenaria dall'incomparabile potere distruttivo.
Ed il modo in cui essa coinvolgerà le loro vite, ed i loro rispettivi destini.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jagger, Kenshiro, Raul, Ryuken, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Col passo lento ed affaticato che si ritrovava ci mise quasi un'ora buona, ad arrivare alla destinazione prefissata. E che Shin in persona gli aveva indicato.

Vi giunse che ormai era claudicante, e si reggeva in piedi praticamente a malapena e a stento.

C'era da dire che il dolore che stava all'esatta metà tra il pulsante ad intervalli impietosamente regolari ed il lancinante continuo che lo stava devastando nella faccia e nella psiche, senza alcun solo attimo di sosta o di misericordia, stava avendo il suo peso ed il suo merito. E stava compiendo il suo sporco lavoro senza rivali e senza eguali. Che era quasi sicuramente quello di farlo impazzire e di mandarlo ai matti.

Dolore, dolore, dolore. Ormai non riusciva a sentire e a pensare ad altro. Non gli riusciva più di sentire né di pensare a niente che non fosse quello.

Dolore atroce e spaventoso. E implacabile.

Dolore fisico, psichico ed emotivo.

Tremendo, sordo, terribile dolore.

Dolore, dolore, dolore. Si era ormai fissato perennemente sulla quello, sintonizzato vita natural durante sulla sua lunghezza d'onda e di frequenza.

Il dolore. E la rabbia. E a come sfogarla.

A come avrebbe dovuto scaricarla, che con la sua estinzione sarebbe quasi certamente svanito e sparito anche il primo, dato la che la seconda non era altro che una diretta quanto naturale conseguenza.

Si sarebbe volatilizzato senz'altro.

Già. Il come. Restava soltanto da stabilire quello, dato che per ciò che concerneva e riguardava il CHI, si considerava già più che a posto.

Lo aveva sempre saputo su chi si sarebbe dovuta abbattere tutta quella collera repressa e quel desiderio irrisolto di vendetta che lo stavano squassando insieme alle fitte che gli partivano dalla pelle del viso e dalle ossa appena più sotto per poi infilarglisi dritte dritte nel cervello e nei neuroni come aghi. Dopo essergli passati attraverso gli occhi, infilzandoli. E dopo che qualche bastardo aveva pure provveduto ad arroventarli a puntino su qualche braciere reso incandescete a puntino e al massimo.

In fin dei conti la tortura é come il sesso.

Farsi martoriare le carni da un sadico equivale a fare sesso con una bella donna, sotto certi aspetti. O con una troiaccia che non sia troppo lurida e che non faccia troppo schifo, a patto di berci abbastanza sopra prima di scoparsela.

Le due cose non sono tanto dissimili. E si assomigliano più di quanto si possa pensare.

Conta l'abilità della puttana in questione, quanto sia esperta. E quanto sa farti patire senza darti la possibilità di andare fino ad arrivare fino in fondo.

E con un torturatore prezzolato e navigato é pressoché uguale. Sa come tenerti sulla corda e spingerti al limite. Ma senza mai farti andare al di là di esso. Senza mai fartelo oltrepassare.

E può andare avanti con quell'infame giochetto per delle ore. Per giorni interi, addirittura.

Se forzasse un po' la mano, sarebbe meglio. Perché una prostituta sapiente prima o poi deve arrivare a farti eiaculare.

E' pagata per quello. E fa in modo di farti ritardare, di impedirtelo finché non ne puoi davvero più. Fino al momento in cui ti liberi senza nemmeno volerlo, senza quasi che tu lo desideri.

Senza che tu nanche te ne accorga, a momenti. E quando lo fai, e spurghi e schizzi ed erutti e cominci a venire e venire fino a svuotarti e prosciugarti per intero i coglioni fino a salire alla prostata, a sgonfiarli fin quasi a farli rinsecchire ...ti pare il miglior orgasmo della tua vita.

Il miglior orgasmo che tu abbia mai avuto nel corso della tua fottuta, piatta, miserabile quanto inutile vita.

Agonizzare é proprio come sborrare e schizzare sperma. In entrambi i casi si geme un mucchio e un casino.

Quando ti ritrovi al massimo della sofferenza che puoi sopportare, quasi invochi la morte, o la pazzia. Ma la carogna che ti tagliuzza e ti frusta e ti lacera le membra con oggetti appuntiti te la tiene lontana.

Vorresti almeno perdere definitivamente i sensi, oltre che il senno. Almeno per un poco. Ma quello fa in modo che il momento da te tanto sospirato non arrivi praticamente mai. Ti ci porta ad un soffio, ad un centimetro. Ad un solo millimetro. E poi ti porta e ti riporta via da lì, alternando le sevizie che é in grado di elargire a studiati quanto calcolati momenti di stasi e di riposo.

Come fare, dunque?

Con una zoccola é più facile. Una volta che si é fatto, e che tutto quanto é finito e compiuto...in genere ci si alza e si va via. Senza mettersi a pensare per un solo secondo, alle sue richieste o esigenze.

Le hai dato un salario perché fossi tu a godere, non certo lei. E se ha qualche rimostranza da fare...le si spacca la testa in mille pezzi e si riprendono i soldi. E spesso si agisce così anche quando la bagascia in questione ha fatto un buon lavoro, o quantomeno passabile.

Ma con l'aguzzino...di solito si é incatenati. Talvolta lo si é anche su di un letto o dentro ad un'alcova, se a qualche cliente piace particolarmente violento e brutale.

Ma dentro ad una cella di prigionia o di supplizi...lo si é sempre. I ceppi a mani, piedi o entrambi non mancano mai.

L'unica possibilità é che il sadico commetta un errore, magari lasciandoci inavvertitamente liberi. Ed é allora che scatta la ritorsione. Ma limitarsi a ripagarlo con la stessa moneta e a restituirgli pan per focaccia sottoponendolo ed infliggendogli tutto quello che ha fatto passare a noi sino ad un attimo prima, per filo e per segno ed un'angheria dopo l'altra...non sarebbe sufficiente.

No. Non basta. Occorre, ci vuole di più.

La legge del taglione é superata, sorpassata. Obsoleta. La classica quanto abusata regola dell'occhio per occhio e del dente per dente non può dare e fornire adeguata compensazione e soddisfazione, in casi come questi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Personalmente non avrebbe saputo quantificare con certezza assoluta quanta strada gli era dovuto toccare di fare a piedi, per poter raggiungere finalmente quel cazzo di castello.

Solo, gli sembrava di stare camminando da tempo ormai immemore.

Da un'eternità, o giù di lì. Grossomodo.

Il gonfiore ed il dolore estremi gli rendevano difficile quantificare il tempo impiegato e lo spazio ed i metri percorsi. Così come gli rendevano complicato il ragionare. Qualunque tipo di pensiero o di considerazione.

Avrebbe dovuto essere stanco morto, come minimo. Completamente stremato. Ed invece...non lo era affatto. Per nulla.

O meglio, lo era. Lo era eccome. Però non se ne rendeva affatto conto.

Non se ne rendeva più conto, così come non si curava più di un sacco di altre cose.

Sembrava si limitasse a lasciarsele scivolare addosso, come le grosse e gravide gocce di pioggia che compongono un violento acquazzone. O come quelle della rugiada intenta a scorrere sulla superficie delle foglie all'alba di un nuovo quanto livido mattino.

Verdi o marroni, a seconda delle stagioni. Ma in ogni caso...tutta quella pesante cappa di bruma ed umidità a quell'ora così presto non poteva certo esser foriera di buoni auspici.

Per niente.

Non sembrava badare nemmeno a dove stesse di preciso mettendo i piedi. E neanche a cosa gli stava davanti, dato che stava tenendo lo sguardo basso e rivolto verso il polveroso suolo.

A vedere le punte dei propri scarponi mettersi l'una davanti all'altra, in alternanza.

Pareva un automa. Un autentico automa. L'unico meccanismo che conosceva e che aveva a sua disposizione per evitare di sprofondare oltre le porte che conducevano al regno della follia.

Un viaggio di sola andata, dove in genere si finisce immersi fino alla cintula in paludi colme di sabbie mobili, da cui non se ne esce più. Se non da morti, appunto.

Non esiste alcun tipo di ritorno, da quel sentiero.

Poi, un bagliore. Che lo costrinse a recuperare un minimo di attenzione e di concentrazione, e a sollevare di scatto la testa. Fosse anche solo per poter capire da dove diavolo provenisse quell'accecante quanto insistente baluginare.

Senza quasi rendersi conto era giunto nei meandri della capitale.

La città principale. Il cui nome proveniva e forse voleva anche omaggiare la scuola e l'arte mortale di cui era detentore chi la stava governando, dato che rimandava all'astro principale della sua costellazione tutelare. E che essa rappresentava, raffigurandola addirittura sui suoi vessilli e stendardi.

La Croce del Sud.

La più grande e maestosa città del regno costruito da The King.

Dal Re Shin. E che ne costituiva il nucleo vivo e pulsante. E anche luccicante e splendente, a giudicare dalla luce che emanava.

I palazzi e i grattacieli, se pur mezzi diroccati come qualunque altra struttura abitativa e non che si sarebbe potuta trovare nei tempi successivi al conflitto atomico, emanavano una sorta di aura maestosa, alla pari di un maestro delle tecniche di combattimento.

Parevano realizzati in marmo o in alabastro, anziché comune quanto volgare cemento. E nel caso dei più luminosi ed appariscenti tra essi persino di perla, a giudicare dalle reminescenze lattiginose e violacee delle loro pareti.

Non era che un gioco di luce, dovuto ai raggi del sole che stava ancora bello alto in cielo, e che si abbatteva sulle mura degli edifici dando vita a quell'effetto. Ma restava egualmente notevole quanto affascinante.

Era giunto nella via centrale. La strada più importante e nevralgica, che conduceva dritto dritto filato al palazzo reale.

Scorgerlo fu pressoché un gioco da ragazzi, o grossomodo qualcosa del genere.

Tra le tante lì era la struttura più grande sia in altezza che in larghezza, estendosi in entrambi i casi ben oltre le misure esibite e sfoggiate dalle sue vicine, sorelle nonché concorrenti, sotto certi aspetti. Perché lì era come se facessero a gara, pur appartenendo alla stessa città ed occupando il medesimo suolo.

Inoltre, nemmeno ella era rimasta immune ai giochi ottici causati dalla gigantesca ed ancora bella vispa nana gialla che con le sue radiazioni provvedeva a temperare e riscaldare il terzo pianeta del suo sistema, in ordine di vicinanza. Con l'unica differenza che brillava come l'oro.

Proprio come e alla pari di un lingotto d'oro formato gigante non costruito, ma piuttosto piovuto un bel giorno così, all'improvviso giù dal cielo. Ed arrivato chissà da dove.

Se Jagger rimase stupito da tale visione, ed in modo superiore rispetto a quanto lo avevano sorpreso i grattacieli vicini e confinanti almeno quanto lo erano le sue dimensioni rispetto ad essi, ebbe l'accortezza di non darlo a vedere. Almeno esteriormente.

Perché non era proprio possibile che tale beltà e meraviglia lo lasciassero del tutto indifferente, anche ad uno come lui che della bellezza se n'era sempre bellamente sbattuto e fottuto.

Per uno come lui le cose si giudicavano dal punto di vista prettamente pratico, e cioé in base alla loro utilità.

Una donna vale l'altra, se l'unico modo di prenderle che si conosce é da dietro e per le terga dopo averle sbattute ripetutamente con la testa contro al muro fino a fracassargli e staccargli mezzo setto nasale. Chi se ne incula se sono belle o meno?

Quel che conta é che ce l'abbiano bella stretta, o quantomeno non troppo sfondata a furia di prender cazzi. Anche controvoglia, il più delle volte.

E una fica non conta che sia bella da guardare. Ma solo buona da chiavare.

Per lui le donne erano solo fica. Solo quello. Nient'altro.

Qualunque fosse stata la sua impressione, si limitò a tenersela dentro. E tutta per sé.

Degnò il palazzo a malapena di un'occhiata, e preferì rivolgere il proprio sguardo direttamente sulla sommità della terrazza principale con tanto di sontuosa balconata messa ad opportuno decoro e supporto, come alla ricerca di qualcuno. Dove sapeva che c'era, che ci sarebbe stato senz'altro qualcuno.

Doveva esserci per forza qualcuno, ad attenderlo ed aspettarlo. Ed infatti...c'era.

Shin.

Aveva recuperato un altro mantello, per l'occasione. E si trovava proprio nel mezzo dello spiazzo, vicino e nei pressi della ringhiera, anche se non la stava afferrando né toccando.

Lo osservava sempre con quella carica di sommo quanto profondo disprezzo, e sembrava aver recuperato la sua tipica superbia mista ad alterigia e supponenza.

Anzi...a dirla tutta non é che l'avesse mai persa. Nemmeno prima.

Se non nel potere, nelle capacità e nella quantità e negli ettari di terre e di territori conquistati almeno nel carattere, nell'attitudine e nel comportamento il maestro del Sacro Pugno dell'Aquila Solitaria di Nanto era in tutto e per tutto simile a quello di suo fratello maggiore Raoul.

Uno come quello doveva giudicare tutti gli altri esseri umani inferiori, indegni di stare davanti in sua presenza ed al suo cospetto. Ed in quanto a lui...doveva giudicarlo ancora più inferiore degli altri.

Ma non importava. Doveva tenerselo buono, in qualche modo. E seguitare a far finta di nulla.

E' una pura quanto semplice questione di strategia. E di diplomazia.

Aveva già deciso e stabilito a priori e in precedenza che qualunque cosa avesse riguardato personalmente lui e lui solo e soltanto, non sarebbe rientrata nel conto.

Per ora, almeno. Al momento giusto glielo avrebbe presentato e gliel'avrebbe fatta pagare pure a quello stronzo di un biondo capellone, e pure bella salata. E con tanto di interessi.

Aveva appena iniziato ad imbandire ed imbastire il tavolo necessario a contenere il ricco, pasciuto, gustoso e succulento banchetto della vendetta.

Quelle erano solo le basi. Le basi delle basi. E già promettevano molto bene.

Perché suo fratello Raoul non considerava nessuno alla sua altezza, mentre con Shin non valeva lo stesso discorso.

Vi era una profonda differenza. Fondamentale. Per Shin vi era, esisteva al mondo una persona che considerava come sua pari, e che riteneva alla sua altezza e degna di lui.

La sola e l'unica. Al punto che forse era lui a ritenersi degno di lei, e non il contrario.

E Jagger doveva per forza puntare e giocarsela tutto su quello, se voleva almeno avere una possibilità di spuntarla e tornarsene a casa indenne.

E dopo, non gli sarebbe rimasto altro da fare che vedere se la pensata che aveva avuto si sarebbe rivelata indovinata ed esatta.

“Mi auguro solo che tu non abbia l'ardire di osare entrare qui dentro conciato a quel modo!!”

Era stato Shin, ad aver appena finito di emettere quella sentenza. E pure a voce bella alta e chiara, volutamente, per fare in modo che lui potesse sentire.

E la sparata dovette fare senz'altro effetto visto che Jagger si arrestò di colpo, come a voler aspettare o chiedere eventuali delucidazioni in merito prima di proseguire.

Delucidazioni che non tardarono certo ad arrivare.

“La tua faccia” precisò il guerriero dalla bionda chioma. “La tua faccia fa semplicemente schifo. E mi genera ribrezzo al solo vederla. Il tuo volto mezzo deforme é ributtante, a dir poco. Non puoi anche solo pensare di presentarti al mio cospetto così. E nemmeno sperare di mettere piede nella mia dimora. La infangheresti e la disonoreresti. E io non potrei assolutamente sopportarlo vista la cura, il tempo e la fatica che mi sono costate per farla erigere e mettere in piedi. La mia fortezza deve rimanere candida, pura, lucente ed immacolata. Proprio come la creatura a cui l'ho voluta dedicare.

“Questa casa, la MIA casa...é stata fatta e progettata per ospitare un'autentica DEA. Non sono ammessi gli storpi e i mostri.”

La creatura a cui l'aveva dedicata.

Perfetto. Bingo.

Era come pensava. Era proprio tutto come pensava.

“Osserva le due file che hanno formato i miei uomini disponendosi l'uno di fianco all'altro” gli ordinò poi. “E segui il sentiero che hanno creato. Ti condurrà dritto all'arsenale e all'armeria del castello. Là tra gli equipaggiamenti, i rifornimenti e le munizioni varie vi sono anche corazze, armature, protezioni ed elmi. Potrai trovare e rimediare ciò che ti serve per nascondere e celare quell'orrore. Allora, e soltanto allora...ti farò il favore o l'onore di concederti udienza. Non un minuto prima.”

Jagger prese a guardarsi sui lati, a destra e a mancina in alternanza. E con una certa sollecitudine, anche.

Shin sembrava già infastidito di per sé, e non ci teneva ad indispettirlo ulteriormente. Altrimenti, l'unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato il concreto rischio di compromettere e di mandare definitivamente a monte la sua possibile collaborazione nonché l'intera operazione che aveva architettato. E forse...

E forse avrebbe persino ricevuto qualcosa di peggio.

Uomini, aveva detto. Quali uomini?

Quali uomini, per la miseria? A che si stava riferendo, di grazia?

Che cazzo intendeva? Di cosa stracazzo stava parlando, quel grandissimo bastard...

Ah, si. Ecco.

I soldati si erano disposti proprio come il loro capo aveva comandato, formando un corridoio umano che procedeva lungo una linea prestabilita. Che si inoltrava fin dentro al castello

Proprio così. Nel modo in cui si erano disposti, all'unisono e senza minimamente fiatare o esitare, gli stavano ad indicare una strada ed una direzione ben precise. Che avrebbe fatto senz'altro meglio a rispettare ed imboccare. E pure alla svelta, e con una certa qual sollecitudine.

Inoltre, pareva che lo stessero invitando ad entrare. E anche quello doveva avere tutta quanta l'aria di essere uno di quegli inviti che non si possono assolutamente rimandare. Men che meno rifiutare.

Meglio muoversi, dunque.

Era decisamente meglio e più saggio muoversi, e sbrigarsi, fin tanto che gli aveva concesso l'occasione.

Era pur sempre una possibilità, dopotutto. E Jagger non cercava che quello.

In tutta quanta la sua vita infame non aveva mai chiesto altro che una possibilità di cavarsela, in qualunque genere di situazione o pericolo si fosse mai venuto a trovare.

Sopravvivere, ecco cosa gli interessava.

Solo su una cosa si era intestardito oltre ogni dire e limite. Solo una. Ma soltanto perché aveva sempre creduto che gli spettasse di diritto, ad uno come lui. Talmente umile ed ossequioso che non aveva mai preteso né chiesto nulla.

Solo quella volta si era lasciato guidare dalla passione. E non avevano voluto accontentarlo.

Beh, peggio per loro. Peggio per tutti quanti loro.

Non volevano dargli la successione? Voleva dire che se la sarebbe presa da solo, per proprio cnto.

E se davvero non poteva essere sua...allora non lo sarebbe stata di nessuno.

Nessun altro. Era chiaro?

Ecco. Era quello. Era quello il punto di incontro e di convenienza con Shin.

Almeno su quello parlavano la stessa lingua. Anche se nel caso del biondino non si trattava certo della successione, visto che quella del suo pugno e della sua scuola l'aveva già bella che ottenuta.

Doveva essera abile a giocarsi bene le sue carte. Anzi...la sua unica carta, poiché non ne aveva altre da buttare sul banco.

Doveva giocarsela alla perfezione, se voleva avere anche solo una chance.

E l'avrebbe avuta.

Oh si, se l'avrebbe avuta.

Era più che pronto a scommetterci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quante scalinate avesse fatto non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui, con certezza.

Nemmeno lui che le stava facendo di persona. E questo doveva rappresentare davvero il colmo.

E dire che quel dannatissimo palazzo non gli aveva dato certo l'idea di essere così tanto vasto, al suo interno. Almeno visto da fuori.

Certo, era imponente. Ma, una volta varcata la soglia, non si aspettava una così gran moltitudine di sale.

Per lui era stato pressoché impossibile non buttarci un occhio, mentre vi passava davanti e di fianco una dietro all'altra. E a più riprese, anche.

Ve n'erano di ogni. E un residente più accorto e con una spiccata propensione ai bagordi e alla gozzoviglia più sfrenata non avrebbe esistato un solo attimo ad utilizzarli come sede di sontuosi banchetti e orge. Ed invece...

Invece erano tutte quante vuote. Deserte. Desolate e spettrali.

Ma a che scopo? A cosa serviva farne così tante e di così numerose, se poi non si riempivano?

Almeno lui e suoi sottoposti, l'unica che avevano, l'avevano sempre sfruttata a dovere organizzando ammucchiate e libagioni a non finire.

Con vino, bevande e liquori che scorrevano a fiumi e fica a volontà. Con carne nuda e cotta sulle tavole imbandite, appena levata e tolta dagli spiedi e dai girarrosti. E bella tenera.

E poi tutt'altro tipo di carne tra i cuscini, sulle brande, sui materassi o per terra. O persino in piedi o attaccati sui muri. E di tutt'altro genere e tipo.

Sempre nuda, il più delle volte. Ma cruda. E bella soda e piena.

Nonostante l'aspetto oltremodo regale, quella reggia sembrava come abbandonata.

Un rudere cadente e caduto in rovina, a dispetto di tutto quanto lo sfarzo così ostinatamente mostrato ed ostentato. E col proprietario caduto in disgrazia.

Non lo si poteva nascondere, nonostante si facesse di tutto per riuscirvi.

Ma senza successo, ovviamente.

C'era di che poterci scommettere sopra, e pure con la certezza pressoché matematica di vincere.

Su che cosa? Ma sul fatto che lì dentro le due uniche parti utilizzate fossero la sala del trono con relativa balconata, che era quella dove lo stava sicuramente attendendo il biondo, e la camera da letto.

Magari pur sempre con un giaciglio matirimoniale a due piazze, in modo da star belli comodi. Ma utilizzato sempre e solo da uno soltanto.

No, Shin non dava affatto l'aria di voler dividere il talamo coniugale con puttane e troiacce varie ed assortite. Nemmeno per il gusto di cacciarle via a calci nel culo la mattina successiva.

Più che un maniero, pareva un mausoleo. Destinato ad un'unica persona. A rinchiuderla dentro di esso con tutta quanta la sua solitudine. Ed il relativo carico di paranoie, fissazioni ed ossessioni che essa comporta.

Si era limitato a seguire il corridoio di soldataglia al suo interno, comunque.

I fanti, rigorosamente in tenuta da battaglia e col casco dotato di ali sui lati secondo quanto prevedevano le regole dei loro battaglioni di appartenenza, lo osservavano tenendosi a debita e dovuta distanza.

Persino troppo, dato la maggior parte era sul bordo della scalinata.

Sembrava volessero tenere la maggior distanza possibile, da lui. Persino a costo di cadere e di precipitare all'indietro e poi di sotto, dato che non vi erano né cordoli né barriere.

Di sicuro il suo aspetto e le sue fattezze repellenti non aiutavano di certo, a giudicare dalle occhiate inorridite che si scambiavano e che gli lanciavano, seppur in modo del tutto inconsapevole.

Qualcuno, molto probabilmente dotato di adeguato pelo sullo stomaco in misura e quantità decisamente maggiori rispetto agli altri, dava di gomito e si lasciava scappare qualche risolino di scherno dandosi di gomito. Maligno quanto sommesso da dietro i loro caschi, dove evidentemente pensavano di essere al riparo ed al sicuro. Dai suoi colpi così come dalle sue opinioni in merito.

Veniva da chiedersi a quali orrori avessero mai potuto assistere, se giudicavano quella roba divertente.

Avrebbe voluto tanto ucciderli tutti, quei grandissimi bastardi. Uno dopo l'altro. Donandogli una morte lenta quanto atroce.

E i poteri che gli aveva conferito la Divina Arte di Hokuto gli avrebbero senz'altro consentito di farlo, e senza particolare sforzo o fatica.

Ma non poteva.

Meglio non avere né crearsi rogne, di nessun tipo, adesso. Aveva bisogno di loro.

Gli servivano.

Si limitò a ricambiare quelle occhiatacce con indifferenza ed indiscrezione.

Avrebbe tenuto e portato con sé, quell'insopprimibile rancore.

Lo avrebbe risparmiato per la prossima e successiva volta, in attesa di sfogarlo su chi ben sapeva.

Era arrivato, nel frattempo.

Varcò la soglia, e non appena fu dentro si mise ad osservare. Ma non si sarebbe potuto dire se con cura ed estrema attenzione, oppure con svogliatezza.

Il suo atteggiamento era pressoché indecifrabile.

Buttava l'occhio qua e là alla ricerca di qualcosa che potesse risultargli utile, oppure che lo colpisse e che potesse attirare la sua attenzone in qualche maniera.

Le vestigia appartenenti all'esercito di Shin erano impilate ordinatamente su appositi scaffali ed armadi di ferro, oppure ricavati da nicchie scavate nel muro.

Bracciali, cinture, elmi, caschi e schinieri. Le corazze, invece, stavano appese e tenute sollevate da terra da una fila di treppiedi. Sempre di metallo, oppure di legno.

Il medesimo discorso però non valeva per le attrezzature sottratte, rubate ed estorte agli eserciti rivali.

Il bottino di guerra. Quello che si prende dopo che le fazioni nemiche sono state sconfitte e debellate. Ed i loro componenti e rappresentanti assoggettati, deportati oppure uccisi.

Erano buttate ed ammucchiate in un angolo, senza particolare ritegno o rispetto. Come un mucchio spazzatura, o una pila di rifiuti, senza nemmeno predersi la briga di calssificare e di catalogare. O di fare almeno un inventario, che aiutasse a capirci e a racappezzarvisi qualcosa.

Stavano lì, e basta. Come ad attendere che a qualcuno tra i presenti potesse venire ad animarlo una scintilla di coraggio oppure di spirito di iniziativa di andare a spulciarvi lì in mezzo, alla ricerca di qualcosa di utile.

Beh...quel qualcuno, adesso, era arrivato.

Jagger puntò direttamente lì. Non gli andava di prendere qualcosa di loro. Preferiva cercare qualcosa tra le carabattole e le cianfrusaglie.

Buttò lo sguardo qua e là, questa volta freneticamente e con vistoso ardore. E...non dovette cercare poi tanto a lungo.

Eccolo. Aveva trovato qualcosa. L'aveva trovato.

Era semplicemente perfetto.

Si inginocchiò davanti ad esso, con una sola gamba, con la rotula destra tenuta poggiata ul pavimento. Con riverenza ed adorazione, come se si fosse improvvisamente trovato davanti a qualcosa di sacro.

“Oh...”

Persino il dolore pareva essere sparito, svanto. Di colpo e di botto.

Proprio vero, quando dicono che la sofferenza é principalmente dello spirito, e che dipende dagli stati d'animo. Ed in quel preciso e dato momento il suo, di animo...si doveva trovare al settimo cielo, come minimo.

Nero come la pece e la notte. O come il cuore di certi maniaci, depravati ed assassini prezzolati. Con una sorta di maschera intimidatoria dorata, piazzata a rinforzo sulla parte anteriore.

Gli ricordava tanto le immagini che aveva visto in passato, in un passato ormai remoto e lontanissimo. Perduto.

Alcuni libri e sussidiari trovati nel vano portaoggetti di ciò che rimaneva di un banco di scuola. Pieni zeppi di illustrazioni, tra cui qualcuna ambientata e risalente all'epoca Sengoku.

L'epoca delle grandi guerre.Il periodo degli stati belligeranti. Annil decenni di piccoli feudi in perenne lotta tra loro.

Niente di più e niente di meno come adesso, dopotutto.

Un'epoca di odio e di gloria. Di ferocia e di violenza, col sangue che scorreva a fiumi. E dove la pietà non aveva diritto di cittadinanza. E nemmeno di esistere.

Un'epoca di eroi.

L'epoca di Masamune Date. Di Masayuki e Yukimura Sanada. Di Kenshin Uesugi e di Takeda Shingen. Di Hanzo Hattori. Di Kanetsugu Naoe e del suo signore Kagekatsu. Di Sasuke Sarutobee. E del grande Keiji Maeda. Il suo prediletto e preferito.

L'era di Oda Nobunaga. Di Toyotomi Hideyoshi. E di Ieyasu Tokugawa. I tre grandi unificatori.

Un'epoca dove lui ci si sarebbe trovato ed avrebbe sguazzato a meraviglia.

Ecco. Quello, gli ricordava.

Gli ricordava tutto quello. Sembrava proprio uno di quelli indossati dallo Shogun, dai Daimyo o dai Samurai e dai loro vassalli minori quando si mettevano in marcia per scendere sul campo di battaglia, calcandolo coi loro calzari o con gli zoccoli dei loro cavalli e destrieri.

Lo afferrò con entrambe le mani, portandolo verso l'alto e sopra la propria testa come una reliquia.

Gli uomini di Shin lì presenti trasalirono, all'unisono. Senz'altro si stavano chiedendo e domandando se non fosse impazzito o avesse dato definitivamente di matto.

Perché esaltarsi tanto per un semplice quanto misero elmo, per di più consunto e mezzo sbrecciato?

Non lo capivano proprio. Ma lui, invece, capiva. E tanto bastava.

Tanto gli bastava.

Lo abbassò verso il capo e lo indossò. Non senza fatica, dato che dovette forzare un poco. Cosa che gli generò qualche fitta, che però trascurò tranquillamente.

Non gli interessava. Per la gioia non le sentiva nemmeno più, quelle stilettate continue e lancinanti.

Lo fece roteare ora a destra, ora a sinistra, per farlo adattare a quella che era ormai la sua conformazione del cranio. E che lo sarebbe stata per sempre, da lì a venire.

Perfetto. Ora calzava a meraviglia, come e meglio di un guanto.

Si toccò con le dita all'altezza degli zigomi, e percepì mediante i polpastrelli una leggera irregolarità sul davanti. Ma cosa poteva essere?

Notò quindi sulla propria destra una specchiera a muro, dalla piuttosto alta e dalla forma rettangolare, che ricordava un parallelepipedo messo a rovescio e poggiato su di uno dei lati più piccoli, facente la funzione di base.

Lo dovevano usare i guerrieri per rimirarcisi, molto probabilmente. E vedere così come gli stavano i vari capi, le corazze e le attrezzature e protezioni varie.

Proprio vero. Nemmeno una bestia rinuncia alla vanità, in certe occasioni.

Hanno ben ragione a dire che é il vizio preferito da Satana, tra i sette peccati capitali. Perché é quello in cui l'uomo incappa più spesso. Finendo poi per inciampare ed indulgere, invitabilmente.

In fin dei conti perché gli uomini come il biondo, il Sacro Imperatore Souther o suo fratello Raoul si prodigavano tanto a voler conquistare questo schifo merdoso di mondo a tutti i costi?

Perché amavano sentire il suono della loro voce, ecco perché. Così come volevano essere l'unica voce in circolazione ad udirsi. Anche se lasciavano che fossero le opere che avrebbero compiuto in futuro, a parlare in vece loro.

Le loro opere, le loro azioni e le loro gesta. E la loro forza.

Si ritenevano i più forti del mondo, e forse avevano pure ragione a pensarla così. Ma per esserne davvero sicuro devono essere gli altri, a dirtelo. E a dimostrartelo, con la paura ed il terrore che provano nei tuoi confronti quando ti vedono passare e si prostrano al tuo cospetto.

Ci tenevano, a dimostrarlo. Volevano, amavano dimostrarlo. Con la morte e l'uccisione spietata di tutti loro nemici e di chiunque osasse ostacolarli o anche solo intralciare la loro strada o il loro cammino.

In ogni caso...era e si trovava lì per quello. Il che voleva dire e stava a significare che poteva usarlo benissimo e tranquillamente pure lui.

Gli si avvicinò lentamente, quasi con estrema cautela e circospezione. E tradendo una certa qual ansia. Quasi che avesse timore per quel che la superficie riflettente avrebbe avuto da offrirgli. E mostrargli.

Cominciò con l'allungare un braccio, forse giusto per tastare con mano la capacità di riverbero del vetro.

Vide il proprio arto riflesso, ovviamente. E seppe valutare all'istante.

Era opaco e polveroso da far paura e spavento. Ma il suo dovere ed il suo lavoro li compiva ancora egregiamente, tutto sommato. Anche se doveva sicuramente aver visto giorni senza dubbio migliori.

Magari in una boutique. Dal negozio di abbigliamento da dove lo avevano trafugato e prelevato, visto che aveva tutta quanta l'aria e l'aspetto di provenire da un posto come quello.

Era pressoché inutile indugiare oltre.

In un attimo coprì la distanza che separava il resto del suo massiccio corpo dalla perete a specchio e ci si piazzò davanti, a figura intera.

Ed eccolo spiegato, il motivo di quel misterioso rilievo che aveva sentito poco fa.

L'aveva già visto, in realta. E non appena si era accorto della sua presenza all'interno della stanza.

Lo aveva notato sin dal primo momento in cui gli aveva messo sopra i suoi occhi bramosi. Ma il buio in cui se ne stava nascosto e rintanato prima di finire tra le sue mani non gli rendeva certo giustizia.

Ma adesso, complice un filo di luce che penetrava dalla finestra sempre aperta che si trovava ad un paio di metri di altezza e sempre alla destra di lui, e che la provvidenza volle far cascare proprio nel punto in cui stava stazionando ora...lo spettacolo poteva manifestarsi in tutta quanta la sua completezza, per suo sommo quanto ulteriore gaudio.

Che avesse indosso una maschera non era questa gran novità, e non avrebbe dovuto costituire poi questa gran scoperta.

Se n'era già accorto da un pezzo, dato che nonostante le fitte continue e costanti di dolore era ancora abbastanza lucido da ricordarsi quel che aveva fatto appena un minuto prima ed addietro.

E poi perché era proprio quel particolare ad avergli rimembrato e fatto pensare agli esponenti della nobiltà e della classe e casta guerriera che da sempre aveva contraddistinto il suo paese. E di cui la sua famiglia ed i suoi avi dovevano quasi certamente far parte, senza alcuna ombra di dubbio.

Risaputo e già accennato pure questo, comunque.

Nero come la notte, si diceva poc'anzi. E fatto e realizzato apposta per spaventare e terrorizzare i nemici, in modo da togliere loro lo spirito e la volontà e forza combattive al solo vederlo.

Ma adesso che l'aveva messo, e che ce l'aveva finalmente indosso...davvero non se lo immaginava.

Non si sarebbe mai immaginato una cosa del genere. Non avrebbe mai pensato ad una simile bellezza.

Non poteva pensare che gli stesse così bene. Che gli calzasse così a pennello.

Gli stava pressoché su misura. E quella maschera sul davanti, poi...

Ora che la luce gli si stava riflettendo sopra facendola brillare, stava rivelando tutto il suo splendore e valore.

Bella era già bella. Ma non pensava che fosse così stupenda. Davvero.

Nella sua lucentezza la si poteva paragonare senza nessuna paura ai palazzi e alle soluzioni architettoniche che se ne stavano lì di fuori e che col loro aspetto maestoso e rigoglioso davano lustro a prestigio all'intera città. E che tanto lo avevano sopreso, e lasciato così meravigliato ed ammirato. Anche se aveva preferito non darlo a vedere.

Meglio ribadirlo, che non si sa mai.

La celata, già notevole di per sé, dovea essere senz'altro in bronzo. Ma emanava dei bagliori e dei riflessi tali da farla sembrare di un metallo assai più nobile e pregiato. Di quello che nella categoria e graduatoria dei minerali preziosi sta appena sopra all'argento e e appena sotto al platino. Anche se in realtà gli dovrebbe stare come minimo alla pari, che meglio di lui esistono solo i diamanti.

Scintillante come quei filoni e giacimenti e pagliuzze allo stato grezzo che si possono trovare nelle rocce sul fondo di un'umida ed antica caverna secolare se non addirittura millenaria, oppure sul greto o nel letto di un fiume sotterraneo dopo che lo scorrere dei suoi flutti li ha incessantemente trasportati e condotti nell'altrettanto lungo corso delle ere, sino a depositarli in un'ansa o in un tratto più tranquillo e pacioso. E presentava appena sopra ai lati dei motivi frastagliati che ricordavano la parte terminante di una colonna di stampo corinzio. Quella appena sotto al tetto di un edificio risalente al periodo classico e greco – romano.

Piazzati senz'altro a rinforzo e a protezione delle tempie oltre che per abbellire, ovviamente.Ed ulteriormente impreziositi da tre pietruzze rosse. Tre rubini disposti in verticale, a fianco delle orbite.

Appena sotto di esse e dell'alloggiamento destinato a fare spazio al naso partiva una griglia i cui denti erano piegati in modo da confluire verso il centro, con quello in mezzo decisamente più grosso e vistoso rispetto agli altri. E con i due piazzati all'estremita che erano decisamente più ritorti e ricurvi, al punto che si rivolgevano in avanti e a chiunque avesse avuto l'ardire di stare e piazzarvisi di fronte.

Ricordavano le zanne di una belva. Di un animale selvaggio e feroce. O di un Asura, di un demone.

Di uno Shura. Uno di quelli che si diceva abitassero l'isola che stava al di là dell'unico mare ancora esistente.

L'isola da cui sembrava che provenisse Raoul, visto che un giorno era stato lui stesso a raccontarglielo. Così come gli aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato indietro a conquistare anche quella. E con lui, Jagger, al suo fianco ed in testa al suo sconfinato esercito ed alle sue innumerevoli armate, in veste di luogotente.

Più che giusto, visto che il successore dell'Hokuto Shinken deve essere il braccio armato dell'imperatore, oltre che del destino e della morte.

Raoul diceva di venire proprio da laggiù. E anche Toki.

E...

Meglio non pensarci, a quello stronzo. Non voleva rovinarsi quel bel momento. Così come non ci teneva a rovinarsi ulteriormente una giornata già di per sé oltremodo pessima. Ma che se tutto fosse filato liscio, non avrebbe potuto che migliorare significativamente.

Pare che anche la classe combattente o meglio, la stirpe guerriera di quel luogo visto che di fatto erano tutti guerrieri e maestri e praticanti di arti marziali e di combattimento mortali, da quelle parti...

Pare che anche loro fossero soliti indossare una maschera. E in mezzo a loro, adesso come adesso, non avrebbe affatto sfigurato.

Così messo ed agghindato pareva proprio RAHKHSHASAH.

Sembrava veramente lui.

Il demone Rahkhshasah. L'onnipotente uomo – diavolo che comandava ed ordinava la distruzione, in ogni sua forma ed in tutte le sue declinazioni, a suo completo e totale piacimento. E che si muoveva solo col favore delle tenebre dato che esse erano, rappresentavano e costituivano da sempre il suo esclusivo regno e dominio.

Padrone e signore assoluto del fuoco, delle fiamme, dei fulmini e delle saette. Che usava per scatenare incendi, temporali, tempeste e nubifragi.

Si rimirò ancora, fiero e soddisfatto.

Era incredibile. Pazzesco, a dir poco.

Quel ritrovamento inaspettato quanto improvviso, quella sorta di regalo di pietà da parte di uno che disprezzava alla pari del suo più acerrimo rivale e nemico, uniti alla visione che ne era scaturita dopo che se ne era impossessato e che se lo era messo...dovevano aver genrato un autentico prodigio, come minimo.

Avevano dato vita ad un miracolo.

Aveva la mente e la testa confuse, metre era giunto fin lì. Le gambe gli reggevano a fatica, e persino un'operazione semplice quanto banale e scontata come il misero camminare e deambulare gli erano costate il prezzo equivalente di un supplizio. Di una tortura.

Nonostante ciò, era riuscito a trovare e ricavare da un angolo, da un barlume residuo di concentrazione e di presenza mentale il coraggio e la spavalderia di affrontare a viso aperto e a muso duro il signore del castello. Il biondo padrone di quella miserabile baracca.

Ma subito dopo si era reso conto di averlo sottovalutato, e di aver rischiato quasi di morire.

Non ci voleva. E proprio prima di poter mettere in atto i suoi piani. L'intrigo che aveva architettato con così tanta cura.

Non poteva più permettersi né concedersi il lusso di compiere simili quanto madornali sbagli ed errori di valutazione. Da ora in poi avrebbe dovuto procedere con la più massima ed estrema cautela.

Questi pensieri, uniti all'ansia per le sue precarie e disatrose condizioni fisiche e della sua faccia, lo dovevano aver mandato in subbuglio ed in confusione.

Aveva le idee così chiare, prima di arrivare a tu per tu con Shin...

Ma adesso come adesso non ne era più così tanto sicuro.

Non era più certo e convinto delle sue azioni e delle sue scelte.

Non sapeva cosa fare, né che pesci pigliare. Al punto che l'idea di ritrovarsi di nuovo davanti al maestro del NANTO KOSHU – KEN, del Pugno dell'Aquila Solitaria, fosse anche solo per parlare, lo terrorizzava.

Non avrebbe retto di nuovo il suo sguardo. Quel suo sguardo così carico di commiserazione e disprezzo. Non un'altra volta.

Non ci teneva assolutamente a rivederlo, al punto che il tempo impiegato nella ricerca e nella scelta di un copricapo per rendersi presentabile gli era sembrato costituire un notevole quanto piacevole diversivo.

E dato che nulla accade mai per caso, specie e a maggior ragione per un maestro di Hokuto quale era lui anche se i più compreso quel gran bastardo si ostinavano a non voler riconoscere né ammettere e men che meno accettare...

Alla fine quel tempo che a prima vista era sembrato come perso e sprecato si era invece rivelato fondamentale.

Sia la paura che il male non c'erano più, adesso.

Svanuiti, scomparsi ed estinti. Come se non ci fossero mai stati. Come se non fossero mai esistiti.

Come se non li avesse mai avuti.

Quell'elmo e quella maschera da battaglia gli avevano donato ed infuso nuova forza.

Avevano saputo dargli un nuovo potere. Quasi una nuova consapevolezza.

Ora si sentiva libero, raggiante e pieno di energie.

Le gambe gli reggevano di nuovo. E sentiva i muscoli del suo corpo divenire sempre più forti e possenti col passare dei secondi.

La sicurezza e la fiducia in sé stesso gli erano tornate, come per megia.

Contrasse ed irrigidì i muscoli del torace, del petto, delle spalle e del collo, coi tendini che presero a tirargli mentre gli entravano in tensione, gonfiandosi come tubi di ferro.

Rise.

“Ah ah ah ah...sì...” proclamò, mettendosi a sghignazzare.

Una sensazione di estremo piacere lo invase, da capo a piedi.

Ora sapeva di nuovo cosa voleva, e quel che voleva.

Vendetta.

Vendetta. Ecco quel che voleva.

Vendetta. E morte per i suoi nemici. Per tutti i suoi nemici.

Per il suo più grande nemico. Per colui che rappresentava da sempre la sua minaccia e nemesi.

Morte, per lui. Per poi dissetarsi e sguazzare immerso nel suo sangue.

Totalmente immerso ed in ammollo nel suo sangue ancora caldo, vivo e pulsante agli ultimi battiti e all'ultimo pulsare delle sue arterie ormai squartate, squarciate e recise.

Era pronto, adesso. E ritenne doveroso dirlo.

Ritenne doveroso annunciarlo a tutti i presenti. E anche a chi non lo era.

A tutti quanti. Al mondo intero.

Che si tenessero pronti.

Che si tenessero pronti, perché...

Perché il successore era tornato.

Il vero e legittio successore dell'Hokuto Shinken era apparso.

Era riapparso, finalmente.

Attenti a tutti voi.

Si voltò di scatto, fremente, con le braccia e le mani tenute ben larghe, con le dita altrettanto distanziate e contratte come artigli.

“Sono pronto” annunciò, trionfante. “Mandatemi dal vostro capo. Voglio parlare con lui. Mandatemi da Shin!!”

“Bifolco!!” esclamò un soldato. “Razza di verme! Come osi chiamarlo così? Come osi chiamarlo per nome e senza titolo onorif...”

Non terminò la frase, perché esplose in mille pezzetti spargendo sangue e budella tutt'intorno insieme a qualcosa contenuto in esse, dato il maleordorante fetore che accompagnò la sua fulminante quanto raccapricciante dipartita.

Nessuno aveva visto arrivare il colpo.

I restati, nonché superstiti, trasalirono. Non era più il caso di scherzare o di burlarsi dell'ospite, e quest'ultimo non mancò di farglielo adeguatamente notare.

“Portatemi da Shin” ribadì Jagger, “Subito. E farete meglio a obbedire e a fare quel che vi dico, se non volete fare la stessa fine di quel povero stronzo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Nel mio caso...si procede, dai.

E' arrivata ormai la primavera. E l'inverno, a parte qualche raro colpo di coda, é ormai alle spalle anche stavolta.

L'inverno, già. Col suo carico di tristezze e pensieri foschi.

E' una stagione che amo ugualmente, comunque, anche se in genere per via dei miei acciacchi nel corso degli ultimi anni ho cominciato a preferire i periodi caldi.

Certo, potrebbe piovere un po' di più. Che ormai, dal punto di vista del clima, qui si é rovesciato tutto.

Nevica in Sicilia e abbiamo la siccità in Lombardia.

Beh, come dico sempre io...un po' per uno, gente. In fin dei conti fino ad ora é andata sempre bene a noi.

Cercheremo di farci dare qualche dritta su come cavarcela. Anche se un buon punto di partenza sarebbe di cominciare a non sprecarla.

Perché nonostante l'emergenza, milioni di metri cubi continuano a essere buttati con noncuranza.

E' un bene prezioso. Iniziamo a capirlo, o faremo ben presto la fine di quelli che vivono o meglio, sopravvivono nel mondo del nostro Ken.

Pronti ad ammazzarsi l'un l'altro per una tanica d'acqua.

Vogliamo davvero arrivare a questo, gente?

Comunque, tornando a prima...decisamente meglio la primavera.

Meno umidità, meno dolori. Ragiono proprio come un vecchio...

Anche l'inverno ha una sua bellezza recondita, per carità. Ma il buio e il freddo ispirano tristezza, e come vi dicevo la volta scorsa non sono reduce da un grande periodo.

Adesso piano piano le cose si stanno risistemando, anche grazie al mio aiuto e sostegno.

Non c'é niente da fare. Il mondo intero, la vita stessa corrono a una velocità pazzesca, e a momenti non ci lasciano nemmeno il tempo di piangere i nostri morti.

Per parafrasare una nota canzone...svaniranno dalla nostra mente piena, e alla fine non rimaranno soltanto che un'impressione, che ricorderemo appena.

Forse sarà poco, forse non sarà abbastanza, ma quando proprio non si riesce a fare di meglio teniamoci almeno stretta qualla piccola sensazione.

E' la prova che loro sono ancora qui. Con noi. Che ci sono ancora.

Alla fine non chiedono molto. Vogliono solo che ci si pensi, qualche volta. E che ogni tanto ci si ricordi di loro.

Niente di più.

Ma cambiamo decisamente argomento, adesso.

Riguardo al mio romanzo originale...E' STATO REGISTRATO!!

Ci tengo ad annunciarvi che la registrazione presso il deposito delle opere inedite é andata a buon fine.

Sono riuscito a raggranellare il gruzzoletto necessario a spedirlo, e per fortuna é andata a buon fine.

Ora non resta che la ricerca di un editore. Che prevedo come lunga, faticosa e affannosa.

Sì perché, entusiasmo a parte, non siamo che all'inizio. La strada é tortuosa.

Ho lanciato una palla di neve nell'inferno. Vedremo che ne verrà fuori.

Con l'anno nuovo ho anche ricominciato, come avevo già accennato ad alcuni di voi, con una mia vecchia e antica quanto mai sopita passione.

Gli sport da combattimento.

Putroppo non posso tornare a praticare la mia amata thai – boxe, perché al momento ho le gambe dvaeero troppo malmesse per poter tirare calci e ginocchiate.

Ma con un paio di scarpe posso correre e saltellarci sopra.

E' abbastanza, per ora. E' sufficiente.

Quindi...ho deciso di ripartire dal pugilato.

Dalla boxe. Dalle basi, come diceva il grande Apollo Creed.

Ho trovato una piccola palestra piuttosto spartana, dalle mie parti.

Pochi atleti, e un istruttore dannatamente in gamba.

Ma soprattutto...un enorme murales del nostro amato Joe all'ingresso.

Sì. Joe. Proprio lui. Se non é un segno del destino questo...

Pazzesco. Davvero. Anni fa una roba simile era impensabile.

Gli anime e i manga hanno sfondato, gente. Ormai non solo li trovi dappertutto, anche nei supermercati.

Sono entrati di prepotenza nell'abbigliamento, nella moda, nell'arredamento.

Forse non arriveremo mai ad avere un quartiere commerciale come Akihabara qui in centro a Milano, ma...chissà.

Tra una trentina d'anni forse sì.

Mi ci vedo, da pensionato, girare per i negozi alti otto piani strapieni di appassionati che leggono e comprano fumetti e videogames, invece di finirmene a guardare i cantieri come un anonimo “umarell” qualunque.

Del resto, dopo che hanno piazzato una statua gigante di Goldrake a Riyadh (e pare che ne faranno pure una a Torino)...tutto é diventato possibile.

Si stanno realizzando i nostri sogni, finalmente.

E' una meraviglia poter parlare sul laoro coi colleghi più giovani di cartoni animati.

Loro mi consigliano L'Attacco dei Giganti, Demon Slayer (bello), Made in Abyss (stra – bello. Meraviglioso, direi), Naruto, Dragonball (Super, però), One Piece, One Punch Man, Chainsaw Man...io gli consiglio Ken, i Cavalieri, Rocky Joe, L'Uomo Tigre, Cowboy Bebop, Forza Sugar, i robottoni, Holly e Benji...

Che comunque conoscono, come personaggi. Anche se alle volte solo per sentito dire.

Li considerano leggende. Al grido di “Ohé! Ma sai che una volta facevano dei cartoni della Madonna, in televisione!!”

E giù a recuperarli, anche grazie ai consigli di noi fan di vecchia data. Che tanto oggi grazie alla rete é un attimo.

Mica come noi, che dovevamo aspettare le repliche!!

Non so voi, ma io alla loro età di queste cose potevo parlarne solo con la mia ristrettissima cerchia di amici uniti dalla mia stessa passione.

Se solo osavi tirarle in ballo in mezzo al resto delle altre persone venivi considerato un CRETINO, punto.

E non solo dai tuoi coetanei, aggiungo.

Comunque, riguardo al maestro di boxe lo sapevo. Gli insegnanti migliori li trovi proprio nei posti a cui non daresti due lire.

Danpei Tange non é solo un'invenzione di fantasia.

E' dura, eh. Anche perché il maestro in questione mi ha messo in guardia già da subito.

Anche se lì dentro sono quello più avanti con gli anni, sono l'ultimo arrivato.

Praticamente una recluta, ragazzi. E in quanto tale...trattamento da recluta.

Niente sconti.

Ho terminato le prime lezioni che quasi piangevo per il male, con la schiena che sembrava sul punto di spezzarsi in due da un momento all'altro.

Mi veniva da imploragli di darmi un attimo di tregua, che di questo passo mi rompevo.

Ma se c'é una cosa che gli anime da sempre ci insegnano é che, una volta superato il momento di crisi, ti rialzi e vai avanti. E cresci.

Ed é stato un enorme piacer scoprire che non ho divuto ripartire proprio da zero, per fortuna.

E' stato come ritrovare un vecchio amico. Una parte di me stesso che pensavo di aver dimenticato per sempre.

Ma non era morta, no. Solo sepolta sotto anni e chili di problemi, routine, impegni, lavoro, famiglia, menate, responsabilità e, come amo dire sempre io...cazzi e mazzi vari e assortiti.

Ma c'era ancora. Ho solo dovuto levarle la ruggine di dosso.

Come diceva una altro grande, ovvero Rocky Balboa nel suo ultimo film da solista prima di confluire nella saga parallela di Adonis “Donnie” Creed...

La bestia é ancora lì dentro che scalpita. E ora é felice di aver riottenuto quello spazio che per più di dieci anni, per cause di forza maggiore, le aveo dovuto negare.

Mia figlia, che pratica Karate, é felicissima. Anche se un giorno mi vorrebbe tanto lì a fare Karate con lei.

Un giorno, senz'altro. Non oggi. Lei ha la sua strada, da seguire. E non voglio interferire.

La mia dolce metà é contenta, vuole solo che stia attento e che non faccia sciocchezze.

Ma lei per prima ci teneva.

Sa. Conosce quel lato di me che non si é mai lasciato soffocare.

Sa che ne avevo bisogno. E me lo ha concesso.

Perché mi conosce, e sa come sono fatto.

Se lei non é d'accordo, se sento che non é d'accordo con ciò che faccio...non ci posso riuscire.

Mi serve il suo “Win, Rocky. Win!!”

E' la mia Adriana. Ho bisogno di sentire il suo “Devi fare una cosa per me...VINCI!!”

E' merito suo se scrivo, dopotutto.

E a proposito...come potete vedere, in ambito fanfiction il lavoro va avanti, se pur a fatica.

E visto che si parlava di nuove produzioni...di recente mi sono intrippato con MY HERO ACADEMIA.

Ha un sacco di bei personaggi, con bei poteri e ben caratterizzati (Il mio preferito o meglio, la mia preferita? Beh. Tsuyu. Forse bruttina, ma simpatica. E ha un cuore d'oro. E' un'amica sincera, e forse per colui che considera suo miglior amico nutre anche qualcosa di più...ma sa che nel suo cuore c'é un'altra, e lo accetta), un protagonista un po' insulso.

No, scusate. PARECCHIO INSULSO, perché é un tale complessato che Shinji Hikari levati ma levati proprio. Ma con cui é impossibile non empatizzare.

Perché come da tradizione inaugurata da mitici personaggi come Rei, Shu o Shiryu...Izuku, il protagonista, soffre pur di realizzare ciò in cui crede.

Ma proprio tanto.

Soffre un casino. E subisce dolori indicibili.

Ha un sogno, purtroppo impossibile da realizzare perché l'unica cosa che gli servirebbe per realizzarlo la natura gliel'ha negata. Ma un tizio lo conosce, e decide di dargli quella possibilità.

Ma c'é un MA. Proprio come nelle fiabe col finale triste.

Vuoi una cosa? Puoi averla e io posso dartela, se davvero la vuoi. Ma sappi che il prezzo da pagare é altissimo. E non é detto che tu ne sia in grado, di pagarlo.

Ottiene quel che gli serve. Ma il suo corpo é nato senza le capacità di reggere quel dono, non é strutturato per sopportarlo.

Ogni volta che usa quel potere, le ossa e i muscoli gli fanno in frantumi. E si riempie di ferite da capo a piedi. E ogni volta guarire e rimettersi in sesto diventa sempre più difficile.

Dicevamo del tizio che gli ha concesso quel dono.

All – Might.

Il suo maestro e mentore. Un personaggio pazzesco, che una volta era un uomo normale senza poteri esattamente come Izuku.

Combatte da anni contro i cattivi e i super – criminali, e a furia di usare il potere che ha dato al protagonista si é ridotto a un vecchio pelle e ossa che si regge in piedi a stento.

Quado usa il potere il One – For – All, di colpo diventa una sorta di Superman muscolosissimo e potentissimo. Ma ormai può reggere la trasformazione per meno di un'ora al giorno.

Ma é popolarissimo presso la gente. É il simbolo della pace e della giustizia, finché c'é lui le persone si sentono protette e al sicuro. E i cattivi stanno alla larga.

Vedendo lui, Izuku capisce come si ridurrà in futuro.

Il One – For – All é una fiaccola. Non deve mai spegnersi, affinché il bene continui a esistere.

Per questo, a ogni generazione, deve venire trasmessa a un prescelto.

Però ti consuma. Ti consuma fino in fondo.

Ne vale la pena? Sì. Perché All – Might é dotato di un'umanità straordinaria.

Non a caso il suo autore ha sempre dichiarato di essersi ispirato a Goku.

Di nuovo quel discorso dell'altra volta sul fatto che molti manga odierni sono prevalentemente derivativi.

Ma non importa. E' pur sempre la stessa storia, quella che ci raccontano? Pazienza.

Se me la sai raccontare bene, ti ascolto.

Oggi conta soprattutto questo. Una bella storia da sentire. Chi se ne frega se l'ho già sentita centinaia di volte.

E ha ragione. All – Might, come Goku, ha la capacità di affrontare un tremendo destino come il suo con un semplice sorriso.

Alle volte non puoi fare altro. Sorridi, e vai avanti.

Mi sta piacendo. Molto. E vorrei scriverci qualcosa.

Vedremo.

Ma ora veniamo al capitolo.

Allora? Che ne dite? Qui ho di fatto ideato la genesi del famoso copricapo indossato dal nostro pazzoide preferito!!

E vi dirò, a costo di pronuciare un'autentica bestemmia...nelle ultime righe l'ho trovato persino FIGO.

Incredibile.

Prima di chiudere, il consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a quelli che ormai sono i miei fidati compagni di viaggio ovvero Devilangel476, Asrael (ex Kumo no Juuza. Mi toccherà recensire di nuovo tutta la tua storia sulle Hokuto no Ladies, mi sa), innominetuo (presto riprenderò con le recensioni, promesso) e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

Lo scorso Dicembre...una vita fa, gente.

E grazie anche al nuovo arrivato Giuseppe Reale per le recensioni ai primi due capitoli.

E come sempre...un grazie anche a chi leggerà la storia e se la sentirà di inviare un parere.

Bene, direi che é tutto.

Grazie ancora di tutto e...alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

   
 
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