In principio era il verbo all’alba dei tempi
E il tempo eternava e lui lo subiva
Solo vagava negli spazi empi
E sempre tornava donde partiva.
La mente operava essendo lei sola
Partendo dal nulla studiava sé stessa.
Trovandosi dentro non una fola
Scoprì la noia e indagò appressa.
La lingua ancor non esisteva
Ma lo pensiero non ne abbisogna
E al dolore, sua sola leva
Diè l’imago che per pria sogna:
“Oh com’è dura essere i primi
D’un mondo nuovo e pien di me.
Non ho passato né il motivo
Per cui esisto od il perché.
Non ricordo quando nacqui
Nè un istante è ancor passato
Da quando s’io primo giacqui
E all’ignoto son dannato.”
Questo è il primo sillogismo
Cui universo mai assistette
E dal ponderar di quel deismo
Un’altra forma formarsi stette.
Il verbo quasi non si accorse,
Non avendo occhio alcuno
Od orecchio e naso, forse
Del concetto era digiuno.
“Io sono” Pensò il secondo
Nello stesso luogo al primo
Perché lo spazio in questo mondo
Nullo era o così stimo.
Sentendo ciò la prima nata
Si stupì ma infine tacque
Credendo d’essersi ingannata
E inavvertito pensier nacque.
Ma il secondo continuava
E lamentossi “Sono solo!”
Così il primo allor turbava
Giacché mirava a opposto polo
Cercava invano il positivo
Della primordiale condizione
E quel vociare era tardivo
Alla sua stoica evoluzione.
Non l’aveva superata?
E perché allor tornava?
Indagò l’ansia riformata
E con ragion l’ottenebrava.
“Se non v’è rimedio a questo tarlo
Debbo scervellarmi io sì tanto
Da pensar senza pensarlo?
Commiserarmi non ha vanto!”
Il secondo sentiva e sorpresa pone
“Questo pensar mi giunge novo,
Mai ragionai a tal conclusione!
Sia qualcun altro ospite all’ovo?”
Terror prese il core al primo
Che mai avendo conosciuto altro
Non potendo immaginar che fosse
Avea creato senza sapere
Una sua copia identica in tutto
Financo a poter creare
Come lei fu creata
Nell’ipotesi un terzo
Anch’ello capace.
E di nuovo il primo
Senza sapere
Cancellò la seconda
Così come la creò.
“Questo dunque è il mio potere?
Questo dunque è lo mio scopo?
Dare forma in questo etere
A tanti me, ma è forse d’uopo?
Col pensiero ho io distrutto
Il mio primo figlio eguale
E lui avrebbe me distrutto
Se per primo pensò eguale.
Che vuol dire esser scomparsi?
So io forse cos’ero prima
Di nacquer in sì campi sparsi?
Neanche riesco farmi stima.
Nulla, nulla, nulla, nulla
Ecco cosa mi attendeva
Fossi stato in pien trastulla
E prima mossa quei faceva!
Mai più io creerò eguali!
Sol io devo restar sopra
Ch’anche fosser d’alma tali
Che amatissimo mi scopra
Non potrebbe, cogli eoni
Evolver tanto da odiarmi assai
Per qual si voglia e abbandoni
Ogni virtude e me spazzai!
Se poi della mia ver natura
Mimano ogni sentimento
Che ho fatto io per paura?
Troverei lo stesso mio ardimento.”
Così ragionosse la mente primera
E così elaborò uno schema infinito
Al fin del quale, la cerebral cera
Diè forma a un diverso animo definito.
“Tu sarai il mio secondo
Seguirai ciò ch'io dico
Poter ti concedo su questo mondo
Ma non su me, il grande antico.”
“Grande antico” Disse l’animo
“Sei tu dunque il mio creatore?”
Si compiacque che il primo spasimo
Del figliol fosse un onore.
“Tu lo dici perché lo sono”
“Dimmi allora chi creò voi”
Chiese ancora l’eco al tuono
E a lei tacetter li squarquoi.
“Orsù rispondi” Pressava lei
E lo primiero non sapeva
Dedusse nulli esser rei
E dell’alba esser coeva
Ahilei pora prima mente
S’illudeva l'omni-principio
E scarta preventivamente
Chi di lei fu participio.
“Non ci son altri pria di me
E come me mai verranno”
Così diceva e inverocché
Invidiava il frutto del suo affanno
“Fortunata sei o piccola stella
Tu saprai già che dovrai fare
Fossi stata una mia sorella
Chi un impegno ti avrebbe a dare?”
“Non si può avere un semplice scopo
Pur senza te, o grande vetusta?
Sol tu puoi pensare a cos’è il dopo
E quale via è quella giusta?”
“Troppe domande fai, picciol creato
Ascolta ora, indagatore infante
Da questo punto spazial dato
Io ti distinguo in un più distante.”
Presto detto, dall’unico punto
Ne partì un diverso e fulminea
Una dimensione trae qui spunto
Tutta costruita su un’unica linea.
La geometria da lì si allargò
Quando il primo trovandosi pari
Volle innalzarsi e su volò
Creando un piano che li divari.
Due dimensioni non gli bastavano
Una terza pensò e fu più dura
Ma infine sbocciò dal piatto piano
E ammirò profonda la sua creatura.
“Che meraviglia” Disse la stella
spostandosi ella in tre direzioni
“Fai lo stesso” La sfidò quella
Cui primato non ha obiezioni.
E quell’anima fece quanto potè
Pensando a quanto avea pria chiesto
Se pria ci fosse stato chi o che
Avesse natali dato al prio desto.
Pria, pria, ecco che cercava!
E una quarta parete si formava.
Non più l’istante eterno durava
Ma una nuova dimensione si acquistava.
“Sento il gravo degli eoni!"
Lamentossi il padre e adirato:
“Su di me così pur ti poni!”
A distruzion fu ei tentato
Ma forse l’orrore dell’oblio
A cui sentenziò il fratello
Lo mordeva e si mostrò restio
A punirlo e si fè bello.
“Grande ingegno dimostrasti
E merti quindi ch’esso viva:
Lascerai ch’io t’appuntasti
Con un nome di mia inventiva?”
“Sol se un anco io ti dia”
Insistè la picciol stella
E il creator disse “Così sia!”
“Jahvè!” Reverenziò bassa quella.
Deliberò allora la più bella
Un nome di sogno vessillifero
“Tu sia nomata, compagna novella
D’ora innanzi la sommo Lucifero!”