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Autore: Milly_Sunshine    30/03/2023    0 recensioni
Non importa se siamo bambini, adolescenti, adulti, persone tranquille oppure tormentate, angeli della morte, aspiranti killer, creazioni di laboratorio, animali domestici, fenomeni atmosferici o addirittura automobili: abbiamo il sacrosanto diritto di vedere le cose dalla nostra prospettiva e di narrare la nostra storia. /// Una raccolta disomogenea di racconti scritti a vent'anni e dintorni (o anche poco venti e molto dintorni), alcuni pubblicati nella loro forma originale, altri a seguito di una piccola revisione. La maggior parte risalgono all'epoca dei forum, qualcuno ha partecipato a contest di scrittura sul forum Scrittori della Notte o su altri forum simili. I rating variano dal verde all'arancione e la maggior parte dei racconti hanno lunghezza da one-shot, alcuni tuttavia secondo EFP sarebbero da considerarsi flashfic.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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TO COOK OR NOT TO COOK, THIS IS THE QUESTION

“C’è del marcio in Danimarca” borbottò nonna Carolina, “e anche dentro al frigo...”
C’era una vaschetta con i pomodori, là nell’ultimo ripiano. Se n’era dimenticata e lo spettacolo era agghiacciante. Doveva eliminarli e, oltretutto, doveva anche bonificare il frigorifero.
Il ticchettio dell’orologio le ricordava che si stava facendo tardi. Erano già le undici e venti ed era indietro coi lavori. Doveva provvedere al pranzo, ma aveva bisogno di ispirazione.
Si diresse dall’altro lato della cucina, dove in un angolo l’albero di Natale la abbagliava con le sue luci intermittenti.
«Che cosa ne dici?» domandò all’albero sintetico.
Con suo grande dispiacere quell’enorme albero non proferì parola. Che fosse perché, non essendo antropomorfo, non era dotato di mente pensante?
“Dev’essere senz’altro così” pensò nonna Carolina e spostò lo sguardo sul presepe.
Qualcuno doveva risponderle al più presto.
Tentò un colpo di fortuna.
«Mezze penne con rucola e gamberetti o spaghetti al tonno?»
La statuina di San Giuseppe, a cui si era rivolta, non proferì una sola parola. Nonna Carolina valutò la possibilità di rivolgersi all’asinello, sperando che almeno lui la degnasse di un briciolo di attenzione.
Non fu così. Nonna Carolina, però, decise di non demordere. L’indifferenza dell’asino - o meglio, della statua che lo raffigurava - non la turbò. Prese addirittura a raccontargli di sua nipote.
Antonella, una giovane donna sulla trentina - nonna Carolina non era un genio nel ricordare delle età delle persone, specie se erano molto più giovani di lei - rappresentava il cento per cento dei suoi discendenti diretti ancora in vita. Non era sposata, probabilmente non si sarebbe sposata mai e da sei mesi si era trasferita chissà dove.
Non tornava mai, ma per le vacanze di Natale di quell’anno aveva fatto un’eccezione.
«Presto ci rivedremo» comunicò all’asinello, «E la mia intenzione era cucinarle il suo piatto preferito.»
Purtroppo, però, non ricordava quale fosse il suo piatto preferito.
Tornò a spostarsi dall’altro lato della cucina, aprì il mobiletto nel quale teneva i tegami e decise di mettersi all’opera, prima che fosse troppo tardi.
«Mezze penne con i gamberetti e la rucola» deliberò. «Così è deciso, l’udienza è finita.»
Sperava ancora in una risposta dell’asino, ma ciò non accadde. Ne avrebbe parlato con Antonella.
“Anzi, no.”
Tutto sommato sarebbe stata una pessima idea. Antonella avrebbe potuto consigliarle di consultare un medico e di raccontargli di avere preso l’abitudine di chiedere consigli culinari alle statuette del presepe. Quale sarebbe stato il suo destino, in tal caso? Il dubbio era atroce.
“Ma non sarà mai atroce come l’altro dubbio che mi tormenta!”
Che cosa ne era stato della rucola? Era marcita come i pomodori o era ancora nel pieno del suo splendore?
Aprì il frigorifero e scoprì che nessuna delle due versioni era corretta. La rucola si era afflosciata, ma facendole fare un bagno rigenerante in un recipiente pieno d’acqua poteva esserci qualche margine di recupero.
Con un sorriso sulle labbra provvide a compiere quell’impresa, con il ticchettio dell’orologio che le ricordava che di lì a poco Antonella sarebbe arrivata.
La rucola, con suo grande compiacimento, sembrò riprendersi almeno un po’. Nonna Carolina esultò. Stava per urlare dalla gioia, ma si trattenne. Perché di colpo aveva quella strana sensazione di essere osservata?
“È impossibile.”
Era sola in casa. Anzi, erano in due: sua nipote Antonella le aveva lasciato in “eredità” il suo animale da compagnia, il piccolo Hamlet. Ma Hamlet - così battezzato in onore della sua passione per la letteratura inglese - era in un’altra stanza, dentro la sua gabbietta, a correre lungo la ruota. A nonna Carolina, comunque, era sempre sembrata una bestiona significante, che non avrebbe mai compreso la vera essenza della vita umana.
La sensazione di essere osservata svanì all’improvviso, mentre prendeva fuori due tegami. Aveva già aperto il mobiletto che li conteneva, ma fino a quel momento erano rimasti inermi là dentro. Non poteva più attendere oltre.
«La vita è fatta di bilance» declamò nonna Carolina, compiendo quella semplice operazione. «Se hai il coraggio di chiudere gli occhi e di non leggere il tuo peso, ti senti molto più leggera.»
Quello era il paradosso della bilancia, una delle migliori teorie che avesse mai formulato in poco meno di settantacinque anni. Per quanto la riguardava, faceva parte della ristretta cerchia di eletti che si sentono leggeri, almeno a livello teorico. A livello pratico, in realtà, si sentiva spesso molto pesante, ma quello era un dettaglio che non aveva molto rilievo.
Di colpo tornò ad assalirla la sensazione di poco prima. Qualcuno la teneva d’occhio.
“Che sia l’asinello?”
Abbandonò il piano cottura e tornò a dirigersi verso il presepe. Tutto era immobile, e questo non sarebbe stato grave, di per sé, se non lo fosse stata anche la statuetta dell’equino.
Si guardò intorno. Non capiva perché, ma continuava a sentirsi tenuta sotto osservazione.

Quella donna si chiamava Carolina, altrimenti nota come nonna Carolina, per via della sua ormai veneranda età.
Quella cosa strana, sulla quale si potevano accendere fiamme dalle sfumature blu, si chiamava fornello. Serviva per cucinare cibo umano, ben diverso dai croccantini.
Quelle foglie verdi, che nonna Carolina stava sminuzzando su un tagliere, si chiamavano rucola. Anche quella non aveva lo stesso sapore delizioso dei croccantini.
Hamlet contemplava la scena con grande interesse.
“Gli umani sono proprio tipi strani!”
Per fortuna ogni tanto erano un po’ sbadati: nonna Carolina gli aveva dato da mangiare i suoi preziosi croccantini, un paio d’ore prima, e si era dimenticata di richiudere la gabbia. Hamlet, ovviamente, ne era stato molto soddisfatto. Era uscito di soppiatto, pronto a perlustrare quella piccola parte di mondo che aveva sempre desiderato vedere, anche se non gli era mai stato concesso.
Un tempo Antonella lo lasciava scorazzare qua e là, di tanto in tanto, ma quando era stato affidato alle amorevoli cure di sua nonna tutto era cambiato. Quella donna, con tutta probabilità, non era mai stata affascinata dai roditori...
Hamlet si perse qualche istante a sognare: sarebbe stato bello vivere in un mondo governato dai criceti, in cui gli umani stavano chiusi dentro le gabbie.
No, quello era un pensiero senza senso. Perché mai avrebbero dovuto tenere gli umani dentro le gabbie? Soltanto per ammirare la loro presenza?
“È meglio lasciar perdere.”
Nonna Carolina stava trafficando davanti al fornello e Hamlet, dopo essersi arrampicato di soppiatto su uno dei mobili della cucina, continuò a contemplarla.
Dentro un tegame c’era dell’acqua che attendeva di bollire. Il modo di cucinare di nonna Carolina non era tanto diverso da quelle che erano le abitudini di Antonella, prima che facesse le valigie e se ne andasse dall’altra parte del mondo insieme a un promoter finanziario indagato per truffa ai danni degli investitori.
Hamlet non era esperto di arte culinaria - tutto il cibo che non somigliava ai croccantini, di base, non lo interessava, così come il processo che serviva per cucinarlo - ma sapeva che nonna Carolina aveva intenzione di cuocere della pasta. Infatti, subito dopo, la vide prendere fuori un pacchetto di penne rigate. Tra l’altro erano penne molto più corte rispetto a quelle che prediligeva Antonella, dovevano essere circa la metà.
Nell’altro tegame che aveva messo sul fornello, intanto, qualcosa stava soffriggendo. Hamlet guardò attentamente. Era qualcosa che aveva lo stesso colore delle arance, ma che non somigliava neanche lontanamente alle arance...

Nonna Carolina terminò di tritare la rucola. La mise nel tegame in cui i gamberetti si stavano cuocendo. Alzò la fiamma, guardando il condimento mentre scoppiettava, rendendosi conto che, nella vita, gli eventi si suddividono in due categorie: quelli che contano e quelli che non contano. La possibilità di avere difficoltà di digestione faceva senz’altro parte della seconda categoria.
“E chissà, magari rientra nella seconda categoria anche il fatto di udire dei passi sulla cappa...”
Era come se un topo vi stesse passeggiando, anche se era impossibile.
«O magari no...»
Qualche animale dall’aria bizzarra poteva essere entrato in casa a sua insaputa.
Alzò lo sguardo e vide qualcosa che correva.
Stava per lanciare un urlo, ma lo riconobbe.
«Hamlet! Dannatissimo roditore, come sei arrivato qui?! Non dovresti essere chiuso nella tua gabbietta?»
Quel criceto le stava complicando la vita. L’avrebbe fatto presente a sua nipote: le avrebbe suggerito di portarlo con sé nella sua nuova casa, ovunque abitasse.
“Io ormai sono troppo anziana per badare a un animale così veloce e scattante.”
L’animale veloce e scattante, però, per il momento era un problema suo. Era sul bordo della cappa che, con un certo interesse, guardava al di sotto.
«Sto cucinando» lo informò Nonna Carolina. «Voi criceti non vi intendete di cucina, quindi non guardarmi così!»
Il criceto non la degnò di uno sguardo. Continuava a fissare il fornello. Poi accadde l’irreparabile.

“BANZAAAAAAAAAIIIIIIIIII!”
Hamlet avrebbe voluto poter disporre di una voce, per urlare mentre si lanciava giù. Mancò il fornello e precipitò sul pavimento.
Era stato un bel volo, ma fortunatamente era ancora tutto intero, anche se tormentato dai dubbi.
Perché quell’amabile signora non permetteva a un innocuo criceto di ammirare con l’attenzione degna di un momento così solenne la cottura del pranzo?
Perché quelli della sua specie non erano stati in grado di inventare rudimentali fornelli sui quali cuocere il proprio cibo e dovevano invece dipendere dagli umani che compravano loro scatole di croccantini?
Perché Nonna Carolina sbraitava, agitando un cucchiaio nella sua direzione?
«Non dovresti essere qui, maledetto topo!»
Maledetto topo?! TOPO?! Perché Nonna Carolina non era in grado di distinguere un topo da un criceto?
Poi la sentì urlare.
«No!»
Nonna Carolina, senza più degnarlo di uno sguardo, si concentrò sul fornello. Forse aveva bruciato qualcosa.
Prese a mescolare il condimento e, nella foga, qualcosa volò in aria.
Qualcosa che aveva lo stesso colore delle arance ma che non era un’arancia giunse fino al pavimento.
Hamlet si avvicinò rapidamente, mentre Carolina si girava.
«Oh, no, è caduto un gamberetto!»
Dunque, realizzò Hamlet, quello era un gamberetto. Aveva un’aria invitante, ancora di più dei croccantini.
Gli si gettò addosso. Aprì la bocca e ne assaporò finalmente il sapore.
Ebbene sì, i gamberetti di nonna Carolina erano migliori rispetto ai croccantini...

 
   
 
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