Videogiochi > Cyberpunk 2077
Segui la storia  |       
Autore: _the_unforgiven_    31/03/2023    0 recensioni

Una breve storia a capitoli, ambientata subito dopo Tapeworm e la notte da leoni di Johnny nel corpo di V.
Qualcosa sulla fiducia e sulle conseguenze dell'amore.

Johnny Silverhand / Fem!V
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, V
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'believe in me as i believe in you'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

///

 

closer

amor fati


///

 

Death is only the end

if you assume the story

is about you.

(Welcome to Night Vale)

 

Quando V arrivò finalmente a casa, il dolore alla testa si era trasformato in una morsa insostenibile.

Lungo la strada era rimasta fulminata da una scarica del relic, che l'aveva lasciata contro un muro a tossire sangue; dentro l'ascensore del megaedificio era collassata, con il respiro gorgogliante e macchie nere che le ballavano davanti agli occhi.

Questa volta non c'era Johnny a raccoglierla da terra. (quando aveva cominciato a farci così tanto affidamento?)
Pensando a quanto sarebbe stato insopportabile, scoprendolo, V sogghignò fra sé e si costrinse a rialzarsi, puntellandosi alla parete per rimanere in piedi.

Pensa bene a quello che stai facendo, Valerie. A quello che stai lasciando indietro. Pensa al tuo clan.

Arrivò al pianerottolo con la vista quasi del tutto offuscata, mentre la realtà sbiadiva come un vecchio film.
Solo l'immagine dell'arcano del matto, sulla parete vicino alla sua porta, vibrava più vivida che mai.

Dico sul serio, V. Perché non vieni con noi? Parlo a nome di tutti gli Aldecaldos. Sarebbe un onore averti in famiglia.

Barcollando, raggiunse la porta scorrevole e la aprì a tastoni.
Nibbles miagolò e le venne incontro trotterellando.

Chica, non preoccuparti. Mi casa es tu casa; puoi rimanere finché vuoi.

V si chinò per dare una carezza a Nibbles; nel farlo perse l'equilibrio, si accasciò a terra, e il buio si riversò come inchiostro tutto intorno a lei.
Rinunciò a rialzarsi e chiuse gli occhi.

Una casa. O un van. O anche solo una moto e una tenda arrotolata sulla sella. Ogni volta che penso al futuro è una cosa diversa; ma è sempre lontano da qui.
E tu, mi Calabacita?

Ci pensi mai, al futuro?


///


Dietro le palpebre chiuse, V sprofondava nel buio.

Non era sveglia e non stava sognando.
Era nella discarica; strisciava trascinandosi sui gomiti fra la ruggine e il sangue. Confusamente sapeva che doveva essere tutto dentro la sua testa; eppure, non sembrava meno reale nella sua carne.

Allo stesso modo, sapeva che dietro di lei c'era la sua morte.
La seguiva fiutando l'aria come i coyote lunghi e magri del deserto.

La sua morte non aveva fretta.

La osservava dai muri ornati di teschi e dal ghigno della Santa Muerte. La prendeva alla gola in mezzo alla solitudine delle Badlands, nel segreto della sua casa.

La morte l'aveva già marchiata come un capo di bestiame da portare al macello; stava solo aspettando che fosse il momento di trascinarla per la cavezza.

Un respiro straziante come filo spinato, e adesso V correva, saltando fra i fischi dei proiettili, nel sole di un'alba magnifica fra la polvere dell'Arizona, la mano stretta in quella di Shari che piangeva trascinandola con sè.

V correva, sostenendo Jackie sempre più pesante mentre le inzuppava la camicia di sangue, lungo i corridoi pieni di eco del Konpeki Plaza.

V correva, sulle strade di Night City lucide di pioggia e luci al neon, fra le esplosioni di fuoco delle granate e quelle di agonizzante elettricità statica del biochip.

V correva.
V scappava, uccideva, e sopravviveva.

V correva.

...V, nel fondo del suo cuore, amava Judy.
E amava Panam e Misty e Vik; li amava e per tutti loro aveva paura, perché il mondo era una bestia dalle fauci spalancate e V era già dentro la sua bocca; e sapeva che non ci sarebbe stata per loro, quando più fosse importato.

Perché V, che lottava e correva contro i giorni contati e uccideva e bruciava di una sete di vita così feroce da essere quasi mostruosa, V si sentiva dentro il germe del tradimento.

Perché V era pronta a morire.

Nello stesso istante in cui se lo confessò si trovò sputata nel buio di un corridoio deserto.
Batté le ginocchia e le mani sul freddo di mattonelle crepate e crollò in avanti, spezzata da un violento accesso di tosse.

Quando la crisi cessò, larghe gocce di sangue macchiavano le piastrelle.
V si trascinò faticosamente in piedi, pulendosi la bocca con il dorso della mano.

Era notte; davanti a lei il lungo corridoio vuoto si perdeva nell'ombra. L'unica luce proveniente dalle alte finestre, fioca e bluastra, era irreale come il silenzio intorno.

Non era a Night City. Non era nel deserto. Non sapeva dove fosse.

A un tratto le parve di captare nel silenzio un breve singhiozzo; e V si mosse per seguirlo, zoppicando lentamente.

Doveva trovarsi in una specie di ospedale militare.
Allineate lungo la parete c'erano porte dietro le cui finestrelle si indovinavano lunghe camerate, desolate nella notte come il fondo del mare. V le oltrepassò senza osare spiare all'interno.

Non sapeva dove si trovava, ma sapeva che era molto, molto lontana da casa.

Sapeva, adesso, che sarebbe arrivata fino all'ultima porta in fondo, e solo lì sarebbe entrata.

L'ultima porta del corridoio si aprì quasi senza che la toccasse, senza un rumore, scivolando senza peso. V entrò.

Nella stanza deserta c'era un solo letto, bagnato dalla luce della luna.
Sopra c'era un adolescente lungo e magro come un coyote, che stringeva fra i denti un pianto rabbioso.

V lo avrebbe riconosciuto anche senza la crudele mutilazione del braccio sinistro.

"...ehi, Johnny," mormorò.

L'adolescente voltò di scatto la testa dalla parte opposta.

"Vattene, V."

V si avvicinò in silenzio, facendo il giro del letto per poterlo guardare in viso.
Gli occhi neri che si infissero nei suoi splendevano di rabbia.

Johnny (Robert John Linder) era quasi imberbe, i capelli che iniziavano appena a ricrescere dal severo taglio militare. Esile e pallido, era screziato di lividi ed escoriazioni che sparivano sotto la fasciatura stretta intorno al petto.

...Dio, era un bambino.

"Già alto due spanne più di te, V." ringhiò Johnny tirando su col naso.

La sua frustrazione bruciava insieme al dolore sordo delle ferite, al rimorso e al senso di colpa; V li sentiva addosso come le fiamme di un incendio, avvampavano mescolandosi ai suoi.

Si chiese se non fosse stata proprio lei, con la sua spirale di angoscia, ad innescare in Johnny un ricordo del Secondo Conflitto.

Si morse il labbro. "...Temo sia colpa mia se siamo qui," disse piano. "Mi dispiace."

Johnny le strappò gli occhi di dosso e li piantò sul soffitto. "Te l'ho detto," rispose aggressivamente. "Non c'è mio o tuo, qui."

V si avvicinò, sfiorando con le dita il bordo del materasso. "Lo stesso," mormorò. "Mi dispiace."

"Vaffanculo."

Lei abbassò lo sguardo nascondendo un sorriso. "Non sei tanto credibile con quella faccia da lattante."

"Non me ne frega un cazzo, V," scattò Johnny, tornando a guardarla; c'era qualcosa di lui adulto nella piega irosa delle sopracciglia. "Sono incazzato, lo capisci o no?"

"Dimmi una cosa che non so," borbottò V, stringendosi nelle spalle.

"Sono incazzato con te," chiarì Johnny con un ringhio; e un singhiozzo soffocato si infranse contro le sue costole e si trasmise come un contraccolpo dritto al petto di V.

"...mi dispiace," sussurrò lei di nuovo, abbassando gli occhi.

"Piantala."

Ma V aveva preso a tremare.

"Mi dispiace," ripeté meccanicamente. Non riusciva a smettere. Gli occhi le si riempirono di lacrime improvvise. "Io non-"

"Non farlo, V," la interruppe seccamente Johnny. E poi: "Ne ho piene le palle di gente che muore al posto mio."

V scoppiò in un pianto dirotto.

Non provò neppure a nasconderlo; riuscì soltanto a stringersi le braccia al petto, cercando di tenersi insieme. "Non posso farlo, Johnny," balbettò, "non posso. Non-"

"Certo che puoi."

"Non voglio. Cristo, Johnny, manchi da cinque giorni e già mi manca l'aria. Come puoi - come posso -"

V si accartocciò su se stessa, crollando in ginocchio al capezzale del letto.

Dietro di lei c'era la morte a fauci spalancate, pronta a inghiottirla e cancellarla come non fosse mai esistita.

Ma davanti a lei c'era una vita mutilata, svuotata miseramente della metà di sé stessa.

V non voleva, non voleva, e non poteva certo forzarsi a volere quello che non voleva.

La volontà di V era una cosa sottile e ostinata come un cavo d'acciaio.

E se la cosa che desiderava di più al mondo era impossibile, saperlo non glie la faceva desiderare meno. Alla fine, l'unica cosa di cui aveva bisogno, la sola che voleva davvero -

"V. Ehi, V, guardami."

La preghiera contenuta in quelle parole le fece alzare lo sguardo.

Sentiva sulle proprie guance il calore delle lacrime; le stesse che brillavano negli occhi fissi con apprensione su di lei.

Due stupidi che si guardavano e piangevano.

"Questa è tutta roba tua, V" protestò Johnny stropicciandosi frettolosamente il viso col dorso della mano. "...Come cazzo fai ad avere sempre le lacrime in tasca."

"L'hai detto tu, qui non c'è mio o tuo," replicò lei, con una breve risata intrisa di pianto; e almeno riuscì a strappargli un sogghigno in cui lo riconobbe.

Johnny non aggiunse altro; ma con qualche sforzo si distese sul fianco sano, liberando spazio accanto a sé sul letto. Batté leggermente le nocche sul materasso a mò di invito, mentre alzava di nuovo gli occhi su di lei.
Con una stretta al cuore, V si chiese quando avesse perso quello sguardo limpido.

Cautamente, salì con un ginocchio sul letto. "Non ci staremo mai in due."

Johnny sbuffò, allungando la mano e tirandola per un lembo della giacca. "Dividiamo già uno spazio molto più piccolo, V," mugugnò abbassando lo sguardo.

Un piccolo sorriso le riscaldò il petto. Si arrampicò sul materasso, raggomitolandosi alla meglio accanto a Johnny, i suoi corti capelli neri a solleticarle il naso.

"Aspetta, proviamo-"

"Vieni un po' più in qua-"

"No, solleva un pochino la testa e -"

"...ahio!"

"...Ecco," sussurrò V, facendogli scivolare un braccio sotto il capo.
Immediatamente Johnny si strinse a lei, accoccolandosi sotto il suo mento come un gatto; e come per un improvviso calo di tensione, V sentì la propria ansia dissiparsi.

Con un lieve sospiro lo attirò più vicino, ripiegando il braccio che gli faceva da cuscino per accarezzargli i capelli.

Era la prima volta che V lo stringeva a sé; eppure, sentiva senza ombra di dubbio che quello era il suo posto. Una grande pace le era scesa nell'anima; in quel momento, non c'era altro luogo in tutto il mondo dove avrebbe voluto trovarsi.

"...ehi, Johnny," mormorò con voce già roca di sonno.

"Nh..?"
...Stava per addormentarsi. V pensò che era anche la prima volta che poteva guardarlo mentre si addormentava; e chissà perché, il pensiero le riempì il cuore.

"Mi dispiace di aver preso i bloccanti, l'altro giorno."

"...mhn. A me spiace per -," si fermò per tirare su col naso. "L'altra notte."

"Sono ancora arrabbiata, sai."

"Non è vero," mormorò lui, premendo la fronte sulla sua spalla.

V rise piano. "Ne parleremo quando sarai più grande," bisbigliò prima di posargli un bacio sulla testa.

Johnny sbuffò, solleticandole la gola. "Non posso stringerti," borbottò con voce imbronciata e piena di sonno.

"Non fa niente," sussurrò V, cingendolo con il braccio libero. "Posso farlo per tutti e due."


///


In dormiveglia, V si accoccolò più stretta nel nido rassicurante del proprio letto; il silenzio, le ombre radenti proiettate dalle luci della città erano quelli delle ore senza nome prima dell'alba.
In quei momenti, perfino Night City sembrava mollare la presa, ritirandosi in un quieto sussurrare; e V si sentiva padrona di abbandonarsi al sonno.

Proprio mentre richiudeva gli occhi, però, il calore che avvertiva sulla pelle le si strinse addosso; e solo in quel momento si rese conto di trovarsi fra le braccia di Johnny, la schiena nuda premuta contro il petto di lui.

...se per caso Johnny stava ancora dormendo, il tuffo al cuore di V lo aveva certamente svegliato.

Lo sentì muoversi, stiracchiandosi alle sue spalle. Il suo braccio metallico era sotto di lei, caldo per il contatto con la sua pelle; l'altro la teneva possessivamente vicina, la mano a premere fra i suoi seni. "...meglio," borbottò Johnny, cingendola più stretta.

V rimase sospesa, quasi senza osare respirare.

Erano distesi su un fianco, raggomitolati come gatti; Johnny addosso a V come un calco, le lunghe gambe ripiegate sotto le sue. Poteva sentire il suo respiro accarezzarle la nuca.
La mano sinistra di lui era abbandonata sul materasso, le dita che si flettevano appena nella luce dei neon; la destra, ruvida e calda, sembrava in ascolto dei battiti del suo cuore.

E il cuore di V rispondeva a colpi lenti e profondi, risvegliando qualcosa che iniziò lentamente a schiudersi dentro il suo petto.

"...Stiamo ancora sognando," disse stupidamente.

"Già," replicò Johnny, rauco di sonno.
Il rombo della sua voce si trasmise come scossa di terremoto da torace a torace; la sensazione lasciò V senza fiato.
Richiuse gli occhi e vi si abbandonò.

Lasciò che la colmassero il calore di fornace del petto di Johnny, pelle nuda su pelle nuda e un filo di sudore che scivolava sulla sua schiena; il peso del suo braccio fatto di sangue muscoli e tendini, vivo, tenace come un'ancora, forte come le radici che si impossessano della terra scura.

Johnny tuffò il viso fra i suoi capelli e inspirò profondamente, così vicino che V pensò che potesse respirare, insieme al suo odore, anche tutto il desiderio che le chiudeva la gola.
Sentì la propria carne viva fremere come la superficie dell'acqua increspata dal vento, e capì che quello era lo specchio delle sensazioni di lui, ciò che Johnny provava nel trarre sospiri da ogni carezza, facendo cantare V come una corda della sua chitarra.

Sentì uno sbuffo di risata solleticarle la nuca e si ricordò di respirare.
"Che hai da ridere."

"...Le cose che pensi." Mormorò Johnny, divertito.
Poi le sue mani scivolarono pericolose dai fianchi di V verso le sue gambe. "Sai come si dice," le bisbigliò all'orecchio, e intanto risaliva sfiorandole lentamente l'interno delle cosce, "hai così voglia di scoparmi che sembri stupida."

V sibilò fra i denti, sentendo il sangue affluirle al viso. "Due cose," ansimò, allungando una mano dietro di sé, per affondarla alla cieca fra i capelli di Johnny e tirare.

Fu istantaneamente premiata da un basso gemito.

"...La prima è che parli come un vecchio, choom," sogghignò V, senza fiato. "La seconda," proseguì, ondulando il bacino in un modo che le valse un morso sul collo a piena bocca, "l-la seconda, è - che lo vuoi anche tu."

"Dimmi qualcosa che non so," raspò Johnny sulla sua pelle; e intanto la sua mano d'argento risaliva lungo il corpo di V, scivolando fino al suo collo e inclinandole il capo all'indietro, finché non offrì la gola alle dita metalliche.

"Di' un po', V," sussurrò morbidamente. "Come si dice nel 2077 voglio scoparti finché non dimentichi come ti chiami?"

V gemette, attraversata da un fremito profondo.

Stavano scivolando lungo una china senza ritorno; ma c'era una cosa importante, prima, che doveva fare prima di perdere il controllo. La più importante di tutte.

"Cristo, guardati," raspò Johnny, facendo scivolare le dita sulla sua bocca, indugiando al centro del labbro inferiore, "sei giovane come l'erba, V. Se ti leccassi, sapresti di linfa."

Un singhiozzo lasciò la gola protesa di V.

La cosa più importante.

Con uno sforzo di autocontrollo rotolò su un fianco, salendo a cavalcioni in grembo a Johnny e prendendo il suo volto fra le mani.

Sapeva che anche lui poteva sentire sotto la propria pelle il fuoco che la stava divorando; ma voleva che lo vedesse.

Voleva che vedesse tutto.

"...ehi, V," mormorò Johnny, senza voce.
I suoi occhi neri bruciavano.
Erano magnifici.
V voleva baciarli.
Voleva baciargli la fronte e voleva baciargli le mani e voleva baciargli le labbra - lo sguardo di lui scivolò sulla sua bocca e V non aveva mai desiderato nulla come desiderava ora quel bacio, ma prima, prima -

"Johnny," disse, e persino la sua voce tremava. "Ascoltami."

"V..."

C'erano così tante cose, nel modo in cui pronunciava il suo nome; abbastanza da farle quasi dimenticare di sé, dimenticare tutto ciò che esisteva là fuori e farle desiderare solo di darsi, stringerlo fino a dissolversi, non lasciarlo andare.

V chiuse gli occhi e si costrinse a prendere fiato.
Sentì la mano di lui spostarle una ciocca di capelli dal viso.

"Su una cosa hai ragione tu, V," mormorò. "Sono vecchio. Letteralmente morto e sepolto." V si accigliò, pronta a protestare; ma Johnny continuava, le sfiorava il volto con struggente dolcezza. "Invece tu hai una vita. Persone che ti amano. Posti da vedere che non siano il deserto o questa fottuta città. V, sei praticamente una bambina."

V riaprì gli occhi e si sforzò di inghiottire le lacrime. "Non sono una bambina," replicò, rauca. "Sono una donna che ti ama."

La confessione cadde loro addosso come un fulmine.

...In realtà, lo sapevano già entrambi; non potevano non saperlo.
Johnny, forse, se ne era reso conto prima ancora di lei.

Ma V sapeva che doveva dirglielo, dirglielo così ad alta voce, dirglielo guardandolo in faccia, e adesso che finalmente l'aveva detto, tutto era cambiato.

Negli occhi di Johnny c'era qualcosa di paurosamente sincero, e terribilmente vulnerabile. Erano sempre magnifici.

V teneva il suo cuore sotto le palme delle mani. Batteva fino a fare male; o forse era il suo, a martellarle nelle orecchie, a chiuderle la gola, e pensò che non importava, mentre intrecciava le sue dita fra le proprie, mentre lo sentiva sussultare sotto di sé, bello e palpitante e senza fiato e suo, e ripeté ancora, "ti amo," mentre premeva le sue mani contro il materasso e si chinava con la guancia contro la sua, bevendo come un liquore il profumo denso delle sue tempie e ripetendo ancora al suo orecchio, "ti amo," ti amo e ho bisogno che tu lo sappia, ti amo e ho bisogno che tu lo senta, ti amo e ho bisogno che tu ci creda.

"V," ansimò Johnny sotto di lei, restituendo alle sue mani una stretta spasmodica, inarcando la schiena per restare il più possibile a contatto con il suo corpo; perché il languore che le disfaceva le ossa era anche il suo, il pulsare del suo sangue aveva un'eco nelle sue arterie, e un attimo dopo si perdevano l'una nell'altro, in quel bacio a cui V anelava senza più neppure ricordare da quanto.

ti amo, ti amo, ti amo

ed io amo te

lo sai

lo so

e se vivrò, vivrò per te

ogni istante della mia vita

con te

fino alla fine

resterai per sempre

per sempre così, per sempre qui dentro di me

perché alla fine, l'unica persona

alla fine, l'unica persona che voglio che si ricordi di me

sei tu


///


Il pavimento sotto la sua faccia era freddo e inclemente contro le sue ossa ammaccate.
V esalò un respiro rantolante.
Si sentiva come se l'avessero scaraventata in un tritarifiuti, le costole doloranti e le gambe molli e prive di forza.
Ma era viva.
Ed era sveglia.

Sulla sua schiena, un piccolo fagotto caldo ronzava rumorosamente: Nibbles le si era accovacciata fra le scapole e faceva le fusa a tutto spiano.

"Brava micia," biascicò V, una guancia ancora schiacciata a terra, senza l'energia di aprire gli occhi. "Sei rimasta."

Nibbles rispose con un miagolio esclamativo, al quale seguì una familiare risata sommessa.

V spalancò gli occhi; Johnny Silverhand era a un passo da lei, a glitchare quietamente nella prima luce dell'alba.

Sedeva sul pavimento, addossato alla parete sotto i suoi vecchi poster; appariva stranamente nudo senza i suoi occhiali da sole.
I suoi occhi, quando V li incrociò, erano già fissi su di lei.

V sentì il cuore traboccare.

"Ehi, Johnny," sussurrò.

"Ben svegliata," le rispose la ben nota voce strascicata. "Finita la caccia al Bianconiglio?"

"Immagino di sì," mormorò lei, senza poter staccare lo sguardo. 

Aveva un groppo in gola senza sapere il perché. Uno struggente senso di perdita si mescolava al sollievo, come se la consumasse la nostalgia di qualcosa che non era ancora successo.

E tutti i sogni che non riusciva a ricordare rimanevano impigliati nella luce riflessa sulla mano di Johnny, nella sfumatura dolceamara che aveva il suo sorriso, nelle interferenze azzurre che gli aleggiavano intorno.

V si schiarì la voce. "Come mai sono sul pavimento?"

"Dimmelo tu. Ti avrei svegliata prima, ma non mi sembrava il caso di disturbare la gatta."

"Sapevo che eri un gentiluomo," bofonchiò V trascinandosi faticosamente in ginocchio. Nibbles balzò a terra ma continuò a fare le fusa, strusciandosi contro di lei e facendo la gobba. V sorrise, accarezzandola sotto il mento, "...ma sembra tu ti sia preoccupando per niente."

Dopodiché, finalmente, V riuscì a rimettersi in piedi; aveva l'impressione di sentirsi di nuovo salda sulle gambe per la prima volta da giorni. I raggi del sole che entravano radenti dalla finestra avevano un tepore dolce sulla sua guancia fredda.

Johnny rimase seduto a terra, il capo abbandonato contro la parete.
"Ehi, V," disse piano, guardandola di sotto in su.

"È...bello rivederti." Già mentre le pronunciava, V sentì quanto quelle parole fossero insufficienti; e subito dopo pensò che non importava, perché loro due dividevano lo stesso cuore; e dopo ancora abbassò lo sguardo per l'imbarazzo, chiedendosi se Johnny avesse sentito anche questo particolare pensiero.

Le rispose un breve sbuffo di risa. "Non è una frase che mi sento dire spesso."

V sorrise a occhi bassi; mosse un passo incerto verso di lui. "Mi dispiace averci messo tanto." mormorò. "Vorrei..." lo guardò in viso e d'improvviso fu assalita da un'emozione violenta. "Vorrei ricordare."

Vorrei che fossi qui.
Vorrei dirti tante cose. 
Vorrei, vorrei-

"Non fa niente," replicò Johnny a voce bassa, la luce dell'alba che accendeva i suoi occhi di riflessi. E non erano neri, pensò incoerentemente V, ma di un caldo color cioccolato. Erano magnifici. "...Posso farlo per tutti e due."
 



Through every forest
Above the trees
Within my stomach
Scraped off my knees
I drink the honey

Inside your hive
You are the reason
I stay alive

(Nine Inch Nails, Closer)

 

fine

 

 

Note

1) Per arruolarsi, Johnny aveva mentito sull'età; è partito per il fronte quando aveva appena quindici anni.

2) ...niente, mi arrendo al fatto che questa V non è abrasiva come dovrebbe essere; probabilmente sconta tutta la mia voglia di piangere e lo struggimento per quello che avrebbe potuto essere :') Avevo iniziato a scrivere solo per farli andare a letto, e guarda un po' che roba è venuta fuori. 

3) ...ça va sans dire, ma... grazie di cuore per avere letto fino a qui. Un abbraccio.

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Cyberpunk 2077 / Vai alla pagina dell'autore: _the_unforgiven_