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Autore: Orso Scrive    03/04/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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3.

 

 

Nuovo Messico, maggio 1540

 

 

La colonna dei conquistadores avanzava da lunghe ore nel deserto. La marcia era stata intrapresa appena prima dell’alba, e soltanto il tramonto avrebbe finalmente concesso agli uomini un poco di riposo. Un riposo che, comunque, non sarebbe stato facile. Il caldo era soffocante, l’aria bollente e secca e, all’orizzonte, il calore creava strani giochi e disegni di luce, che davano di momento in momento l’impressione di città e laghi perduti nella lontananza. Il sole aveva arroventato le armature e gli elmi dei soldati, che marciavano a fatica con gli archibugi in spalla e le spade al fianco, trascinando pesanti cannoni e pungolando i muli perché non smettessero di tirare i carretti carichi di munizioni, arnesi, tende smontate e derrate alimentari.

Gli ufficiali a cavallo, con le corazze arabescate e incrostate di sporcizia, i capelli lunghi e unti che sfuggivano da sotto gli elmi, andavano avanti e indietro lungo la fila di soldati, per accertarsi che tutti mantenessero il proprio posto e nessuno rimanesse indietro. Quando uno degli uomini, stremato dalla calura e dalla fatica, si fermava per riposare, i superiori lo incitavano a rientrare nei ranghi e a riprendere il cammino con poche urla e parecchi colpi di frusta.

Alla testa dell’esercito, montati in sella, marciavano i comandanti. Uomini alteri e fieri, che pure in quei frangenti mantenevano intatto il loro aspetto nobile, di appartenenti all’aristocrazia di Spagna. A piedi, al loro fianco, camminavano le guide indigene, robuste e seminude, instancabili, che avevano accettato di porsi al servizio di quella spedizione diretta verso l’ignoto. Davanti a tutti, assiso sopra un cavallo bianco, con la lunga barba nera che si allungava sul davanti dell’armatura cesellata con immagini sacre, avanzava il comandante supremo, il capo della spedizione.

Francisco Vazquez de Coronado.

L’uomo che aveva giurato di trovare e conquistare le perdute sette città di Cibola.

Pedro Alvarez aveva diciannove anni. Procedeva adagio, chino sotto il peso dell’armatura, a non troppa distanza dagli ufficiali.

Era un soldato semplice, che si era arruolato nell’esercito in cerca di fortuna. Il miraggio dell’oro lo aveva spinto a lasciare la Spagna in cui era nato, attraversare l’Atlantico e seguire quella spedizione nei territori inesplorati a nord del reame del Messico. Sognava di tornare al sud ricco. Avrebbe condotto una vita agiata, magari acquistando alcuni terreni per impiantarvi una hacienda; avrebbe preso in moglie una sposa giovane e bella e avrebbe avuto numerosi figli. Un sogno che si sarebbe realizzato non appena avessero portato a termine la conquista delle misteriose città d’oro.

Perché, se gli esploratori del Brasile da anni e anni buttavano sangue e fatica nella vana ricerca di Eldorado, la città d’oro celata tra le selve malsane e impenetrabili del meridione, loro, i prodi membri della spedizione di Coronado, avrebbero di sicuro avuto maggiore fortuna.

Pedro se lo sentiva.

Avrebbero davvero – e in breve tempo – raggiunto le sette città di Cibola.

Da dove si trovava, poteva vedere di continuo il comandante. Osservare quell’uomo fiero e implacabile andare incontro al proprio destino era una vera epifania. Coronado era l’immagine stessa della vittoria imminente.

Lo sguardo profondo e impenetrabile del comandante, ombreggiato da folte sopracciglia scure, era fisso all’orizzonte. Pedro provò a guardare, cercando di vedere a sua volta qualcosa. Per il momento, poteva soltanto scorgere sabbia rossa e cielo blu. D’altra parte, Coronado era un uomo benedetto da Dio: era ovvio che possedesse una vista superiore, che gli permetteva di scorgere con chiarezza ciò che agli altri era ancora del tutto invisibile.

Pedro era sicuro che, oltre il piatto orizzonte, Francisco de Coronado fosse già in grado di scorgere gli alti torrioni, le mura, i campanili e i tetti d’oro delle città di Cibola. E se Coronado riusciva a vederle, era come se tutti loro potessero già ammirarle.

Così andarono avanti imperterriti, inoltrandosi nel deserto.

Andarono avanti per giorni, per settimane, mesi.

Per anni.

 
   
 
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