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Autore: Cladzky    06/04/2023    1 recensioni
Secondo capitolo del piccolo poemetto "Fosforo ed Espero" in rime semplici. Il creatore e il suo creato esplorano la realtà tangibile appena formata e non si trovano a loro agio. Decidono di crearsi un corpo, ma il risultato porta a dubbi etici.
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fosforo ed Espero'
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Scevri d'ogni moral stretta

Le nostre van sperimentando

Per capire che le aspetta

Per infiniti anni andando

 

Dopo un'altra dimensione

Non si raccapezzan più

Non trovandosi padrone

Di che creato loro fu.

 

"Lo spazio ora è misurabile"

Lamenta il signore universale

"Eppur non parvermi palpabile

E disorientamento assale."

 

"Le leggi di codesto mondo"

S'arrovella il principe novello

"Come possono trovar fondo

In chi di misura non ha un orpello?"

 

"Di veritade m'hai fatto sazio"

Si serafica il pantocratore

"Chi può occupare un preciso spazio

Quando la massa non ha fattore?

 

Noi solo siamo volontà astratta

Che niente sfiora con un tocco;

Orsù convien che ci si adatta

E farci un corpo per balocco."

 

"Sol per giuoco questo vale?"

"Certo, non ti devi affezionare

Metti caso che t'esca male

Ancor lo vorresti conservare?

 

Crea come l'umor ti porta

E non cadrai mai nel fallo"

Dice senza cur di sorta

Poi procede a farsi un mallo.

 

Ecco appare, primitiva

La prima scorza di sostanza

Si delinea e su si giva

Una sfera di gran portanza.

 

La matematica esperienza

D'un oggetto in stabile unione

Manca e segue la tendenza

Della gravitazional coesione.

 

Di che materia o in quale stato

Fu la prima creata cosa

Io non so dire ma il suo strato

Apparve candida e porosa.

 

Era ferma la sua immagine

Pria di rendersi a vision noto

Dunque tutte le sue pagine

Involarono al primo moto.

 

"Come dicevo, non è tosto"

Lei rise di spirito rapito

"Io mi movo e rimane al posto!"

E dietro lascia divin detrito.

 

“L’almagama s’è mossa”

Notò la piccola luminare

“Ma alla tua primera scossa

E la direzion sta a conservare.”

 

La lor attenzione diè perno

Ai granelli del gran guscio:

Come esplosi dall’interno

Sperdon e fan del buco uscio.

 

“Dovremmo forse raccattarli?”

Chiede il piccolo creato.

“Non mertan pure che ne parli

Fu un esperimento errato,

 

Lascia pur che se ne voli

Per l’infinito vuoto etere

Uno scopo demmo soli

E ci delusero, le sfere.

 

Puoi forse farci qualcos’altro?

È un inutile sparagno

Riciclare e farsi scaltro

Se dal nulla trai guadagno.

 

Di quelle cose posso farne

Miglior copie quando voglio,

Dunque indugi tu non farne

E del potere fatti orgoglio.”

 

Questo detto il creatore

Irretì la sua stellina

E meditava, in sordina

A pensar senza pudore.

 

Non esisteva ancora distinzione

Fra il parlato o il loro inconscio

E ragionò che il suo padrone

Udir potesse il dubbio sciolto.

 

“Ell’abbandona ciò che crea

Disprezzandone il valore

E non è la forma mea

Pur creatura del suo amore?

 

Debbo forse sospettare

Ch’egli intenda sbarazzarsi

Del mio futil presenziare

Alla prossima catarsi?

 

Oh, Lucifer sventurata,

Come soffrirai l’attesa

Di venire rimpiazzata

Da maggior perfetta resa.”

 

“Tu non dire più così!”

S’impone alfine il creatore

“Vita sei e voglio sì

Che mai scompaia un mio fiore.

 

Ho già visto io la morte

E non voglio più succeda

Se io posso farmi forte

D’impedir che cadi preda.”

 

“Hai tu visto già la morte?

Quanto tempo allor passò

Dacché formastimi consorte?

Tua seconda sono o no?”

 

“Un giorno forse capirai

Ma voglio chiara la mia intesa:

Giuro morte vedrai mai

O sarai da lei tu lesa.”

 
   
 
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