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Autore: Alessandra Malfoy    07/04/2023    0 recensioni
Tratto da un writing prompt a cui stavo lavorando con alcuni personaggi della mia storia in fase di scrittura, non ancora pubblicata. Quest'estratto probabilmente non finirà nel manoscritto, ma volevo comunque pubblicarlo perché esplora com'è nata la relazione tra due personaggi.
(Tratto dalla storia)
Arthur era insopportabile, questo Laurence non poteva negarlo. Sempre col ghigno in viso, sempre con quell’aria da “io sono più competente di te”, sempre con qualche battuta sarcastica a cui nessuno avrebbe riso a parte lui stesso. Per questo Laurence aveva deciso di ignorarlo, per il bene della pace del gruppo ovviamente. Il fatto che Laurence lo trovasse attraente non c’entrava nulla, assolutamente.
Laurence era un perfettino dito in culo, questo Arthur non poteva negarlo. Aveva quell’aria di superiorità che lo irritava in ogni momento, quel sopracciglio sempre alzato come se ci fosse già nato, quelle maniere di chi non ha mai dovuto faticare per ottenere qualcosa. Se avesse potuto Arthur lo avrebbe strangolato e ne avrebbe lasciato il corpo alle carogne, o forse no, ripensandoci, povere carogne.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  Arthur era insopportabile, questo Laurence non poteva negarlo. Sempre col ghigno in viso, sempre con quell’aria da “io sono più competente di te”, sempre con qualche battuta sarcastica a cui nessuno avrebbe riso a parte lui stesso. Per questo Laurence aveva deciso di ignorarlo, per il bene della pace del gruppo ovviamente. Il fatto che Laurence lo trovasse attraente non c’entrava nulla, assolutamente.


Laurence era un perfettino dito in culo, questo Arthur non poteva negarlo. Aveva quell’aria di superiorità che lo irritava in ogni momento, quel sopracciglio sempre alzato come se ci fosse già nato, quelle maniere di chi non ha mai dovuto faticare per ottenere qualcosa. Se avesse potuto Arthur lo avrebbe strangolato e ne avrebbe lasciato il corpo alle carogne, o forse no, ripensandoci, povere carogne.


La cosa peggiore era che Alexander li aveva entrambi incaricati di dirigersi in un villaggio vicino, quattro giorni di viaggio, per recuperare delle provviste in vista dell’inverno. Laurence aveva provato a convincere Alexander di poterlo fare da solo, ma alla fine è stato costretto a “godere” della compagnia di Arthur. 
La prima giornata e mezza di viaggio era passata senza alcun intoppo, aiutata dal fatto che i due si ignoravano completamente pur mantenendo lo stesso passo di marcia. Al villaggio Laurence comunicò la sua strategia ad Arthur che sbuffò e grugnì. Non disse nulla e i due si divisero; si rincontrarono a tarda notte e decisero di accamparsi vicino al fiume dividendosi i turni di guardia.


La mattina dopo il viaggio riprese, Arthur stanco del silenzio opprimente cominciò a riempirlo con battute sarcastiche. All’ennesima deprecabile battuta Laurence sbottò:
< Puoi farla finita o il tuo cervello è talmente piccolo da non capire che sei tutto fuorché simpatico? >
< Meglio quello che essere un dito in culo per tutti quelli che ti circondano. Ah, ed è il tuo cervello ad essere piccolo e a non capire che sei solo uno spreco di spazio, > rispose Arthur piccato dall’insulto velato dell’altro.
< Io sarei lo spreco di spazio? Tu sei talmente incompetente che ti serve la governante altrimenti non saresti in grado nemmeno di respirare correttamente, > replicò Laurence, la ferita nel profondo che il cavaliere ignorava cominciò a prudere.
< Al contrario vostro, io non ho mai potuto permettermi una governante. Alcuni di noi hanno dovuto meritarsi le cose per averle, non gli sono state offerte su piatti d’argento, > ribatté Arthur il cui tono era diventato accusatorio e Laurence lo poté vedere aggrottare la fronte e chiudere le mani a pugno, ma invece che mettere fine alla discussione, Laurence replicò:

< Stai per caso insinuando che io non abbia dovuto lavorare sodo per ottenere ciò che avevo? Che a me sia stato offerto su un piatto d’argento dal momento in cui sono nato e che non abbia dovuto lottare per avere un posto a cui appartenere? Alcuni di noi hanno problemi peggiori dell’aver dovuto lavorare per ottenere qualcosa. > Il battito cardiaco di Laurence accelerò in fretta, i ricordi si affollarono nella sua mente. Ricordi di frustate sulle mani per ogni risposta errata, frustate sulle gambe per ogni posizione scorretta durante i suoi allenamenti di scherma, frustate sulla schiena per ogni comportamento anche solo lontanamente poco dignitoso. 
La rabbia che provava a nascondere da una vita cominciò ad affiorare: le catene che per anni avevano trattenuto quell’animale bramoso di libertà stavano cedendo, l’animale si era risvegliato e ora voleva il sangue e la distruzione.  

< Certo come no! Come se non avessi visto le tue mani la prima volta che ci siamo incontrati! Non sai cosa significa spaccarsi la schiena, fare i lavori peggiori, farsi pestare i piedi da tutti quelli intorno a te, solo per avere un’opportunità! A te è stato risparmiato il tormento di sapere veramente cosa succede all’ultimo arrivato perché sei un dannato nobile di merda e non meriteresti la pietà, o la fiducia, che Alex ti ha mostrato! > L’aura intorno ad Arthur cominciò a farsi pesante, come se un orso fosse appena stato risvegliato dal suo letargo da estranei che sarebbero presto diventati il suo pasto.

Arthur si fermò e costrinse Laurence a fare lo stesso e fronteggiarlo, la differenza d’altezza ora più evidente che mai. Arthur continuò il suo soliloquio: < Non sai cosa significa rischiare di finire per strada per la minima mossa falsa di fronte alla persona sbagliata o rischiare di essere giustiziato perché inferiore socialmente ma superiore intellettualmente! Sei solo un nobile viziato che vuole più potere per sé! >
< Ora sei andato oltre! Tu non comprendi niente e non hai diritto di parlare! Per quanto posso essere stato viziato sono altrettante le volte in cui sono stato bacchettato per aver desiderato ciò che un nobile come me non dovrebbe desiderare: la libertà! Potrai anche essere stato maltrattato da chiunque, probabilmente te lo meritavi pure, ma non dare per scontato che io abbia vissuto protetto dai mali del mondo tutta la vita! > Le catene che trattenevano il mostro di Laurence finalmente si ruppero. 
L’aria cominciò a raffreddarsi intorno ai due, un leggero strato di brina cominciò a ricoprire l’area circostante e una leggera brezza cominciò a soffiare da nord, presi dalla loro furia nessuno dei due se ne accorse.


< Ma non ho detto questo, assassino. Li conosci i mali della vita e riveli la tua vera natura in essi, > replicò Arthur, le braccia incrociate al petto e il sorrisetto fastidioso in viso. Sapeva che questo appellativo avrebbe distrutto l’altro, l’aveva usato apposta, voleva vederlo crollare, voleva vedere quella “perfezione” crollare e distruggersi così che capisse che alla fine non era niente. 
Arthur voleva disperatamente che almeno uno di quei nobili che tanto disprezzava provasse il dolore che lui aveva provato sin da quando era solamente un ragazzino. Distruggere Laurence non avrebbe portato a nulla, ma Arthur poteva ritenersi soddisfatto con la sofferenza che vedeva negli occhi dell’altro.

< Stai zitto! Non sai cosa è successo quel giorno… Non sai cosa sarebbe capitato… Devi stare zitto! > I ricordi di quella giornata si affollarono nella mente di Laurence, tanto che da tremare per la rabbia passò a tremare per il dolore che quei ricordi portavano con essi. 
Avrebbe odiato Arthur per il resto della vita per aver fatto venire fuori questo lato di lui. 
La maschera di aristocratica freddezza e cinismo era ormai caduta e tutto ciò che rimase fu il nero abisso di dolore che aveva sempre cercato di nascondere. Cercò di richiamare alla sua memoria ogni singolo trucco che aveva imparato col passare degli anni; la Dea avrebbe potuto farlo fulminare da Karaunos in quello stesso istante, ma non avrebbe permesso a quel fastidioso plebeo di entrargli sottopelle e vederlo a pezzi.


< Peccato che nessuno lo saprà mai perché a quanto pare le uniche due persone che potevano raccontarlo sono morte. E dopotutto, era solo un inutile nobile come te e un garzone che probabilmente aveva osato offenderti. > Il sadismo di Arthur stava venendo nutrito dalle reazioni di Laurence da ogni frase pronunciata dalla Guardia Imperiale. 
La prima reazione del cavaliere fu portarsi una mano al cuore, come a voler proteggere un sentimento e tenerlo stretto, mentre i suoi occhi si chiusero per mezzo secondo. 


Purtroppo, ciò che Arthur vide negli occhi dell’altro quando li riaprì fu quel briciolo di forza di volontà che permise a Laurence di rimettere su la maschera abbastanza da poter dire:
< Se fosse così saresti già morto, Guardia. >
< Questo dovrebbe presupporre che tu sia uno spadaccino migliore di me. E di questo dubito fortemente. > 
< Potrai anche essere più abile, straccione. Ma il tuo unico problema è che ti ho già visto combattere e conosco i tuoi trucchi. E da quando ci siamo fermati, ho passato la metà del tempo a studiare l’ambiente. Saprei come ucciderti e farlo sembrare un incidente. > espose Laurence, la maschera finalmente rattoppata alla bell’e meglio, era mediocre ma almeno non stava dando soddisfazione ad Arthur.
< Ma davvero? Allora perché non lo hai fatto nel tuo carissimo Regno? > chiese Arthur, alzando un sopracciglio mentre parlava, facendo volutamente suonare derisoria la sua domanda. Avrebbe distrutto quella maschera, avrebbe lasciato Laurence senza niente a cui aggrapparsi, lo avrebbe distrutto. 
Che la Dea lo maledicesse pure per questo, non gli interessava, ciò di cui aveva bisogno era vedere quella maschera perfetta demolirsi e lasciare quel guscio vuoto che Arthur era certo nascondesse.
< C’è una differenza sostanziale di circostanze. E smettila di tirare fuori quel maledetto argomento! Non sono cose che ti riguardano e mai ti riguarderanno! > sbraitò Laurence, la compostezza incrinata dai ricordi, mentre provava disperatamente a tenere alta la maschera. 
La brezza si stava ora trasformando in vento, un vento freddo, un vento che preannunciava tempesta, un vento che congelò Arthur fin dentro le ossa.
< Peccato che adesso voglio saperlo. Cos’è successo? Il garzone ti ha, giustamente, maltrattato e il tuo compare gli stava dando ragione quindi li hai uccisi entrambi? Oppure sei impazzito e volevi qualcosa da loro ma loro hanno rifiutato di fare ciò che volevi e quindi hai preso le loro vite in cambio? > ipotizzò Arthur, cercando con successo di non balbettare per il freddo.
Laurence sarebbe crollato, Arthur si sarebbe assicurato che accadesse.

< Stai zitto! > L’urlo di Laurence aveva risvegliato qualcosa in lui, qualcosa che non aveva mai saputo di avere dentro di sé. 


Una bufera di neve cominciò a vorticare intorno ai due giovani uomini, il forte vento gelido sferzava i loro visi e i loro capelli. Il naso di Arthur diventò rosso in un attimo, così come cominciarono ad arrossarsi le guance, gli zigomi e le punte delle orecchie, Arthur provò disperatamente a nascondere le mani trattenendo il mantello sperando potesse dargli un minimo di calore. 

Laurence, d’altra parte, non avvertì alcuna reazione all’improvviso freddo, la sua rabbia era ciò che alimentava la bufera finché essa non lo avrebbe prosciugato. 
Nonostante il freddo e i brividi Arthur provò comunque a parlare: < Pri- principessa viziata! Ora- Ora puoi- smettere! Non- Non c’è bisogno di stra- strafare! >
La rabbia di Laurence crebbe e con essa crebbe la bufera: fiocchi di neve grandi quanto una moneta di bronzo cadevano ora più fitti, più freddi.
 
Un freddo mortale, un freddo nato da un senso di colpa che il suo creatore provava, un freddo mortale dal quale inconsciamente il suo creatore voleva farsi prosciugare. 
Laurence cadde a terra, sulle ginocchia, proteso in avanti, la testa appoggiata sulle braccia incrociate sul terreno, la voce che diventava sempre più rauca a causa delle sue urla confuse.  


Arthur cominciò a capire la situazione e cambiò approccio, se fosse morto lì non sarebbe stato giusto: voleva vedere Laurence distrutto ma senza rischiare di morirci nel farlo.
< Larry… Cazzo, guardami… Stai bene… La smetto… Ma ti prego, cal… calmati o… o moriremo entrambi…> balbettò Arthur cercando di avvicinarsi all’altro. Purtroppo, la bufera lo teneva lontano, non c’era nulla che potesse fare.
Arthur si rifiutò di arrendersi e affondando le mani nel mantello cominciò la sua lenta carica verso Laurence. 

Ogni passo era un crampo muscolare dovuto dal freddo, ogni battito di ciglia era un’impresa mastodontica. Più si avvicinava alla causa della bufera più il suo istinto gli urlava di voltarsi e scappare via, il più lontano possibile. Arthur non riuscì a spiegarsi il perché ma non ascoltò il suo istinto e continuò a lottare con la bufera per arrivare a Laurence. 


Le orecchie e le labbra di Arthur erano diventate viola, così come la punta delle sue dita, la punta del naso e le guance avevano preso una strana tonalità a metà tra il cremisi e il porpora, ea sicuro che se la bufera non si fosse fermata in fretta sarebbe sicuramente morto per assideramento.

< Il mio… mio solito… culo… Alex me la… me la pagherà… > borbottò mentre finalmente arrivò a Laurence. Gli si inginocchiò accanto e provò a distrarlo per far smettere le urla, ma Laurence svenne direttamente. 


La bufera cessò tanto velocemente quanto era iniziata, dando così ad Arthur modo di respirare e riscaldarsi in quei pochi raggi di luglio che riuscivano a farsi strada tra il folto degli alberi. 
Una volta ripresosi abbastanza, Arthur recuperò dalla sua borsa un pezzo di pergamena e un carboncino e scribacchiò un messaggio per Alexander che affidò ad un corvo che era riuscito a richiamare a sé. 
Arthur si diede poi da fare, si caricò Laurence in spalle e seppur barcollante e tremante cercò di allontanarsi il più possibile da quel luogo. 
Trovò riparo in un vecchio tempio abbandonato, lasciò Laurence all’interno ed andò a cercare qualcosa con cui accendere un fuoco nel braciere del tempio. 


Quando tornò nel loro rifugio di fortuna, Arthur trovò Laurence ancora svenuto ad agitarsi nel suo sonno, lasciando i rami raccolti nel braciere Arthur si avvicinò all’altro e gli si sedette accanto, probabilmente sentendo la presenza di un altro corpo caldo Laurence gli si attaccò ad un fianco e si calmò.
 
Rimasero così per quelle che sembrarono ora, il braciere a lungo dimenticato poiché Arthur si addormentava e si risvegliava ogni dieci minuti. Quando Laurence aprì gli occhi la prima cosa che vide f la coscia di Arthur ad un palmo dal suo naso. Si mise a sedere immediatamente cercando di connettere cosa fosse accaduto.

Arthur non perse tempo e parlò:
< Ben alzato, principessina. Credevi che avresti voluto rimanere a dormire fino a domani. Stai meglio ora? >
Laurence lo fissò a lungo, cercando di ricordare, quando successe il panico prese possesso del suo corpo e esaminò attentamente Arthur.
La pelle di quest’ultimo era screpolata, rossa e fredda come il ghiaccio, Laurence si tolse il proprio mantello e lo mise intorno al corpo dell’altro, poi strofinò le mani l’una contro l’altra e cominciò a massaggiargli le guance.

< Cosa- Cosa stai facendo…? > chiese Arthur sorpreso, non si sarebbe mai aspettato tutta questa cura da Laurence; eppure, le dita di quest’ultimo stavano attente ed erano premurose nel premere e seguire cerchi immaginari sulla sua pelle. E soprattutto, erano calde. Si era talmente abituato al leggero tremolio di freddo che mai l’aveva abbandonato che non pensava gli mancasse il calore.

< Io… Mi suso per averti quasi fatto morire per assideramento, immagino… E ti ringrazio per non avermi lasciato lì… > borbottò in risposta Laurence evitando accuratamente di guardare Arthur negli occhi.
Aveva già dovuto accantonare il suo orgoglio per mettere insieme quelle due frasi, temeva cos’altro Arthur avrebbe potuto scoprire solo guardandolo dritto negli occhi. Quando sentì le sue dita raffreddarsi Laurence le allontanò, ma Arthur le seguì col viso cercando di prolungarne il contatto. Laurence trattenne un sorriso dolce.


Chi ha il potere della Fauna deve proprio assomigliare ad un cucciolo, eh?

Quando Laurence processò ciò che aveva appena pensato si paralizzò; in nome della Sacra Dea e di tutto il creato, com’era passato dal pensare di uccidere Arthur a pensare che Arthur assomigliasse ad un cucciolo? 


Notando il blocco dell’altro, Arthur si avvicinò di più a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla. Poi bisbigliò:
< Sai, quando stai zitto la tua compagnia è quasi piacevole… Anche il tuo corpo aiuta, sei bello… >

Laurence lo guardò sorpreso, le sue si colorarono di un rosa intenso ma non fece e non disse nulla quindi Arthur continuò:
< Mi spiegherai mai come stanno veramente le cose? Perché sei stato così stupido da uccidere due persone? >

Laurence si risvegliò dal suo incanto, era ovvio che prima Arthur non fosse stato sincero ma aveva solo recitato per fargli abbassare la guardia e farlo crollare.
< Non sono cose che ti riguardano, riposati. Appena starai meglio riprenderemo il viaggio, > rispose Laurence, la voce ancora rauca da quanto accaduto prima. Si alzò lasciando Arthur solo e cominciò ad armeggiare per accendere il braciere.

< Ma… Ed io che ho provato veramente a capirti. Non meriti davvero nemmeno un briciolo del mio tempo! > esclamò Arthur, irritato sia dalla reazione di Laurence che dal suo stesso comportamento.

< Non trattarmi come una situazione che tu debba capire. Io sto bene con il mio dolore e le mie lacrime. Non sarò il tuo burattino, > replicò Laurence, era finalmente riuscito ad accendere il fuoco ma non si allontanò da dov’era e continuò a dare le spalle ad Arthur. Aggiunse:
< Volevi vedermi distrutto? Beh, ci sei riuscito. Ora gongola per la tua vittoria in silenzio e lasciami in pace. >

Arthur si strinse le ginocchia al petto e guardò la schiena dell’altro uomo, sembrava una statua, una fragile statua, e si chiese per la prima volta se i suoi pregiudizi non l’avessero tratto in errore. Laurence sembrava così piccolo ed indifeso senza la sua maschera, maschera che lui aveva aiutato a buttare giù, ma la sofferenza di quell’uomo era così reale e profonda che Arthur si chiese cosa avesse dovuto passare durante la sua breve esistenza per provare tutto quel dolore.
Sospirò, sapeva che se avesse chiesto avrebbe ricevuto un’altra rispostaccia, quindi rimase in silenzio.

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Arthur venne risvegliato dal suo riposo dal rumore della porta che veniva aperta con veemenza. Il suo corpo ormai addestrato reagì prima della sua mente e sfoderò il pugnale che teneva nascosto sotto il mantello. Sentì Laurence sfoderare la spada nello stesso identico momento.   
< Mettete via le armi, sono Max. Sono venuto a raccogliervi, piccoli cuccioli sperduti, > annunciò Maximilianus chiudendosi la porta alle spalle.
< Max! Allora Rose è arrivata da voi con il messaggio! Pensavo fosse stata catturata! > lo salutò Arthur rinfoderando il pugnale.

Maximilianus scosse la testa e si avvicinò ad Arthur per esaminarlo, borbottando tra sé, applicò un po’ di olio d’abete bianco sul suo viso, sulle orecchie e le mani. Quando finì si voltò verso Laurence e ordinò:
< Spegni il fuoco, torniamo al rifugio. Lì rimetteremo in piedi Arthur che entro tre sere deve tornare alla Capitale. >
Grato che non gli stesse chiedendo cosa fosse successo e preoccupato di cosa Arthur avesse scritto, Laurence fece quanto richiesto.
 

Dopo una decina di minuti i tre erano fuori dal tempio pronti per partire: Arthur dovette appoggiarsi a Maximilianus e Laurence per poter camminare.
Era la situazione più scomoda in cui Laurence si fosse mai trovato ed il fatto che era il più basso dei tre non aiutava. Continuarono a marciare in un silenzio spettrale, solo il suono della foresta lo rendeva più sopportabile.

A notte fonda si fermarono ed allestirono un campo, i turni di guardia vennero divisi solamente tra Laurence e Maximilianus così da poter dare ad Arthur il tempo di riprendersi e riposare. 
 Durante il turno di guardia di Laurence Arthur si svegliò di soprassalto. Il corpo tremante e ancora scosso dall’incubo appena avuto. Laurence gli si avvicinò, chiedendogli silenziosamente se andasse tutto bene, Arthur annuì e forzò un sorriso. Laurence sospirò e gli si sedette acconto, poi bisbigliò:
< Non te l’ho chiesto perché tu dovessi mentirmi. Se non vuoi parlarmene capisco, ma ecco… non c’è bisogno che menti così spudoratamente. >
< Non ti credevo così perspicace, > sussurrò di rimando Arthur distogliendo lo sguardo e guardando nel profondo buio della foresta.
< Impari ad esserlo se sei circondato solo di persone false sin dal giorno della tua nascita, > rispose con lo stesso volume di voce Laurence stringendo le gambe al petto.
Arthur poté giurare di sentire il suo cuore gonfiarsi di contentezza dalla piccola confessione dell’altro, sorridendo ma continuando a guardare la foresta mormorò:
< Sai, per essere un nobile di merda, non fai così schifo quando ti ci impegni. >
Laurence si lasciò sfuggire una risatina e bisbigliò:
< Devo prenderlo come un complimento? E se dovesse esserlo, dovrei pensare che il freddo ti ha dato alla testa? >
< Finiscila. E accettalo così com’è perché non ne riceverai altri, > replicò Arthur dando all’altro una leggera gomitata sul costato.

Laurence si ritrovò a sorridere e appoggiò la testa al tronco dell’albero contro il quale si era seduto e cominciò a guardare in alto. Arthur rimase a fissarlo, la delicata punta del naso leggermente all’insù, il neo sul collo che sembrava richiamarlo, i suoi disordinati riccioli castani che gli faceva venire voglia di passarci in mezzo la mano per spettinarli ancora di più. Quando si rese conto dei suoi pensieri Arthur voltò la testa un’ennesima volta e mormorò:
< Comunque… Al tempio non volevo farti incazzare, ero solo sinceramente curioso e preoccupato, senza secondi fini. >
Laurence lo guardò sorpreso: una piccola parte di lui voleva fidarsi dell’altro, ma la parte più razionale di lui non avrebbe mai più dato la sua fiducia a qualcun altro. Non disse nulla e tornò a guardare in alto, Arthur capì e non parlò più, appoggiò però la testa sulla spalla di Laurence e si riaddormentò così.


La volta dopo che si svegliò fu perché venne chiamato da Maximilianus la mattina dopo.
I tre si rimisero in marcia esattamente come il giorno prima, anche se ci furono dei tratti in cui Arthur dovette camminare da solo sempre però con la presenza costante di Laurence subito dietro. Arrivarono al rifugio entro mezzogiorno, ad attenderli trovarono Alexander imbronciato sulla porta.

Li fece entrare e fece sdraiare Arthur nel letto della stanza in fondo, ma non ebbero pace poiché Alexander si fece seguire da Laurence e i due fecero irruzione nella stanza di Arthur.
< Ora spiegatemi cosa è successo. Senza fare scenate, senza fare i bambini e in modo conciso, > ordinò Alexander appoggiandosi con una spalla al muro e squadrando i due dalla testa ai piedi.

Laurence fu il primo a parlare e, con sgomento da parte di Arthur, si addossò l’intera colpa della vicenda; disse che i suoi pregiudizi gli avevano offuscato il giudizio, che aveva esagerato, che aveva perso il controllo per una cosa di poco conto e che era mortificato dall’aver quasi ucciso Arthur.

< Apprezzo le tue parole, ma non sei totalmente sincero. Arthur, ti va di aggiungere la tua parte di colpa? > domandò Alexander guardando fisso l’uomo per metà sdraiato sul letto.

Arthur raccontò di come avesse provocato intenzionalmente Laurence, raccontò di come avesse continuato a stuzzicarlo per innescare una reazione nell’altro, ammise di aver esagerato, ammise di essersi lasciato trasportare dai suoi pregiudizi e di come alla fine avesse fatto crollare Laurence.

Alexander spostò da uno all’altro prima di sospirare di esasperazione e dire:
< Spero che questa esperienza vi sia servita da lezione. Causare litigi interni non farà bene alla nostra causa. Arthur posso capire il tuo odio per i nobili, lo provo anch’io, ma se mi sono fidato di Laurence c’è un motivo e dopo quanto passato insieme dovresti avere un po’ più di fiducia nelle mie decisioni. Laurence, purtroppo Arthur non si comporta così per fare lo stronzo ma è fatto così, se lasci perdere le prime impressioni potresti trovare un amico fedele e leale in lui. >

I due interpellati si fissarono l’un l’altro, Alexander prese il loro momento di silenzio per aggiungere:

< Sul mobile trovi oli e creme per le ustioni da gelo di Arthur, visto che il danno l’hai fatto tu sarai tu a prenderti cura di lui. >

Alexander lasciò la stanza e Laurence realizzò cosa gli fosse stato richiesto, maledisse mentalmente Nives e Cocytus, ma cominciò comunque a catalogare mentalmente in quale ordine applicare i diversi oli e le diverse creme; la cosa più imbarazzante fu chiedere ad Arthur di spogliarsi.


Laurence avrebbe preferito sotterrarsi non appena formulata la richiesta mentre Arthur era diventato porpora dall’imbarazzo e cominciò a togliersi la casacca con gesti lenti e a scatti. Togliere la camicia fu la parte più difficile poiché i brividi gli penetrarono sin dentro le ossa e lo fece scuotere e tremare. Quando toccò alle braghe avrebbe sicuramente preferito tagliarsi la gola, sentiva gli occhi di Laurence sul suo corpo e pregò la Dea che l’altro non facesse domande sulle cicatrici che riempivano gran parte delle gambe e della schiena.

 Laurence lo fece sdraiare a pancia in giù e cominciò a passare delicatamente l’olio d’abete bianco sulla schiena di Arthur, le sue mani si muovevano con lentezza e premura, quasi avessero paura di ferirlo ancora.
Arthur lo poté sentire indugiare su ogni cicatrice sulla quale passava la mano leggera, le sfiorava delicatamente con un dito prima di ricominciare a passare l’olio, ogni nuova spalmata faceva venire i brividi alla Guardia Imperiale. All’ennesima volta in cui le dita di Laurence si fermarono su una cicatrice, Arthur mormorò:
< Ormai sono vecchie… Non danno nemmeno più fastidio… >

Laurence fece un verso d’assenso prima di bisbigliare a sua volta:
< So come si sentono… E anche se fisicamente non provocano più dolore, so che alcune cicatrici feriscono ancora profondamente… >
< Hai preso anche lezioni di anatomia e medicina, cavaliere viziato? > domandò Arthur per cercare di alleggerire l’atmosfera.
Laurence si lasciò scappare una risatina amara prima di scuotere la testa, ma non aggiunse altro e Arthur non chiese di sapere.

Quando Laurence mise via l’olio Arthur lasciò uscire un verso d’insoddisfazione, ma questo venne prontamente sostituito da occhi brillanti e un sorriso smagliante quando vide l’ampolla di creta contente un balsamo che l’altro teneva tra le mani. Laurence evitò di soffermarsi troppo sulla sua ormai sopranominata “faccia da cucciolo” e cominciò a spalmare il balsamo sulle bruciature da gelo che spiccavano sulla schiena di Arthur. Quando finì cominciò a passare olio e balsamo anche sulla parte posteriore delle gambe, arrossendo terribilmente ogni volta che le sue mani passavano troppo vicine al fondoschiena dell’altro; Arthur non era meno imbarazzato, aveva nascosto il viso tra le braccia e doveva mordersi la lingua per non lasciarsi sfuggire versi di soddisfazione ogni volta che le delicate mani di Laurence passavano sul suo interno coscia o vicino al fondoschiena.
 
Stanco di questa imbarazzante situazione, Arthur gracchiò:
< Come mai non mi chiedi come mi sono procurato queste cicatrici? >
< Ho dato per scontato che non ne volessi parlare. Vuoi che te lo domandi? > replicò Laurence, il suo tono di voce basso mentre le sue mani continuavano il loro lento viaggiare.
< No… Ma ho pensato che saresti stato almeno un po’ curioso. Pensavo che… Lascia perdere… > borbottò Arthur trattenendo l’ennesimo verso.
< Sono curioso, ma posso rispettare la tua riservatezza… Sono il primo che vuole che venga rispettata la sua, sarei ipocrita a chiederti di violare la tua, > spiegò mormorando Laurence, per poi ordinare a Arthur di voltarsi.
< Allora il nostro cavaliere è un tenerone nel profondo, non me lo sarei mai aspettato, > scherzò Arthur girandosi per incontrare lo spettacolo degli occhi di Laurence: la Guardia notò solo in quel momento che nel blu profondo degli occhi del cavaliere ci fossero sfumature verdi scuro. Notò anche il leggero arrossamento sulle guance dell’altro e il leggero broncio che gli deformava i lineamenti.

< Non sono tenero… Tutto fuorché quello… Non scordarti che su una cosa avevi ragione: sono un assassino… > borbottò Laurence rompendo il contatto visivo e cominciando a passare l’olio sul petto dell’altro.
Arthur si imbronciò, sapeva che Laurence non aveva torto, ma il fatto che l’atmosfera era tornata ad essere tesa creava sentimenti contrastanti in lui. E essere la causa di quella tensione lo infastidiva profondamente; quindi, disse:
< Potrei anche aver avuto ragione su quel punto ma il resto della mia conversazione erano stronzate sparate per farti incazzare… Non avrei dovuto premere su quel tasto dolente. Era meschino da parte mia… Avevi ragione tu, non sono affari miei. >

Laurence sorrise sarcasticamente ma non disse nulla e continuò a far scorrere le sue mani sul petto dell’altro, anche qui accarezzava dolcemente le cicatrici, preoccupato di quante effettivamente ce ne fossero.
Cercò di concentrarsi su altro ma la sua mente vagava solamente in due direzioni: il petto tonico di Arthur e le cicatrici che ne decoravano il corpo.
Non avrebbe mai pensato che lo abbruttissero, le cicatrici erano storia, ricordi, e seppur sicuramente dolorose, avevano qualcosa da raccontare.

Quando Laurence cominciò a passare il balsamo, Arthur non riuscì a trattenere il verso di soddisfazione che uscì dalla sua gola; la situazione si fece improvvisamente imbarazzante.
Quando fu il turno delle gambe entrambi gli uomini volevano sotterrarsi: mentre le leggiadre mani di Laurence cominciarono il loro massaggio, Arthur strinse le lenzuola in pugni, si morse la lingua e fece una veloce preghiera alla Dea per far finire in fretta quella situazione.

Ora veramente impensierito dalle cicatrici, Laurence mormorò una domanda:
< So che probabilmente mi insulterai adesso, ma è allarmante. Come ti sei fatto tutte queste cicatrici? >
< Lascia perdere. Non è un argomento molto felice e non mi piace molto parlarne… > Arthur sussurrò in risposta, accarezzando la cicatrice più grande che tagliava diagonalmente la sua spalla.
< Comprendo il sentimento, io stesso ho cicatrici legate a ricordi che preferirei non raccontare, - > Laurence si pulì le mani sul panno che aveva preso precedentemente per poi sollevare la sua camicia e mostrare all’altro la grande cicatrice che partiva dall’ombelico e finiva diagonalmente oltre l’orlo dei pantaloni- < non te lo avrei chiesto se la situazione non fosse preoccupante. E sono quasi certo il taglio sul ginocchio destro sia fresco di una settimana. >
Arthur sospirò passandosi una mano sul volto, poi guardò l’altro dritto negli occhi- < Alcune sono dovute all’addestramento. Altre si ricollegano al fatto che tu non puoi capire veramente com’è fare la gavetta quando sei un nessuno. >
< Ti sono state inflitte dai tuoi compagni? > Il tono di voce di Laurence era reso più rauco dall’indignazione nella sua voce, la rabbia crescente in lui lo rendeva irrequieto e incapace di continuare a spalmare il balsamo.
< Ehm… Più o meno? Più che dai compagni dai Capitani… Lo chiamano rito di passaggio… Non sono l’unico ad averle… Non è poi una grande cosa… Non mi hanno spezzato come volevano accadesse, > decretò Arthur, la rabbia e l’orgoglio mescolati perfettamente sul suo viso.
< Sei proprio un cazzone. > Laurence scrollò le spalle e riprese a passare il balsamo sulle gambe dell’altro.
< Per la sacra Dea! - > Arthur si portò una mano al petto- < Cosa sono queste brutte parole, mio bel cavaliere? >
< Mi trovi bello? > lo stuzzicò Laurence cercando di nascondere il timido sorriso che si affacciava sulle sue labbra.
< Oh, mai stai zitto! Sai cosa intendevo! La tua faccia da aristocratico di merda è bella da prendere a pugni! > esclamò Arthur, il rossore che gli colorava le guance e gli zigomi. Laurence scoppiò a ridere, trascinando con sé anche Arthur.

Le loro risate vennero sentite anche nel salotto del rifugio dove Alexander sorrise e Maximilianus alzò gli occhi al cielo lanciando all’altro una moneta d’argento.    
   
 
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