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Autore: Cladzky    09/04/2023    1 recensioni
Futuro istallamento del piccolo poema in versi semplici "Fosforo ed Espero", ma che pubblico in attesa di completare i pezzi intermedi. Presa dalla gioia della sua realizzazione mentale, Lucifero danza fra i pianeti, dando vita senza sapere e attirandosi gli interessi del vicino cherubino, discutendo sulla luce e il buio.
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fosforo ed Espero'
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Saltellava per Saturno,

Serafico moveva Vespero,

Sugli anelli, l’astro diurno

Sorrideva nel suo riverbero.

 

"Ei che controlla  l'intero universo,

Essendo frutto del suo antico ingegno,

Non ha potere in un mondo diverso

Qual la mia mente, infinito regno!

 

Può cancellare, se lo volesse,

L'intera fatica del suo creato

Ma ciò che move le stelle stesse

Del mio voler non scuote un fiato!

 

Se potesse manovrarmi

Com'estensione del suo braccio 

Perché appropinquo a prender armi

E il mio proposito non taccio?

 

E perché ancora ci minaccia

D'annichilire l'esistenza

A chi ribelle in cuor si faccia

Se potesse farlo senza?

 

Spiare può, ciò che ho in testa,

Come a tutte noi figliuole,

Ma il vigilare spesso arresta,

Forse strema oppur non vuole."

 

Così pensava e già Titano

In un balzo avea raggiunto.

Slitta sopra un mare ciano

Dell’eterno ghiaccio unto.

 

Da Xanadu, poi levato

Fra magnetic’onde carpa

Ferrigneo nucleo l’apparato

È pizzicato come un’arpa

 

E quel suono celestiale

Scorre come latte e miele

Inaudito a chi mortale

Tien l’orecchio e quelle tele

 

Della galassia fredda e nera

Dipinge fasci suoi del prisma

E l’accende in primavera

Come fior di quella risma

 

E sboccian quindi mille soli

In un giardino floreale

Fin dell’universo ai poli

Della gioia collaterale.

 

Or notando lo splendore

Della via sì detta Làttea

Creata a fuga in poche ore

E non presenta ancor la bràttea,

 

Un cupo cherubino, Uriele,

S’approssima a capire cosa accade

E immischiandosi in stellari ragnatele

Quasi contro una cometa cade

 

“Ma che succede al mio quadrante

Sono forse io impazzito?

Mi distraggo un solo istante

E un cataclisma m’è sfuggito!”

 

Cinge salda la sua spada

Foggiata in folgore irrequieta

E la mena a farsi strada

Scindendo in due un pianeta;

 

Dopo il fendente un colpo dritto

Nel cuore in atomica fusione

Di verde stella, Nil d’Egitto,

E deflagra in sconquassione

 

Piegando la realtà del rione

Come la fiamma delle candele

Getta di miglia via un milione

E rintronò appena Uriele.

 

“Or conviene ch’el degenerato

Mi sveli alfin la smargiassata

Oppure penta d’esser mai nato

Or che ancor gli lascio fiata!”

 

Si dimena e si digrigna

Come un cerbero infernale;

Teso il collo di sanguigna,

Indefinito, lacera e assale.

 

“Tu m’invochi, cordial sorella?

Perché m’impropèri in buffa maniera?

Son qua, dimmi, hai un’aria fella

E par ti sia fatta dei lividi bandiera.”

 

Scese Lucifero con grazia danzante

Sul suo ferito subordinato

E questo, stranito, lo guarda trionfante

In ogni suo gesto e il viso luminato.

 

“Perché sei qui, signore del giorno?

Cosa ti spinge nel cosmo ai crepacci

Dove sol regna lo scarto del forno

Del nostro padrone in lugubri ghiacci?

 

Perché danzi con passi di punta?

Perché t’inchini e voli di nuovo?

Perché, falena, a foglia raggiunta

Spargi scintilla in ogni tuo covo?

 

Non ti è bastato il reame del sole?

Ora qui pure lo vuoi portare?

Il tuo imperare inver mi dole.

Chi, la tenebra, dovrà guardare?”

 

“La tenebra sempre esistere deve

Perché lo spazio lo è di natura

Ogni dominio di luce è assai breve

Perché attiva è la premura

 

Mentre all’abisso basta dormire

E anche se meno, sempre più resta.

Mai riuscirai lo spazio a coprire

Pur di percorrerlo dai piedi alla testa.

 

Vola Uriele, non è poi lontano

Appena a qualche miliardo da qui

Troverai pece, detriti e alla mano

Il piacer di preservarli ogni dì.

 

Il sole mio è destino si spenga

Molto prima di quanto si spera:

È così dura che si mantenga

Un’amabile facciata sincera.”

 

“Tu par felice, pur questo mi dici

Sei disperata,mia sorellina?

La pazzia coglie chi le radici

Vede estirpate da altra dottrina.

 

Se il sole tuo dovesse morire

Ti dispera il dover riprovare

Ancora e ancora per anni a venire

Che una condanna è il tuo lavorare?

 

Chiedi tosto al caro padre

Se dell’altro può assegnarti

E con delle nuove squadre

Misurarti può le parti.”

 

“No, davvero, son commossa

Ma il mio dolore ho ottenebrato

Al mio cuore ho mente mossa

E radioso vedo il fato.”

 

E già, Uriele, volava baldo

Spiralizzando verso il ponente

E dietro lasciava il principe araldo

D’un sole raggiante nella sua mente.

 
   
 
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