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Autore: blackjessamine    10/04/2023    3 recensioni
[HarryPotter!AU]
La delegazione di Durmstrang salpa alla volta della Scozia: a bordo, giganti che non sono più in grado di obbedire ai propri insegnanti, ladri con piani precisi in mente, spettri in cerca di un obiettivo e contadini con un inspiegabile bisogno di assistere a delle esplosioni.
[Storia partecipante al "Torneo Tremaghi – Multifandom Edition" organizzato dal gruppo facebook "L'Angolo di Madama Rosmerta"]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inej Ghafa, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Matthias Helvar
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seconda Prova

Parte seconda





 

Matthias prosegue per quelle che gli sembrano ore, ma evidentemente devono essere solo poche manciate di minuti, perché Inej e Jesper continuano a tacere. 

Matthias prosegue, e a ogni passo strascicato ha l’impressione che il livello dell’acqua diventi un po’ più alto, che la temperatura diventi un po’ più bassa e che le pareti della tubatura diventino un po’ più strette. 

Ben presto Matthias si ritrova a maledire la sua stazza da orso e a invidiare quel ranocchietto rachitico del Campione di Hogwarts, che forse avrà anche impiegato più tempo di lui a liberarsi dagli effetti della pozione che li ha addormentati, ma sicuramente non rischierà di incastrarsi come uno sciocco nelle fogne della scuola.

Matthias però non è stato addestrato per lamentarsi: la bonelight sempre stretta fra i denti a illuminare quello che sembra un tunnel infinito, continua ad avanzare. È quasi costretto a strisciare,  ma riesce a tenere la testa alta – preferisce portarsi a casa qualche problema di cervicale che correre il rischio di immergere la faccia e le labbra nell’acqua putrida – e continua ad avanzare in una camminata sfiancante e vagamente umiliante.

Avanza, un ginocchio dopo l’altro, e l’unica cosa a cui riesce a pensare è il camino scoppiettante davanti a cui spera di riscaldarsi una volta indossati dei vestiti puliti e asciutti. 

Avanza fino a quando, sbigottito, si rende conto che l’alone di luce verde emanato dalla bonelight si scontra con la superficie liscia e invalicabile di una parete di metallo. Il condotto è un vicolo cieco. Un maledetto vicolo cieco, con un pertugio largo poco più della sua mano che fa gocciolare un rivolo costante di acqua gelata proprio sulla sua testa. 

Matthias soffoca un gemito di frustrazione.

"Jesper, Inej, se voleste riprendere a parlarmi, questo sarebbe  un ottimo momento", mormora, consapevole di essere solo uno sciocco illuso. Uno sciocco illuso che ha appena perso fin troppo tempo a strisciare in un condotto che ora dovrà percorrere all'indietro, con un'andatura ancora più goffa. 

Tremando, comincia lentamente a ripercorrere i propri passi: vorrebbe quantomeno voltarsi, ma il cunicolo è troppo stretto, e così è costretto a procedere a tentoni all'indietro. 

A procedere all'indietro con il passo più veloce che riesce a tenere, perché ha la sensazione che il rivolo d'acqua che poco prima gli ha infradiciato i capelli si stia rapidamente trasformando in un'allegra e fin troppo abbondante cascata. Appoggiando i palmi a terra, Matthias si rende conto che l'acqua ormai gli copre abbondantemente  i polsi.

Ci mancava giusto che mezza scuola decidesse di tirare lo sciacquone proprio in questo momento, pensa Matthias, domandandosi se ascoltare per troppo tempo le farneticazioni di Fahey non sia servito solo a far farneticare anche lui.

Concentrato, deve restare concentrato.

E muoversi il più velocemente possibile.

Perché, con un tonfo sordo, qualcosa è caduto in acqua dall'apertura nel soffitto. Qualcosa che, nella fioca luce della bonelight, Matthias non riesce a vedere bene come vorrebbe, ma che comunque si sta muovendo verso di lui con una rapidità sorprendente.

È una creatura grande all'incirca come il suo braccio, il corpo coperto di scaglie color fango. Una creatura che si fa sempre più vicina: istintivamente, Matthias porta le braccia davanti al viso per proteggersi, ma la creatura gli si scaglia contro con una determinazione e una violenza che lo fanno sobbalzare. Sente il dolore smorzato di piccoli denti che gli affondano nella carne, e  poi quello acuto e penetrante di dieci artigli che gli incidono la pelle. 

Le dita della creatura sono taglienti come lame di coltello: un Avvincino. Il demone acquatico che infesta laghi e paludi inglesi. Matthias ricorda Nina intenta a sgranocchiare una bacchetta di liquirizia ad un tavolo appartato della biblioteca di Hogwarts, la sua schiena inarcata da uno sbadiglio durante una delle sere della scorsa settimana, impegnata a snocciolare informazioni sulle creature che lei, Wylan e Inej credevano avrebbe potuto incontrare durante la sua passeggiata nelle tubature.

Gli Avvincini hanno lunghe dita che usano per cavare gli occhi alle loro vittime. Mi piacciono i tuoi occhi, Helvar, quindi vedi di spezzare quelle dita prima che ti accechino.

Con un movimento brusco, Matthias riesce a stringere la mano attorno al corpo viscido dell'Avvincino, strattonandolo lontano dal proprio viso. L'Avvincino si divincola: ha la struttura nervosa di un polpo e una forza che Matthias non si sarebbe aspettato, ma Matthias non ha passato ore e ore nella palestra di Durmstrang solo per farsi sopraffare da un demone grande quanto un gatto. Rafforza la presa sull’Avvincino e, imponendosi di non fermarsi a riflettere sulla violenza gratuita del gesto – l'intruso in quelle fogne è lui, non certo l'Avvincino – sbatte con forza la creatura contro la parete del cubicolo. Una parte di lui spera di non aver utilizzato troppa forza: se avesse con sé la propria bacchetta, si limiterebbe a Schiantare l'Avvincino, ma una bacchetta non ce l'ha, e così si ritrova a combattere contro la paura di aver ucciso a mani nude un essere vivente, per quanto nemico della sua vista potesse essere.

 

"Matthias? Riesci a sentirmi?"

La schiena di Matthias, con una sonora protesta, ha appena riguadagnato la propria posizione eretta al centro dell'incrocio di tubature quando la voce di Inej, bassa e tranquilla, riempie la sua testa.

"Forte e chiaro".

"Va tutto bene?"

Non c'è traccia della facile ironia di Jesper.

"Andrebbe meglio se non avessi appena rischiato di incastrarmi in una strada senza fondo", borbotta Matthias, ancora irritato con Jesper e con le sue indicazioni contraddittorie.

"Lo so. Mi dispiace, la mappa non è così facile da interpretare, ma ora crediamo di aver capito come funziona".

"Credete?"

Un piccolo silenzio, poi la voce di Inej gli assicura che sì, questa volta hanno davvero capito come leggere la mappa.

"Devi prendere il terzo tunnel alla tua sinistra".

"Ma porta a Sud-Ovest. Jesper aveva detto…"

"Lo so che cosa ha detto", lo interrompe  svelta Inej, "ma questa è la via più comoda. Fidati, Helvar".

Fidati di studenti con cui a scuola non hai mai parlato, fidati di chi ha dimostrato di saper infrangere tutte le regole esistenti, fidati di chi cammina sempre al fianco di Brekker.

Più facile a dirsi che a farsi.

Ma Matthias non ha alcuna scelta, e quantomeno sceglie di fidarsi della luce avida che ha visto brillare in fondo agli occhi di Kaz Brekker quando ha parlato del premio in palio. Se non altro, Matthias è certo che Brekker vuole vedere i suoi amici stringere la Coppa, ma non possono farlo se lui rimane intrappolato nelle fogne.


Percorre in fretta un dedalo di tubature, la voce di Inej una guida costante e sicura. La ragazza non perde tempo a fare battute o a cercare a tutti i costi qualche tipo di scontro, si limita a dargli indicazioni precise e, soprattutto, si premura di spiegargli quale sarà la strada che dovrà prendere successivamente, in previsione del momento in cui i dieci minuti a sua disposizione finiranno.

Matthias vorrebbe che fosse solo lei a occuparsi di guidarlo, ma a quanto pare neanche Kaz Brekker è in grado di infrangere la regola che vuole un’alternanza fra i Campioni alla guida dello sfortunato rinchiuso nelle fogne.

Matthias si trova in un cunicolo alto ma particolarmente stretto, così stretto che le sue spalle riescono ad attraversarlo solamente se lui si mette di traverso, l’acqua gelata che gli arriva alla vita. Per fortuna – o forse in previsione di un Campione da ficcare in quel posto orribile – sul soffitto corre una barra di metallo piuttosto salda, a cui Matthias riesce a reggersi per essere sicuro di non scivolare e di finire completamente sommerso. Procede col passo più svelto che può, ascoltando la voce di Inej che gli sussurra ancora una cinquantina di metri, poi una svolta: troverai sulla tua destra tre aperture, tu prendi la terza, lasciati scivolare in basso, e poi segui la tubatura che porta a nord quando uno strano formicolio gli investe la mano aggrappata alla barra di metallo.

Rallenta, apre e chiude un paio di volte il pugno, sperando di scacciare il formicolio, ma la sensazione, se possibile, non fa che aumentare. 

Quando avvicina la mano informicolata alla scarsa luce della bonelight, scopre con un moto di disgusto che il formicolio è dato da una grande quantità di minuscoli puntini scuri che si muovono con scatti ansiosi sulla sua pelle. Sembrano…

“Inej? Mi senti ancora?”
“Sono qui”.

Matthias tiene d’occhio quegli insettini, osserva la loro danza sulla pelle, avverte un leggero mordicchiare – non è doloroso, ma non ha idea di che cosa siano quelle creature, e il timore che si tratti di qualcosa di velenoso è molto.

“Hai mai sentito parlare di formiche attratte dalle bussole?”
Segue un lungo silenzio in cui Matthias rimane immobile a fissare quegli insettini percorrergli la pelle per allinearsi lungo il bordo del cinturino della bussola.

“Inej?”
“Un secondo”.

Un secondo che si dipana per quelli che a Matthias sembrano lunghissimi minuti, prima che Inej torni a parlare:
“Chizpurfle”.

“Cosa? Non ti sento bene”.

“Secondo David potrebbero essere Chizpurfle”, mormora Inej, e Matthias si chiede quante siano davvero le persone riunite attorno alla mappa incantata. Non dovrebbero essere più dei due Campioni di Durmstrang, ma Matthias comincia a credere che Brekker sarebbe in grado di prendere per il naso anche il preside Silente in persona. 

“Innocui. Di solito rosicchiano le bacchette, quindi è una fortuna che tu non abbia la tua con te. Sono infestanti, quindi quando uscirai di lì fatti dare qualche goccia di pozione dall’infermiera da mettere nello shampoo, ma non…”
Silenzio improvviso. Matthias è convinto che il tempo concesso a Inej sia finito, e si limita a scuotere con forza la mano, cercando di scrollarsi di dosso quanti più chiz-cosi possibile, ma presto la voce della ragazza torna a risuonare nella sua testa:
“Rosicchiano qualsiasi fonte di magia, quindi ti consiglio di tenerli lontani dalla tua bussola. È la bussola portafortuna di Nikolai, e sarebbe sgradevole dovergli spiegare per quale motivo non…”
Questa volta la voce di Inej sparisce veramente, ma per un istante Matthias non ci presta nemmeno attenzione. La bussola portafortuna di Nikolai. Nikolai Lantsov. Quel damerino che si è diplomato l’anno precedente con la promessa di tornare entro pochi anni per conquistare la presidenza di Durmstrang, per secoli appannaggio della sua famiglia.

Come ha fatto Brekker a convincere l’erede dei Lantsov a farsi prestare la sua bussola portafortuna? Ogni volta che Matthias crede di essersi fatto un’idea di quanta influenza possa avere  Kaz Brekker, Manisporche è pronto a dimostrargli di poter fare molto, molto di più.

 

Matthias ha seguito le mute istruzioni di Inej e ora si trova a camminare in una tubatura che lo costringe ad avanzare con il capo chino, ma quantomeno è quasi asciutta.

Matthias ha i vestiti completamente zuppi, trema di freddo e non sopporta più il bagliore verde della bonelight, né riesce più a sopportare l’odore stantio e penetrante che ormai sembra essere penetrato in ogni poro della sua pelle.

Nel condotto che sta attraversando in questo momento il freddo è ancora peggiore, e ha l’impressione di sentire uno sciabordare continuo e assordante, come se si trovasse pericolosamente vicino a qualcosa di più simile a una cascata rispetto a una tubatura. 

Una cascata che sembra avere una voce.

Matthias si irrigidisce: non osa credere davvero a quello che sente, perché la sua fede negli ultimi mesi è stata così fragile, così sfilacciata, costantemente messa in discussione dalle sue certezze piene di crepe. Per quanti anni, quando era solo un ragazzino pieno di rabbia e di dolore, ha cercato irrigidire le proprie convinzioni, di essere un bravo fjerdano, fedele e attento a onorare Djel in ogni modo? Per quanti anni ha pregato, con parole e con azioni, per udire nelle acque il mormorio di Djel, per avere la certezza di essere sulla strada giusta, per ricevere una conferma?
E ora quegli scriteriati inglesi vogliono fargli credere che Djel dimori nelle fogne di una scuola di pazzi? È un trucco. Deve essere un trucco, niente di più che un trucco di pessimo, pessimo gusto. 

Quella non può essere la voce di Djel.

Ma è sicuramente una voce.

Un canto, una melodia che Matthias ha imparato a conoscere, a imprimersi nella mente e nel cuore.

“Jer molle pe oonet. Enel mörd je nej afva trohem verret”. 

I have been made to protect you. Only in death will I be kept from this oath. 

Il giuramento di fedeltà a Fjerda.

Quel giuramento che Matthias ha mormorato con convinzione davanti al professor Brum, al quinto anno. 

Un giuramento cantato con una voce lieve e cristallina, la voce di una bambina di circa dieci anni che rotola nella neve e ride e…

No.

Non può essere.

Matthias conosce quella voce: la conosce nell’intimo, nel profondo, la conosce e la riconosce anche se quella bambina non ha mai imparato a pronunciare il fjerdano con tanta precisione. Non ne ha mai avuto il tempo.
La voce di Vilde, se Vilde fosse vissuta.

“Matthias”.

La sente di nuovo, la voce della sorellina che non ha mai imparato a pronunciare più di qualche sillaba.

No.

Non può essere. Non può essere la voce di Vilde, perché Vilde è cenere –  non è rimasto neanche un corpo da restituire a Djel – eppure Matthias sente in ogni cellula del proprio corpo che quella è proprio la sua voce. Che canta, canta e canta, sempre più fredda e rancorosa, e non è più sola. C’è anche la voce di sua madre, in quel canto, la voce rotta dalle grida disperate che Matthias non ha udito, ma ha immaginato ogni volta che i suoi occhi si sono posati su una fiamma. E c’è la voce di suo padre, vibrante d’accusa.

“Non ci hai protetti, Matthias. Non ci hai protetti e non sei neanche morto con noi”.

Matthias ha trascorso gli ultimi otto anni della sua vita a rimproverarsi per non essere stato capace di proteggere la sua famiglia. 

Per avere avuto l’insolenza di sopravviverle.

“Wanden olstrum end kendesorum. Isen ne bejstrum”.

The water hears and understands. The ice does not forgive.

Il canto aumenta d’intensità, e Matthias cade in ginocchio. 

Vorrebbe chiedere perdono. 

Vorrebbe allungare una mano, vedere un’ultima volta la curva del sorriso di sua madre, la luce negli occhi di suo padre, ma tutto ciò che gli resta è un sordo dolore nel petto e la consapevolezza che quel dolore, assieme al senso di colpa, non se ne andranno mai.
Niente potrà riportare indietro la sua famiglia, e Matthias ha fatto a pezzi anche il loro ricordo. Ha fatto a pezzi il tentativo di onorarli: ha provato, per anni, a restare accanto a Brum, a combattere, a cullarsi nel petto quel dolore avvelenato, ma le sue certezze sono crollate. Ha smesso di credere nel suo professore, ha smesso di vedere nella sua guerra una guerra capace di portare pace nel suo cuore.

Ha voltato le spalle al ricordo della sua famiglia, di nuovo.

La voce dell’acqua prende un tono sempre più cupo, sempre più minaccioso: è una sentenza. 

“No…”
Matthias resta a terra, la testa piena delle voci della sua famiglia scomparsa, l’ululato di Trassel mescolato con il pianto e lo strazio di sua sorella, di sua madre, di suo padre, del villaggio in cui è cresciuto e che lui non ha fatto in tempo a veder scomparire. 

Per anni ha cercato di chiudere fuori di sé il ricordo della sua famiglia, nonostante abbia continuato a dirsi che le sue azioni, le sue posizioni, l’impegno che lo porta a sfiancarsi ad ogni lezione di Brum nasca solo dal bisogno di creare un futuro migliore per loro. Eppure è solo ora, mentre è immerso nelle viscere di una scuola straniera, che il dolore di quella perdita torna a mostrarsi, puro e intenso come quando lui era solo un bambino.

Perché Matthias non ha mai smesso di essere quel bambino solo e spaventato, quel bambino soffocato dai sensi di colpa e dal bisogno di aggrapparsi a qualcosa – qualsiasi cosa – per mettere un respiro davanti all’altro, nonostante la sofferenza e la perdita.

 

“Matthias”.

Matthias vorrebbe tapparsi le orecchie.

Non vuole più sentire niente, non vuole sentire la voce di Djel parlare attraverso il ricordo della sua famiglia, non vuole accuse, non vuole nemmeno false speranze o finti perdoni.

“Matthias!”
“No! Io non… non sapevo che cosa fare, non avrei potuto fare niente!”
“Matthias! Devi andartene da lì, ok? Tappati le orecchie  e vattene”.

Quella voce. Non quella della sua famiglia, e neanche quella di Djel. 

“Jesper?”
“Oh, Santi, finalmente! Sì, Jesper, ovvio che sono Jesper! Ascolta, sei fermo nello stesso punto da mezz’ora. Non sei ferito, vero?”
Matthias si prende un istante per respirare a fondo: la diga di dolore che si è riaperta nel suo petto non smette un istante di fare male, ma no, non è ferito. Non nel senso inteso da Jesper.

“Sto bene”.

“No che non stai bene, ma starai bene. Sei in una tubatura che sfocia nel Lago Nero”.

Matthias, che dopo aver ritrovato la posizione eretta e stava cominciando a camminare, si arresta di botto.

“Nel… lago? Mi state mandando ad annegare nel lago?”
“No, Helvar, ovviamente no”.
La voce di Jesper ha ripreso il suo tono sarcastico.

“Svolterai molto prima di arrivare al lago, ma credo che tu abbia sentito i Maridi cantare… be’, non so cosa abbiano cantato per te, ma insomma, non c’è niente di vero in quello che hai appena sentito. È solo un tentativo di distrarti”.

Matthias sa che è una bugia. Le voci che ha sentito possono anche non appartenere alla sua famiglia morta, ma la verità che gli hanno sbattuto in faccia è vera.

Vera e dolorosa come uno sparo in pieno petto, ma neanche questo può dirlo.

“Tu non capisci…”
“Capisco”, taglia corto Jesper, per poi sbuffare, spazientito.

“Senti, Helvar, posso capire che non sia facile. Lo capisco, davvero” – c’è una serietà così poco abituale nel tono di Jesper che Matthias si ritrova a credere che davvero Jesper possa capire quanto sia difficile ascoltare la voce di chi abbiamo pianto da tempo – “ma il punto è che credevamo avessimo più tempo, ma a quanto pare la tizia di beauxbatons ha trovato un passaggio fortunato ed è a tanto così dall’uscire dalle fogne”.

Matthias stringe i pugni, ma aumenta il passo. Forse non potrà battere la campionessa francese, ma farà il possibile per continuare a marciare e fare il meglio che può.

“Quindi”, riprende Jesper, una nota pericolosamente eccitata nella voce, “è arrivato il momento di ricorrere alle soluzioni estreme. Ti fidi?”
“No”, ringhia Matthias, perché qualsiasi cosa possa accendere la voce di Jesper Fahey di eccitazione non può essere una cosa buona per lui.

“Lo supponevo. Infatti speravo toccasse a Inej convincerti, ma devi accontentarti di me. Per quanto tempo credi di riuscire a trattenere il fiato?”
“Cosa?”
“Il fiato, Helvar, il fiato! Quando te lo dico io, e solo quando te lo dico io, fai un respiro profondo, asseconda la corrente e non ti agitare troppo. Wylan  giura di aver fatto bene i calcoli, quindi…”
Trattenere il fiato? Assecondare la corrente? Quei discorsi non gli piacciono. Non gli piacciono per niente.

Cerca di protestare, ma Jesper lo zittisce.

“Fai silenzio, o rischio di non sentire gli altri, e fidati, non vuoi che io perda la concentrazione e non ti avvisi per tempo”.

Quali altri, vorrebbe domandare Matthias, ma tace. Perché potrà anche non fidarsi di Jesper, ma non ha alternative, e preferisce che il compagno resti concentrato su qualsiasi follia abbia architettato. 

Boom.

Un boato sordo riempie la tubatura, un suono assordante che riverbera nel metallo del pavimento e fa vacillare Matthias.

“Ma cosa…”
“Ora, Helvar!”
Matthias ha appena il tempo di rendersi conto che la tubatura sta tremando, presa d’assalto da una forza che non riesce a identificare.

Fa un respiro profondo, e capisce: la tubatura è allagata da un torrente in piena, e Jesper vuole che lui si lasci trasportare.

Anche se volesse, non sarebbe in grado di opporre alcuna resistenza a quella forza travolgente. La bonelight gli scivola via dalle mani, persa nella corrente. Lui sbatte la testa contro la parete della tubatura – o forse è il soffitto, o il pavimento, non lo sa più – e poi sono le sue spalle, le ginocchia, la schiena ad andare a sbattere. Spera che Jesper avesse davvero qualche idea di cosa avrebbe messo in moto, perché l’ultima cosa che vorrebbe è incastrarsi in una tubatura troppo stretta e morire annegato lì, come il più grosso stronzo che Hogwarts abbia mai visto.

Oh, Djel, se la sua mente comincia a fare del becero umorismo alla Fahey significa che l’apporto di ossigeno al suo cervello non è neanche lontanamente sufficiente alla sopravvivenza.

Matthias non vuole morire in una fogna.

Matthias non vuole morire.

Jesper gli ha detto di assecondare la corrente, ma Matthias teme che assecondarla e basta non sia sufficiente: comincia a scalciare freneticamente, nel patetico tentativo di nuotare in quell’acqua gelata alla disperata ricerca di ossigeno, di luce, di calore, di un professore disposto a tirarlo fuori da lì.

E proprio quando pensa che sia ormai troppo tardi, che i calcoli di Jesper e di Wylan e di chiunque sia dietro a questa follia siano sbagliati, la forza della corrente viene meno. 

Matthias si ritrova a galleggiare placidamente, il viso finalmente sopra la superficie dell’acqua, i polmoni inondati da ampi, gloriosi respiri pieni di ossigeno. 

Si passa una mano sugli occhi, e si sorprende di scorgere, nel buio di quella specie di caverna dal soffitto a volta in cui è sbucato, un’apertura tonda sul soffitto che lascia scivolare un raggio di luce dorata su di lui.

Un’apertura che si sta facendo sempre più vicina, perché l’acqua sotto di lui continua ad aumentare, per quanto priva dell’impeto dell’indondazione. Imprecando mentalmente contro il peso degli stivali che rischia di trascinarlo verso il basso, Matthias nuota in corrispondenza dell’apertura nel soffitto, e con un moto di sorpresa si rende conto che si tratta di un condotto che sale in verticale per una cinquantina di metri. E, con un gioioso tuffo al cuore, nota che le pareti del condotto sono puntellate da gradini di metallo. È una scala. Una meravigliosa scala che lo condurrà verso quella che è chiaramente una luce calda, la luce di un fuoco nel camino.

A scuola.

Fuori dalle fogne, fuori dalla prova.

Resta fermo, galleggiando sotto l’apertura fino a quando il livello dell’acqua sale così tanto che gli è concesso allungare una mano e stringere le dita attorno al freddo metallo del primo gradino. Uno sforzo, e finalmente il suo corpo lascia l’acqua mentre lui comincia la sua lenta ascesa verso la luce.

Un passo dopo l’altro, la luce aumenta sempre di più, e con lei il calore.

E il vociare, perché decisamente c’è qualcuno ad aspettarlo, lì sopra.

Il viso del preside Silente si affaccia nel cerchio luminoso, un sorriso entusiasta sul viso.

“A quanto pare il campione di Durmstrang è il primo a riuscire a emergere dal nostro labirinto di tubature! Complimenti, complimenti, signor Helvar!”

Con un ultimo sforzo, Matthias si trascina fuori dal cunicolo: si trova in una piccola stanza da bagno ricoperta di piastrelle di un tenue color lilla, ed è appena emerso in quello che un tempo doveva essere il vano di una doccia, ora sostituito da un’apertura nel pavimento circondata dagli sguardi curiosi dei presidi delle tre scuole in gara, di alcuni professori e del funzionario del Ministero inglese che Matthias ha conosciuto la sera in cui è stato proclamato Campione.

C’è anche lo sguardo del professor Brum: attento, penetrante, Matthias se lo sente bruciare addosso come un tizzone ardente, ma decide di ignorarlo completamente.

Il preside Silente getta un’occhiata al vistoso orologio che porta al polso, poi si rivolge a una donna vestita di nero:
“A quanto pare, un Campione si sta avvicinando all’uscita nascosta dietro i lavandini della cucina. Poppy, ti puoi occupare tu di riscaldare Helvar?”
In un turbinio di chiacchiere eccitate, i professori escono, lasciando Matthias in balia dei borbottii arrabbiati della donna, che con un colpo di bacchetta evoca una coperta da drappeggiare sulle sue spalle, dirigendolo a passo marziale verso una stanza al terzo piano.

Non una stanza, ma l’Infermeria, dove la donna, senza lasciargli il tempo di dire o fare nulla, lo obbliga a sedere su un letto su cui ha steso una cerata, tenendogli il calice di una pozione fumante.

“Che cos’è?”
La donna sbuffa, ma davanti all’espressione diffidente di Matthias, si decide a rispondere:
“Una pozione disinfettante che dovrebbe agire ad ampio spettro contro tutti i parassiti con cui sei venuto in contatto nelle tubature. Ah! Studenti nelle fogne! Si è mai visto qualcosa di meno igienico?”
I borbottii dell’infermiera si interrompono quando la porta d’ingresso dell’Infermeria si spalanca con un colpo secco, rivelando il sorriso raggiante di Jesper e gli occhi luminosi di soddisfazione di Inej, seguiti poco dopo dallo zoppicare incerto di un Kaz Brekker pericolosamente vicino a sorridere.

“L’avevo detto io che in mezzo a tutti quei muscoli doveva esserci anche un po’ di cervello, Helvar”, ghigna Jesper, chiaramente soddisfatto.

“Questa è tua, puoi riprenderla”, aggiunge Inej, estraendo dalla manica della veste la bacchetta di Matthias e porgendogliela con un gesto elegante. Brekker non dice niente, ma continua ad avere in faccia quel sospetto di sorriso.

“Non dovreste stare qui”, protesta l’infermiera, un cipiglio arrabbiato.

“Helvar ha bisogno di scaldarsi e di riposare, se non volete che si prenda un raffreddore!”
Matthias sospetta che, una volta terminata la prova, ai suoi compagni importi ben poco del suo raffreddore, ma non dice nulla.

Sorprendentemente, è Brekker a parlaer:
“Gli abbiamo portato un cambio pulito”, mormora con una voce stranamente deferente ed educata, mostrando un fagotto di vestiti che Helvar sospetta siano stati prelevati senza il suo permesso direttamente dalla sua cabina.

“Lasciateli lì”, l’infermiera indica un paravento, poi si rivolge a Matthias: 

“Ce la fai a cambiarti da solo o hai bisogno di aiuto?”
“Io le mutande pulite non te le metto”, chiarisce Jesper, ma Matthias è già scomparso dietro il paravento, brontolando che è perfettamente in grado di badare a sé stesso.

Vagamente, sente Kaz negoziare con l’infermiera per poter restare cinque minuti in compagnia del loro amico, per non lasciarlo solo dopo una prova difficile. 

E, sorprendentemente, la donna accetta. O forse lo fa perché in quel momento la professoressa McGrannitt infila la testa dentro l’infermeria, esclmando qualcosa sulla campionessa di Beauxbatons che ha cercato di trasfigurarsi senza bacchetta in un pesce e ora è immersa col muso nel lavandino dell’aula di pozioni, le gambe umane coperte di squame a penzoloni in aria.

Matthias finisce di vestirsi, sollevato di poter indossare qualcosa di caldo e di asciutto. Sta per emergere da dietro il paravento quando la voce di Kaz lo raggiunge, decisa:

“Porta anche i tuoi vestiti sporchi, Helvar!”
“Perché?”
“Per una volta, vuoi fare quello ti chiediamo senza discutere?”
Matthias vorrebbe continuare a discutere, ma la stanchezza della giornata è troppa perché abbia anche la forza di opporsi a Kaz Brekker, così lancia al ragazzo la palla dei suoi abiti fradici.

Con movimenti rapidi, i guanti di Brekker frugano nelle tasche dei pantaloni di Matthias, fino a estrarre un lungo frammento di uno specchio. Tende l’altra mano, e Inej si affretta a porgergli un frammento altrettanto lungo i cui bordi collimano perfettamente col primo. 

“Reparo!”

Matthias osserva i frammenti tornare ad essere una superficie perfettamente liscia, mentre Jesper estrae dalla propria tasca uno specchio identico.

“Tieni. Credo che prima o poi te li richiederanno indietro. Inutile dire che nessuno deve sapere che la coppia di specchi gemelli si è trasformata in un parto trigemellare, dico bene?”
Matthias è confuso, ma Brekker non sembra intenzionato a spiegarsi meglio. È Inej a farlo, con leggerezza, lo sguardo puntato sul rettangolo di cielo grigio fuori dalla finestra:
“Io e Jesper avremmo dovuto comunicare con te attraverso una coppia di specchi gemelli, ma abbiamo pensato di dividere il tuo frammento in due, così da lasciarci aperto un canale di comunicazione con Wylan e gli altri”.

“Abbiamo parlato… attraverso uno specchio gemello?”
Jesper alza gli occhi al cielo.

“Certo, Helvar. Non siamo telepatici, non potevamo certo sentire il tuo soave vocione nella nostra testa”.

Con un moto di vergogna, Matthias ripensa a quando ha davvero pensato che la voce di Jesper e Inej fosse solo nella sua testa, non nella tasca dei suoi pantaloni.

“E Wylan  e gli altri…”
“Ti hanno consegnato una vittoria coi fiocchi, a costo di mettere a rischio i loro bellissimi capelli”, arriva una voce dalla porta. 

La voce di Nina, gli occhi accesi di entusiasmo nonostante il viso coperto di fuliggine e il colletto della divisa bruciacchiato.

Matthias non fa in tempo a registrare questa bizzarra immagine che la ragazza gli vola fra le braccia, stringendolo in un abbraccio che lo lascia ben poco lucido. 

“Sapevo che saresti stato bello anche appena uscito dalle fogne”, gli mormora in un orecchio.

Con la poca lucidità che gli resta, Matthias nota a malapena Wylan, il ragazzino coinvolto chissà come in quella follia, che compare sulla soglia in uno stato ancora peggiore di quello di Nina.

“Che cosa avete combinato?”
Nina si accomoda sul letto che l’infermiera aveva predisposto per Matthias, arricciandosi una ciocca di capelli crespi attorno alla bacchetta e osservandola tornare lucente.

“Oh, Wylan ha fatto esplodere un paio delle tubature più grosse per creare quel piccolo allagamento che ti ha dato un passaggio”.

Hanno…

“Avete tentato di annegarmi!”
“No, ho calcolato la portata dell’acqua, ero sicuro al novantanove per cento che non saresti annegato”, mormora Wylan, la testa piegata di lato e un’espressione concentrata in viso. 

“Lo sapevo che dovevi avere altre doti oltre  quelle per il flauto”, mormora Jesper con un occhiolino che fa diventare le guance di Wylan rosse quasi quanto i suoi riccioli.

“È stata una follia, lo sapete?”
Nina scrolla le spalle con noncuranza.

“Un rischio calcolato. Non potevo permettere che rimanessi incastrato nelle fogne”.

Quell’ultima frase è mormorata con voce così roca che Matthias sente le sue guance diventare dello stesso colore di quelle di Wylan.

“Perché tu e Wylan avete agevolato noi studenti di Durmstrang?”
“Perché”, esclama Nina, quasi irritata, “si dà il caso che Hogwarts non giochi a carte pulite, e che a me non piaccia il loro gioco. Oltre al fatto che ci tengo particolarmente al fatto che tu arrivi vivo e vegeto e con tutti i tuoi bellissimi arti alla fine di questo Torneo”.

“E si dà il caso”, aggiunge Jesper, fissando intensamente Wylan, “che far vincere Hogwarts renderebbe molto felice il papà di Wylan, e Wylan non vuole che suo padre sia felice, giusto?”
Wylan non risponde, ma le sue labbra si stringono in una sottile linea determinata. 

E Matthias si scopre a pensare che non gli importa.

Che dovrebbe essere arrabbiato, perché la sua prova non avrebbe voluto vincerla in quel modo, non con sotterfugi e stratagemmi al di fuori delle regole. Ma sa anche che tutte le altre scuole si sono mosse nello stesso modo. Ed è stato bello, per una volta, avere qualcuno al suo fianco. Delle voci amiche nelle orecchie, degli aiuti, qualcuno pronto a rischiare di farsi male per tirarlo fuori dai guai.

E ora, dopo aver rischiato di annegare, dopo essersi congelato, dopo aver affrontato voci che  aveva il terrore di udire, Nina resta seduta al suo fianco. Inej è appollaiata alla finestra, decisa a restare. Brekker gli ha regalato un quasi sorriso. Jesper e Wylan stanno discutendo di come recuperare qualche dolce per improvvisare un festino nella cabina di Helvar, appena l’infermiera gli permetterà di lasciare l’infermeria. 

E, a dispetto di qualsiasi cosa dovrebbe provare razionalmente, è quasi felice.




 

Note:

Eccomi finalmente a lasciarvi le indicazioni di quanto previsto dalla prova, sperando che comunque dalla narrazione si sia comunque capito qualche cosa.

“Questa volta la Prova si svolgerà all’interno dell’impianto idraulico di Hogwarts, diverse decine di metri sottoterra.

I vostri Campioni si sveglieranno al centro di un condotto. Saranno sprovvisti di bacchetta, avranno con sé solo la pergamena contenente l’indizio e il frammento di specchio.

L’obiettivo è quello di riuscire a trovare l’uscita senza utilizzare la magia. Non è consentito utilizzare abilità magiche, si dovranno comportare come semplici Babbani”.

Ora, io non ho dato peso al frammento di pergamena, ma a meno che non fosse dotato di poteri magici, credo (spero) sia trascurabile, dato che i miei personaggi avevano capito in anticipo in che cosa consiste la prova. Quanto al frammento di specchio, vi sembra usato a caso? Lo è! Perché mi ero completamente dimenticata della sua esistenza e ho scritto tutto il capitolo fingendo che fosse la pozione a permettere a Matthias di comunicare con Jesper e Inej. Ho provato a recuperare con una spiegazione un po’ raffazzonata perché non avrei mai avuto le energie per riscrivere tutto.

Che cosa incontreranno nel tentativo di trovare l’uscita?

Nelle tre ore i vostri Campioni dovranno affrontare necessariamente questi ostacoli:

strada senza via d’uscita;

allagamento improvviso di un condotto;

incontro con un Avvincino. Sarà uno solo e si scontrerà con il vostro Campione; 

incontro con un centinaio di Chizpurfle (saranno privi di sostanze magiche). Attaccheranno il vostro Campione, che dovrà difendersi;

canto dei Maridi che distrarrà il vostro Campione, impedendogli di concentrarsi sul trovare l’uscita. Sta a voi decidere come, l’importante è che venga mostrato quanto il Campione sia scosso.

 

Ora, i Chizpurfle qui non sono stati minimamente un ostacolo, ma posto che prima di questa prova non avevo mai neanche per sbaglio incrociato il loro nome, secondo tutte le wiki si tratta di esserini minuscoli e nient’affatto pericolosi. Sono infestanti, sì, ma si raccolgono attorno a fonti di magia (quindi rosicchiano bacchette, che però qui non abbiamo, o fondi di calderoni), e insomma, onestamente non avevo idea di come avrebbero potuto rappresentare davvero un ostacolo.

Quanto al canto dei Maridi, basandoci solo su quanto sappiamo dal canon non c’è motivo per cui possa essere una distrazione. Quindi ci ho messo un po’ del mio, e ho immaginato che per un motivo non meglio definito qui i Maridi possano fare quello che fanno, quindi prendere in prestito la voce della famiglia di Matthias. Ora, nei libri sono abbastanza certa che non ci sia nessun nome per la sua sorellina, quindi è tutto frutto della mia immaginazione. Ha senso? Non lo so, ma questa prova per le mie capacità era già fin troppo macchinosa per poter avere anche senso.

 

A cosa serve il frammento dello Specchio Gemello?

Privato del senso dell’orientamento, il Campione che affronta la Seconda Prova dovrà farsi guidare dai suoi compagni.

Questi due si troveranno in un’aula in disuso all’interno di Hogwarts, dove troveranno una mappa dell’impianto idraulico del Castello e avranno la possibilità di localizzare il proprio compagno ma… attenzione! Potranno parlare con il Campione designato solo due volte all’ora, per dieci minuti ciascuna.

Sei volte in totale, quindi.

I Campioni presenti all’interno dell’aula non avranno a disposizione libri scolastici, oggetti o altri materiale. Non possono inviare al loro compagno nessun tipo di aiuto, solo parlarci.

Ora, io qui mi rendo conto che i Corvi hanno barato. Ma ho cercato di farlo non per agevolarmi la stesura della prova, ma per rispettare i personaggi, perché non ha senso scrivere di loro e pretendere che rispettino le regole. Quello che ho cercato di fare (e spero di esserci riuscita) è stato di rispettare le regole della scrittura, giocando invece con quelle inserite nella narrazione. Non so se la cosa abbia senso, ma insomma, credo che queste note siano già diventate fin troppo lunghe, quindi forse mi conviene tacere e ringraziare chiunque sia riuscito a leggere fino a qui.

A presto!

 
   
 
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