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Autore: Biblioteca    12/04/2023    2 recensioni
E se Harry non fosse mai cresciuto con i Dursley?
Se la McGrannitt, Hagrid e Piton, di comune accordo (e con molti complici) avessero deciso di portare Harry a Hogwarts prima del tempo e di crescerlo al sicuro?
Harry Potter sarebbe sicuramente stato diverso, al primo anno come ai successivi. Ma come e quanto sarebbe cambiato? E perchè?
In questa prima storia (che inizia la notte prima dei suoi undici anni e finisce con il suo smistamento) voglio presentarvi un Harry Potter diverso e vedere, insieme a voi, se può diventare un personaggio interessante su cui lavorare o restare solo una fantasia di una storia diversa dalle solite...
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Rubeus Hagrid, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Quando Harry aprì gli occhi, vide che la poca luce che proveniva dalla finestrella incantata che dava sul giardino di Hogwarts, era ancora flebile.
Capì che doveva essere l’alba, le sei del mattino, forse.
Si mise a sedere e fu colto immediatamente dal freddo. Allora si avvolse nella coperta di lana. La annusò. Minerva McGrannitt non aveva mentito quando aveva parlato di un odore piacevole di focaccia cotta nella brace che mai avrebbe lasciato quelle fibre, anche se Harry aveva sempre avuto il dubbio che in realtà non fosse frutto di un incantesimo ma di un errore fatto mentre la asciugavano su un camino.
Però, a lui quel misto di lana e bruciato piaceva molto.
Aveva sognato di nuovo Privet Drive, lo sgabuzzino dove fino a due anni prima era stato rinchiuso dai suoi zii. Nel sogno, suo cugino Dudley lo accusava di aver rubato qualcosa di suo, un giocattolo, e gli zii avevano deciso di punirlo murando la porta con mattoni e cemento.
Per quanto ancora li avrebbe sognati?
Non lo sapeva. Di certo i sotterranei di Hogwarts non aiutavano.
Sentì dei passi. Il buio aveva allenato notevolmente il suo orecchio. Poteva distinguere tre paia di passi diversi e tutti appartenenti alle tre persone che in quel momento amava di più: la professoressa Minerva McGrannitt, il professor Severus Piton e il guardiacaccia Rubeus Hagrid.
“Allora siamo d’accordo!” diceva il vocione allegro del mezzogigante “Porto io il ragazzo a Diagon Alley per gli acquisti! Vedrete che faccia che farà quando entrerà nella banca!”
“Sì sì Hagrid, ma non finchè non te lo ordina Silente. E mi raccomando, comportati come se non sapessi nulla!” esclamò la McGrannitt.
“Una pozione per l’amnesia farebbe comodo e ci toglierebbe da ogni guaio.” Mormorò con tono severo Piton.
“Ora abbassate la voce, che il ragazzo dorme ancora.” Disse allora la McGrannitt.
Harry tornò immediatamente supino, nascondendosi sotto la coperta.
La porta della sua stanza fu aperta e il suo naso invaso dall’odore della cioccolata calda e dei muffin di zucca appena sfornati.
Finse di svegliarsi, si stropicciò gli occhi e sbadigliò rumorosamente.
“Lumos!” esclamò Piton, illuminando a giorno le mura grigie della stanza.
“Buongiorno Harry!” lo salutò allegramente Hagrid.
“Buongiorno a tutti…” mormorò Harry.
Osservò i tre adulti davanti a lui e, pensò tra sé, non avrebbero potuti essere più diversi tra loro.
Minerva McGrannitt avrebbe emanato autorità ed eleganza anche se ricoperta di stracci e fango, eppure non riusciva a intimidirlo, anzi, gli trasmetteva un senso di forza meraviglioso.
Non poteva dire lo stesso per Severus Piton, i cui capelli apparivano unti e appiccicati e i suoi grandi occhi neri e cupi erano così severi da costringerlo a distogliere presto lo sguardo.
In mezzo a loro c’era Hagrid, raggiante, che spiccava sia per l’altezza che per la voce.
“Allora giovanotto! Oggi è l’ultimo giorno che hai dieci anni! Sei felice!?”
Harry annuì.
“Per la miseria! Sei un ometto ormai! Se penso a quando due anni fa ti abbiamo strappato da quei pazzi…” gli occhi di Hagrid si inumidirono. Piton gli mollò una gomitata.
“Il signor Potter ha bisogno di fare la sua colazione, altrimenti non potrà venire con me nella foresta proibita.” Disse con voce cupa quasi strappando di mano il vassoio ad Hagrid.
“Oggi posso uscire!? Davvero!?”
“Sì. Silente sarà via fino a sera…” spiegò la McGrannitt “E io e Piton riteniamo giusto che tu veda la foresta prima dell’inizio delle lezioni. Dovrebbe convincerti che non c’è niente di speciale al suo interno… Sai presto sarai uno studente e come tale dovrai rispettare le regole. L’ingresso nella foresta è severamente proibito, salvo eccezioni e in quei casi sempre accompagnati.”
Harry annuì mentre addentava il suo muffin.
“Ma ovviamente finite le lezioni… tu resterai qui. Con Hagrid e qualche volta anche con me o Severus….” Proseguì la McGrannitt esitante “E quindi, più conosci di Hogwarts, meglio è!”
L’esitazione nella sua voce agitò Harry, che subito disse: “Se devo tornare dai miei zii, allora preferisco scappare nella foresta!”
“No Potter, non corri alcun pericolo. Quei babbani sono feccia e tu non li rivedrai mai più.” La voce di Severus sembrava più sarcastica che rassicurante, ma un bagliore negli occhi neri dell’uomo, fece capire a Harry che non mentiva.
“Abbiamo pensato a tutto Harry, non devi preoccuparti.” Fece allegramente Hagrid.
“Sì. Hogwarts è la tua cosa ora. E se sarà necessario, lo sarà per sempre!” assentì allora la McGrannitt.
Harry Potter allora sentì i suoi stessi occhi lacrimare per l’emozione e si affrettò a nasconderli bevendo un bel sorso di cioccolata calda.
Sì. Era stato solo un sogno. Un brutto sogno…
 
Il primo ricordo che Harry aveva, era la faccia urlante di suo cugino mentre gli tirava contro la ciotola dei cereali.
A quelle erano seguite altre urla, ora di rabbia ora di paura, unite agli sguardi severi e disgustati degli zii.
I suoi primi otto anni di vita a Privet Drive erano stati quello: sguardi di disgusto, botte, freddo, umidità… e solitudine.
Una solitudine che neanche le gentilezze della strana vicina Arabella Figg sembrava in grado di scalfire.
Harry ci aveva provato a volte a essere un bambino normale, ad avere degli amici. Ma i Dursley lo isolavano dal mondo e suo cugino picchiava a scuola chiunque lo avvicinasse in modo amichevole.
Anche in quel momento, a Hogwarts, mentre si preparava per seguire Severus Piton nella foresta, Harry cercava di ricordare un momento in cui poteva dire a sé stesso di essere stato un bambino.
Ma non gli veniva in mente.
Gli sembrava piuttosto di aver vissuto come un topo: un animale intruso in una casa umana, che cercava di passare inosservato solo per non peggiorare ulteriormente una condizione già dura.
Una mattina, dato che i suoi zii avevano lasciato aperta per errore la porta dello sgabuzzino, era uscito e siccome era l'alba ’intera famiglia era ancora addormentata.
Aveva spalancato la porta di casa e si era reso conto che anche se lo desiderava tanto, non aveva il coraggio di fuggire.
Chi avrebbe mai voluto un orfano a cui neanche i suoi zii volevano bene?
Allora era scoppiato a piangere, un pianto lungo, disperato, diverso da quelli silenziosi che faceva occasionalmente nel ripostiglio la notte, quando con la mente cercava disperatamente un ricordo sui suoi genitori, qualcosa di bello a cui aggrapparsi… e all’improvviso, con il volto inondato di lacrime, aveva sentito qualcosa di morbido scivolargli fra le dita e poi… delle fusa.
Un gatto soriano che aveva già visto qualche volta in estate, ma che non era mai stato in grado di avvicinare, ora lo stava coccolando.
Lo riconosceva perché aveva uno strano contorno attorno agli occhi, come di occhiali squadrati.
Forse perché da giorni non parlava con nessuno, Harry si era sfogato proprio con quello strano gatto raccontandogli della sua vita nello sgabuzzino.
E avrebbe continuato a parlarci se non fosse arrivata zia Petunia a urlargli addosso per trascinarlo di nuovo dentro a suon di scapaccioni.
“Sei matto! A parlare con uno stupido gattaccio! Hai idea di cosa possono dire i vicini!? Tu vuoi rovinarci! Oggi tu non mangi! Capito!? Né pranzo né cena!”
E Harry si era trovato di nuovo chiuso nello sgabuzzino. Pronto all’ennesima giornata di buio e digiuno.
Poi però, il miracolo.
Alle due avevano suonato alla porta e Petunia era corsa ad aprire.
“Oh! Diddy mio! Sei in anticipo oggi!”
Ma alla porta non c’era Dudley che tornava da scuola.
“Si ricorda di me…. Vero?”
Harry aveva sentito i peli della nuca rizzarsi quando quella voce profonda e tagliente aveva rotto il silenzio nel quale era piombata Petunia. Poi la zia aveva indietreggiato e qualcuno era entrato in casa.
“Dov’è il ragazzo.”
Non era una domanda, ma un ordine.
Petunia aveva balbettato qualcosa e battuto il pugno timidamente contro la porta dello sgabuzzino.
“Aprilo.” Aveva scandito la voce, ancora più cupa e tagliente.
La porta si era spalancata e Harry, terrorizzato, aveva visto per la prima volta Severus Piton.
Avvolto in un mantello nero, con la testa coperta da un cappuccio, il suo volto scarno con il naso adunco e gli occhi neri, l’uomo era entrato nella piccola stanzetta e per un lungo momento aveva fissato Harry dritto negli occhi.
Questi aveva, con molta fatica, ricambiato lo sguardo, in un misto di terrore e curiosità.
Gli era sembrato di vedere gli occhi gelidi dello sconosciuto inumidirsi, come colti da un’emozione improvvisa.
“Prepara subito le tue cose.” Aveva detto l’uomo ad Harry con un tono che non ammetteva repliche.
Ma il bambino non era sicuro di aver capito: “Le mie cosa?”
“La tua roba. Quello che vuoi portarti via. Radunalo e aspettami.” Aveva ripetuto l’uomo prima di sbattere la porta dello sgabuzzino.
Mentre Harry cercava di riprendersi da quello che gli era sembrato un sogno, aveva udito la voce tagliente dell’uomo alzarsi di tono e inveire contro zia Petunia.
Harry aveva udito, immobile nella semioscurità della stanza, termini che non era sicuro di conoscere né che fosse il caso di ripetere, uniti a uno strano singhiozzo che aveva presto compreso provenire proprio da zia Petunia.
Lo sconosciuto aveva fatto piangere sua zia!
Nell’oscurità, senza rendersene subito conto, Harry aveva sorriso…
“Potter!”
Harry, che stava sorridendo alla sua immagine allo specchio, si riscosse.
“Che fai Potter? Stai sognando ad occhi aperti?”
Harry abbassò lo sguardo avvicinandosi a Severus Piton.
“Mi scusi professor Piton. Stavo… Stavo ricordando il nostro primo incontro.”
Piton lo fissò gelido, ma quando parlò, Harry percepì che la sua voce si era ammorbidita: “Bisogna stare focalizzati nel presente, Potter, quando ci si addentra nella Foresta Proibita. È Proibita per buoni motivi e quindi non si può, anzi, non si deve abbassare la guardia.”
Harry camminò lento vicino al professore, risalendo pian piano i gradini che separavano la sua stanza dal resto dei sotterranei.
“Professor Piton?”
“Cosa Potter.”
“Che avete pensato quando mi avete guardato negli occhi la prima volta?”
Piton si irrigidì.
“Sì perché… me lo avevate promesso… un giorno me lo avreste detto…”
Piton emise quello che parve essere un lungo sospiro. Ma invece di guardare Harry, voltò la testa dall’altro lato.
“Ho pensato solo al fatto che hai ereditato gli occhi da tua madre. Tutto qui.”
E senza aggiungere altro, accelerò il passo.

 
  
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