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Autore: Carla Marrone    13/04/2023    0 recensioni
Cassandra viene venduta schiava al boss di un clan. Il suo destino è di diventare una prostituta, oppure, un'assassina. Sceglie la seconda opzione.
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fili di lana

 

Nel silenzio della notte, presero ad echeggiare passi lontani. Cassandra si guardò intorno. Le sparute chiome degli alberi si nascondevano al buio, come lei. Sottili e prive di foglie, o fiori. Nel modo in cui aveva creduto sarebbe sempre stata la sua vita. Non tremo’ per il freddo, nemmeno, quando si rese conto che quelli dell’altro clan l’avrebbero presto raggiunta. Non aveva paura. Aveva affrontato decine, forse, centinaia di uomini come loro. Lo scalpiccio si fece vicino, sempre più incessante. Cominciarono ad udirsi delle voci sommesse. Con l’eleganza di una mantide, senza suono alcuno, si portò dietro ad un muretto fatiscente. Inspirò a pieni polmoni, in silenzio. Riuscì persino a pensare senza fare rumore, a ricordare. Quando era stata venduta schiava al suo boss, l’attendeva un futuro da prostituta. Lei scelse di divenire un’assassina. Provo’ di esserne in grado. Se lo guadagnò. Gli uomini presero a disperdersi, la cercavano. Sollevò il pesante giaccone nero ed estrasse la pistola, dalla tasca sul retro dei pantaloni. Era una donna stimata, nella sua famiglia. Si fidavano di lei. Probabilmente, perché sapevano che non poteva scappare, come lo sapeva Cassandra. Eppure, non vi era maschio, tra i suoi alleati, che non l’avrebbe guardata con ammirazione e rispetto, in quel momento, alla fine di tutti gli spari. Occhi lucenti come i rubini sul pavimento, di cui era, ora, circondata. Una goccia dello stesso prezioso colore che le scivolava giù da una ciocca di capelli, mentre le si posavano, nuovamente sulle spalle. Il trambusto era finito. Il lavoro ultimato. Si concesse un respiro profondo, quasi udibile, quasi greve. Era tempo di tornare a casa.

Trovò Chiara ad attenderla, nella sua stanza. Chiome biondo cenere. Le ricordavano tanto il grano che credeva di aver visto, tanto tempo fa, nella sua infanzia, quando la vita era bella. Era intenta a truccarsi. Si voltò di scatto, accortasi della sua presenza. 

“Sei tornata, finalmente!” Nell’allegria della sua voce c’era il sollievo di veder mantenuta una promessa. “Tutto bene?” Chiese, poi. 

“Come al solito.” Rispose Cassandra, in tono piatto. 

“Ancora qualche minuto e esco.” Chiara applicò rossetto scuro, senza badare alla moderazione. Stava per andare a lavoro. 

“Ti va di giocare?” 

“Ancora con quei fili di lana? Il capo ti farà, di nuovo, la ramanzina!” La rimproverò l’amica. 

“A carte non sono capace. Questo gioco me l’ha insegnato la nonna.” Le sorrise. “Facciamo in fretta.” 

“Va bene.” Acconsenti’ l’assassina. 

Chiaretta prese ad arrotolare un gomitolo intorno alle mani, lasciando libere alcune dita. Si avvicinò a Cassie. La giovane pizzico’ due fili che si incrociavano, all’altezza degli anulari. Li giro’ sotto agli altri. Ed ecco fatta la Torre. 

“Sei diventata brava. Beh, immagino che questo sia uno scherzo per te…” Si complimentò. Non ebbe risposta. 

Continuarono per diversi minuti. Poi, la passeggiatrice parlò. 

“Sai, ho riflettuto. Penso che la vita sia una vera fregatura. Sono nata prostituta e morirò tale.” Cacciò un sospiro teso, stizzito e rumoroso, mentre componeva il fiore di loto. 

Seguì un’ interminabile silenzio. 

Cassandra si espresse, infine, così:- Cosa vuol dire essere qualcosa? Noi non siamo. Noi Esistiamo. Nessuno è niente davanti all’immensità della Morte.- 

Due lucidi occhi cerulei si fissarono sui suoi di ebano. “Se mai provassi a fuggire, papi mi farebbe uccidere. Quando questo accadrà, voglio che sia tu. Per mano tua sì.” 

“Va’ adesso. Non fare tardi, per colpa mia.” Di sorridere la ragazza proprio non era capace. 

Le fu baciata la guancia, poi, le mani. E la luce si spense. I pensieri, invece, quelli presero a brillare, come le stelle, al calar del sole. Come Chiara, Cassandra desiderava una vita diversa. Pensare al futuro la faceva stare male, se lo immaginava sempre lì. Nel caso avesse avuto un futuro. 

 

L’occasione propizia per cambiarlo, definitivamente, certo, con molta attenzione, le si presentò pochi mesi dopo. Il capo la convocò. Si fidava di lei abbastanza, da affidarle un lavoro da sola, in un altro stato. L’eliminazione di un certo politico. 

Era la volta buona, avrebbe cancellato la sua presenza, l’identità che non aveva mai avuto, ogni traccia. Non sarebbe mai tornata. Avrebbe reciso il tracciatore che aveva al polso. Come il lupo che si stacca la zampa, per liberarsi della tagliola.

 

Il problema più grande le si presentò una volta giunta all’aeroporto, pronta a partire. Chiara era lì, a vederla andare via, per sempre. Lo sapevano entrambe. 

“Non dovresti essere qui.” 

“Portami con te.” Piagnucolo’ la ragazzina bionda. 

“Lo sai che non posso.” 

“E allora, io che ci sto a fare…” La frase finì in un singhiozzo. 

L’assassina si voltò e prese a camminare verso il gate. 

Un urlo la inseguì:- Portami con te!” 

I passi di Cassandra non si fermarono. Ma, il suo respiro si fece un po’ più pesante. 

Fu un pianto sommesso, tuttavia udibile, a tormentarla, stavolta:- Uccidimi! Voglio che sia tu. Per mano tua sì…- 

Salì sull’aereo, senza guardarsi indietro. 

Una volta seduta, si mise a pensare. Cosa vuol dire essere qualcuno? Essere liberi e lottare per esserlo? Però anche stare in una gabbia e disperarsi per la propria condizione rendeva le persone qualcosa. D’improvviso, sentì come un peso, in mezzo al petto. Come se il suo cuore fosse legato da fili di lana. Resistenti e ruvidi. 

Provo’ a darsi pace. A respirare. Non vi riuscì. Così, si mise a fare rumore, come chi è appena riemerso dall’acqua, dopo una lunga apnea. Realizzò che era, esattamente, quello che era successo a lei. Da quel momento in poi, poteva considerarsi libera. Cercò di riflettere su cosa significasse essere liberi. Immaginò la Vita che l’aspettava. 

Tuttavia, le parole si persero. Si schiantarono al suolo, scivolando giù dalle ali dell’aeroplano. 

 

Così, tirò fuori una matita ed un pezzo di carta, dalla tasca e si mise a scrivere. Intitolò così il suo componimento: “alchimia”.

 

A volte, mi chiedo cosa si provi ad essere come te.

Tutta in un unico posto.

Io ho i piedi in una pozzanghera,

il cuore su un altare sacrificale,

l’anima in fiamme,

la mente che vola, ridotta cenere. 

A volte, mi chiedo cosa si provi ad essere come te.

Tutta in un unico posto. 

Ma, quel posto, puoi chiamarlo casa? 

 

Lo rilesse, una volta. Piegò il foglio e lo mise nel giaccone. Si accorse che c’era qualcos’altro. Frugò per bene. Era un gomitolo. Lo tenne, tra le mani, per alcuni minuti. Lo guardò e lo accarezzò. Riaprì la pagina e la scorse con lo sguardo. Infine, conservò il tutto. Le sembrò che ciò che aveva creato, quelle frasi, che non erano, proprio, le sue, aprissero il cancello di un luogo che si trovava profondo, dentro di lei. Se quel luogo era davvero la sua anima, allora, si trovava alla fine di un immenso campo di grano.   

   
 
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