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Autore: Cladzky    21/04/2023    1 recensioni
Leggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guida in questo inferno laico, traghettandolo da un'anima furiosa all'altra, pronta a randellarlo. Un'opera per ridere, ma anche di riflessione interiore e soprattutto di insulti, piena di personaggi storici.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANTO V  - L'autore discorre sulla perduta letteratura semitica e si perde. Viene ritrovato da due altri poeti.

 

È sì gran cosa il don della memoria

Che chi lo tiene ha ben donde onore

Nel sfilacciare, con arte oratoria,

 

Ogni istoria letta e sentito rumore,

Cogliendo nella curiositade rete

Ogni orecchio che n'è auscultatore.

 

L'omo, del sapere, sempre ha la sete

Ma spesso ozia o tempo non ha alcuno,

In tal ragion nacque la stirpe di Talete:

 

Da cervelli profondi come il regno di Nettuno

Altri meglior pesca, con meno affanno, fano.

Così c'illustra l'illustre Giordan Bruno.

 

Cum iustitia la rogò, quel filosofo nolano,

In un suo gran tomo, che n'ispiega il segreto.

Perché mai non lessi un poeta sì soprano?

 

Or rimembrerei quel sempre perso ceto!

Saltellavo su argillose tavole semite

Stilate in un mai tradotto alfabeto:

 

Queste narravan de genti sentite

Sol ne la Bibbia, chiamatevi pagani

Che contra i figli d'Abramo furno ite

 

Con più dignitade di quanto ferno i cristiani:

Di Moab, Kedar, Akkad e Ammòn

E ancora Edom, Amurru e i Nabatani

 

Coi loro dei, il sumero e fertile Dagòn,

Cui ad Ashdod fecero magna magione

E fé gran vendetta con Hagad-Rimmòn

 

Quando a Neko su Giosia diè ragione,

Spezzando chi spezzò sua madre Ashera.

Poscia Marduk, Bel di Babilim, padrone

 

Assieme ad Ištar, lapislazzula portiera;

Ba'al Zebul, dio di Ekrom e taumaturgo

E iroso Kamos, dio di Mesha condottiera.

 

Millemil nomi, in mezzo a lo spurgo,

Scovai del ferro, bronzo e rame etade

Che ad oggi non hanno più in terra teurgo.

 

Ahi, Canaan, vituperata da le genti,

Dove son li scritti de tu razza?

Le steli spezzate, i templi cadenti,

 

I papiri bruciati con gli idoli in piazza,

Il vitello di Bethel fu fuso per tesoro

D’un dio israelita privo d’ogne fazza.

 

E voi il cui nome istesso è disdoro,

Voi, che da Kaftōr, varcaste il mare,

Portando seco, da Cnosso, il dio toro.

 

Filistei, nel giudaico archivio secolare,

I commerci, i canti e l’arte non ha plaza

Perché sempre nimici sarete al ricordare,

 

Voi popol di Gat, Ashkelon e Gaza 

E della pentapoli verde e prosperosa,

Sospesa sul mare come tuorla calaza.

 

A chi cale che spacciaste porporosa?

O che vostre menadi danzasser ne la seta?

A chi che velaste fin l’isla de Pianosa?

 

Voi che la gente sol vi moneta

Perché antagonisti foste a quel Sansone

Che brucia i campi se l’amore vieta.

 

Fra inni, cronache e miti di creazione

Io mi son perso che più non ritrovo

E lo mio duca non è di tal zone.

 

M’imprincipia ne lo petto un rinnovo

Di quel moto d’angoscia, or che soletto

Me givo per deserto d’ombra covo,

 

Quando un’ombra, d’umano aspetto,

Me si palesa voltata di spalle.

Diversa era ma in ven di diletto

 

A lei mi congiongo in fondo la valle.

Questa, incappucciata di un saio scuro,

Se gira e mi scruta con infiamme gialle

 

Che rifossi da solo me sentia più securo.

Ma ormai è tardi e dico “Mei omaggi!

Appena son gionto d’esperienza puro

 

E cercavo chi s’intendesse dei paraggi.

Siate cortese pietando un’alma stanca

Il di cui duca s’è rifiutato ostaggi.”

 

Questo risponde “Alma, sii tu franca

E accio non sire, giura sulla vita

Si tu se’ christiano o de mala branca.”

 

“A onor del vero” Dico a bocca basita

E sudando “Mistero son per me li cieli

Pur molto ho studiato la fe’ gesuita,

 

Eppur non ritrovo, sfogliando i vangeli,

Alcuno ardore per il figlio del padre.

Né giudeo, di cristo o de Macon siam fedeli,

 

Ma seguitiamo alle virtù leggiadre.”

Quando udì ciò, gli montò su un foco

Che tutt'intorno scoppiò la terra a ladre

 

De magma e lapilli, eruttò in poco

L’intero Stromboli formato d’asporti.

“Ahi, cieca umana mente” infernò pel loco

 

“Come i giudícj tuoi son vani e torti,

Il meglio veggi e al peggior t’appigli!

Se li orecchi al Logos stesso sono morti

 

E non colgon clavicembali di gigli

Ben seria che tu morto sia sul serio,

Perché idarno alle virtù ti scapigli!

 

Ciò che cerchi, fuor de lo imperio

De cristo nostro, salvatore immane,

Non t’è concesso, per il tuo desiderio

 

Dentro si trova all’eucaristico pane.

Mente chi afferma, che fuor de religio,

La bontade è insita al cor dell’umane:

 

Noi figli d’Eva, dobbiam seguir ligio

La legge divina e non la nostra stima

Perché tutto ei sa e creossi a servigio

 

Come artigiano incide e poi lima.

Non punta il signore a esser virtuosso

Bensì la virtude è frutto de su cima!”

 

Così, con gravi parole ha discosso

E alfin, dal mantello, tirò una catena,

Ch’era spessa d’un bue il femore osso,

 

E in un secondo, dall’abissal carena,

Surge un secondo, con balzo da leone,

E lo asseconda pur nel farmi pena!

 

Questo è armato de ferrigno bastone

E occhi ha bianchi, come latte fresco

Privi de iride, pupilla o alcun perdone.

 

Parlò quel tale in anglo-tedesco.

 

“Whose deceitful words have awoken mee?

Who, without virtue, dared to speak of it?

Who, of the Shepherd, so lowly talk

As if they could live without His glorious light?

Who thus has challenged mee into a fight

To which I must concede with more than due right?

Thou seems new and yet fearless are pasturing

For a land that do not belongs to thee.

Does thou even feel any shame for thine horrid condition?

So be it then! Have at thee!

You had your chance to live and died within.”

 

Ecco alfine che i lor visi ricordaro.

L’uno era il Tasso, Torquato ad onore

La cui Gerusalemme Liber non ha paro

 

E quell’altro, Milton, spiegò con rigore

“De l’om disobbedienza prima ed il frutto

Dell’arbor proibito, cui mortal sapore

 

Portaro morte al mondo e ogni ributto.”

 
   
 
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