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Autore: Cladzky    23/04/2023    1 recensioni
Leggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guida in questo inferno laico, traghettandolo da un'anima furiosa all'altra, pronta a randellarlo. Un'opera per ridere, ma anche di riflessione interiore e soprattutto di insulti, piena di personaggi storici.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANTO VII - Le truppe dardane e quelle crociate si scontrano prima a parole, poi coi fatti. Infine l'autore è di nuovo in fuga.


Perdonami o Musa, mi secca la gola

A narrar d'uno scontro che mai si fu visto

Più alto di quanto il sogno si vola


Fra bronzo e fero, fra Venere e Cristo.

Mai si fu visto e seria mai veduto:

Irripetibile fu quest'esercito misto


Dello ardimento audace e canuto,

Antique gesta, ben rade oggigiorno

In tempi cui lunga gittata è istituto


E feral pugna de corpo è da scorno.

Avanti agli spettri, Torquato li sprona

Con sembiante rampante, impettito unicorno,


A Enea, per l'aere, grida e rituona:


"Pio tu fosti, ma agli dei fallaci;

Mira cosa porno le mie di preghiere:

Sol la in Lui fede ci fa bonifaci

E rende legioni di angeliche schiere

Qual voi vedete e non sono più umane

Benché furno esse in lor vite sincere

E perciò sono ciò che noi un dì saremo

Se schiacceremo ogni moto blasfemo.


Urge, al dunque, che tu te ne vada

Abbandonando il proposito e ingegno

De noi sottrarre cotale masnada

Che de morte neppure dimostrossi ei degno.

Tu fosti bono per la mia contrada,

Dico l'Italia, ne feci un gran regno!

Retto, leale e di cavalleresco onore,

Dio mi scampi se ti nego l'amore:


Acciò ti dico, lesto t'invola!

Già troppo avante tu ti sei fatto.

Ritorna alla landa de la gente sola

Priva dello male e del divin patto.

Il limbo ti chiama, suona la nola,

Perché non segui il divin ordine ratto?

Tu, prematuro, al Figlio fui desto

Ma il Dio vivente non t'è or manifesto?"


L'anchisiade non porta indietro d'un passo

Anci, un altro lo porta a disfida

E gli occhi appena, contro lo Tasso,


Fra scudo e cimiero, serpico, annida.

Acàte, accanto, approssima e ripara,

Che fusi ognuno il moto all'altro guida.


Un turbine di luce è quel muro d'oro

Di rame, stagno, infucinata lega

Pur meno dura del legame loro:


Un viaggio, da secoli, che ancora si spiega,

Tanto ha commosso l'umanistica idea,

Li saldò così tanto che più niente li nega


E sanza alcun dubbio seguono Enea.


"Amici, troiani e concittadini, udite il parlare?

È sì passionato che pare mercede, ma se, perché?

Perché dar mercede a chi si ama tanto e pur minacciare?

Che noi facemmo di male da mertare questa indulgenza

Se non soccorrere chi vedemmo solo e da lor impregionato?

Crudo supplizio è justo pei suoi passati misfatti?

Achemenide pur fu compare dello scaltro itacense Odisseo

Che patria nostra arse, strusse, deprese e uccise

Ma lo lasciammo in Sicilia, alle ciclopiche brame selvagge?

Or è dei nostri, così fu per lui e per molti ancora,

Fino ai Latini, che Turno addosso ci volse e furno

Nemici, ma pietade cicatrizzò insieme ancora.

È sempre meglio, io dico, aiutare chi non può nuocere;

Sempre meglio è trattenere la violenza se non quando

Al momento presente e concreto è il male nostro in atto.

A che pro ferire una vita dopo la ferita e mancar perdono

Che un nemico in meno rimuovesse e un amico di più donasse?

E loro, che si autoproclamano unici judici ideali,

Ha lui forse fatto tanto da mertare d'esser sacrifizio umano?

Certo, non crede negli dei, come gli omoni l'avessero creati

E non il contrario e questo è disgustoso, ma che fare?

Tortura non è d'uopo, si tortura già da solo l'animo sordo

E torturato mai nessuno altro per il suo credo ha, ch'io sappia,

E non v'istilla compassione come di mendicante sanza cibo chi è senz'anima?

Orsù dunque, liberiamolo alfine da quelle catene spietate!

Diamogli mostra di ciò ch'è pietade e servilismo agli dei

Affinché possa anche lui non essere incredulo all'Olimpo!"


E con tali parole, con tal sentimento,

Caricava sopra terreno sabbioso

Lancia in testa, pennachio al vento


E menava contr'al di Dio timoroso.

Goffredo si porge avanti e flemme

Con viso che splende di beato riposo


E tutti il seguon com'istella a Bethlemme.


"Guerrier di Dio, ch'a ristorare i danni

Della sua fede il Re del Cielo elesse:

E securi fra l'arme, e fra gl'inganni

Della terra e del mar, vi scorse e resse;

Sicch'abbiam tanti e tanti, troppi anni

Ribellante genti a lui sommesse:

Non osiati creder d'aver fatto abbastanza

Giacché di peccato al mondo n'avanza


Seppur morti semo, la lotta ci aspetta.

Ha forse il Christo smesso il lottare

Quando la croce per lui fu eretta

E straziato fu da genti già amare

Per maturare come semenza eletta?

Ancor ci appoggia, egli è l'altare;

Tutto ei puote e noi ne consegue.

Non date già a vil parol tregue!


Ei vonno sviarvi con la gentil mano

Desistendo alla legge crudele ma justa

De punir chi col corpo l'alma morta fano,

Proponendo una pace cod'odora de usta

Di non perseguir chi non crede al Soprano

Che scelta è sua, ma ciò mi disgusta!

Come si pote restare incrètuli

Anzi l'universo, vittor dei Rùtuli?


È più benefico per lui morire ancora

Che come se pote viver sanza Dio?

Sanza una voce che sempre lo rincora

Pur nel dolore, febbre e nell'addio?

Ei soffre molto e ragion non lo ristora

E non è forse offesa a lui, voi ed io

Veder la natura, cielo, mare e terra

Sanza un briciol di grazia che t'aserra?


Disperdiamo cotesti sobillini e rei;

Crociati a me! ricordate il Galileo

Che come disse ai maliziosi sadducei

"Simil agli angeli s'è come al vitar neo".

E non fu Michaele, de l'angelici cortei,

Lo duce che recise, con colpo achilleo

L'inter destro lato de Lucifer per lungo?

Così conviensi, qui taccio e pungo!"


Che strano scontro, che feral fatiga!

Io sol rimango e vedo l'incrocio

Come furia fiumana contr'a diga,


De duo mura e ognuna cerca sfocio.

Davanti vedevomi vivere li poemi

Che in antique corti erano il socio


Il diletto, i pianti e maraviglia i premi.

Capite adunque quanto atterrisce

Chi s'emoziona a sol leggerne i proemi?


Dacché rigorose erano le strisce

E sfregavano ognuno contro il davante

Presto si spezzano e liber colpisce


Chi il caso pone a ciaschedun fante.

Corebo Migdone, al vedermi sì preso

S'accesse si fossi Cassandra l'amante


Strappata da Ajace al Palladio e offeso,

Spumante si porta, grifagno nell'occhi,

Con ben poca cura di farsi difeso.


Chi lo intercetta per primo ha gran possa

Gardo è nomato, franco di prestigio

Ma non già tal ch'a lui resister possa.


L'asta gli vira il giovinetto frigio,

Quello lo scudo tosto ha levato

Che para ma paga questo litigio


Quando la spada gli fora il costato.

In altri paraggi, Dudon di ventura,

Un fendete para e ricambia d'un fiato,


Scostando la lama e a disinvoltura

Affonda nel collo del povero Ipane,

Svuotando la vena de su mortal natura.


E avanza con labbro alzato da cane,

Quel duce che acquise in Siria e la Persia,

Guardandosi attorno a chi fare stane;


Paura proietta nell'alme e controversia.

Procedettegli addosso un omo taurino

Sergesto era, che de rughe se tersia


Quando vide, fra la polvere il meschino,

Compare caduto e remò come pochi

Più de Centauro, nel Drèpanon bacino


Potè remare per vincere i giochi.

E levando una piccozza sovra lo capo

S'appresta a piantarla in encefali lochi.


Più svelto, Dudone, sbucciò il suo mapo

Con un affondo al ventre troiano

Ma l'altro quasi non cala e con sciapo


Pianta lo cranio del cavalier cristiano.

Ma tutti li scontri ch'io posso contare

Nulla son pari a chi fa men baccano


Girandosi intorno senza colpo sprecare,

Tancredi il Normanno e Ascanio lo Dàrdano,

Vanno le mosse l'un l'altro a studiare.


Attendon ma colpi presto non tardano

Da parte del giovine figlio di Troia

Che scatta a rovescio, ma il vano sperano


Che è come toccar tramontana boria:

Già s'è levato su un lato Tancredi

E un dritto gli porta a decollar vittoria


M'Ascanio s'abasa pria che tu credi

E mille scintille attizzan l'elmetto

Da parver Vesuvio si sol tu il vedi.


Scampato periglio, il futuro prefetto,

Pentarion spinse contro al Normanno.

Ancor prodigiose, e gli faccio difetto,


Fur de Rinaldo le imprese che al danno

De Dardane schiere, vindice, saetta

Quando Dudone ha colto in affanno


E del suo capitano è Nemesi vendetta.

Coglie un bronzo a lui troppo anelo

Lo devia col scudo e niente più aspetta


Cala un fendente contro a Stenèlo

Sì vindice che spicca in due sol tronconi

La dipylon difesa e volto come velo


Lasciandolo scisso sin li polmoni.

"Or qual indugio è questo? E chè s'aspetta?

Poich'è morto il Signor che mi fu padroni


Chè non corriamo a vendicarlo in fretta?"

Questo dicea lagrimando fin al mento

Giù per il collo arrossato de stretta.


Conviensi però lasciarlo un momento

Perché più avante, saccagnano altieri

Gente di tale possanza e ardimento


Che si narra quasi non furno vertieri:

Enea, coperto de Vulcaniche armi

E Goffredo con ispida mazza, i guerrieri


Non si dan pace, dolci come marmi,

Rompono l'aria ad ogni loro assalto

Che inver duo pianeti a collidere parmi!


Il Pio, con un'ascia, gli toglie lo smalto

Da uno spallaccio e tutto lo ammacca

Che se lo pigliava appena più in alto


Clavicola tutta finia che gli spacca.

Risponde impavido l'Advocatus Sepùlchri

Che, con la mazza, dal manico stacca


L'ascia al principe dei restanti Teùcri

Che solo rimane col manico ligneo.

Tosto continua in vena di lucri


Il marchese di Anversa e irto de igneo

Addosso si lancia e aprir vol la fronte

Ma quando sta per lasciargli il signeo


Le di lui visa ricevono un onte

Quando il manico, disperato il caccia

Enea sul naso all'onorevol conte.


Il colpo di mazza è sviato ma straccia

Un sonoro clamore sul petto del divo

Ch'arretra d'un metro e fa rosso in faccia


Che tutto il fiato gli è reso schivo.

Disarmata la manca, alza la castra

Frapposta a un colpo più vindice e vivo,


La mazza fende, scuote e innastra,

Manda faville e rivibra lo scudo,

Anco non piega la divin foggia piastra


Pur braccio foco sentìa benchè crudo

Tanto è il calor generato all'impatto!

Enea, de possanza, oramai è nudo,


Già sente il quarto, impunente attacco

Mirato a finire ciò che pria fallì

E sa che giace nel crociato ricatto


Che braccio iscutato, a movere sì

E fargli difesa, non glie riuscìa;

Già mazza oscurava il suo ultimo dì


Che svelto avanza, de balda follia,

Troppo vicino per l'arnese Marzio.

Se libra Goffredo de l'armenteria


E accetta la sfida a questo Pancrazio.

"Teco m'appiglio come mai strinsi alcuno,

In Cupidico gesto io te fo strazio!"


Grida e, col braccio, fe collo raduno,

Come già strinse la torre di Davide,

Ma indo impotette d'Argante ogni tribuno


Riuscì il vassallo del principe Paride:

Con pugno mirabile gli scosse le reni

Che tanto il lasciatte e gambe sue rapide


Arretra all''avverse che cadono leni

Quando perno le fanno contro il ginocchio.

Il duce ruzzola e pria che se sistemi


Librata è la spada che taglierebbe un rocchio

Contro gli si cala, ma deviati sono,

Che un'altra lama ha abbacinato l'occhio.


"Goffredo, su s'alza! Perché giaci stono?"

Urla Rinaldo e sulla bocca ha il sorriso,

"Perdetti un capo e a un altro il mio dono!"


Così dicendo, col ferro diviso

Da più alta spada forgiata al Profondo,

Rinaldo è tagliato all'altezza del viso,


Fin sovra il labro, ancora jocondo.

Goffredo, ululando d'immodesto svampo,

Tempesta con colpi ch'illumano il mondo


Sì chrederesti che sia de Giove il lampo!

Oh lettor, non pensar che sia un codardo

Se ancor miro un diverso loco al campo:


Guarda là infatti, è il prode Odoardo

E seco sua moglie, Gildippe guerriera,

Movono come un androgino dardo


De Aristofanica primordial schiera.

Milton e Tasso, dimentichi me ribelle,

Corrono in mezzo lo spettrale rivo


E lì pugnano allegri quell'anime felle

Che sempre contenti son de novitate

Ed epiche risse per loro son belle

Che poeti si è e poemi si ha date.


Di fronte a un tale scontro mortale

Io finitti tutte le mie fiate.

E inver son confuso e il mio dubbio sale.


Ma non ho il tempo d'esser titubante

Che le braccia librate furnomi da un tale.

"Vergilio!" Io grido e man mette avante


Per zittire ogni grido e via me trascina

Fuor da portata d'ogne guer sante.

"Sol ne la mente" ripete e cammina

"Può l'ombra del mito atterrir chi vi crede."

"Che cosa è reale?" Chiedo e avvicina.


Lui non risponde ed io volto il piede.

Laddove sorgeva una zuffa tremenda,

L'occhio duo vecchi che giocano vede.


Epica eroica, di serietade fai tenda

Eppur che resta ai cor che perfori

Se non escapiste illusioni ci renda


E accendi stolti giovenil furori?


   
 
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