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Autore: nachiko_nene    26/04/2023    0 recensioni
Nina è una cacciataglie piuttosto vivace e, ancor prima, un'umana. Annoiata dalle questioni politiche, riesce ad accendersi solo quando si parla di missioni avvincenti, feste scatenate e storie romantiche, di quelle che fanno battere il cuore.
Ormai rassegnata all'idea che nella galassia non ci sia più posto per gli umani, civiltà alla quale è stata inferta una grave ingiustizia, volge lo sguardo al futuro consapevole che nulla potrebbe più sorprenderla ormai.
E se, durante una missione, Il ricercato più pericoloso e irriverente che abbia mai conosciuto dovesse iniziare a mettere in discussione ogni sua certezza?
DAL CAPITOLO 1:
" Si avvicinava con calma. La visiera della maschera luccicava nell'oscurità donandogli un'aura ancora più sinistra; Indossava un lungo mantello nero dall'aspetto piuttosto pesante che celava armi di vario genere.
(...)
«Sei un completo disastro» La prese in giro, osservandola rantolare sul pavimento, esausta e dolorante. «Dovresti assicurarti di essere all'altezza del nemico prima di uno scontro.»
«Ma stai un po' zitto... » Boccheggiò tenendosi lo stomaco con entrambe le mani. "
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tredici: Temuto e amato




 

Era chiaro che Lukasz stesse concedendo a Nina il tempo e lo spazio necessari per abituarsi alle nuove circostanze e in un primo momento le fu enormemente grata per questo. Adesso però sentiva il bisogno, anzi l’urgenza, di occupare le giornate in qualche modo.

Il suo unico passatempo era quello di immergersi in lunghe  esplorazioni all’interno della nave. Si trovava a camminare per intere ore, perdendosi nel groviglio di corridoi senza una destinazione precisa.
Le strade si diramavano e si ricongiungevano, s’incurvavano e si interrompevano di colpo. Spesso, dopo aver percorso un corridoio per diversi minuti, era costretta a tornare indietro perché alcune aree le erano precluse e non sarebbe riuscita ad accedervi nemmeno volendo. I sensori delle porte si azionavano solo in presenza del comandante e di pochi altri membri.

Gli spostamenti verticali avvenivano per mezzo di elevatori che permettevano di scendere o salire tra i livelli con estrema rapidità. Grazie a essi era possibile raggiungere in un batter d’occhio la zona intermedia, laddove erano situate le cabine riservate all’equipaggio.
Quella del comandante, invece, era posta all’ultimo livello e sebbene non vi fosse alcuna regola esplicita che ne vietasse l’accesso, tutti si premuravano di starne alla larga.

Da quando Lukasz aveva tenuto un discorso con l’equipaggio ogni  sguardo torvo, atteggiamento aggressivo o minaccia erano cessati.
Tutti sembravano essersi ammansiti di colpo nei confronti di Nina, forse anche troppo, perché ora incrociandoli per i corridoi cambiavano strada o acceleravano il passo superandola.
Se si imbatteva in un gruppo di soldati questi smettevano all’istante di chiacchierare e le passavano accanto a testa bassa, come intimiditi dalla sua presenza.

Un giorno adocchiò un tizio aggirarsi con una pila di casse sulla schiena e gli si avvicinò con una tale sicurezza che questo, colto alla sprovvista, non fece tempo a cambiare strada. Lo salutò e gli offrì una mano per trasportare la merce, ma la creatura rimase a fissarla perplessa.

«Ti manda il comandante?»

Si guardava attorno a disagio, come per controllare che nessuno li vedesse parlare.

«Be’ no… volevo solo essere d’aiuto.»

Lui non parve molto convinto ed esitò qualche attimo, incerto se assecondarla. «Credo dovresti rivolgerti al capo.» disse infine e con una scusa si defilò scomparendo dietro l’angolo.

La ragazza sbuffò.
Rivolgersi al capo? Certo, l’avrebbe fatto volentieri, ma intercettare Lukasz era davvero un’impresa.
Era sempre indaffarato. Saettava da una parte all’altra della nave con una schiera di soldati che gli orbitava perennemente intorno.

Se davvero voleva parlargli a quattr’occhi e senza la presenza di spettatori ficcanaso c’era un’unica soluzione per quanto poco ortodossa. Era umano dopotutto, no? Prima o poi anche lui avrebbe scaricato le energie e si sarebbe ritirato nella propria cabina per riposarsi.
Lì all’ultimo livello della nave dove nessuno osava mettere piede… be’, nessuno tranne lei.
L’unico modo per arrivarci era utilizzare un passaggio apposito, perché gli elevatori arrivavano solo fino al trentesimo e penultimo piano.

Aspettò pazientemente il momento più propizio e quando fu sicura di trovarlo nei suoi alloggi partì alla carica dirigendosi verso le scalette. Nel suo piano perfetto aveva trascurato tuttavia un piccolo, insignificante problema: la mano di Morlin che comparsa dal nulla la afferrò per un braccio facendola arrestare di colpo.

Nina si voltò fulminandolo.

«Lasciami andare. Subito.» lo avvertì seria, per nulla intimidita dalla mole dell’androide che per fortuna la liberò all’istante. «Devo vedere il comandante.» spiegò sistemandosi la maglietta.

«Spiacente, il comandante sta riposando. Potrai parlare con lui quando tornerà in servizio.»

Nina inalò forte dal naso reprimendo l’impulso di scrollarlo per le spalle e fargli scomparire quell’espressione ebete dalla faccia.

«Non hai capito, io ho urgenza di parlare ADESSO con lui.»

«Impossibile, dovrai aspettare che scenda lui.»

Si piazzò proprio davanti alle scale sbarrandole il passaggio e Nina rimase a fissarlo in cagnesco riflettendo sul da farsi.
Durante una conversazione, il modo migliore per avere la meglio su un androide era usare la logica, l’aveva letto in un articolo.

«Morlin, recarsi all’ultimo piano è contro le regole?»

L’androide esitò interdetto.

«Negativo.»

«E se non erro Lukasz ha detto che posso cercarlo come e quando voglio, giusto?»

Questa volta ci fu una lunga pausa di riflessione, come se i suoi ingranaggi fossero in conflitto tra loro.

«È corretto.»

Eccellente.

«E dimmi, oggi ti ha forse raccomandato di non fare passare nessuno?»

«Non l’ha detto.»

Nina si strofinò le mani con impazienza.

«Di conseguenza posso salire, dico bene?»

Lo vide aprire la bocca e richiuderla subito dopo.
Aveva davvero l’aria di un bambino imbrogliato da un giochetto elementare.

«…Affermativo.»

Nina non se lo fece ripetere una seconda volta e gli trottò davanti con fare altezzoso superandolo.

Eheh… stupido androide.

Salì le scale spingendosi fino all’ultimo piano e appena raggiunse la cabina si bloccò. Fu percorsa da un brivido di eccitazione, come se avesse appena raggiunto un traguardo. Quel posto appartato rappresentava la parte più riservata, intima e segreta di Haeist: il suo rifugio.

Alzò il pugno in aria per bussare alla porta.

 

 

•••∆•••

 


Pov Lukasz

Da quanto tempo non dormiva?

Seguire una nave popolata da creature con un ciclo di sonno diverso era assai complicato e spesso finiva per dimenticare le proprie esigenze.
Se non fosse stato per gli insistenti solleciti di Morlin sarebbe rimasto immerso in un’altra sessione di lavoro a discapito della propria salute. Da quando aveva messo le mani sulla reliquia sentiva di avere molta più resistenza rispetto a prima ma, alla fine, rimaneva comunque un umano.

Mentre fissava il soffitto avvertì uno sfrigolio di energia attraversargli il corpo. Era una sensazione piacevole, una vibrazione che aveva sperimentato anche nei giorni passati e si ripeteva ogniqualvolta si trovasse nelle vicinanze di Nina.
Immaginò fosse un fenomeno collegato all’arte oscura che si innescava in presenza di un individuo della stessa specie, una sorta di meccanismo di riconoscimento.
Aveva senso. Condividevano un potere nato dallo stesso frammento e questo, in un modo o nell’altro, li legava.

Rimaneva un solo punto da chiarire.

Cosa ci faceva Nina lassù?

Tese l’orecchio e captò un rumore di passi leggeri che si avvicinavano sempre di più fino a fermarsi davanti alla cabina. Aspettò che bussasse o che palesasse la propria presenza in qualche modo, ma i secondi passarono e tutto tacque.

Si massaggiò le palpebre ed emettendo un profondo sospiro si alzò dal letto.

Aprì la porta e trovò la ragazza con il pugno alzato a mezz’aria, come in procinto di bussare. Colta alla sprovvista scattò indietro e il suo sguardo zigzagò tra i bicipiti scoperti dalle mezze maniche e il tessuto della maglietta che cadeva morbido sul corpo tonico.
Poi si schiarì la voce e alzò gli occhi al soffitto con le guance imporporate.

Accadde tutto in un attimo, ma a lui non sfuggì.

«Nina…» sussurrò piano, con la voce ancora arrochita dal sonno «di solito non ricevo visite qui.» Avanzò di qualche passo chiudendosi la porta alle spalle e si appoggiò con la schiena al muro.

«Credimi, ne avrei fatto volentieri a meno… ho anche avuto una discussione con il tuo androide poco fa, ha cercato di fermarmi…»

L’espressione che assunse quando si riferì a Morlin lo fece sorridere. Forse un giorno avrebbe capito da dove provenisse tutto quell’astio nei confronti degli androidi.

«Il punto è che sono giorni che cerco di parlarti ma sei sempre così…» esitò un attimo, in cerca della parola giusta. «…impegnato

«Dimentichi che sono il comandante, è piuttosto normale. Avanti, ti ascolto, di cosa volevi parlarmi?»

«Mi trovo su questa nave da almeno due settimane e ancora non mi hai dato nulla da fare. Sto passando le giornate camminando per i corridoi, ho imparato a memoria la planimetria della nave e come se non bastasse tutti mi stanno alla larga. Non fraintendermi, sono felice di non ricevere minacce di morte, credo che però tu abbia esagerato un pochino.»

Mentre Nina parlava a ruota libera a Lukasz cadde l’occhio sulla maglietta di almeno due taglie più grande che stava indossando. Bianca e nera le arrivava quasi alle ginocchia.

Bella… ma da dove spuntava?

«Non ricordo di avere mai avuto quella roba a bordo.» la interruppe indicandola confuso. Il viso di Nina si illuminò di colpo, afferrò un lembo della maglietta e gli mostrò dei punti di cucitura.

«Lo so, l’ho fatta io!» rispose con orgoglio rivolgendogli un sorrisone raggiante, «Carina vero? Ho usato la robaccia che mi ha rifilato Morlin e ci ho rimesso mano. Gli studi artistici della mia adolescenza si sono resi finalmente utili, ah ah…»

Lukasz la guardò a bocca aperta.

«…Notevole.»

«Già. Adesso che sai quanto mi sto annoiando, pensi di fare qualcosa a riguardo?»

Lukasz si lisciò la barba pensieroso.
Forse era giunta l’ora di integrarla al resto dell’equipaggio.

«Va bene piccola tessitrice, ero dell’idea di lasciarti ancora qualche giorno di tregua, ma se proprio insisti…»

Mantenne la parola e da quel momento la mise sotto torchio.

 

 

•••∆•••

 


Un giorno le assegnò l’ingrato compito di montare un cannone xolgiano, un bestione che una volta intero risultava alto quasi quanto lei.
Lukasz però non sapeva che Nina era un disastro ad assemblare armi e già dopo una ventina di minuti un gruppetto di curiosi si era messo lì davanti per godersi quello spettacolo penoso.
Poi uno di loro, colto da pietà, decise di intervenire in aiuto alla ragazza che ben contenta gli cedette il posto. Si sistemò accanto a lui osservandolo affascinata mentre lavorava in silenzio.

I suoi arti terminavano con delle grosse e possenti chele che gli permettevano di sollevare, stringere e piegare con facilità i materiali più resistenti.
Per praticità era solito utilizzare strumenti adatti alla conformazione del proprio corpo, oggetti che Nina e nessun’altro umano avrebbe potuto utilizzare. Nonostante ciò, adottando qualche premura in più, riusciva comunque ad afferrare i pezzi più piccoli e assemblare l’artiglieria.

«Che cosa stai facendo?»

La voce del comandante fece congelare tutti i presenti e Pakitàr, il soldato che si era spontaneamente offerto di aiutare Nina, scattò in piedi come un fulmine.

«Signore, l’umana era in difficoltà.»

«Ah sì?»

«Sì, è la verità» intervenne lei scrollando le spalle, «mi dispiace, non sono in grado di assemblare le armi. Anche nella vecchia squadra lo facevano sempre gli altri al mio posto. Posso occuparmi di altro?»

Lukasz si strinse nelle spalle.

«Hai mai pensato che forse è proprio per questo motivo che non sei capace? Se continui a scaricare i compiti sulle spalle dei tuoi compagni non imparerai mai nulla.»

Poi lanciò un’occhiata a Pakitàr che afferrando al volo l’antifona si allontanò con una certa premura.

«Ascolta» provò a farlo ragionare, «ci sto provando da mezz’ora e sono ancora al punto di partenza, se continuo così ti farò solo perdere del tempo.»
Giunse le mani in gesto di supplica rivolgendogli il sorriso più melenso che poté, uno a cui nessun uomo avrebbe potuto resistere. «Per favore, posso occuparmi di altro?»

Anche Lukasz le sorrise.

«Malysh’ka…»

«Sì?»

«Potrai impiegarci anche una settimana, ma ti garantisco che non uscirai di qui finché non l’avrai montato tutto e lo farai da sola.»

Il viso di Nina si rabbuiò.

«Bene, allora ti costruirò anche un bastone, perché quando avrò finito qui sarai VECCHIO!»

«Brava» la liquidò senza darle corda e si rivolse a tutti gli spettatori che li stavano fissando sbigottiti.

«Statemi bene a sentire voi» li avvertì, «non fatevi impietosire perché io non mi farò gli stessi scrupoli con chi si intrometterà in questa faccenda, intesi?»

Detto questo si allontanò a passo marziale, ritornando ai propri doveri.

«È proprio un despota…» borbottò Nina seguendolo con lo sguardo. Si pettinò i capelli dietro le orecchie e prendendo un grosso respiro si chinò di nuovo sull’artiglieria.

«Malysh’ka fai questo, Malysh’ka fai quello…» lo scimmiottò iniziando ad avvitare un bullone, «chissà che vuol dire poi…»

Mentre parlottava tra sé e sé il tempo continuò a scorrere e nessuno osò avvicinarsi.

 

•••∆•••

 

Quando Lukasz tornò indietro trovò Nina seduta esattamente dove l’aveva lasciata. Lo stava aspettando con le braccia incrociate al petto e un sorrisetto beffardo sulle labbra.
Si acquattò accanto a lei per controllare il lavoro svolto: la canna era dritta, i bulloni erano avvitati ben saldi, il cavalletto era stabile.

«Brava Malysh’ka» disse infine, «inizio a pensare che con le giuste imbeccate tu possa fare qualsiasi cosa.»

La ragazza gongolò, beandosi degli elogi del comandante.
Ammirò il frutto delle sue fatiche con evidente soddisfazione.
Sì, aveva fatto davvero un ottimo lavoro e tutto sommato non era stato così difficile.
Lukasz si rialzò e le diede una pacca sulla spalla.

«Be’, complimenti, hai vinto anche gli altri sei cannoni. Li voglio tutti pronti per domani.»

E si allontanò lasciandola impietrita in mezzo alla stanza.

«…MA STIAMO SCHERZANDO?!»


 

*Malysh’ka: piccola, bambina
 

 

  
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